Hemodialysis safety: from the study of the minimum data set to the creation of the CUSTODE hemodialysis surveillance flow sheet

Abstract

Background: The purpose of the study is to identify, through a survey, the parameters that need to be monitored during a hemodialysis session and to merge them into a surveillance flow sheet that allows the optimal conduction of the treatment.
Methods: The study was conducted using the questionnaire methodology and involved 78 nurses working in the nephrological area in Italy. The majority of participants have an age of service greater than 10 years and belong to a hemodialysis context.
Results: The data show how the surveillance flow sheet is a diversified tool according to the treatments carried out. However, the majority of dialysis flow sheets have a section dedicated to the medical-nursing diary, a space for recording the access characteristics and there is also a good level of digitalization of the instrument.
The frequency of detection of vital and monitor-related parameters varies on the basis of the treatment carried out, the registration of the identification number and the filter label are not a uniform practice. Finally, the majority points out the need for an improvement of the surveillance card in use.
Conclusions: The research highlights the lack of uniformity of the dialysis surveillance process.
The study proposes as a solution to the problem a universal medical-nursing flow sheet, called CUSTODE, which can guide the professional in the management of hemodialytic treatment, through the registration of a minimum data set.

Keywords: hemodialysis surveillance flow sheet, minimum data set, hemodialysis, safety

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Introduzione

Nell’ultimo ventennio il numero di pazienti con danno renale che necessita di un trattamento sostitutivo è aumentato notevolmente [1, 2].

La platea degli emodializzati si è inoltre modificata nel tempo, inglobando assistiti con una criticità e compromissione tali da dover essere trattati al di fuori delle aree nefrologiche. Questo ha stimolato lo sviluppo di metodiche dialitiche nuove rispetto a quelle utilizzate nell’uremia terminale e in condizioni emodinamicamente stabili [3].

La  gestione del paziente con danno renale che necessita di un supporto emodialitico è complessa [4] e richiede oggi un approccio multidisciplinare in cui i professionisti concordino la gestione più appropriata del trattamento extracorporeo.
Scopo dello studio è quello di progettare uno strumento medico-infermieristico completo e intuitivo che guidi il professionista, che si confronta con le diverse metodiche dialitiche, nella conduzione ottimale del trattamento attraverso la registrazione di un minimum data set. L’analisi parte dallo studio di schede dialitiche già in uso in alcune realtà italiane (A.O. di Perugia, ASL Viterbo, A.O. San Giovanni Battista di Torino, A.O.U. di Pisa) andando a ricercare quelle che sono le somiglianze e le differenze tra esse in modo da uniformare la gestione dei trattamenti [57]. 

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Is there really something wrong with the formalization processes of the anticipated will? Insist on DATs or (finally) promote advance care planning (ACP)?

Abstract

The author analyzes the possible paths for the formalization of the anticipated will regarding the care provided for by law no. 219/2017, identifying them in the advance treatment provisions (DAT) and in the shared care planning (advance care planning) of which he examines the merits and related defects. He proposes to invest better and more in shared care planning, indicating the advantages and opportunities that derive from its gradual formation within the care relationship, while signaling the need to proceed promptly with the appointment of the trustee, provided in an optional form by the law. He then addresses the role exercised by this representative figure which is to assist the care team throughout the disease trajectory and not only when it is necessary to honor the wishes and preferences expressed by the person when he was in a position to do so, and he does it criticizing the choice made by the legislator who indicated it in full possession of the ability to understand and want.

Keywords: anticipated will, advance treatment provisions, advance care planning, trustee, ability to understand and want, decision making

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Inquadramento generale e sistematica giuridica della formalizzazione anticipata della cura

Il tema in esame, pur essendo abbastanza agevole sul piano della dogmatica giuridica, è un argomento di grande complessità sul piano non solo teorico ma soprattutto pratico. Lo è per tutta una serie di ragioni, perché quest’ambito tematico rinnova ed inasprisce la discussione sulle ricadute dell’autodeterminazione individuale, sui suoi presupposti cognitivi (razionali e affettivi), sui doveri professionali del medico e, più in generale, sulla rifondazione dei fondamentali della cura dopo il tramonto del paternalismo medico (almeno di quello hard) [1], essendo a tutti evidente che il successo del consenso informato non ha risolto né le asimmetrie né le solitudini decisionali che emergono ogni qual volta si debba assumere una decisione clinica difficile o complessa e tutte le volte in cui i diversi valori in gioco vengono a confliggere.

L’inquadramento giuridico è, come anticipavo, relativamente semplice: sono gli artt. 4 e 5 della legge n. 219/2017 (“Norme sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento”) che disciplinano le direttive anticipate di trattamento (DAT) e la pianificazione condivisa della cura (ACP) indicando, per quest’ultima, la possibilità di metterla in pratica nell’ipotesi in cui il paziente sia affetto da una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta”, in modo da vincolare l’agire del medico e dell’équipe sanitaria “tenuti ad attenersi qualora il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere il proprio consenso o in una condizione di incapacità”. In ogni caso, prima di avviare il relativo processo di formalizzazione della ACP, il paziente deve comunque essere preliminarmente informato “sul possibile evolversi della patologia in atto” e su quanto “può realisticamente attendersi in termini di qualità della vita, sulle possibilità cliniche di intervenire e sulle cure palliative” per così esprimere “il proprio consenso rispetto a quanto proposto dal medico […] e i propri intendimenti per il futuro”; ciò lo si può fare o per iscritto (documentandola in Cartella clinica) o, nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, attraverso la videoregistrazione o l’uso di dispositivi che permettano alla persona con disabilità di comunicare la sua volontà. È stata, inoltre, prevista la possibilità di aggiornare l’ACP in relazione “al progressivo evolversi della malattia, su richiesta del paziente o su suggerimento del medico” con l’opportunità di poter in essa indicare anche il fiduciario, ovverosia la persona scelta direttamente dall’interessato senza particolari formalità burocratiche, purché maggiorenne e capace di intendere e di volere, a cui si riconosce il compito di mediare, interpretare, attualizzare e concretizzare i desideri, le preferenze e la volontà del medesimo. È così che la pianificazione condivisa della cura, alla pari delle disposizioni anticipate di trattamento (DAT), rappresenta l’estensione logica del principio del consenso informato [2] che trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 Cost. come ha evidenziato il giudice delle leggi (sent. n. 438/2008) condizionando l’agire terapeutico del medico che non può attuarlo all’insaputa del paziente, al quale è comunque riconosciuta la facoltà di rifiutarlo e/o di modificarlo in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale.

Tuttavia, la vincolatività sia delle DAT che della ACP non è assoluta ma relativa, perché la norma prevede la possibilità di disattenderle “in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o  non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita” (art. 4, comma 5). Ipotesi, quest’ultima, analogamente a quella della manifesta incongruità che si inserisce nell’ampio problema del come si formalizzano le DAT, davvero improbabile nel caso della ACP per il dinamismo che contraddistingue il processo, che non è mai un atto singolo ma la costruzione in progress di una relazione umana fatta di significati, di carattere prioritariamente morale [3].

 

Una questione aperta: c’è qualcosa che non va nei percorsi di cura previsti dalla legge n. 219/2017?

Nessuno di noi ha contezza su quanto la pianificazione condivisa della cura (ACP) sia entrata a far parte dell’armamentario medico e se essa sia un’opzione che soddisfi o meno i pazienti, il loro entourage familiare, il team di cura e, non da ultimo, anche le organizzazioni sanitarie. Ciò che è certo è che mancano indicatori conoscitivi anche perché l’ultima delle relazioni annuali che il Ministro della salute è tenuto a fornire al Parlamento sull’attuazione della legge sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento è quella risalente al 30 aprile 2019, dove si ammette che le DAT depositate negli uffici di stato civile comunali sono 62.030, senza dar conto del numero di quelle depositate negli studi notarili. Altre (più recenti) fonti informative, tutte però da verificare, danno notizia che le DAT depositate nella apposita banca dati del Ministero della salute sarebbero, al 15 dicembre 2020, 156.799, ammettendo che la pandemia avrebbe condizionato il trend fortemente in negativo delle richieste visto che da febbraio a dicembre 2020 ne sono state depositate solo 11.096 contro le oltre 145 mila redatte nei due anni precedenti [4].

Se questi sono i numeri reali e non si hanno ragioni per pensare il contrario la débâcle italiana su un tema che ha, a lungo, contraddistinto anche il nostro dibattito bioetico sarebbe evidentissima. Difficile comprendere appieno le sue cause che l’Associazione Luca Coscioni attribuisce, tuttavia, alla mancanza di una campagna di sensibilizzazione nazionale, all’impossibilità di usufruire della videoregistrazione negli Uffici di stato civile comunali, oltre che a quella di accesso al domicilio delle persone per il ritiro, da parte dei funzionari a ciò incaricati, delle DAT [5]. Può essere anche che, più realisticamente, le vere ragioni del loro fallimento siano più ampie, come ha denunciato un recentissimo lavoro scientifico pubblicato su una prestigiosa rivista con la firma, come primo autore, altrettanto prestigiosa, del presidente del Dipartimento di geriatria e medicina palliativa della Icahn School of Medicine del Mount Sinai di New York [6]. Interrogandosi sul che cosa c’è che non va nel biotestamento, gli autori hanno espresso una risposta che non lascia dubbi, ammettendo che non esistono evidenze empiriche (tra le 1.600 pubblicate e che sarebbero costate oltre 300 milioni di dollari) capaci di dimostrare che questa opzione della cura migliori effettivamente il setting assistenziale, non essendo un indicatore di qualità né affidabile né valido. Questo perché le scelte terapeutiche del fine vita non sono mai semplici, coerenti, logiche e lineari, ma complesse, incerte, fluide ed emotivamente impegnate; e perché le preferenze dei pazienti non sono quasi mai statiche essendo sempre influenzate dall’età, dallo stato fisico, dalla situazione cognitiva, dalle risorse finanziarie disponibili e dall’onere che la persona percepisce gravare sulla sua rete familiare. È il divario tra gli scenari ipotetici considerati nei piani di cura anticipati e le circostanze concrete del fine vita ciò che è reale e che, a giudizio degli autori, deve portare ad un forte ripensamento di tutta la questione e ad investire su altre iniziative, senza dimenticare la dura lezione che ci è stata impartita dalla pandemia quando “this occurred in overwhelmed hospitals during the COVID-19 pandemic when treatment decisions were made according to written documents rather than discussions with patients or their surrogate”. Ciò è, purtroppo, avvenuto anche in Europa e, in alcuni Stati come l’Olanda, in piena prima ondata pandemica quando lo scenario di guerra era stato determinato dalla sproporzione tra i bisogni di cura e la limitatezza delle risorse messe in campo, gli anziani hanno dal loro medico curante ricevuto una telefonata in cui si chiedeva di decidere il da farsi nella malaugurata ipotesi di contagio e di scegliere se essere ricoverati in terapia intensiva per iniziare la lunga ventilazione invasiva o se restare a casa permettendo alla malattia di fare il suo decorso naturale [7]. Questo è un altro cattivo esempio del come la pratica clinica possa essere deviata dalle sue coordinate originarie ed essere strumentalizzata per scopi e finalità discutibili, pur essendo da condividere l’idea che la sostenibilità pubblica pretende di misurarci con l’appropriatezza clinica, da non confondere con le logiche economiche e di profitto.

Naturalmente, la decisa presa di posizione di Morrison et al. non è stata accolta in termini favorevoli in tutti gli ambienti scientifici che l’hanno aspramente criticata evidenziando, tra l’altro, che gli autori avrebbero interpretato in modo arbitrario le evidenze scientifiche disponibili travisandone le conclusioni, dalle quali emergerebbe che la pianificazione anticipata della cura offre vantaggi significativi sia per i pazienti che per i loro familiari [8]. Polemiche a parte, il merito che deve essere riconosciuto a Morrison et al. è senz’altro quello di aver coraggiosamente segnalato la spirale involutiva in cui sembra essere caduta la pianificazione anticipata della cura il cui successo, come segnalano gli stessi autori, dipende da numerosi fattori. Tra i più rilevanti: (1) la possibilità di allineare in progress le preferenze ed i desideri del paziente con le sue condizioni di salute e con l’evolversi della situazione personale, familiare e sociale; (2) l’individuazione precoce di una persona in grado di prendere le decisioni che il paziente stesso assumerebbe se ne fosse ancora capace, basandole sulle preferenze dichiarate, così da coadiuvare il team di cura quando l’interessato non sarà più in grado di decidere.

 

Privilegiare le DAT o investire meglio e di più sulla pianificazione condivisa della cura (ACP)?

Se la legge n. 219/2017 ha previsto una duplice modalità di formalizzazione anticipata delle decisioni di cura (nel caso delle persone sane con le DAT e per quelle affette da una o più patologie a traiettoria instabile con la pianificazione condivisa della cura), ciò che è ragionevole suggerire è che su quest’ultima opzione occorre concentrare i nostri sforzi essendo la sola in grado di avviare e di gradualmente costruire un processo decisionale senza estraniarlo a priori dalla relazione di cura. Questo perché, mentre nella DAT è la persona che, spontaneamente e senza alcun supporto medico, decide di formalizzare la sua volontà anticipata indicando quali sono i trattamenti sanitari a cui desidera/rifiuta essere sottoposta quando non sarà più in grado di esprimere la sua voce, nella pianificazione condivisa della cura è la persona informata che, assieme al medico, valuta e seleziona le scelte di cura a cui desidera essere sottoposta lungo la prevedibile traiettoria di malattia.

Cosicché mentre nelle DAT le scelte terapeutiche sono per così dire astrattamente opzionate dalla persona sana in vista di un evento improbabile o comunque non prevedibile, nella advance care planning le decisioni sono contestualizzate (e comunque condivise) rispetto ad un evento ragionevolmente plausibile; nel primo caso la decisione è sostanzialmente razionale, nel secondo la si assume, invece, valorizzando in tutto e per tutto l’umano compasso cognitivo formato, come confermano le molte evidenze neurobiologiche, non solo di ragione ma anche di sentimenti, di emozioni e di affettività [9]. Nelle DAT si ipostatizza l’attimo in cui la persona apparentemente sana decide di esprimere per iscritto la sua volontà anticipata e di depositarla nei luoghi previsti; nella ACP si avvia, si costruisce e si dinamizza una relazione sostanzialmente umana, a partire dal momento in cui il processo viene attivato da uno dei protagonisti della cura. Ricordando che l’inizio non può mai essere né troppo precoce ma nemmeno troppo tardivo per evitare che la fretta dell’ultima ora tradisca, alla fine di tutto, quella fiducia reciproca che lo deve alimentare e sostenere. Ciò con tutte le difficoltà che ne derivano sul piano pratico proprio perché, trattandosi di un processo con una costruzione di significato e di senso, ad esso occorrerà accostarsi ammettendo che la solidarietà è la virtù dei tempi difficili [10]: soprattutto del nostro tempo contraddistinto dall’inabissamento dei valori comuni, dalla globalizzazione, dallo spietato individualismo del ‘qui, ora e subito’ e dalla morte del prossimo [11]. Un tempo oltremodo difficile, un vero e proprio tempo di crisi che ci chiama responsabilmente a produrre solidarietà invitandoci a muoverci lungo il sentiero che essa condivide con la libertà e con l’uguaglianza, principi di pari rango costituzionale che sono le condizioni per la libertà dell’esistenza.

 

I limiti dei poteri di rappresentanza del fiduciario e la posizione di garanzia affidata al medico

Ricordavo, poc’anzi, l’esigenza della nomina, all’inizio di questi processi, del fiduciario della persona interessata, come indicato dalla legge n. 219/2017, anche se la legge l’ha, purtroppo, prevista in termini opzionali quando si sarebbe dovuto pretenderla sempre e comunque, anche per contenere le temibilissime insidie che emergono ogni qual volta è in discussione la capacità di agire (rectius, di intendere e di volere) della persona. Senza dimenticare che nei luoghi della cura le persone pienamente padrone del sé e del loro umano destino non sono la regola ma l’eccezione, riconoscendo le insidie e la fallacia del modello binario capacità/incapacità ed i pericoli che originano dall’assolutizzazione tirannica dell’autodeterminazione individuale che pretende di rappresentarla sempre e comunque come un tutto a cospetto del quale ogni altro valore diventa un niente destinato fatalmente ad essere messo da parte. Anche se quella legge ha confermato che la libertà di cura dell’incapace è un diritto condizionato [12] e che il consenso, per essere legittimo, deve essere formalizzato dalla persona in possesso della capacità di agire (art. 1, co 5) o, con il cifrario dell’archeologia giuridica, dalla persona capace di intendere e volere (art. 4, co 1). Capacità di agire, maggiore età, capacità di discernimento, capacità di comprensione, capacità di decisione, grado di maturità, capacità di intendere e di volere e incapacità sono le locuzioni che si alternano in maniera confusa e, spesso, incoerente (per non dire arbitraria) in quella legge con una gergalità arcaica, discutibile, ambigua e purtroppo confondente. Anche se l’intenzione del legislatore sembra essere stata del tutto chiara: ibernare la questione del consenso/rifiuto alle cure dentro il perimetro del negozio giuridico privatistico, senza dare diritto di cittadinanza a quei modelli comparativi che lo indicano come una scelta dal carattere sostanzialmente morale avendo essa a che fare con i nostri compassi biografici, con i nostri valori di riferimento, con il nostro sentire più intimo e con la traiettoria che desideriamo dare alla nostra vita, anche nel ricordo che vogliamo affidare alla memoria dei nostri cari.

È in questa prospettiva che occorre cogliere il ruolo del fiduciario, che (probabilmente) è la vera novità introdotta dalla legge n. 219/2017, pensato come l’interlocutore privilegiato chiamato a coadiuvare il team di cura in funzione di garante del rispetto della volontà anticipata formalizzata dalla persona. Essendo da respingere l’idea che esso funga da delegato-controllore della correttezza dell’operato medico [13] perché il suo ruolo è quello di rendere flessibile il processo di cura adeguandolo se e quando necessario non ai suoi personali desideri ma a quelli della persona interessata quando la stessa non sarà più in grado di esprimere la sua voce. Fermo restando che nell’ipotesi in cui originasse uno scontro di opinioni tra il fiduciario ed il team di cura la questione dovrà essere rimessa al Giudice tutelare nell’interesse dell’incapace [14]. Scelta, questa, che non convince, non solo perché i tempi della giurisdizione sono spesso del tutto asincroni rispetto a quelli della cura, ma soprattutto perché essa rischia non già di contenere ma di prolungare ed in qualche modo estremizzare il contrasto, il dissidio ed il relativo contenzioso.

 

Capacità di intendere e di volere e decision making

Un’ultima breve riflessione sulla decision making ricordando che la legge n. 219/2017 ha esplicitato il suo substrato giuridico indicandolo nella capacità di intendere e di volere e così confermando la linearità del binarismo capacità/incapacità nonostante la sua perniciosa artificiosità [15, 16] e la sua profonda debolezza costitutiva [17], i cui rischi sono di tutta evidenza essendo oramai giunto il tempo di abbandonare la presunzione iscritta nella vulgata del consenso informato riconoscendo che la persona pienamente padrona di sé non è quasi mai la regola ma l’eccezione [18]; perché così è in tutti gli ambienti reali della cura dove la capacità e l’incapacità non sono mai né un vuoto né un pieno ma un perimetro di difficile delimitazione che chiede di essere sempre riempito di contenuti, soprattutto umani. Pur senza banalizzare le questioni, occorre così abbandonare i tanti pregiudizi perché l’umana capacità di prendere una decisione (la decision making) non può essere confusa con la capacità di intendere e di volere, essendoci persone giuridicamente incapaci che conservano, anche se spesso parzialmente, la capacità di esprimere i loro desideri e di autodeterminarsi nel campo della cura.

Le banalizzazioni orientate a ridurre la complessità sono sempre un inganno e lo sono tanto più quando esse sono dirette a limitare i diritti e le libertà fondamentali, soprattutto delle persone più fragili e vulnerabili, il cui livello di tutela pubblica deve essere comunque garantito e rinforzato senza troppo insistere sulle opzioni offerte dal ruolo di rappresentanza giuridica. Coerentemente a quanto previsto dall’art. 12 (‘Eguale riconoscimento davanti alla legge)’ della Convenzione ONU sui diritti delle persone disabili ratificata dal nostro Paese con la legge n. 18, approvata il 3 marzo 2009, che ne ha recepito anche il Protocollo opzionale avendo essa precisato: (a) che la legal capacity è un diritto umano universale; (b) che questa libertà non può essere discriminata a causa di una qualsiasi disabilità; (c) che gli Stati parte sono tenuti ad adottare le misure necessarie a favorire l’accesso delle persone con disabilità al sostegno da esse richiesto per l’esercizio della loro capacità. Per poi indicare le caratteristiche formali e informali delle misure di tutela che devono essere messe in campo rispettando le esigenze della persona, i suoi diritti, volontà e preferenze con la precisazione che esse devono essere applicate per il tempo strettamente necessario evitando gli abusi e le influenze indebite e così riconoscere il diritto delle persone con disabilità di avere il controllo sui propri affari finanziari, di redigere il loro testamento e ricevere per testamento, di avere accesso alle forme di credito e di conservare il diritto di proprietà. Anche se la nostra legislazione interna sembra non essersi accorta di ciò proseguendo, come ha fatto la legge n. 219/2017, sulla vecchia strada della sostituzione vicaria non ammessa dalla Convenzione e dall’organismo incaricato di vigilare sulla sua applicazione (il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità) che ha proposto un’interpretazione particolarmente radicale dell’art. 12 della Convenzione stessa.

Anche se ciò ha suscitato dubbi e perplessità essendo stato evidenziato che i meccanismi di tutela sono giustificati dall’esigenza di garantire la protezione delle persone con disabilità nelle scelte che possono comportare l’autolesionismo o lo sfruttamento da parte di altri, che l’eliminazione della tutela giuridica potrebbe finire per ferire le stesse persone che pretende di aiutare [19] rischiando di annullare le vittorie conquistate a fatica [20] ed evidenziando che il non dirigere la persona dall’esterno per il tramite di una figura di rappresentanza giuridica avrebbe molte controindicazioni soprattutto nelle situazioni cliniche particolarmente gravi quali, ad es., la sindrome locked-in, lo stato vegetativo o la demenza giunta nella sua traiettoria terminale [21].

 

Conclusioni

La formalizzazione della volontà anticipata della persona ed il suo rispetto nella fase terminale della vita pongono, ancora, una serie di questioni problematiche su cui occorre seriamente e responsabilmente riflettere a partire dall’esperienza pratica e dai dati di letteratura non univoci, anche se le criticità recentemente evidenziate riguardano sostanzialmente le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) e non la pianificazione condivisa della cura (ACP).

Ciò che è in discussione è se le prime migliorino o meno la qualità della cura e quale sia il continuum biografico tra il momento della loro redazione e quello in cui esse dovranno poi essere tenute in considerazione dal team di cura. Anche perché la nostra razionalità cognitiva non è quasi mai lineare essendo sempre influenzata dai fattori di contesto oltre che da quelli affettivi ed emozionali come ammettono tutte le evidenze neurobiologiche. Se ciò è vero, la strada che dovremmo privilegiare è quella della pianificazione condivisa della cura visto che essa nasce nel contesto di una complessa relazione umana (quella di cura), dove i suoi (molteplici) protagonisti non devono essere mai abbandonati e lasciati da soli anche se l’estremizzazione tirannica dell’autodeterminazione individuale, rinforzando l’asimmetria dei ruoli, può costituire un serio pericolo finendo con l’ostacolare la promozione della solidarietà.

Naturalmente, sul principio di autodeterminazione non si discute, ma è quel tutto con cui la si rappresenta ciò che non convince perché l’esigenza del vivere comune è quella di trovare una sintesi ed un punto di equilibrio tra gli interessi individuali e quelli collettivi. Ce lo ha insegnato la pandemia da Covid-19 dimostrandoci quanto grande è la forza della fiducia reciproca e dell’alleanza umana. Si investa, dunque, nella advance care planning e sul fiduciario quale figura di riferimento e di rappresentanza della persona che dovrà coadiuvare il team di cura non solo quando si renderà necessario onorare la sua volontà ma in tutta la traiettoria di malattia dove è comunque richiesta la periodica verifica dei suoi desideri e delle sue aspettative. Accettando ed affrontando anche i pur sempre possibili cambi di passo perché il dialogo costante con il malato e con il fiduciario sono le sicure chiavi di volta di un percorso promettente che impegna le nostre umane responsabilità nella costruzione di quel significato di senso il cui focus ispiratore è il rispetto della dignità umana.

 

Bibliografia

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The specialist skills of the nurse in hemodialysis: report of an explorative survey. A challenge for professional recognition

Abstract

Nursing requires a complex set of skills encompassing professional clinical judgment, values and attitudes. In order to outline the future career path of the specialist nurse, the European Federation of Nurses Association compared the EU Directive 2013/55/EU with the Competency Framework, an important document on guidelines written by a group of experts and focusing on the recognition of nurses’ educational requirements.

The aim of our research is to identify the special skill set required from nurses on haemodialysis wards through the development of an exploratory survey and the comparison of its results with the EFN guidelines and the Directive 2013/55/EU. The survey was conducted across eighteen dialysis centers in Tuscany. Through focus groups, debates and reflections, 28 skills were identified as pertaining exclusively to nurses working with haemodialysis patients.

This preliminary study aims at demonstrating the need to define and recognize these specialist skills in order to ensure an effective and integrated nursing leadership in disease management.

 

Keywords: haemodialysis, skills, specialization, nurse

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Introduzione

L’assistenza infermieristica è caratterizzata da una complessa acquisizione di conoscenze, abilità e valori che portano alle migliori pratiche infermieristiche e al più alto livello possibile di prestazioni lavorative [4] per acquisire queste competenze, gli infermieri devono possedere l’esperienza e i tratti personali necessari per svolgere efficacemente i loro compiti.

Takase and Teoreka [13] hanno definito ‘competenza infermieristica’ la capacità degli infermieri di dimostrare efficacemente una serie di attributi personali, attitudini professionali, valori etici, conoscenze e abilità e di adempiere alla propria responsabilità professionale attraverso la pratica. Un infermiere competente non solo deve possedere queste caratteristiche, ma deve anche avere la motivazione e la capacità di utilizzarle in modo adeguato a garantire un’assistenza infermieristica efficace. Fornire un’assistenza basata su competenze professionali significa includere la collaborazione con altri operatori sanitari, sviluppare relazioni interpersonali, educare e istruire.

 

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The study of the personality of a potential case of samaritan donation

Abstract

The term Samaritan is used to indicate the choice of a living donor to offer its own organ to save the life of a patient with whom it has no parental or affective relation (article 1, Law of 26 June 1967). It is a gesture of great solidarity, one that promotes life. The purpose of this study has been to analyze a case of potential Samaritan donation.

The investigation consisted of six interviews, on a bi-weekly basis, for a total duration of three months. The clinical interviews allowed us to delve deeper into the motivations for the donation. The following tests were administered: the Rorschach projective test, the Millon Clinical Multiaxial Inventory Personality Test (MCMI-III) and the Symptom Checklist-90-Revised (SCL-90-R).

Some issues regarding age, self-confidence, emotional difficulties and maladjustment to social environment emerged. The analysis of the test results confirmed the “negative” indices that led the authors to decide against the psychological-psychiatric suitability for the Samaritan donation.

The Samaritan donation is a rare and precious donation and understanding in depth the motivations behind this choice is extremely important. The choice to donate, even if freely made, must not make one forget their responsibility towards themselves and towards the integrity of their own body.

 

Keywords: Samaritan donation, psychological evaluation, Rorschach projective test, Millon Clinical Multiaxial Inventory Personality Test (MCMI-III), Symptom Checklist-90-Revised (SCL-90-R)

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Introduzione

Il termine samaritano è utilizzato per indicare la scelta di un donatore vivente di offrire un proprio organo per salvare la vita di un paziente con il quale non ha alcun legame di tipo parentale o affettivo (articolo l della legge n. 457 del 26 giugno 1967). Si tratta di un gesto di grande solidarietà, un atto moltiplicatore di vita. 

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Renal failure in the medicolegal evaluation of civil invalidity and social security disability (INPS)

Abstract

After a quick description of the anatomopathology and physiopathology of renal failure, the Authors delve into the problem of assessing its medicolegal aspects in the fields of civil invalidity and social security.

In Italy, civil invalidity involves protecting the psychological and physical welfare of the disabled, as sanctioned by law 118 of 1971; this law protects all citizens with a debilitating condition, including those who do not work or are not of working age. A disabled person is someone who, if of working age (between 18 and retirement) has a reduction of more than ⅓ (34%) of their general work capacity; if under or over the retirement age, they have a persistent difficulty in carrying out age-appropriate functions and tasks. In support of an application for being awarded civil invalidity, people can also refer to law no. 104 of 1992, which assesses social, relational and work disadvantages of a disabled person.

INPS (Italian Social Security Institute) protection, on the other hand, is a social security protection based on health requirements (having a capacity for work which is reduced by more than ⅓, as established by law no. 222 of 1984), as well as on the following administrative requirement: having paid, as a worker, at least 260 weekly contributions, equivalent to five years of contribution and insurance, of which 156, equal to three years of contribution and insurance, were made in the five-year period preceding the date of submitting the application. If this is the case, the protected person, thus insured, can enjoy protection for their illness by virtue of the stipulations for social security.

 

Keywords: Renal failure, civil invalidity, social security disability, Italian Social Security Institute (INPS)

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Introduzione

L’insufficienza renale può definirsi come la ridotta capacità del rene di mantenere il bilancio tra introduzione ed escrezione di acqua e minerali nell’organismo con il conseguente accumulo di vari prodotti terminali del metabolismo [1]. L’insufficienza renale può presentarsi clinicamente in forma acuta (IRA) con una manifestazione rapida, sovente reversibile. Si parla, invece, di insufficienza renale cronica (IRC) quando la perdita della funzionalità renale si palesa in maniera progressiva e sovente irreversibile in quanto costituisce lo stadio terminale di numerose patologie non emendabili del rene. 

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Relationships between Medicine and Spirituality

Abstract

This review aims at analysing the links between medicine and spirituality, two seemingly distant concepts. Medicine at its beginnings was imbued with rituals that invoked the intervention of supernatural powers, as man were unable to treat diseases and struggled to bear the suffering caused by them and the fragility of their own bodies. Today, in the post-genomic era, medicine has gained great benefits from new and extraordinary scientific and technological achievements, permitting sophisticated therapeutic and diagnostic approaches, which assure cures not previously possible. Even considering these great accomplishments in medicine and technology, it should be borne in mind that diseases not only induce bodily changes in sufferers, but also affect their emotional state and social interactions. Illness, especially when serious and in presence of a poor prognosis, raises profound questions around the meaning of life, affections, suffering and death. In the last few decades scientists, doctors, theologians, psychologists and others, in considering these questions, have emphasized the importance of spirituality as a relevant factor in the care of the sick and their illnesses.

Drawing from some thoughts expressed in the book, “When the Breath Becomes Air,” authored by the physician Paul Kalanithi, we claim that spirituality should be perceived as an important contributing factor in the therapeutic path. Our aim is to deepen the meaning of spirituality, differentiating it from religion, faith and mysticism, and to understand how it should be integrated with post-genomic medicine to enhance its positive aspects and effects.

Keywords: Spirituality, Medicine, communication, patients, physicians

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Introduzione

Nel libro “Quando il respiro si fa aria” il medico Paul Kalanithi, un neurochirurgo morto all’età di 37 anni per un tumore incurabile ai polmoni, narrando la sua esperienza di medico e paziente, tratta del rapporto che l’essere umano ha con la malattia e la sofferenza (1). Come medico era stato sempre sensibile al dolore dei pazienti e dei loro cari ed esplicitamente dichiarava che “l’eccellenza tecnica non è abbastanza”. 

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After 103 years, is it time to cancel the Hasselbalch equation from textbooks?

Abstract

The equation called “Henderson-Hasselbalch Equation” was created in 1916 following the Henderson Equation published in 1908.

After analyzing the evolution from the simplicity of Henderson to the complexity of Hasselbalch, it is hoped that the acid-base balance can become a simpler and more exciting topic if approached and taught without using the Henderson-Hasselbalch equation, which includes 4 logarithms.

It is stated that the rationale underlying the understanding of acid-base equilibrium and its clinical application is already clearly inherent in the much simpler Henderson formula (without logarithms), which is sufficient, and very useful, for both teaching and learning in Medicine.

Key words: Hasselbalch, Henderson, [H+], pH

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Introduzione

L’equilibrio acido-base non è un tema ostico ma è stato reso tale da Hasselbalch dopo la sua introduzione dei logaritmi nella semplice equazione di Henderson. Il vero benemerito in questo settore era stato proprio Lawrence Joseph Henderson (1878-1942), nato negli Stati Uniti e Professore di Fisiologia ad Harvard (Figura 1).  

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Narrative Medicine can reduce opposition to organ removal for transplantation

Abstract

In Italy in 2017 out of 2738 assessments of death, there was a 28.7% of oppositions of family members to the removal of organs post-mortem. This opposition is a serious limitation to the development of transplantation programs. There is a need to increase the number of transplants since transplantation grants the highest quality of life, a longer survival and at a lower cost for the society. We propose the use of Narrative Medicine (MN) to reduce this opposition. “Narrative Medicine – as Charon says – fortifies clinical practice with the narrative competence to recognize, absorb, metabolize, interpret, and be moved by the stories of illness”. We have identified eight stories as having a particular echo: 1. That of Nicholas Green, the American child killed on the Salerno-Reggio Calabria highway and whose organs saved seven people. 2. The story of Ylenia, who learned solidarity from transplants. 3. That of Robin JA Eady, Dermatology Professor in London and the second person on dialysis from Scribner in Seattle. 4. The story of the organ donation of Liberato Venditti, a young man who loved life and climbs on a motorcycle. 5. That of the young football player Giuseppe Feola, remembered here by the Napoli player Gonzalo Higuaín. 6. The donation of the organs of Bruno Memoli, Professor of Nephrology in Naples. 7. The reflections of a heart surgeon. 8. The story written by Federico Finozzi about his own transplant.

“The stories” – as Greenhalgh writes – “have an ethical dimension. The person who reads or hears such a story incurs a duty to act so. Stories are open and subversive”.

Keywords: Narrative Medicine, organ donation, opposition to organ removal, lack of organs for transplantation, narrative organ donation

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Introduzione

Giovanni Paolo II nel discorso tenuto ai partecipanti del Primo Congresso Internazionale della Society for Organ Sharing sottolineava che: “Soprattutto, questa forma di trattamento è inseparabile da un atto umano di donazione. In effetti, il trapianto presuppone una decisione anteriore, esplicita, libera e consapevole da parte del donatore o di qualcuno che legittimamente lo rappresenti, di solito i parenti più stretti.  

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CRIMINAL RESPONSIBILITY OF MEDICAL AND ITS CASE LAW EVOLUTION. LEGAL AND ECONOMIC PROFILES

Abstract

The article deals with the regulatory and jurisprudential evolution of medical criminal responsibility from the 70s to the Gelli-Bianco law of 2017. Subsequently it winds through the contribution of the last important judgments of the subject up to the decisions of the Supreme Court with United Sections of 2018, finally to conclude with an economic analysis on the increasement of the legal disputes registered in recent years.

Keywords: medical criminal responsibility, Gelli-Bianco law, judgement Mariotti.

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1.Responsabilità penale del medico: dagli anni ’70 alla legge Gelli

 

In generale la responsabilità penale del medico (1) è quella forma di responsabilità che può derivare a tale professionista o ad altri sanitari in connessione con lo svolgimento della propria prestazione professionale nel caso in cui, al ricorrere di precisi requisiti da un suo determinato comportamento, attuato mediante errore ed omissione, derivino lesioni di una certa gravità o addirittura il decesso del paziente. 

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Artificial intelligence for future MD

Abstract

Health care workers need artificial intelligence.
Artificial intelligence is a set of studies and techniques that tend to the realization of machines, which solve complex problems automatically, simulating or emulating human intelligence activities.
Human intelligence is innate, creative, emotional, sporting, social in the collective and connected future.
Knowledge is the faculty, act, mode, effect of taking possession, intellectually or psychologically, with systematic activity of any certain aspect of reality.
The dates are given in the form of text, number, symbol, image, sounds that are used or stored in computers. Having many data or data does not mean having much information. Having a lot of information does not mean having a lot of knowledge.
Symbolic reasoning uses symbolic logic, logical connectives, expert systems, production rules, genetic algorithms, validation, explanation, justification, verification of inference, heuristic research. The knowledge of symbolic reasoning is deterministic.
Machine learning is the field of study that gives computers the ability to learn without being programmed to do so. Use algorithms for statistical and probability calculations, the learning phases may not be verifiable. They are mathematically structured human opinions, spoiled by the pre – understandings of those who design them, of those who want to look for something.
The association between symbolic reasoning and automatic learning is excellent.
The intelligence of health workers work connected and collective, develop knowledge bases to be subjected to symbolic reasoning, expert systems and rules to have deterministic knowledge.

The deterministic knowledge subsequently elaborated by artificial intelligence will be returned to human intelligences.

Keyword. Artificial intelligence. Automatic learning. Symbolic reasoning.

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PREMESSA

I progressi nelle capacità intellettuali e fisiche delle macchine cambieranno il modo in cui viviamo, lavoriamo, giochiamo, cerchiamo una compagna, educhiamo i più piccoli e ci occupiamo degli anziani. Rivolteranno il mercato del lavoro, rimescoleranno il nostro ordine sociale e cambieranno i connotati delle nostre istituzioni pubbliche e private. 

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