The Management of Patients with Adult Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease (ADPKD) Requires a Multidisciplinary Approach

Abstract

Autosomal dominant polycystic kidney disease (ADPKD) is the most common genetic kidney disease. Its main feature is the progressive enlargement of both kidneys with progressive loss of kidney function. ADPKD is the fourth leading cause of terminal renal failure in the world. Even today there are still uncertainties and poor information. Patients too often have a renunciatory and passive attitude toward the disease. However, there are currently no internationally accepted clinical practice guidelines, and there are significant regional variations in approaches to the diagnosis, clinical evaluation, prevention, and treatment of ADPKD. Therefore, we believe it is important to point out the conduct of our specialist outpatient clinic for ADPKD, which from the beginning has developed a multidisciplinary approach (nephrologists, geneticists, psychologists, radiologists, nutritionists) to face the disease at 360° and therefore not only from a purely nephrological point of view. Such a strategy not only enables patients to receive a timely and accurate diagnosis of the disease, but also ensures that they will receive a thorough and focused follow-up over time, that can prevent or at least slow down the disease in its evolution providing patients with a serene awareness of their condition as much as possible.

Keywords: ADPKD, genetics, clinical psychology, clinical nutrition, multidisciplinary approach

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

La malattia del rene policistico autosomico dominante dell’adulto (ADPKD) è la malattia renale ereditaria più frequente; rappresenta la quarta causa di insufficienza renale terminale (ESRD) che rende necessaria la terapia dialitica [1].
Le mutazioni in uno dei due geni causali, PKD1 o PKD2, possono dare inizio alla cistogenesi a causa di una mutazione germinale in un allele e di una mutazione somatica nel secondo allele (second hit mutation). I rispettivi prodotti proteici, la policistina-1 (PC1) e la policistina-2 (PC2), formano un complesso recettore-canale che viene espresso in modo variabile nella membrana delle cellule plasmatiche e nella membrana del ciglio primario.
Nelle sue fasi iniziali, per la maggior parte dei casi la malattia decorre in maniera del tutto asintomatica e in assenza di storia familiare il paziente può essere del tutto ignaro di esserne affetto. Il progressivo sviluppo e ingrandimento delle cisti renali determina però un aumento del volume renale in toto che si associa al declino della funzione renale. Il volume renale infatti è a tutt’oggi considerato il principale marker predittivo di outcome di malattia [2, 3].

La malattia del rene policistico pertanto prende il suo nome dal fatto che i reni sono gli organi principalmente colpiti e pressoché gli unici a farne le spese in termini funzionali, ma va comunque ricordato che è una patologia sistemica secondaria a precisi difetti genetici e che conta numerose manifestazioni extra-renali soprattutto a livello cardiovascolare che richiedono particolare attenzione [4].
Sino a qualche anno fa non esistevano interventi farmacologici mirati, ma solo l’adesione a un adeguato stile di vita, un attento controllo della pressione arteriosa e la gestione e la cura delle complicanze con trattamenti tradizionali di protezione renale. Solo più recentemente, con una più approfondita comprensione della cistogenesi e del substrato genetico sottostante, si sono delineate terapie specifiche. Attualmente per i pazienti con volume renale aumentato in presenza di rapido declino del GFR è in utilizzo il Tolvaptan, farmaco inibitore dei recettori per la vasopressina a livello renale. Altre molecole molto promettenti sono comunque in fase di studio e di sperimentazione, alcune delle quali già in fase 3.
Sino all’avvento del Tolvaptan il cui utilizzo per ADPKD è stato approvato da AIFA nel novembre 2016 [5], l’atteggiamento dei pazienti senza chiara storia familiare, asintomatici o con fenotipo incerto troppo spesso era maggiormente volto al “non sapere” e quindi al non volere sottoporsi a indagini specifiche per una diagnosi precoce. Le motivazioni erano molteplici e potevano variare anche in base al paese di origine a causa dei differenti sistemi sanitari, delle implicazioni economiche degli esami stessi e delle ragioni etiche e sociali. I motivi più frequenti erano però sicuramente legati all’incertezza e all’imprevedibilità della malattia, al non volersi sentire malati o comunque condizionati, alla paura di potere essere responsabili di trasmettere o avere trasmesso la malattia alla prole. Spesso prevaleva quindi la presa di posizione del “tanto vale non sapere, visto che non ci si può fare nulla”.
Questo atteggiamento, talora sostenuto anche da alcuni nefrologi, sta lentamente cambiando seppure sia ancora molto radicato come recentemente riportato da uno esaustivo studio di Logeman et al. in cui credenze, convinzioni e prospettive dei pazienti e degli operatori sanitari a riguardo dei test pre-sintomatici per la malattia sono stati documentati grazie a un questionario somministrato a pazienti ADPKD in Corea, Australia e Francia [6].
Nel complesso, le prospettive dei pazienti e degli operatori sanitari spesso risultano simili e sottendono inadeguatezza nel prendere decisioni; ciò è sicuramente riferibile a una mancanza di sostegno, anche di ordine psicologico e di informazione. Inoltre i pazienti che hanno assistito a intense sofferenze nei loro familiari con ADPKD sono frequentemente inclini a rifiutare i test diagnostici sviluppando un atteggiamento di negazione nei confronti della malattia, e non si aspettano che la diagnosi possa aumentarne il senso di controllo o tantomeno mitigarne l’ansia correlata.
Anche in Italia, sul territorio e talora anche presso gli ambulatori di nefrologia generale, esiste spesso scarsa informazione su come inquadrare correttamente la patologia nelle fasi precoci e soprattutto sulla possibilità di essere sottoposti a test genetico, specialmente in caso di fenotipo incerto o di pazienti ancora del tutto asintomatici. D’altro canto l’atteggiamento da parte dei pazienti è ancora troppo spesso rinunciatario e passivo nei confronti della malattia, dettato dalla scarsa conoscenza di eventuali prospettive terapeutiche o semplicemente dell’importanza di un corretto stile di vita.
A questo proposito riteniamo importante segnalare la condotta del nostro ambulatorio specialistico per ADPKD. Sin dal principio abbiamo cercato di sviluppare un approccio più articolato con competenza e multidisciplinarietà per una risposta efficace al bisogno del paziente. ADPKD dal nostro punto di vista richiede infatti un approccio che metta il paziente al centro del lavoro congiunto di più specialisti con percorsi diagnostici e terapeutici integrati. L’ambulatorio dedicato ad ADPKD presente nell’Ospedale San Raffaele è attivo da 15 anni, con 300 pazienti in follow-up provenienti da tutta Italia e conta circa 5 prime nuove diagnosi al mese. Attualmente si avvale di alcune importanti collaborazioni, come esemplificato in Figura 1.

Figura 1. Algoritmo di presa in carico del paziente ADPKD
Figura 1. Algoritmo di presa in carico del paziente ADPKD nell’ambulatorio presente all’Ospedale San Raffaele. NGS: next generation sequencing; TKV: total kidney volume; TC: tomografia computerizzata; RM: risonanza magnetica.

 

Servizio di genetica

Il test genetico consiste in un’analisi mutazionale NGS volta a identificare la mutazione responsabile della malattia a livello dei geni PKD1 e PKD2. Va premesso che nella maggior parte dei pazienti con ADPKD il test non è necessario per stabilire la diagnosi di malattia. La valutazione della storia personale e dei familiari può essere assolutamente sufficiente. Il test genetico, che sino a una decina di anni fa era molto poco utilizzato, è di estrema utilità in assenza di familiarità o in caso di manifestazioni incerte o anomale di malattia.
Il test è di sicuro ausilio nel definire il tipo di mutazione genetica sottostante, estremamente variabile tra i pazienti ADPKD e con diverso significato prognostico. È infatti ben noto come per esempio le mutazioni troncanti relative al gene PKD1 si associno alle forme più severe di malattia con prognosi renale sfavorevole.
Negli ultimi anni abbiamo pertanto voluto sempre più spesso essere confortati dall’esame genetico, soprattutto da quando in Italia è divenuto accessibile tramite SSN e a titolo gratuito per i pazienti ADPKD aventi diritto a invalidità del 70%.
La caratterizzazione genetica è finalizzata sia a una diagnosi, quando incerta, ma anche a un percorso personalizzato in termini di cure, in base al valore prognostico della mutazione osservata. Negli ultimi dieci anni è notevolmente cresciuto presso il nostro Centro il numero di diagnosi genetiche, permettendo di ampliare ulteriormente l’approccio da puramente ‘genetico’ a una visione più ampia in senso ‘genomico’ con la possibilità di individuare altri geni potenzialmente associati alla malattia o comunque modulanti le espressioni fenotipiche.
Le linee guida per il miglioramento dei risultati globali delle malattie renali e il Forum europeo dell’ADPKD suggeriscono inoltre che i pazienti con ADPKD dovrebbero avere accesso alla consulenza riproduttiva e questo sottolinea ancora una volta l’importanza di una caratterizzazione genetica adeguata [7].

 

Servizio di psicologia clinica e della salute

L’offerta di un supporto psicologico quando necessario ha condotto progressivamente a una migliore comprensione e accettazione del problema da parte dei pazienti.
Nella nostra esperienza un aiuto in questo senso è stato fondamentale per molti pazienti e ha rafforzato la nostra convinzione che un adeguato supporto psicologico sia assolutamente utile anche in fase diagnostica e non solo nel follow con l’aggravarsi della malattia. A caratterizzare la patologia fin dalle fasi iniziali sono vissuti di preoccupazione, paura e incertezza che si protraggono poi per tutto l’iter della malattia. Molte persone affette da ADPKD, infatti, oltre ai sintomi fisici, presentano anche molti sintomi psichici. Tra questi ultimi ritroviamo sicuramente l’ansia e la depressione che vanno a incidere inevitabilmente sulla qualità della vita del soggetto. Molte persone riportano a tal proposito differenti conseguenze, tra cui disturbi del sonno, affaticamento, difficoltà sul lavoro e nello svolgimento di attività fisiche. Tutte queste condizioni descritte, oltre a un grave malessere psicologico e fisico, possono portare ad atteggiamenti del paziente che riducono l’efficacia del trattamento [8].
La diagnosi di malattia cronica ha quindi molteplici effetti simultanei e a diversi livelli: personale, interpersonale, familiare, sociale e occupazionale. I pazienti ADPKD subiscono continui adattamenti psicologici e comportamentali in relazione ai vari cambiamenti imposti dalla loro patologia nonché alla percezione dell’immagine corporea. Il fallimento o l’incapacità di accettare o adattarsi ai cambiamenti del corpo può portare a difficoltà nelle funzioni sessuali, nell’autostima e nelle relazioni interpersonali. A ciò si aggiungono inoltre le difficoltà legate alla pianificazione familiare; infatti, oltre al timore di trasmissione genetica della patologia, possono presentarsi delle complicanze nel corso della gravidanza [9].
Le malattie croniche, come l’ADPKD, sono patologie ereditarie e permanenti, che incidono sul concetto e sulla conoscenza dell’individuo rispetto a sé stesso e lo costringono a confrontarsi con situazioni di rischio, incertezza e ambiguità. Un programma di educazione terapeutica è di fondamentale importanza in una condizione cronica e deve accompagnare il paziente alla piena consapevolezza della sua malattia.
Attualmente purtroppo questi aspetti sono ancora spesso sottovalutati o non compresi. Pertanto, riteniamo importante nella pratica clinica del nostro ambulatorio offrire ai pazienti ADPKD colloqui psicologici con personale specializzato che permetta loro di veder riconosciuto il loro disagio e al tempo stesso offra una strategia adeguata per affrontarlo. Uno studio condotto nel 2019 presso il nostro Ospedale permette di evidenziare l’importanza di quanto appena descritto. Questa ricerca mostra infatti che i pazienti affetti da ADPKD possono sperimentare un malessere psichico per il quale risulta importante offrire un supporto psicologico o psicoterapeutico come strumento di intervento volto a favorire l’elaborazione dei cambiamenti e delle conseguenze fisiche e mentali associate alla malattia [10].

 

Servizio di medicina trapianti

La collaborazione con l’unità operativa di medicina trapianti è molto preziosa. Qualora la malattia renale sia in progressivo peggioramento è molto importante rendere edotto il paziente delle prospettive future, nello specifico per la sua patologia che per molti aspetti si differenzia da altre nefropatie. Il paziente deve essere messo a conoscenza della possibilità di un trapianto pre-emptive, se le condizioni di ingombro addominale lo permettono.
Inoltre, a quei pazienti in cui l’ingombro addominale e le sue complicanze divengono causa di enorme sofferenza e che vedono nel trapianto un tramite per un miglioramento della loro qualità di vita, andrebbe spiegato che i reni non dovrebbero essere rimossi di routine prima del trapianto poiché la nefrectomia nei pazienti ADPKD è associata a elevata morbilità e mortalità. Va anche segnalato loro che non infrequentemente le dimensioni dei reni nativi possono diminuire a seguito del trapianto [11].
D’altro canto, ci sono elementi a favore di una nefrectomia pre-trapianto che comprendono infezioni gravi e/o ricorrenti, dolore persistente e scarsamente responsivo alla terapia antalgica, sanguinamenti gravi e recidivanti. La necessità di sottoporsi all’intervento di nefrectomia pre-trapianto va quindi attentamente discussa e valutata da una équipe specializzata di nefrologi e chirurghi trapiantologi per ogni singolo paziente.
Infine va ricordato che esiste una piccola percentuale di pazienti, soprattutto donne, che presentano una marcata epatomegalia che impatta profondamente sulla qualità della vita. I sintomi più comuni sono sicuramente quelli gastrointestinali come dispepsia, senso sazietà precoce, eruttazione e reflusso gastroesofageo; senza dimenticare il risvolto psicologico causato dalla distorsione della propria immagine corporea. Nei casi molto severi è possibile il ricorso alla chirurgia e in ultimo anche al trapianto di fegato o fegato-rene combinato in caso di associata malattia renale terminale [12].

 

Servizio di radiologia

Il contributo del servizio di radiologia nell’approccio multidisciplinare ad ADPKD è fondamentale sia per quanto riguarda la diagnosi della malattia, che per la gestione delle sue possibili complicanze mediche (dolore addominale/lombare, ematuria), e per il monitoraggio della progressione della malattia renale.
Il volume renale totale (Total Kidney Volume ‒ TKV) è il principale marker predittivo di outcome di questa malattia e può essere misurato mediante l’ultrasonografia (US), la tomografia computerizzata (TC) o risonanza magnetica (RMN). Il TKV è aumentato in tutti i pazienti affetti da malattia policistica; tuttavia, la velocità con cui esso aumenta è altamente variabile tra i diversi pazienti. Un rapido incremento del TKV, soprattutto negli stadi precoci della malattia con GFR ancora conservato, correla con una prognosi renale peggiore a lungo termine e un più alto rischio di progredire verso stadi avanzati di malattia renale cronica fino all’ESRD [13].
Il nostro ambulatorio ADPKD è dotato inoltre di un ecografo dedicato che rende possibile una prima valutazione ecografica della morfologia e dei diametri renali già durante le visite ambulatoriali e per eventuale avvio di terapia specifica con Tolvaptan che prevede tra i criteri di eleggibilità la valutazione dei diametri/volumi renali.

 

Servizio di dietetica e nutrizione clinica

La possibilità di offrire un servizio di dietetica e nutrizione clinica si è dimostrata sempre più utile per i nostri pazienti. È risaputo che una terapia dietetica nutrizionale (TDN) mirata, risulta essere fondamentale nel rallentare la progressione della malattia renale cronica (CKD) e limitare le sue possibili complicanze per le persone colpite.
Diversamente dagli altri pazienti affetti da CKD, nei pazienti ADPKD ci troviamo spesso a dover affrontare il problema dell’ingombro addominale derivante dall’organomegalia. La nefromegalia insieme all’epatomegalia, determinate dalla presenza delle cisti, sono spesso causa di disturbi gastrointestinali come il senso di sazietà precoce, la dispepsia e il discomfort addominale. Tali condizioni possono talvolta condurre i pazienti a ipo-alimentarsi, aumentando perciò il rischio di malnutrizione. Per questo motivo è necessario intervenire con una TDN già nella fase precoce.
Ad oggi, oltre a un corretto bilanciamento idrico, le evidenze scientifiche consigliano una dieta a basso contenuto di sodio e di proteine di origine animale. Ad ogni modo, molti sono gli aspetti controversi che necessitano di future conferme.
Infatti, studi preclinici hanno recentemente avanzato l’ipotesi che una dieta ipocalorica e chetogenica possa rallentare lo sviluppo delle cisti renali, interferendo con il metabolismo glucidico. Le cellule delle cisti sembrano mostrare un metabolismo alterato, caratterizzato da un aumento della glicolisi e da un’ossidazione incompleta degli acidi grassi.
Gli studi sperimentali preclinici mostrano che la dieta chetogenica o la sola integrazione di 3-β-idrossibutirrato (chetone sintetizzato dal metabolismo degli acidi grassi) possono replicare i benefici di una restrizione calorica, con conseguente inibizione della cistogenesi e dell’espansione delle cisti [14, 15].
Essendo studi condotti su animali, tale ipotesi rimane tuttavia ad oggi ancora da convalidare mediante futuri studi clinici sull’uomo.

 

Conclusione

Il nostro gruppo è fermamente convinto che i pazienti ADPKD andrebbero quindi seguiti in un ambulatorio dedicato alla loro patologia in toto, ove la malattia possa essere affrontata a 360° e non solo da un punto di vista squisitamente nefrologico, come troppo spesso accade. La multidisciplinarietà (nefrologi, genetisti, psicologi, radiologi, nutrizionisti) del nostro ambulatorio ha condotto quindi nel corso degli anni a un netto miglioramento nella compliance da parte dei pazienti e della adesione terapeutica.
Vogliamo rendere noti i nostri sforzi affinché i nostri risultati possano illustrare eventuali modi per informare e comunicare meglio con i pazienti e le loro famiglie. La conoscenza dei test disponibili, la prevenzione e la gestione possono certamente supportare al meglio il processo decisionale. I nostri risultati in campo ambulatoriale evidenziano il valore di tutti gli specialisti in affiancamento ai nefrologi per aiutare ad affrontare tutte le potenziali conseguenze, non ultimo quelle psicologiche e anche sociali.
Per i pazienti ADPKD una tempestiva e precisa diagnosi e un approccio congiunto nel follow-up consente loro di prendersi cura al meglio della propria salute, di prevenire o quanto meno rallentare la malattia nella sua evoluzione e di averne una consapevolezza quanto più serena possibile.

 

Bibliografia

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Tolvaptan in ADPKD patients at the University of Padova Nephrology Unit: impact on quality of life, efficacy and safety

Abstract

Autosomal dominant polycystic kidney disease (ADPKD) is responsible of the 10% of the dialysis patients. Tolvaptan is a consolidate option for treatment of ADPKD patients; it slows renal deterioration rate and cysts’ growth, although its acquaretic effects often impact on quality of life (QoL) and treatment adherence. Few studies have documented the tolvaptan long term efficacy and safeness profiles and, mostly, the impact of treatment with tolvaptan on patients’ QoL. Our study aimed to investigate in 13 ADPKD patients of our cohort the differences in terms of QoL before and after the start of treatment via a questionnaire based on SF-36 and PSQI tests, integrated with other original questions. In addition we have also examined the tolvaptan long term efficacy and safeness profiles.

The results of our study show that tolvaptan does not significantly reduce patients QoL notwithstanding its expected acquaretic effects, the only reported side effects. Finally, the average annual renal deterioration rate was lower in patients treated with tolvaptan than in the others.

Relevant limits of our study are the small number of selected patients and the relative short study duration. However, on one hand, the results of our study provide further information to the few data available in literature; on the other hand, they may serve as a useful working hypothesis for further studies with a larger number of patients enrolled and an extended study duration. They would demonstrate the absence of significant impact of tolvaptan on patients’ QoL.

Keywords: ADPKD, tolvaptan, QoL

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Introduzione

La malattia renale policistico autosomica dominante (ADPKD) è la più comune patologia renale ereditaria monogenica, con un’incidenza compresa tra 1:400 e 1:1000.

I pazienti affetti da ADPKD, il cui 70% giunge allo stadio di insufficienza renale terminale ad un’età media di 58 anni, rappresentano circa il 10% della popolazione sottoposta a trattamento sostitutivo renale dialitico [1].

La malattia presenta ereditarietà mendeliana monogenica; nel 10% dei casi è ascrivibile a mutazioni de novo. I principali geni correlati all’insorgenza della malattia sono Polycystic Kidney Disease 1 (PDK1) e 2 (PDK2); l’80% dei pazienti ADPKD presenta una mutazione in PDK1 (cromosoma 16p13.3), il 15% in PDK2 (cromosoma 4q22) e il resto presenta mutazioni in altri loci [2].

Sono stati riscontrati altri geni in grado di causare la malattia, quali GANAB (neutral α-glucosidase AB), HNF1B (hepatocyte nuclear fatctor 1β), DNAJB11 (che codifica per una proteina chaperone) e PMM2 (phosphomannomutase). Inoltre, l’ADPKD può derivare da mutazioni di geni primariamente associati alla malattia del fegato policistico autosomico dominante (ADPLD), come SEC36 e PRKCSH [3].

La formazione delle cisti renali è dovuta ad un’aumentata proliferazione cellulare, legata all’accumulo di cAMP, secondario ad una diminuzione di calcio intracellulare derivante dalla mutazione di PDK1 e/o 2. La riduzione del calcio intracellulare, infatti, attiva l’adenilato ciclasi 5 e 6 inducendo l’inibizione della fosfodiesterasi 1 (PDE1) calcio/calmodulino-dipendente e la PDE3, a sua volta inibitrice del cGMP, spiegando così l’accumulo di cAMP. Concentrazioni eccessive di cAMP inducono la cistogenesi mediante l’attivazione delle vie di proliferazione e secrezione cellulare [4].

Nella genesi della malattia policistica renale è anche coinvolto il rilascio di numerose citochine e fattori di crescita (ad esempio il TGF-β) responsabili di processi infiammatoria e fibrotici [5].

Uno dei principali target terapeutici consiste nel cercare di ridurre la formazione ed il volume delle cisti renali, rallentando così il declino della funzione renale.

Studi preliminari avevano dimostrato il ruolo del signaling di AMP ciclico mediato dalla vasopressina come un importante fattore coinvolto nell’induzione della proliferazione delle cisti e della secrezione di liquidi nella ADPKD. In modelli animali la soppressione del rilascio di vasopressina, l’antagonismo del recettore V2 della vasopressina o l’eliminazione genetica della vasopressina erano in grado di ridurre/migliorare lo sviluppo delle cisti [6].

Il tolvaptan, un antagonista del recettore V2 della vasopressina, ha dimostrato di essere efficace nel rallentare l’aumento del volume totale renale durante i 3 anni dello studio, ed è ora un’opzione consolidata nel trattamento dei pazienti con ADPKD [7].

Nel maggio 2015 il tolvaptan è stato infatti autorizzato nei pazienti adulti affetti da ADPKD con: (1) un’età compresa tra i 18 e i 55 anni; (2) eGFR compreso tra 90 e 25 ml/min/1,73m2; (3) malattia in rapida progressione dimostrata dalla perdita annua di eGFR > 5%; (4) familiarità per ADPKD o diagnosi confermata da test genetico positivo per patologia; (5) nefromegalia valutata tramite TC o RM, con riscontro di Total Kidney Volume (TKV) ≥ 750 ml, o htTKV > 600 cc/m, oppure una lunghezza longitudinale del rene > 16,7 cm valutata tramite ecografia [7].

Lo studio di fase III TEMPO 3:4 (Tolvaptan Efficacy and Safety in Management of Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease and Its Outcomes), ha dimostrato che il tolvaptan, rispetto al placebo, rallenta la velocità di crescita delle cisti, contiene l’aumento del volume totale del rene del 49.2% e rallenta la velocità di progressione dell’insufficienza renale del 26% in 3 anni [8].

Il farmaco è disponibile in tre dosaggi diversi (45 mg + 15 mg, 60 mg + 30 mg o 90 mg + 30 mg) e prevede due somministrazioni giornaliere: la prima dose va assunta 30 minuti prima della colazione, la seconda dose a 8 ore dalla prima. La posologia deve essere gradualmente titolata fino al dosaggio massimale di 120 mg (90 mg + 30 mg), se tollerata, con intervalli di almeno 7 giorni tra un aumento posologico e l’altro [9]. È stato dimostrato che l’effetto inibitorio sulla proliferazione cellulare e sulla secrezione di fluidi cloro-dipendente è subordinato alla quantità di tolvaptan assunta, di qui l’importanza di giungere alla massima dose approvata [10].

I pazienti che iniziano la terapia con tolvaptan devono essere monitorati mensilmente per i primi 18 mesi e successivamente trimestralmente, al fine di intercettare eventuali effetti collaterali, tra cui la disidratazione o la disfunzione epatica. Infatti, tra gli effetti indesiderati correlati alla terapia più frequentemente riportati in letteratura ritroviamo quelli secondari all’effetto acquaretico del farmaco: sensazione di sete e polidipsia, poliuria, nicturia, ipovolemia e disidratazione, oltre ai segni di danno epatico [11].

Oltre ai criteri di eleggibilità precedentemente riportati, la scelta di prescrivere il tolvaptan risulta fortemente influenzata dalla valutazione del grado di aderenza alla terapia ottenibile da ciascun paziente. L’effetto acquaretico del farmaco, su cui si fonda il razionale d’utilizzo dello stesso, ha delle implicazioni di non facile gestione e tollerabilità: un introito idrico giornaliero medio di 6-7 litri, l’aumento del numero di minzioni diurne e notturne, la necessità di avere sempre accesso all’acqua e ai servizi igienici possono infatti gravare sulla qualità di vita (QoL) del paziente [12,13].

Tra gli strumenti validati per stimare l’impatto di una terapia farmacologica sulla QoL vi sono SF-36 (Short Form Health Survey, 36-item) e PSQI (Pittsburgh Sleep Quality Index).

SF-36 è un questionario sullo stato di salute del malato: si tratta di uno strumento generico, multidimensionale, riproducibile, articolato in 36 domande, che permette di analizzare l’impatto di una patologia su varie dimensioni della QoL: attività fisica, limitazioni di ruolo dovute alla salute fisica e allo stato emotivo, dolore fisico, percezione dello stato di salute generale, vitalità, attività sociali, salute mentale, cambiamento nello stato di salute [14].

Il PSQI è una scala di valutazione validata e standardizzata che rileva la qualità del sonno; è composta da 19 items raggruppati in 7 ambiti, che rappresentano la qualità soggettiva del sonno, la latenza e la durata del sonno, l’efficacia abituale del sonno, i disturbi del sonno, l’uso di farmaci ipnotici ed i disturbi durante il giorno [15].

Il tolvaptan è stato sviluppato per rallentare la progressione di una patologia a lento decorso; la sua efficacia è pertanto tangibile in terapie di lungo periodo; per tali motivi scarseggiano in letteratura studi che documentino il suo profilo di efficacia e sicurezza a lungo termine e, soprattutto, studi che indaghino l’impatto sulla QoL, aspetto fortemente condizionante l’aderenza al trattamento con tolvaptan.

Il nostro studio ha pertanto l’obiettivo primario di rilevare in una coorte di pazienti affetti da ADPKD in trattamento con tolvaptan le differenze in termini di QoL prima e dopo l’avvio della terapia, e l’obiettivo secondario di rilevare l’efficacia e la scurezza di tolvaptan nel relativo lungo termine in una popolazione real world non appartenente agli studi registrativi.

 

Materiali e metodi

Lo studio, di tipo osservazionale retrospettivo monocentrico, è stato condotto su una coorte di 13 pazienti affetti da ADPKD in trattamento con tolvaptan, afferenti all’ambulatorio dedicato dell’UOC Nefrologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova, che rispettavano i criteri di inclusione al trattamento adottati dall’Agenzia Italiana del Farmaco [7]. In particolare, si tratta di pazienti con età maggiore di 18 anni; pazienti con ADPKD candidabili alla terapia con tolvaptan secondo indicazioni ERA-EDTA (almeno uno tra perdita di GFR 2.5 ml/min/1.73m2 per anno in 5 anni, riduzione di 5 ml/min/1.73m2 in un anno, aumento del TKV > 5% anno su 3 misurazioni distanti almeno 6 mesi, patologia di classe 1C-1E secondo classificazione Mayo Clinic, PRO-PKD score > 6).

Il criterio di esclusione era la sospensione della terapia per raggiungimento di insufficienza renale nel suo stadio terminale.

All’inizio del follow-up (tempo zero: inizio del trattamento) sono state raccolte le seguenti variabili: età, sesso, data di avvio del trattamento, posologia di tolvaptan, peso ed altezza, numero di figli, anamnesi familiare, anamnesi personale, presenza/assenza di complicanze tipiche dell’ADPKD, terapia domiciliare.

Sono stati inoltre determinati al tempo zero e durante il follow-up mensilmente: esame emocromocitometrico, creatininemia, azotemia, Na, K, Mg, Ca, P plasmatici, esame delle urine completo ed osmolalità urinaria, funzionalità epatica (AST, ALT, gGT, bilirubina totale e frazionata). La funzionalità renale residua è stata stimata mediante la formula CKD-EPI. Il grado di insufficienza renale cronica (CKD) è stato stratificato secondo classificazione KDOQI.

I pazienti sono stati istruiti in merito alla redazione di un diario giornaliero relativo agli introiti idrici, ad eventuali effetti collaterali, all’affaticabilità, alla capacità di lavorare e allo stato d’ansia o stress.

L’aderenza media è stata calcolata come il rapporto tra i giorni di non assunzione di tolvaptan e il totale dei giorni nel periodo di osservazione (dall’inizio del trattamento fino al maggio del 2021).

La qualità della vita (QoL) è stata rilevata mediante un questionario della durata di esecuzione di circa 30 minuti, composto da quattro sezioni. Le prime tre esploravano il periodo successivo all’avvio della terapia, mentre la quarta sezione quello antecedente.

Un limite dell’impiego di strumenti standardizzati, con sole risposte multiple, è che non sempre si riesce a cogliere la reale prospettiva degli intervistati. Per questo, supportati da uno psicologo clinico, abbiamo formulato 7 domande relative al periodo successivo all’inizio dell’assunzione del farmaco (prima sezione Tabella 1) e 8 relative a quello antecedente (quarta sezione Tabella 1). Alcuni quesiti sono stati mutuati da uno studio di Amicone et al. [16] anch’esso relativo ad una coorte di pazienti ADPKD in terapia con tolvaptan.

PRIMA SEZIONE

1)    Dall’inizio dell’assunzione del farmaco Tolvaptan:

o   È motivo di disagio per lei dover sottoporsi a controlli e visite mensilmente/trimestralmente presso l’ambulatorio policistici?

o   Durante le visite presso l’ambulatorio Policistici, si ritiene soddisfatto delle informazioni ricevute riguardo il farmaco Tolvaptan e sui suoi benefici, effetti collaterali?

o   Questo farmaco comporta un aumento del volume urinario giornaliero: questa situazione le crea disagio?

o   Se il disagio è presente, a cosa è legato principalmente? (I disagi potrebbero essere: andare in bagno frequentemente durante il lavoro, alzarsi la notte per urinare, bagno non accessibile, difficoltà nel bere molti litri d’acqua al giorno)

o   Il dover bere molta acqua e di conseguenza l’aumento del volume urinario gironaliero, influenzano negativamente la sua soddisfazione riguardo il farmaco Tolvaptan?

o   Oltre al dover bere molta acqua e di conseguenza l’aumento del volume urinario, ha riscontrato altri effetti spiacevoli da quando assume Tolvaptan?

o   Ha riscontrato difficoltà nella vita quotidiana da quando assume Tolvaptan?

o   Se ha riscontrato difficoltà nella vita quotidiana da quando assume Tolvaptan, che tipo di difficoltà ha avuto? (Esempi: difficoltà nel gestire piccoli viaggi di lavoro o relax, difficoltà nelle mansioni casalinghe, stanchezza giornaliera, difficoltà nel reperire acqua)

o   Ha dovuto assentarsi dal lavoro o da attività formative?

o   Ha subito un danno economico?

o   Ha trovato supporto e comprensione da parte di: famiglia, amici, ambiente di lavoro, personale medico

2)  Dopo l’ultima visita presso l’ambulatorio Policistici:

o   Per quanto riguarda l’assunzione della terapia con Tolvaptan:

·      Non ho mai sospeso il farmaco

·      Ho sospeso il farmaco:       (numero giorni)

·      Non ho più assunto il farmaco

o   Dorme tutta la notte senza alzarsi?

o   Il suo sonno risente l’assunzione del farmaco?

3)    Prima di iniziare la terapia con Tolvaptan:

o   Che lavoro svolgeva?

o   Ha mantenuto lo stesso lavoro anche dopo aver iniziato la terapia con Tolvaptan?

4)    Dall’inizio dell’assunzione del farmaco Tolvaptan, l’insieme dei disturbi causati dal farmaco le creano disagio nel rapporto con (se presenti): partner, figli, amici, parenti, conoscenti

o Che tipo di disagio le creano? (Esempi: vergogna, paura del rifiuto, timore di creare disagio)

5)    Ha figli? La malattia di cui lei è affetto fa sì che, ad ogni concepimento, ci sia il 50% di possibilità di trasmettere il disturbo alla prole. Tenendo conto di ciò:

o   Ritiene opportuno avere figli?

o   Se ha figli o se volesse averne, ritiene opportuno parlare della malattia di cui lei soffre al/i figlio/i apertamente?

o   Ammesso che lei abbia figli. Ha avuto difficoltà quando ha parlato ai/i figlio/i della malattia o trova difficoltà nell’idea di comunicarla?

o   Chi e cosa ritiene potrebbe esserle d’aiuto in questo contesto?

o   Ammesso che lei abbia comunicato al/i figlio/i la malattia: come è stata accolta la sua comunicazione?

6)    Data la sua malattia, sentirebbe il bisogno di un supporto psicologico?

7)    In merito alle visite preso l’ambulatorio Policistici, vorrebbe fare qualche richiesta specifica?

 

QUARTA SEZIONE

(Le seguenti domande si riferiscono a prima dell’inizio della terapia con Tolvaptan. Cercando di ricordare, provi a compilare il seguente questionario)

A causa della malattia del rene policistico dominante dell’adulto di cui lei ha diagnosi, PRIMA DELL’INIZIO DELLA TERAPIA con Tolvaptan:

o   Soffriva di sintomi spiacevoli?

o   Riscontrava difficoltà nello svolgere mansioni di vita quotidiana?

o   Quanto spesso le capitava di assentarsi dal lavoro o da attività formative?

o   Dormiva tutta la notte senza alzarsi?

o   Come giudica la qualità complessiva del suo sonno?

o   Se dormiva con qualcuno nella stessa stanza/nello stesso letto: questa persona riferiva che lei spesso di notte russasse, avesse spasmi o contrazioni muscolari, episodi d’irrequietezza o confusione, lunghe pause del respiro durante la notte o altri disturbi?

o   Aver scoperto la malattia ha avuto per lei ricadute sul piano psicologico?

o   Che cosa la aiuta ad affrontare la malattia? (esempio: persone care, motivazioni religiose)

Tabella 1: Prima e Quarta sezione del Questionario relativo alla qualità di vita di soggetti con ADPKD in trattamento con Tolvaptan.

La seconda sezione era costituita dal questionario SF-36 (Short Form Health Survey, 36 items) (Tabella 2). SF-36 è basato su 36 domande che misurano la salute, suddivisa in 8 sottogruppi:

  1. attività fisica;
  2. limitazioni nell’attività di tipo sociale e funzionamento sociale;
  3. peso delle limitazioni causate da problemi di salute fisica;
  4. salute emotiva/mentale;
  5. peso delle limitazioni causate da problemi di salute mentale;
  6. dolore fisico;
  7. vitalità ed energia;
  8. percezione della propria salute complessiva [14].

I risultati di ciascun sottogruppo si possono suddividere in 3 gruppi (la salute fisica, quella generale e quella psicologico-emotiva) e danno un punteggio totale compreso tra 0 e 100: più alto il punteggio, migliore è il livello di salute percepita dal soggetto.

Le seguenti domande riguardano alcune attività che potrebbe svolgere nel corso di una qualsiasi giornata.
Prima dell’inizio della terapia con Tolvaptan, la sua salute la limitava nello svolgimento di:
Sì, mi limitava parecchio Si, mi limitava parzialmente No, non mi limitava
1. Attività fisicamente impegnative (correre..) 1 2 3
2. Attività di moderato impegno fisico (spostare   un tavolo, usare l’aspirapolvere, …) 1 2 3
3. Sollevare o portare le borse della spesa 1 2 3
4. Salire qualche piano di scale 1 2 3
5. Salire un piano di scale 1 2 3
6. Piegarsi, inginocchiarsi o chinarsi 1 2 3
7. Camminare per un chilometro 1 2 3
8. Camminare per qualche centinaia di metri 1 2 3
9. Camminare per circa cento metri 1 2 3
10. Fare il bagno o vestirsi da soli 1 2 3
A causa della sua salute fisica: No
11. Ha ridotto il tempo dedicato al lavoro o ad altre attività 1 2
12. Ha reso meno di quanto avrebbe voluto 1 2
13. Ha dovuto limitare alcuni tipi di lavoro o di altre attività 1 2
14. Ha avuto difficoltà nell’eseguire il lavoro o altre attività (ad es. ha fatto più fatica) 1 2
A causa del suo stato emotivo (quale il sentirsi depresso o ansioso): No
15. Ha ridotto il tempo dedicato al lavoro o ad altre attività 1 2
16. Ha reso meno di quanto avrebbe voluto 1 2
17. Ha avuto un calo di concentrazione sul lavoro o in altre attività 1 2
18. In che misura la sua salute fisica o il suo stato emotivo interferivano con le normali attività sociali con la famiglia, gli amici, i vicini di casa, i gruppi di cui fa parte?
19. Quanto dolore fisico provava?
Le seguenti domande si riferiscono a come si sentiva prima di iniziare la terapia con Tolvaptan. Risponda a ciascuna domanda scegliendo la risposta che più si avvicina al suo caso.
Per quanto tempo si è sentito…
Sempre Quasi sempre Molto tempo Una parte del tempo Quasi mai Mai
20. Vivace e brillante? 1 2 3 4 5 6
21. Molto agitato? 1 2 3 4 5 6
22. Così giù di morale che niente avrebbe potuto tirarla su? 1 2 3 4 5 6
23. Calmo e sereno? 1 2 3 4 5 6
24. Pieno di energia? 1 2 3 4 5 6
25. Scoraggiato e triste? 1 2 3 4 5 6
26. Sfinito? 1 2 3 4 5 6
27. Felice? 1 2 3 4 5 6
28. Stanco? 1 2 3 4 5 6
29. Per quanto tempo la sua salute fisica o il suo stato emotivo hanno interferito nelle sue attività sociali, in famiglia, con gli amici?
Scelga, per ogni domanda, la risposta che meglio descrive quanto siano Vere o False le seguenti affermazioni.
Certamente vero In gran parte vero Non so In gran parte falso Certamente falso
30. Mi pare mi ammalassi un po’ più facilmente degli altri 1 2 3 4 5
31. La mia salute era come quella degli altri 1 2 3 4 5
32. Mi aspettavo che la mia salute andasse peggiorando 1 2 3 4 5
33. Godevo di ottima salute 1 2 3 4 5
Tabella 2: Seconda sezione del Questionario relativo alla qualità di vita di soggetti con ADPKD in trattamento con Tolvaptan

La terza sezione era invece costituta dal PSQI, una scala di autovalutazione composta da 19 domande che stima la qualità del sonno dei pazienti rispetto ad un periodo di un mese [15]. Le domande esplorano 7 ambiti:

  1. qualità soggettiva del sonno;
  2. latenza del sonno;
  3. durata del sonno;
  4. efficacia abituale del sonno;
  5. disturbi del sonno;
  6. impiego di farmaci ipnotici;
  7. disturbi durante il giorno.

Per l’interpretazione del test, la qualità del sonno è stata considerata come buona o scarsa a seconda di un cut-off di 5: un punteggio ≥ 5 designa un cattivo dormitore, un punteggio < 5 un buon dormitore.

Le domande di tutte le 4 sezioni sono state accorpate per ambito in sede di analisi dei dati. Per analizzare le risposte, ad alcune voci è stato attribuito un punteggio numerico, mentre altre sono state lasciate tali, parafrasando quanto detto dall’intervistato.

Si sono delineati 10 ambiti:

  1. aderenza al trattamento (1 domanda);
  2. sicurezza e tollerabilità del farmaco (2 domande);
  3. fattibilità del trattamento (3 domande);
  4. dolore percepito (1 domanda);
  5. disabilità (4 domande);
  6. valutazione delle visite (3 domande);
  7. piano sociale (3 domande);
  8. ereditarietà della malattia (6 domande);
  9. piano psicologico (3 domande);
  10. cambiamento della qualità del sonno dall’inizio della terapia (6 domande).

I dati sono stati trattati in forma anonima e, prima della compilazione del questionario, è stato acquisito da ogni paziente il consenso informato all’adesione allo studio e al trattamento dei dati a fini di ricerca.

 

Analisi statistica

Le variabili continue sono state espresse come media ± deviazione standard (SD).

Le variabili nominali sono state espresse come frequenze e percentuali.

Le variabili numeriche sono state confrontate con il t-Test a due code per campioni indipendenti o appaiati.

Le variabili categoriali non dicotomiche sono state comparate tramite il test ANOVA.

Tutti i test sono bilaterali e l’ipotesi nulla è rifiutata con parametri di significatività statistica con un valore p< 0,05.

L’analisi statistica è stata condotta usando il software SPSS versione 22.0 (Chicago, SPSS, Inc., Chicago, Illinois, USA).

 

Risultati

Della nostra coorte di pazienti ADPKD, 13 pazienti soddisfacevano i criteri di inclusione. Di questi il 53.8% erano femmine (n=7). La coorte presentava un’età media di 43.8± 6.2 anni.

La durata media del trattamento con tolvaptan era di 21±12 mesi.

La popolazione presentava una creatinina media ad inizio trattamento di 110.7± 26.4 μmol/L con un eGFR pari a 62.2±14.6 ml/min/1.73m2. Il 61.5% dei pazienti presentava all’inizio del trattamento con tolvaptan CKD stadio 2, il 15.4% uno stadio 3A e il 23.1% uno stadio 3B.

Al momento dell’arruolamento il 92.3% (n=12) dei pazienti presentava ipertensione arteriosa controllata dalla terapia antiipertensiva (sostanzialmente ACE inibitori e/o ARBs), il 100% (n=13) presentava un interessamento epatico più o meno esteso con cisti di diverso numero e calibro, il 38.5% (n=5) presentava aneurismi cerebrali, il 23.1% (n=3) presentava diverticolosi di colon e sigma, il 7.7% (n=1) dei pazienti presentava obesità.

Durante il follow-up il tolvaptan sì è dimostrato efficace nel mantenere valori di eGFR stabili nel 100% dei pazienti (n=13).

 

  1. Aderenza al trattamento

Durante il follow-up nessun paziente ha interrotto la terapia. La percentuale di aderenza media è risultata essere dell’85.0±20.3%.

La presenza di disturbi fisici, la mancata reperibilità del farmaco o la pianificazione di week-end fuori porta ha comportato la mancata assunzione episodica del farmaco.

 

  1. Sicurezza e tollerabilità del farmaco

Il 61.5% dei pazienti (n=8) ha considerato il farmaco sicuro e tollerabile, il 30.8% (n=4) abbastanza sicuro e tollerabile e il 7.7% (n=1) dei pazienti ha percepito il farmaco come non sicuro e tollerabile.

In merito ad eventuali effetti collaterali il 7.7% dei pazienti (n=1) ha riferito aumento del peso corporeo e perdita dei capelli, il 23.1% (n=3) nausea e spossatezza, specie in associazione a sforzo fisico, il 15.4% (n=2) ha riportato algie agli arti inferiori e il 7.7% (n=1) tachicardia.

 

  1. Fattibilità del trattamento

Il 76.9% ha percepito disagio qualche volta, il 23,1% raramente. Le principali fonti di disagio sono risultate essere la difficoltà nel reperire i servizi igienici, il doversi recare frequentemente presso i servizi igienici anche in contesti pubblici e lavorativi, la nicturia.

L’assunzione media di acqua al giorno è stata di 6.9±1.8 L; per la maggior parte dei pazienti il dover bere non è stato percepito come un peso; inoltre hanno riferito di aver assunto molti liquidi a causa della sensazione di sete più che per la consapevolezza di dover evitare stati di disidratazione.

Non è emersa una correlazione significativa tra i litri di liquidi assunti quotidianamente e la percezione di fattibilità della terapia.

 

  1. Dolore percepito

Il 15.4% (n=2) dei pazienti ha riferito presenza di dolore prima dell’avvio della terapia con tolvaptan (principalmente addominalgie e dolore lombare o ai fianchi).

Analizzando i dati riferiti al dolore nel periodo antecedente ed in quello successivo all’assunzione di tolvaptan, non si sono riscontrate differenze tra prima e dopo.

 

  1. Disabilità

Solo il 7,7% (n=1) ha riscontrato una riduzione della propria autonomia secondaria all’assunzione della terapia con tolvaptan.

La terapia non sembra inoltre influenzare le possibilità e il rendimento lavorativo. I pazienti arruolati nello studio svolgevano mansioni appartenenti ai servizi alla persona, ai servizi sanitari, ad altre attività commerciali e dei servizi, o lavori impiegatizi; non hanno riferito particolari impedimenti. Tuttavia, due risposte sono risultate particolarmente significative:

  • “per fortuna, per altre ragioni, ho cambiato lavoro prima di iniziare la terapia, altrimenti avrei dovuto modificarlo”;
  • “ho escluso fin da piccola certe professioni, sapevo della malattia e che per questo non avrei potuto sostenerle negli anni”.

 

  1. Valutazione delle visite

È stato indagato se le visite presso l’ambulatorio fossero fonte di disagio e se gli intervistati fossero soddisfatti delle informazioni ricevute dagli specialisti riguardo il farmaco tolvaptan. I risultati sono stati riassunti in 3 categorie: qualità del servizio considerata “molto buona” “abbastanza buona” e “scarsa”. L’84.6% (n=11) ha giudicato il servizio “molto buono”, il 15.4% (n=2) “abbastanza buono”. In quanto a quesiti specifici, alcuni pazienti hanno riferito difficoltà nel reperire il farmaco.

 

  1. Piano sociale

È stato chiesto ai pazienti se avessero ricevuto supporto e comprensione da parte di familiari, amici, colleghi e personale medico e se gli effetti collaterali del farmaco fossero fonte di disagio nel rapporto con gli altri. I pazienti hanno riportato di provare “quasi mai disagio” nel rapporto in famiglia, con il personale medico o con conoscenti, e “raramente” con amici o in ambiente lavorativo, principalmente a causa dal gonfiore addominale, correlato nella maggior parte dei casi alla policistosi epatica.

 

  1. Ereditarietà della malattia

Il 38.5% (n=5) dei pazienti aveva uno o due figli; l’età media dei figli era di 12.0±4.5 anni. A prescindere dall’essere o meno genitori, il 69.2% (n=9) riteneva opportuno avere figli, il 7.7% (n=1) lo ritiene opportuno previa analisi genetica; il 15.4% (n=2) non lo riteneva opportuno e il 7,7% (n=1) non sapeva esprimersi a riguardo.

Tutti gli intervistati, invece, ritenevano necessario parlare apertamente della malattia ai figli. Ognuno di loro, infatti, riconosceva fondamentale il fatto che i genitori avessero instaurato un dialogo aperto con loro, parlando della malattia e delle sue complicanze, così da permettere una presa di coscienza progressiva sul loro stato di salute e sulle strategie da mettere in atto per rallentarne il più possibile l’evoluzione.

Considerando solo i 5 soggetti attualmente genitori, alla domanda se avessero avuto difficoltà nella comunicazione della malattia al/ai figlio/i e su come era stata accolta la notizia: 2 intervistati hanno risposto di non aver avuto alcun tipo di difficoltà, 2 di non aver ancora comunicato la notizia e 1 ha sostenuto di essersi sentito in colpa nel comunicare la patologia.

 

  1. Piano psicologico

L’impatto emotivo della diagnosi di malattia è spesso rilevante, perché i pazienti hanno già assistito alle conseguenze della patologia nei loro familiari: lo studio ha messo in evidenza il senso di incertezza che molti provano riguardo la progressione della malattia, che causa ansia e frustrazione. I pazienti, infatti, sono consapevoli dell’esito della loro condizione, ma non della tempistica e della rapidità evolutiva; a ciò si accompagna paura per sé e per i propri figli riguardo il decorso e l’outcome della patologia. Pertanto, è stato chiesto se ritenessero utile un eventuale sostegno psicologico da parte di una figura professionale: il 53.8% (n=7) ne ha negato il bisogno, il 46.2% (n=6) invece ha espresso di averne l’esigenza.

I pazienti in terapia con tolvaptan sembrano nutrire fiducia nelle potenzialità del farmaco, con un’influenza positiva sul senso di smarrimento e di angoscia.

 

  1. Cambiamento della qualità del sonno dall’inizio della terapia

Il 61.5% (n=8) dei pazienti rispetto al periodo precedente all’avvio della terapia ha lamentato una frammentazione del sonno, con una media di 2.7 ± 1.0 risvegli a notte per urinare. A proposito della qualità, invece, è emerso che il tolvaptan non influenza la soddisfazione soggettiva relativa alla qualità del sonno, nonostante esso incrementi il numero di risvegli notturni.

 

Discussione

Tolvaptan è stato sviluppato per rallentare la storia naturale dell’ADPKD che, con un lento decorso, porta all’insufficienza renale terminale; la sua efficacia è pertanto tangibile in terapie di lungo termine; per tali motivi scarseggiano in letteratura studi che indaghino l’impatto sulla QoL, aspetto fortemente condizionante l’aderenza alla terapia.

Il questionario oggetto dello studio aveva come obiettivo la valutazione della QoL dell’intervistato in relazione alla propria salute, fungendo da indicatore del benessere soggettivo percepito.

I soggetti affetti da ADPKD sono gravati da un peso psicologico secondario alla sintomatologia complessa, all’ereditarietà della malattia, alla progressione della patologia e al senso di precarietà derivante dall’incertezza delle tempistiche relative alla prognosi. A questo si aggiunge la sensazione di impotenza, che si associa sia alla ricorrenza o persistenza dei sintomi della malattia che alla conoscenza degli esiti della malattia nei familiari affetti. La malattia impatta sulla capacità di svolgere l’attività lavorativa, sul piano socio-economico, sulla progettualità di vita. Molti pazienti provano sentimenti di colpa e ansia a causa della possibilità di trasmettere la patologia ai figli.

Alcuni studi hanno dimostrato che i soggetti affetti da ADPKD sono, negli stadi iniziali, asintomatici, mentre con la progressione della malattia crescono le alterazioni quali il respiro più corto secondario all’ingombro addominale, difficoltà nell’alimentarsi, disturbi urinari, depressione, problemi fisici ed emotivi.

In termini di adesione al trattamento nessun paziente coinvolto nello studio ha sospeso l’assunzione del farmaco in modo continuativo; i motivi della mancata assunzione occasionale risultano facilmente prevedibili e comuni a qualsiasi altra terapia farmacologica (compresenza di altri disturbi fisici, mancata reperibilità del farmaco, pianificazione di attività non routinarie con difficoltà di reperimento dei servizi igienici). La percentuale di adesione si è rivelata elevata (85%) e comunque non correlata alla durata del trattamento, al sesso e ai litri di acqua assunti nell’arco della giornata.

Nello studio TEMPO 3:4, i pazienti sospendevano il farmaco principalmente per l’effetto poliurico dello stesso [8];Amicone et al. hanno pure riportato che il 17% dei pazienti ha ammesso di non aver assunto il farmaco per 1-2 giorni a settimana per evitare la poliuria in situazioni lavorative o di vita sociale [16].

In merito alla sicurezza e alla tollerabilità di tolvaptan i soggetti coinvolti nello studio hanno affermato di non considerare un peso il dover assumere liquidi. È inoltre emerso dalla maggior parte dei pazienti che la necessità di assumere abbondanti liquidi e la poliuria non inficiano la fiducia nei confronti del farmaco, in quanto motivati dal potenziale beneficio (riduzione del declino della funzione renale). Un’analisi post hoc del trial TEMPO 3:4 ha evidenziato che gli effetti acquaretici indesiderati erano ben tollerati e, dopo 3 anni dall’inizio del trattamento, il 75% dei pazienti in terapia affermava di essere in grado di sostenere l’assunzione della dose massima del farmaco per tutta la vita [8].

Nel nostro studio il 76.9% dei soggetti intervistati, in relazione all’assunzione della terapia con tolvaptan e ai suoi effetti, ha riferito di provare solo occasionale disagio, il restante 23.1% molto raramente. Gli inconvenienti maggiormente riportati sono stati: difficoltà nel reperire i servizi igienici sia durante spostamenti minimi, che durante viaggi; il dover ricorrere spesso ai servizi igienici pubblici; il doversi alzare la notte per recarsi presso i servizi igienici; la necessità di dover ricorrere ai servizi igienici con elevata frequenza, soprattutto durante l’attività lavorativa.

La terapia con tolvaptan non sembra però influenzare la possibilità e il rendimento lavorativo dei soggetti coinvolti in accordo con Amicone et al. [16].

Simms et al. hanno riportato che la maggior parte dei partecipanti al loro studio ha negato che le conseguenze della malattia causassero difficoltà all’interno della famiglia o avessero un impatto in ambito lavorativo [17].

I pazienti del nostro studio hanno riportato di provare solo occasionalmente disagio secondario alla propria condizione e all’assunzione di tolvaptan nel rapporto in famiglia, con il personale medico o con conoscenti, con amici e in ambiente lavorativo; un soggetto ha riportato imbarazzo nella relazione con il partner da quando assume tolvaptan. Il 49% dei pazienti aveva aggiunto che la malattia non influiva sulla vita di coppia. Il sesso femminile e la perdita di un familiare di primo grado sono stati riconosciuti come fattori di rischio indipendenti di disturbi psicosociali.

In merito alla possibilità di trasmissione della malattia tutti gli intervistati dello studio ritenevano opportuno parlare apertamente della malattia ad eventuali figli. Nella maggior parte dei casi i pazienti hanno avuto modo di relazionarsi con la malattia sin dalla giovane età. Ognuno di loro riconosceva fondamentale il fatto che i genitori avessero instaurato un dialogo aperto con loro, avessero parlato della malattia e delle relative complicanze per permettere una presa di coscienza progressiva sul loro stato di salute e sulle strategie da mettere in atto per rallentarne il più possibile l’evoluzione. Esempi di strategie consigliate ai giovani pazienti, in cui ancora la malattia risulta agli stadi iniziali, sono il monitoraggio della pressione, l’incentivazione a bere molti liquidi e all’attività fisica regolare.

In merito alla comunicazione ai figli, gli intervistati hanno indicato l’auspicabilità di una compresenza di uno psicologo al momento della comunicazione al/i figlio/i, specie nell’adolescenza, per permettere una maggiore comprensione della malattia e avere un supporto in caso di domande specifiche.

Dalle interviste è emerso il senso di incertezza che i soggetti affetti da APDKD provano riguardo la progressione della malattia, e le conseguenti ansia e frustrazione. I soggetti sono consapevoli dell’outcome della loro condizione ma non della tempistica e della rapidità evolutiva. Alla domanda se vi fosse qualcosa che li aiutasse ad affrontare la patologia, 2 soggetti hanno risposto “nulla”, altri 2 “la fiducia nella scienza e nei medici”, 6 pazienti “le persone care”.

Simms et al. riguardo alla QoL dei pazienti, stimata sul loro umore, sulle relazioni interpersonali, sul supporto sociale percepito e sul rischio psicosociale, in una popolazione di ADPKD ha documentato una percentuale di risposta al questionario del 47% [17], documentando un’aumentata incidenza di depressione e di disagio psicosociale nei pazienti ADPKD, anche prima dell’insorgenza dell’insufficienza renale.

I pazienti del nostro studio manifestano fiducia nelle potenzialità di tolvaptan, con un elevato tasso di adesione al trattamento nonostante gli effetti collaterali, con la consapevolezza di poter rallentare la progressione del danno renale. Uno studio di Anderegg et al. su pazienti in terapia con tolvaptan dimostra nel medio-lungo termine un miglior stato di salute psichica e fisica rispetto al gruppo di controllo [18].

L’influenza del farmaco sulla qualità del sonno percepita dopo l’introduzione di tolvaptan nella coorte osservata è risultata minima, con un’elevata soddisfazione soggettiva. L’assunzione di tolvaptan non sembra avere influenza sulla qualità del sonno percepita nonostante incrementi considerevolmente il numero dei risvegli notturni per urinare. Nello studio di Amicone et al. [16] la qualità del sonno era invece riferita peggiorata dopo l’introduzione di tolvaptan.

 

Conclusioni

Dai dati del nostro studio emerge che il trattamento con tolvaptan non comporti una riduzione significativa della QoL dei soggetti coinvolti nello studio; inoltre, durante il periodo di osservazione, non si sono riscontrati considerevoli effetti indesiderati legati all’assunzione del tolvaptan, ad eccezione del significativo aumento di quelli acquaretici, peraltro atteso. L’incremento medio annuo del peggioramento della funzione renale è risultato inferiore a quello dei pazienti ADPKD non trattati con tolvaptan.

I limiti del nostro studio sono rappresentati dalla scarsa numerosità della coorte di pazienti arruolati e dal breve periodo di osservazione; tuttavia, da un lato i risultati del nostro studio forniscono informazioni aggiuntive ai pochi dati della letteratura sulla QoL in pazienti ADPKD trattati con tolvaptan, dall’altro potrebbero certamente costituire un’utile working hypothesis per altri studi su una popolazione più ampia e per un periodo più lungo, per ottenere una dimostrazione definitiva della sostanziale assenza di impatto del trattamento con tolvaptan sulla QoL dei pazienti ADPKD.

 

Bibliografia

  1. Solazzo A, Testa F, Giovanella S, et al. The prevalence of autosomal dominant polycystic kidney disease (ADPKD): A meta-analysis of European literature and prevalence evaluation in the Italian province of Modena suggest that ADPKD is a rare and underdiagnosed condition. PLoS One 2018; 13:0190430 https://doi.org/10.1371/journal.pone.0190430
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Lo stress ossidativo è ridotto in pazienti con ADPKD trattati con tolvaptan

Abstract

La malattia renale policistica autosomica dominante (ADPKD) è la malattia renale monogenica più frequente e causa ipertensione arteriosa e malattia renale progressiva, entrambe legate allo stress ossidativo (OxSt). Il tolvaptan è una opzione di trattamento nota in ADPKD ma i meccanismi molecolari coinvolti non sono stati completamente chiariti. Questo studio valuta lo OxSt In 9 soggetti per gruppo attraverso: l’espressione proteica di p22phox, lo stato della fosforilazione di MYPT-1 (Western blot) e l’eme ossigenasi-1 (HO-1) (ELISA).

L’espressione proteica di p22phox era ridotta nei pazienti ADPKD trattati con tolvaptan e nei soggetti di controllo rispetto ai pazienti ADPKD non trattati: 0.86 ±0.15 d.u. p=0.015; 0.53 ±0.11, p<0.001; 1.42 ±0.11. Lo stesso si riscontrava per la fosforilazione di MYPT-1: 0.68 ±0.09, p=0.013, 0.47 ±0.13, p<0.001, 0.96 ±0.28 mentre HO-1 dei pazienti non trattati era ridotta sia rispetto ai controlli che ai pazienti trattati: 1.97 ±1.22, ng/mL, 2.08 ±0.79, p=0.012, 5.33 ±3.34, p=0.012. I pazienti ADPKD trattati con tolvaptan presentano una riduzione dello OxSt che potrebbe contribuire a rallentare la perdita di funzione renale. Parole chiave: tolvaptan, ADPKD, stress ossidativo, Rho chinasi

Introduzione

La malattia renale policistica autosomica dominante (ADPKD) è un disordine genetico caratterizzato dalla comparsa di multiple cisti renali e in altri organi, come il fegato, e colpisce 12,5 milioni di persone in tutto il mondo; si riscontra nel 10% dei pazienti affetti da insufficienza renale allo stadio terminale. L’ADPKD è caratterizzata dal progressivo sviluppo e crescita delle cisti con sovvertimento del parenchima renale, associato ad ipertensione, dolore addominale, sanguinamento delle cisti con macroematuria, nefrolitiasi, infezioni delle cisti [1].

La ADPKD è causata da mutazioni nei geni PKD1 (75-78% dei casi) o PKD2 (15%). PKD1, situato sul cromosoma 16 (16p13.3) codifica per la policistina-1 (PC1), una glicoproteina multidominio che viene scissa in un sito proteolitico del recettore accoppiato alla proteina G. PKD2, localizzato sul cromosoma 4 (4q21), codifica per la policistina-2 (PC2), una proteina appartenente alla famiglia dei canali cationici regolati dal calcio. Gli studi ora supportano un ruolo inibitorio di PC1 e PC2 sulla cistogenesi [2]. La perdita di PC1 o PC2 è infatti associata a basse concentrazioni di calcio intracellulare, che determina un aumento dell’attività dell’adenilciclasi e ridotta attività della fosfodiesterasi 1, ed eccessive concentrazioni di AMP ciclico (cAMP) e conseguente cistogenesi attraverso l’attivazione delle vie di proliferazione e secrezione [2].

 

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Lymphocytic leukopenia in two patients affected by polycystic kidney disease waiting for renal transplantation

Abstract

Autosomal dominant polycystic kidney disease (ADPKD) is the most common hereditary kidney disease, responsible for 10% of patients on renal replacement therapy. The disease is well known to be associated with many extrarenal manifestations. Leukopenia may also be present, even if it is not commonly identified as a typical extrarenal manifestation.

Herein we describe two case reports of ADPKD patients with leukopenia. The first case is about a 47-year-old patient affected by ADPKD, regularly treated with peritoneal dialysis, who showed a progressive reduction of white blood cell count, mostly of lymphocytes. Lymphocytic leukopenia was so severe that, when he was called for transplantation from a deceased donor, he was considered temporarily not eligible. We then describe a second ADPKD patient regularly treated with peritoneal dialysis, who had stable lymphopenia for years. Six years after starting PD, it was necessary to perform bone marrow aspirate to investigate the simultaneous presence of hypogammaglobulinemia together with M-protein and to exclude monoclonal gammopathy.

All the exams performed did not show any significant results, the patients were re-included in the waiting list and one of them was transplanted. Given our experience and what is reported in the literature, there seems to be enough evidence to consider leukopenia as an extrarenal manifestation of ADPKD.

However, the clinical significance of leukopenia in ADPKD patients is not known. It could be interesting to investigate the leucocytes’ function and if ADPKD patients with leukopenia are more susceptible to infection, or not. Moreover, it would be very useful to analyze the relationship between such manifestation and genotype/phenotype.

Keywords: ADPKD, lymphopenia, leukopenia, kidney transplant, chronic kidney disease

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Introduzione

La malattia del rene policistico (ADPKD) è la malattia genetica renale più comune nei pazienti affetti da insufficienza renale cronica (IRC), presente nel 10% dei pazienti in terapia sostitutiva renale [1]. I geni principalmente implicati sono PKD1 e PKD2 responsabili della malattia nel 72-75% e nel 15-18% dei casi rispettivamente, mentre il 7-10% dei casi restano geneticamente irrisolti (GUR). La patologia è associata a una grande variabilità fenotipica inter ed intra-familiare, perlopiù legata alla estrema variabilità genetica [1].

La progressione della patologia è caratterizzata dallo sviluppo ed espansione inesorabile di cisti nel parenchima renale, causa della progressiva perdita di funzione renale e della conseguente insufficienza renale cronica terminale, che solitamente avviene intorno alla quinta-sesta decade di vita. La malattia è tipicamente caratterizzata da manifestazioni extra-renali quali l’ipertensione arteriosa, le cisti epatiche e pancreatiche, gli aneurismi cerebrali, la diverticolosi del colon e il prolasso delle valvola mitrale [2].

In alcuni studi osservazionali l’ADPKD è stata inoltre associata a diverse forme di leucopenia, in particolare alla riduzione della concentrazione dei linfociti [3,4]. I primi ad evidenziare questa correlazione sono stati Banerjee et al.[3], i quali hanno analizzato i parametri ematologici di 360 pazienti in trattamento emodialitico. La conta totale dei globuli bianchi risultava significativamente ridotta nei 26 pazienti affetti da ADPKD rispetto ai 334 pazienti affetti da altre patologie (6,03 ±1,66 vs. 7,20 ±1,96×109/l). Non avendo a disposizione la formula leucocitaria di questi soggetti, hanno analizzato una seconda coorte di pazienti in cui questo dato era disponibile, riscontrando che i pazienti con ADPKD (n=11) avevano in media 0,61×109/l (40%) linfociti in meno rispetto ai controlli dello stesso genere ed età non affetti da ADPKD (n=33). Nei pazienti ADPKD di questa seconda coorte anche la conta dei monociti e degli eosinofili risultava ridotta, mentre non venivano riscontrante differenze nella conta dei neutrofili, dei basofili e delle piastrine.

Successivamente Van Laecke et al. [4] hanno condotto uno studio trasversale caso-controllo analizzando anch’essi due coorti di pazienti: la prima costituita da pazienti affetti da IRC stadio 5 candidati a trapianto di rene, la seconda da pazienti affetti da IRC stadio 1-5. I pazienti sono stati stratificati per età, sesso, valori di Proteina C Reattiva (PCR) e stima del filtrato glomerulare (eGFR) ed è risultata, rispettivamente, una conta linfocitaria in media minore di 0,26×109/l (prima coorte) e di 0,35×109/l (seconda coorte) nei soggetti affetti da ADPKD rispetto ai soggetti affetti da altre patologie. In particolare, nella prima coorte sono state riscontrate minori concentrazioni di linfociti T CD8 e linfociti B oltre che una conta minore di neutrofili, monociti e piastrine nei pazienti affetti da ADPKD rispetto ai non affetti. Nei pazienti ADPKD della seconda coorte è stata osservata una simile riduzione di linfociti, monociti e piastrine, ma nessuna differenza nella conta dei neutrofili. Gli autori concludono che l’ADPKD sembrerebbe caratterizzata da varie forme di citopenia, specialmente da linfopenia, indipendentemente dalla funzione renale e da altri fattori confondenti quali età, sesso e stato di infiammazione.

L’eziologia della linfopenia in questi pazienti non è nota. Diverse sono le ipotesi formulate, tra cui il sequestro dei globuli bianchi da parte degli organi affetti o l’intossicazione uremica nei pazienti affetti da IRC. Non è inoltre noto se la riduzione del numero dei linfociti abbia un impatto funzionale, ovvero se i linfociti, pur essendo pochi, mantengano un’adeguata capacità di rispondere allo stimolo. A questo proposito è possibile che le mutazioni nei geni PKD1 e PKD2 possano avere un ruolo diretto, promuovendo sia una ridotta proliferazione sia l’aumento dell’apoptosi dei linfociti [5].

In merito a quest’ultima teoria, vari studi condotti in vitro hanno analizzato il comportamento delle cellule della linea linfoide nei soggetti affetti da mutazioni nei geni PKD. In particolare, Aguiari et al. [6,7] hanno evidenziato come, dopo stimolazione con fattore attivante le piastrine (PAF), le concentrazioni intracellulari di Ca2+ nelle cellule linfoblastoidi di tipo B (LCL) ottenute da soggetti affetti da mutazione in PKD2 (PKD2-LCL) e, di conseguenza, con ridotta espressione di policistina 2 (PC2, codificata da PKD2) fossero nettamente minori rispetto alle LCL non affette da mutazione PKD. Questa riduzione è stata riscontrata anche nelle LCL affette da mutazione PKD1 in presenza di valori normali di PC2. La proliferazione cellulare, controllata dalla concentrazione intracellulare di Ca2+, è risultata ridotta nelle LCL affette sia da mutazioni in PKD2 che in PKD1. Rimane da chiarire se la minor proliferazione di queste cellule PKD in vitro si traduca in un simile effetto anche in vivo.

Anche nelle cellule T con mutazione di PKD2 e ridotta espressione di PC2 l’ingresso di calcio dopo stimolo con ATP sembrerebbe ridotto. Tuttavia, i linfociti T derivati dai pazienti con mutazioni PKD1 e PKD2 sembrerebbero avere un aumento della proliferazione cellulare, della chemiotassi e dell’aggregazione cellulare, cosa che potrebbe avere un ruolo nella patogenesi dell’infiammazione interstiziale [8].

Per quanto riguarda invece le mutazioni nel gene PKD1, è noto come la policistina 1 (PC1 codificata da PKD1) possa interferire con alcune vie di segnalazione, tra cui la cascata di attivazione delle chinasi N-terminali c-Jun (JNKs). La stimolazione di questa cascata provoca la degradazione della proteina anti-apoptotica Bcl-2 e causa conseguentemente un incremento dell’apoptosi delle cellule renali, dei linfociti e di varie altre linee cellulari [9,10,11].

Da queste evidenze è ipotizzabile che il deficit delle policistine possa disturbare l’omeostasi delle cellule immunitarie e che la citopenia possa essere un’intrinseca manifestazione di ADPKD correlata a fattori genetici. La linfopenia potrebbe perciò essere considerata una manifestazione extrarenale di ADPKD [5].

Infine non dimentichiamo che l’ADPKD rientra nella classificazione delle ciliopatie, un esteso gruppo di malattie genetiche accomunate dall’alterazione funzionale del ciglio primario, e che l’associazione tra immunodeficienza (sia umorale che cellulare) e ciliopatie è stata osservata e riportata più volte nel tempo [12,13]. Anomalie nel processo apoptotico, nella polarità cellulare, nell’espressione genica e nella ECM (ExtraCellular Matrix) risultano implicate nella patogenesi di ADPKD nonostante, a capo del processo che determina la crescita e sviluppo delle cisti, sembrano esserci un incremento della proliferazione cellulare e la secrezione di fluido [14].

Le similitudini strutturali e funzionali tra il ciglio primario e le sinapsi immunologiche potrebbero nascondere i link mancanti tra citopenia e ADPKD [12,13,15].

 

Caso clinico 1

Descriviamo il caso di un paziente affetto da ADPKD con riscontro di insufficienza renale cronica a 36 anni e successivo raggiungimento dello stadio di uremia terminale ed inizio di dialisi peritoneale (DP) a 42 anni. Regolarmente iscritto in lista trapianto da donatore cadavere, il paziente è stato successivamente sottoposto a nefrectomia bilaterale per motivi di ingombro addominale.

Dopo circa cinque anni dall’inizio della DP, il paziente ha ricevuto una prima convocazione per trapianto da donatore cadavere. Tuttavia, al momento del ricovero gli esami ematici dell’ingresso mostravano una significativa leucopenia linfocitopenica (globuli bianchi 3,4×109/l di cui linfociti 0,4×109/l), motivo per cui il paziente è stato ritenuto non idoneo al trapianto ed è stato dimesso con temporanea sospensione dalla lista, in attesa di eseguire approfondimenti clinici.

Gli esami degli anni precedenti avevano evidenziato una conta dei globuli bianchi e linfocitaria sempre ai limiti bassi della norma, ma nell’ultimo anno il dato sembrava essere in ulteriore progressiva riduzione.

In seguito a consulenza ematologica ed infettivologica, sono stati eseguiti i seguenti esami: tipizzazione linfocitaria, dosaggio delle immunoglobuline, elettroforesi proteica, pannello dell’autoimmunità, dosaggio degli indici di flogosi, sierologia per Toxoplasmosi, Rosolia, CMV, EBV, HSV, VZV e HIV, risultati tutti negativi. Dopo aver escluso le cause secondarie, si è quindi tentato di incrementare la depurazione dialitica massimizzando gli scambi di CAPD (5×2L). Nonostante questo, i globuli bianchi sono rimasti ai limiti inferiori della norma (Figura 1) con persistenza di una lieve linfopenia (Tabella I e Figura 1), motivo per cui il quadro è stato ritenuto benigno ed associato ad ADPKD. Il paziente è stato reinserito in lista ed è stato trapiantato con successo l’anno dopo. Un anno dopo il paziente non ha avuto complicanze legate all’immunosoppressione post-trapianto, pur persistendo una lieve linfopenia (globuli bianchi 3,9×109/l di cui linfociti 0,6×109/l).

  Globuli Bianchi

(×109/l)

Neutrofili

(×109/l)

Linfociti

(×109/l)

INIZIO DP 4,9 2,9 1,1
1° anno in DP 5,2 3,6 1,1
2° anno in DP 4,3 2,9 0,9
3° anno in DP 4,9 3,6 0,4
4° anno in DP 3 2 0,4
POST-BINEFRECTOMIA 3,7 2,5 0,5
5° anno in DP 2,7 1,7 0,3
1a CONVOCAZIONE 3,4 2,1 0,4
6° mese post-CONVOCAZIONE 3,4 2,4 0,3
8° mese post-CONVOCAZIONE 4,2 2,8 0,4
1° ANNO POST-TX 3,9 2,9 0,6
Tabella I: Conta dei globuli bianchi, neutrofili e linfociti dall’inizio della DP al post-trapianto del caso clinico 1
Figura 1: Grafico della variazione dei globuli bianchi, neutrofili e linfociti dall’inizio della DP al post-trapianto del caso clinico 1
Figura 1: Grafico della variazione dei globuli bianchi, neutrofili e linfociti dall’inizio della DP al post-trapianto del caso clinico 1

 

Caso clinico 2

Descriviamo di seguito un secondo caso clinico di un paziente di 60 anni affetto da ADPKD in trattamento dialitico peritoneale dall’età di 53 anni. Iscritto in lista trapianto da circa sei anni, esegue periodicamente i regolari esami di aggiornamento. Fin dall’inizio della DP è sempre stata evidente una moderata leucopenia (globuli bianchi <4×109/l), mai indagata perché stabile ed asintomatica (Tabella II). Tuttavia, in seguito al riscontro, circa due anni fa, di riduzione percentuale delle gammaglobuline (9,7%) e sospetto picco monoclonale in zona gamma, il paziente è stato temporaneamente sospeso dalla lista trapianto in attesa di eseguire accertamenti ematologici per escludere la presenza di gammopatia monoclonale. Sono stati eseguiti dosaggio delle immunoglobuline e delle catene leggere libere plasmatiche (rapporto k/l conservato), tipizzazione linfocitaria, pannello autoimmunitario, dosaggio degli indici di flogosi, sierologia per CMV, EBV e HIV, risultati tutti negativi.

Il paziente è stato quindi sottoposto ad agoaspirato midollare, il cui esito non evidenziava nulla di patologico. In particolare, lo studio immunofenotipico su sangue midollare mostrava linfociti T, B e NK pari a 67,2%, 6,3% e 26,3% rispettivamente, mentre le sottopopolazioni T CD8 e CD4 risultavano pari al 26% e 40%. Il paziente è stato quindi reinserito in lista trapianto attiva.

  Globuli Bianchi

(×109/l)

Neutrofili

(×109/l)

Linfociti

(×109/l)

INIZIO DP 3,5 2,4 0,9
1° anno in DP 3,8 2,5 0,8
2° anno in DP 4,3 2,9 0,9
3° anno in DP 3,3 2,1 0,9
4° anno in DP 3,6 2,4 0,8
5° anno in DP 3,6 2,4 0,8
6° anno in DP 2,9 1,8 0,8
7° anno in DP 3,2 2,1 0,7
Tabella II. Conta dei globuli bianchi, neutrofili e linfociti del caso clinico 2

 

Discussione

I casi descritti riguardano il riscontro occasionale di leucopenia linfocitopenica in due pazienti affetti da ADPKD.

In uno dei casi, addirittura, la leucopenia era risultata talmente severa da ritenere il paziente temporaneamente non idoneo per il trapianto. L’esecuzione di esami di approfondimento ematologici ed infettivologici ha poi permesso di inquadrare la leucopenia linfocitopenica come benigna, motivo per cui il paziente è stato reinserito in lista trapianto e trapiantato con successo l’anno dopo, mantenendo l’immunosoppressione al minimo indispensabile. Nel secondo caso clinico invece, la leucopenia linfocitopenica era di entità meno rilevante e stabile da tempo, motivo per cui il paziente era regolarmente inserito in lista d’attesa per trapianto renale. Tuttavia, la comparsa di ipogammaglobulinemia associata a componente monoclonale ha reso necessario l’esecuzione di agoaspirato midollare. L’esame ha escluso la presenza di gammopatia monoclonale e ci ha permesso di studiare le popolazioni linfocitarie direttamente su sangue midollare, risultate nella norma.

Da notare che in entrambi i casi si tratta di pazienti in trattamento dialitico peritoneale, a differenza della maggior parte della casistica riportata in letteratura che descrive pazienti in trattamento emodialitico. Questo ci ha permesso di escludere l’ipotesi di leucopenia secondaria alla disregolazione immunitaria che tipicamente caratterizza i pazienti emodializzati (legata principalmente al grado di biocompatibilità delle membrane di dialisi e all’adeguatezza dialitica [16,17,18]) e di avvalorare invece altre ipotesi, tra cui quella di leucopenia associata ad ADPKD, motivo per cui abbiamo condotto una revisione della letteratura a riguardo.

La leucopenia linfocitopenica infatti è sempre più comunemente descritta nei pazienti ADPKD tanto da poter essere considerata una manifestazione non cistica extrarenale della malattia [19]; tuttavia, è difficile stabilire fino a che punto questa sia una condizione benigna, o quando invece rappresenti una spia di una malattia ematologica, o al contrario possa rappresentare un rischio per lo sviluppo di malattie infettive o oncologiche.

Tutto questo ha ancora più senso se pensiamo che i pazienti ADPKD sono ottimi candidati al trapianto renale, avendo riportato elevata sopravvivenza del paziente e dell’organo sia da donatore cadavere che da vivente [20,21]. Inoltre nei pazienti ADPKD si è osservato nel corso degli ultimi anni un aumento della probabilità di ricevere un trapianto, con una prevalenza di trapianto come modalità di terapia sostitutiva, aumentata dal 43,5% al 59,1% tra il periodo 1991-1996 e 2006-2010, rispetto ai pazienti non ADPKD in cui si è osservato un aumento di prevalenza molto meno significativo dal 41,2% al 44,1% [22]. Tutto ciò è dovuto probabilmente al miglior follow-up nel periodo pre-dialitico che dà la possibilità di affrontare per tempo la tematica del trapianto e nello specifico quella da donatore vivente.

La prima questione è quindi: come inquadriamo la leucopenia linfocitopenica nei pazienti affetti da ADPKD? Da questo punto di vista esistono al momento sufficienti evidenze per definirla una manifestazione benigna extrarenale della malattia policistica. Tuttavia, se è di primo riscontro, particolarmente severa o associata ad altre alterazioni ematologiche, la leucopenia merita di essere indagata al fine di escludere malattie ematologiche sottostanti. In entrambi i nostri casi clinici è stato necessario indagare la leucopenia, nel primo caso solo con esami ematici, nel secondo, essendo anche presente la componente monoclonale, si è reso necessario l’esame invasivo midollare.

La seconda questione è: che impatto ha la leucopenia linfocitopenica sul rischio infettivologico e oncologico post-trapianto? È necessario modulare la terapia immunosoppressiva post-trapianto?

Relativamente a questi aspetti i dati non sono così chiari e non permettono di giungere a conclusioni definitive. Tuttavia, già indipendentemente dal trapianto, i pazienti ADPKD hanno un maggior rischio di sviluppare alcuni tipi di infezioni, quali diverticolite ed infezioni delle vie urinarie [23,24]. Tale rischio è perlopiù legato alle condizioni anatomiche favorenti, e potrebbe essere aumentato nel post-trapianto per via dell’effetto dell’immunosoppressione. Dati di registro danese relativi ai pazienti trapiantati con ADPKD, hanno mostrato come in questo sottogruppo di pazienti sia maggiore il rischio di polmonite da Pneumocistis jirovecii rispetto ai pazienti non ADPKD e come questo sia associato ad un aumento dell’ospedalizzazione e della mortalità [25] . In altri studi retrospettivi condotti sui pazienti trapiantati, è stata evidenziata una maggiore incidenza di bronchiectasie e di infezioni polmonari ricorrenti nei pazienti ADPKD [26,27]. Da questo punto di vista, da un lato il deficit di PC1 e PC2 nelle ciglia dell’epitelio bronchiale potrebbe essere responsabile della loro alterata funzione e favorire perciò la formazione di bronchiectasie [28], dall’altro la superinfezione potrebbe poi essere favorita dalla compromessa meccanica ventilatoria legata all’ingombro addominale.

A tutte queste condizioni anatomiche si aggiunge la presenza di linfopenia che è più frequente nei pazienti ADPKD e che è ben noto essere un fattore predisponente alle infezioni e alla mortalità per infezioni nella popolazione generale [4]. In uno studio prospettico danese condotto su un ampio campione di popolazione generale (n=98,344) la linfopenia (conta dei linfociti <1,1×109/l) è risultata associata ad un rischio maggiore di 1,4 volte di sviluppare infezioni e ad un rischio maggiore di 1,7 volte di decesso correlato alle infezioni [29].

Se queste evidenze sono valide per i trapiantati di rene e per la popolazione generale, rimane ancora da chiarire se la linfopenia associata ad ADPKD sia clinicamente rilevante e quale possa essere il suo ruolo nel decorso clinico e prognostico dei pazienti affetti da ADPKD [5].

Due studi retrospettivi condotti sulla popolazione taiwanese hanno rilevato come i soggetti affetti da ADPKD, probabilmente a causa del loro aumentato rischio di sviluppare linfopenia, abbiano potenzialmente un maggior rischio di incorrere in infezioni virali (specie quelle dovute a herpes virus come Varicella Zoster Virus in forma severa) e in infezione da tubercolosi rispetto ai controlli affetti da altre patologie stratificati per età, genere e comorbidità [30,31].

D’altra parte, anche se l’associazione teorica tra linfopenia ed infezioni sembra plausibile, questo non significa che tutti i pazienti ADPKD abbiano un rischio infettivo aumentato.

A riprova di ciò in alcuni studi retrospettivi condotti sui pazienti trapiantati, il rischio di infezione da BK polioma e di infezioni fungine sembrerebbe addirittura ridotto nei pazienti ADPKD rispetto ai non ADPKD [19,32] . Inoltre, anche il rischio di infezione da CMV post-trapianto non sembrerebbe essere influenzato dalla nefropatia di base [33].

Relativamente al rischio oncologico è fatto ben noto che i pazienti affetti da ADPKD abbiano un rischio aumentato di tumore renale, il cui riscontro è per lo più occasionale in nefrectomie eseguite per altri motivi [34]. In alcune casistiche i pazienti affetti da ADPKD sembrerebbero anche avere un aumentato rischio di tumore del colon ed epatico [35]. Tuttavia, anche a questo riguardo i dati sono inconclusivi probabilmente perché la biologia dei tumori è estremamente varia e non solo spiegabile dall’alterazione di un’unica via del segnale. Certo è che le vie del segnale a valle di mTOR, di PC1 e PC2, tutte alterate in corso di malattia policistica, hanno un effetto favorente sulla proliferazione cellulare [36]. Nel post-trapianto, inoltre, nei pazienti affetti da ADPKD sembrerebbe esserci un rischio di sviluppare carcinomi cutanei non melanoma 1,5 volte maggiore rispetto ai pazienti non ADPKD [19,37,38].

A questo proposito sappiamo che la riduzione dei linfociti CD4 è un fattore di rischio, mentre la riduzione anche dei linfociti T CD8 e dei linfociti B è un fattore di rischio per i tumori solidi [39,40]. Tuttavia, l’impatto della linfopenia sul rischio oncologico nei pazienti ADPKD (trapiantati e non) non è noto.

In conclusione, le evidenze finora disponibili non consentono di avere dati definitivi e sono necessari studi prospettici che analizzino se i pazienti affetti da ADPKD linfocitopenici sottoposti a trapianto abbiamo davvero un aumentato rischio infettivologico e oncologico rispetto agli stessi pazienti senza linfopenia. Tutto ciò avrebbe delle importanti ripercussioni pratiche sulla scelta della terapia immunosoppressiva nei pazienti ADPKD che potrebbe essere personalizzata in base al profilo di rischio. Sarebbe inoltre interessante valutare l’associazione genotipo/fenotipo, che ci consentirebbe di capire se la linfopenia è un riscontro casuale, legato al solo ambiente uremico o al sequestro renale dei leucociti, o se al contrario siano implicati fattori legati alla proliferazione cellulare influenzati dalla genetica del rene policistico.

 

Conclusioni

La leucopenia linfocitopenica potrebbe essere considerata una manifestazione non cistica extrarenale dell’ADPKD, le cui implicazioni cliniche non sono ancora ben note. L’eziologia non è stata ancora identificata: è possibile che l’ambiente uremico, così come il sequestro dei linfociti da parte degli organi aumentati di volume, possa avere un ruolo. Tuttavia, sembrerebbe che le mutazioni nei geni PKD1 e PKD2 possano essere associate sia ad una ridotta proliferazione sia all’aumento dell’apoptosi dei linfociti.

La linfopenia nel paziente affetto da ADPKD pone alcuni problemi di gestione, legati dapprima al riconoscimento della condizione come benigna ed associata alla malattia e successivamente alla gestione anche in vista del trapianto. In modo particolare l’entità della linfopenia da un lato potrebbe condizionare l’eleggibilità al trapianto alla luce del rischio immediato infettivo, e dall’altro necessita di una personalizzazione e modulazione anche a lungo termine dell’immunosoppressione.

La linfopenia potrebbe essere un’altra delle espressioni della variabilità genotipo/fenotipo della malattia policistica e sarebbe interessante valutarne la prevalenza, le caratteristiche ed eventualmente relazionarla al genotipo e alla severità di malattia. Studi prospettici condotti specificatamente sulla popolazione ADPKD sono necessari per valutare l’effettiva relazione tra linfopenia e rischio infettivologico ed oncologico, in assenza dei quali ogni conclusione può solo essere dedotta dai dati sulla popolazione generale.

 

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Slowing progression of chronic kidney disease in polycistic kidney disease patients with tolvaptan: from guidelines to clinical practice

Abstract

Autosomal dominant polycystic kidney disease (ADPKD) is the most common hereditary kidney disease and accounts for∼10% of patients on renal replacement therapy. In the last decade, no specific treatment was available and only preventive measures could be put in place to delay the onset of ESRD. Following the results of the TEMPO 3:4 study, tolvaptan was approved in many countries, for the purpose of slowing the progression of renal insufficiency.

In Italy tolvaptan is available since 2016 for patients with chronic kidney disease (CKD) stage 1-3, and since 2020 for patients with CKD stage 4, who fulfil the criteria of “rapid disease progression”, according to the European recommendations.

After this approval, Italian nephrology units have had to change their organization to be able to identify the patients eligible for the drug and to guarantee frequent patient monitoring.

In this paper, we present our three-year experiences with tolvaptan, focusing on its safety profile and tolerability, but also on the high burden of care that such therapy represents not only for doctors, but also for patients. Strategies to implement remote monitoring may be useful to reduce the burden of assistance on one side, and the medicalization of ADPKD patients in the early stage of the disease, on the other.

Keywords: ADPKD, tolvaptan, remote monitoring, burden of care

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Introduzione

La malattia del rene policistico autosomica dominante (ADPKD) è la più comune malattia ereditaria renale, ed è presente in circa il 10% dei pazienti in terapia sostitutiva renale [1]. È una patologia che esordisce tipicamente in età adulta e all’incirca il 70% dei pazienti raggiunge lo stadio terminale dell’insufficienza renale all’età di 58 anni [2]. La malattia presenta tuttavia un’estrema variabilità fenotipica sia inter che intra familiare, legata alla complessità genetica, motivo per cui alcuni pazienti hanno un decorso della malattia più aggressivo con necessità di trattamento sostitutivo anche prima dei 40 anni, mentre altri presentano un decorso più lento, e non raggiungono mai lo stadio terminale dell’insufficienza renale cronica (IRC), neanche in età avanzata [3].

Nella maggioranza dei casi, la malattia è causata da mutazioni nei geni PKD1 e PKD2, che codificano rispettivamente per la policistina 1 e 2. Queste proteine di membrana sono localizzate nel ciglio primario ed interagiscono tra loro formando un canale per il calcio. La loro interazione è cruciale per il corretto funzionamento del canale per cui, anche se la mutazione interessa una sola delle due proteine, il canale risulta disfunzionante. Le mutazioni in PKD1, riguardanti il 75-78% dei casi, sembrano correlate a fenotipi clinici più gravi, con manifestazioni precoci che portano all’IRC terminale mediamente 20 anni prima rispetto alle forme con mutazioni in PKD2, responsabili del 15% circa dei casi. Nei rimanenti 7-10% dei casi, non vengono identificate mutazioni né in PKD1 né in PKD2. Si tratta di casi definiti geneticamente irrisolti (GUR), nei quali non è possibile identificare la mutazione perché localizzata all’interno di regioni del gene non valutabili. In alcuni di questi casi GUR sono state identificate mutazioni in altri geni (PKHD1, GANAB, DNAJ11) [4,5].

Fino alla scorsa decade, il trattamento dell’ADPKD non prevedeva una terapia specifica, ma solo misure generali di prevenzione finalizzate a rallentare la progressione dell’IRC. Alcuni farmaci modificanti il decorso della malattia (disease-modifying drugs), come ad esempio gli inibitori di mTOR, hanno mostrato risultati promettenti in studi preclinici, ma i successivi trial clinici non ne hanno confermato l’efficacia [68]. La prima vera svolta si è avuta nel 2012, con lo studio TEMPO 3:4. In questo studio è stato valutato l’effetto del tolvaptan in pazienti affetti da ADPKD con GFR >60 mL/min e volume renale totale (TKV) >750 mL. Il tolvaptan è un antagonista del recettore V2 della vasopressina e agisce bloccando i recettori a livello renale e il successivo segnale mediato da cAMP, il quale è coinvolto nella crescita delle cisti. Nello studio TEMPO 3:4, il tolvaptan si è dimostrato efficace nel rallentare la crescita renale e la perdita di eGFR rispettivamente del 49% e del 26% annuo (TKV da 5.5% al 2.8%, eGFR da 3.70 a 2.72 mL/min/1.73m2) durante un periodo di osservazione di 3 anni [9].

Sulla base di questi risultati, nel 2015 la European Medicine Agency (EMA) ha approvato l’uso del tolvaptan per rallentare la progressione dello sviluppo delle cisti e dell’insufficienza renale nei pazienti adulti con ADPKD ed IRC stadio 1-3, con evidenza di malattia rapidamente progressiva, definita sulla base delle raccomandazioni ERA-EDTA [10]. Tra i criteri da soddisfare, secondo le raccomandazioni, deve essere presente almeno uno tra: la perdita del filtrato glomerulare, nella misura di 2.5 mL/min/1.73 m2 per anno in 5 anni, o la riduzione di 5 mL/min/1.73 m2 in un anno; l’aumento del volume totale renale del 5% per anno su almeno 3 misurazioni, eseguite a distanza minima di 6 mesi; la possibilità di definire la patologia nelle classi 1C-1E secondo la classificazione della Mayo Clinic; un PRO-PKD score >6. Mentre la Mayo Clinic ADPKD Classification tiene conto di età, altezza e altri parametri morfologici (volumi totali renali), il PRO-PKD score assegna dei punti in base al sesso (il sesso maschile peggiora la prognosi), alla clinica (nello specifico la comparsa di ipertensione o problematiche urologiche prima dei 35 anni di età) e al tipo di mutazione genetica (mutazioni troncanti o non-troncanti sul gene PKD1 sono associate ad un peggior andamento), un punteggio complessivo superiore a 6 è maggiormente correlato ad una rapida progressione di malattia.

Nel 2017, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), ha approvato la rimborsabilità per il tolvaptan nei pazienti ADPKD “rapidi progressori” con IRC stadio 1-3. Nello stesso anno, sono stati pubblicati i risultati dello studio Reprise, che hanno confermato l’efficacia del tolvaptan nel rallentare il declino del eGFR anche negli stadi più avanzati di IRC (GFR 25-65 mL/min) [11]. In accordo con questi risultati, EMA ed FDA hanno esteso le indicazioni d’uso all’IRC 4 stadio. Nel 2020 anche l’AIFA ha recepito l’estensione dell’indicazione ed il farmaco al momento è prescrivibile e rimborsale nei pazienti con eGFR fino a 25 mL/min.

Il tolvaptan è nella maggior parte dei casi ben tollerato tuttavia, a causa dell’effetto acquaretico e del rischio di epatotossicità, è necessario uno stretto monitoraggio per valutare la tollerabilità clinica, lo stato volemico, un eventuale rapido incremento della sodiemia e degli enzimi epatici. Sul foglietto illustrativo è raccomandato il controllo degli esami ematici mensile durante i primi 18 mesi di terapia e successivamente ogni 3 mesi.

D’altra parte il beneficio atteso è stimato in un ritardo di inizio della terapia sostitutiva di circa 1 anno ogni 4 anni di terapia [10], motivo per cui le Unità di Nefrologia hanno dovuto riorganizzare l’assistenza ai pazienti con ADPKD al fine di poter garantire la prescrizione del farmaco e soprattutto il follow-up. Laddove non fosse già presente, è stato necessario identificare personale dedicato che potesse valutare l’eleggibilità al tolvaptan ed al contempo garantire il monitoraggio frequente.

D’altra parte, i frequenti accessi in ospedale per prelievi e visite di controllo rappresentano non solo un aumento del carico per il medico, ma anche e soprattutto un incremento della percezione della malattia per il paziente. Questo è ancor più rilevante se consideriamo che nella maggior parte dei casi i pazienti sono in una fase iniziale di IRC, nella quale, in assenza della terapia, farebbero controlli annualmente o semestralmente.

In questo studio, presentiamo la nostra esperienza triennale nell’uso del tolvaptan in pazienti affetti da ADPKD.

 

Materiali e metodi

Lo studio è stato condotto presso l’ospedale San Bortolo di Vicenza, nel quale l’ambulatorio dedicato alle malattie genetiche esiste dal 2007 e garantisce la presa in carico dei pazienti affetti da malattie genetiche nefrologiche. L’ambulatorio è supportato da un laboratorio di Genetica nel quale collaborano due genetiste biologhe. Dal 2018, ovvero da quando abbiamo iniziato a prescrivere il tolvaptan, complessivamente tre medici nefrologi sono stati dedicati all’ambulatorio delle malattie genetiche.

Nel periodo compreso tra aprile 2018 e giugno 2021, abbiamo trattato complessivamente 25 pazienti.

Sono state seguite le indicazioni al trattamento riportate sul “position statement sull’impiego del tolvaptan nei pazienti affetti da rene policistico” della Società Italiana di Nefrologia (SIN), pubblicato nel 2017, subito dopo l’approvazione dell’AIFA. I criteri prescrittivi sono riassunti nella Tabella I.

All’avvio del trattamento sono stati raccolti dati demografici e clinici. Il dosaggio di partenza del tolvaptan è stato di 45 mg al mattino e 15 mg al pomeriggio, assunto quotidianamente. La dose è stata titolata mensilmente, monitorando tolleranza ed esami ematici, fino al dosaggio massimo di 90/30 mg.

L’analisi genetica è stata condotta nei pazienti senza storia familiare di malattia per ottenere diagnosi di certezza, o in quelli in cui la malattia rapidamente progressiva doveva essere valutata attraverso il PROPKD score. È stata inoltre proposta a tutti i pazienti in età fertile in prospettiva di una gravidanza o in quelli con figli, con l’intenzione di dare a questi ultimi l’opportunità, al raggiungimento della maggiore età e qualora lo volessero, di avere una diagnosi precoce.

L’analisi dei geni PKD1, PKD2 e PKHD1 è stata condotta mediante Next Generation Sequencing con tecnologia a cattura e arricchimento dei target (NGS, NES-v3, Sophia genetics by MISeqDx, Illumina). Le varianti identificate sono state validate con analisi di sequenziamento Sanger (3500 Genetic Analyzer Applied Biosystem).

Tutti i pazienti hanno firmato un consenso informato e lo studio è stato approvato dal comitato etico locale.

Età

>18 anni e <55 anni

IRC

GFR compreso tra 89-25 mL/min/1.73m2, valutato con l’equazione CKD-EPI

Diagnosi certa per la forma tipica di ADPKD

1)    Storia familiare positiva con criteri Pei aggiustati per età

2)    Test genetico positivo

Nefromegalia

1)    RM/TC: TKV >750 mL o htTKV >600 mL o diametro bipolare renale >16.7 cm

2)    Ecografia: diametro bipolare >16.8 cm

Malattia rapidamente progressiva

1)    Perdita di GFR >5 mL/min/1.73m2 all’anno negli ultimi 12 mesi

2)    Perdita di GFR >2.5 mL/min/1.73m2 all’anno negli ultimi 5 anni

3)    Aumento di TKV >5% all’anno, valutato con RM o TC

4)    Stadio 1C-1E della Mayo Clinic

5)    PROPKD score >6

Legenda: IRC, insufficienza renale cronica; GFR, velocità di filtrazione glomerulare valutata con CKD-EPI; ADPKD, sindrome del rene policistico autosomico dominante; RM, risonanza magnetica; TC, tomografia computerizzata; TKV, volume totale renale; htTKV, volume totale renale aggiustato per altezza
Tabella I: indicazioni italiane per la prescrizione del tolvaptan secondo AIFA

 

Risultati

Nella Tabella I sono riassunti i criteri diagnostici utilizzati per reclutare i pazienti al trattamento con tolvaptan. Tutti i pazienti hanno ricevuto informazioni complete riguardo l’efficacia del trattamento e i possibili effetti collaterali. In particolare, sono stati illustrati il rischio di tossicità epatica, di disidratazione, poliuria e polidipsia, concentrando l’attenzione sulla necessità di avere accesso libero all’acqua.

Sono stati anche informati della necessità di frequenti prelievi ematici e visite mediche, mensili per i primi 18 mesi e successivamente trimestrali. Sono state date informazioni circa le interazioni del farmaco e la necessità per le donne di prevenire gravidanze durante il trattamento. Le caratteristiche dei pazienti sono riassunte nella Tabella II.

La mediana dell’età di inizio del trattamento è stata di 45 anni (range interquartile 39-48). Il GFR è stato stimato mediante l’equazione CKD-EPI in tutti i pazienti tranne uno, per il quale, a causa delle caratteristiche antropometriche (superficie corporea di 2.3 m2) il GFR è stato misurato con scintigrafia renale con cromo-51 marcato con acido etilendiamminotetracetico (51Cr-EDTA). Il valore di GFR mediano è stato di 51 mL/min/1.73 m2 (IQ 45-63).

Quattro pazienti non avevano una storia familiare positiva per ADPKD, per cui la diagnosi di certezza è stata ottenuta con il test genetico. In tutti i pazienti con storia familiare positiva la diagnosi di certezza è stata fatta con l’ecografia usando i Criteri Unificati di Pei [12]. Una mutazione patogenetica o verosimilmente patogenetica è stata identificata in 20 pazienti, dei quali 17 avevano una mutazione in PKD1, 14 troncanti e 3 non troncanti, e 3 pazienti avevano una mutazione in PKD2. In quattro pazienti sono state riscontrate mutazioni di incerto significato in PKD1. Interessante è la condizione di un paziente che presenta una mutazione in PKD1, di significato incerto, in associazione ad una mutazione patogenetica in PKHD1.

La nefromegalia è stata indentificata in tutti i pazienti tramite indagine ultrasonografica. In 6 pazienti (24%), per i quali né la clinica (perdita di GFR), né il PROPKD score sono stati sufficienti per definire i criteri di malattia rapidamente progressiva, sono state eseguite anche Risonanza Magnetica o Tomografia Computerizzata, per poter utilizzare la classificazione della Mayo Clinic.

La malattia rapidamente progressiva è stata identificata in 18/25 (72%) usando il criterio della perdita di GFR, in 1/25 (4%) utilizzando il PROPKD score e in 6/25 (24%) con la classificazione della Mayo-Clinic (classe 1C-1E) (Tabella II).

Due pazienti hanno interrotto il trattamento a causa di poliuria e polidipsia incompatibili con il loro stile di vita. Le interruzioni sono state registrate rispettivamente dopo il primo e il sesto mese di terapia. Una paziente affetta anche da policistosi epatica è stata arruolata nonostante valori basali di gamma-glutamil transferasi (γGT) di 1.5 volte oltre il limite. La dose del tolvaptan, tuttavia, non è stata massimizzata, perché quando la dose è stata aumentata a 90/30 mg si è verificato un rialzo di γGT di 3 volte e un leggero incremento della aspartato transaminasi (AST), che è regredito dopo la riduzione della dose.

Una paziente ha invece manifestato un importante rialzo dei valori delle transaminasi 4 mesi dopo l’inizio del farmaco (AST x 14: 502 U/L, ALT X 28: 997 U/L), in assenza di concomitante aumento della bilirubina, senza quindi rientrare nei criteri di Hy’s. L’aumento delle transaminasi si è verificato alla dose intermedia 60/30 mg ed è lentamente regredito a distanza di 4 mesi dalla sospensione.

Non si segnalano rialzi significativi dei valori di acido urico agli esami di controllo, e il monitoraggio clinico non ha fatto emergere episodi riferibili ad attacchi acuti di gotta. Molti dei pazienti erano tuttavia già in terapia con farmaci uricosurici, dei quali comunque non è stato necessario aumentare la dose.

Abbiamo eseguito un totale di 365 visite mediche per i 25 pazienti arruolati, ovvero un numero 5 volte superiore a quello previsto per pazienti con lo stesso grado di IRC, secondo quanto raccomandato dalle linee guida KGIDO [13]. I pazienti sono stati quindi sottoposti a frequenti prelievi per esami ematici e quelli non in possesso di un’esenzione completa hanno dovuto pagare le analisi, dal momento che la sola esenzione per la malattia genetica copre solo alcuni degli esami richiesti per il monitoraggio.

Pz Genere (M/F) Età (anni) GFR (mL/min/1.73m2) Storia familiare Progres-sione Mutazione genetica Significato clinico
1 M 36 46 Positiva Perdita GFR PKD1: missenso c.8264T>C VoUS, non troncante
2 M 45 47 Positiva PROPKD >6 PKD1: frameshift c.2711_2712delAG Patogenetica, troncante
3 M 48 45 Positiva Perdita GFR PKD2: nonsenso c.2533C>T Patogenetica, troncante
4 F 39 80 Positiva Perdita GFR PKD2:deletion c.1_2907del Patogenetica, troncante
5 F 45 68 Positiva Perdita GFR PKD1: frameshift c.6135_6147 delinsTTCAACGCCTTC Verosimilmente patogenetica, troncante
6 M 44 45 Positiva Perdita GFR PKD1: frameshift c.7168dupG Patogenetica, troncante
7 M 45 51 Positiva Perdita GFR PKD1: splice c.9397+1G>A Patogenetica, troncante
8 M 37 69 Negativa 1E Mayo Clinic PKD1:non senso c.6406C>T Patogenetica, troncante
9 F 27 47 Positiva 1E Mayo Clinic PKD1: frameshift c.5014_5015delAG Patogenetica, troncante
10 M 50 63 Positiva 1C Mayo Clinic PKD1:splice c.12004-6_12026del Verosimilmente patogenetica, troncante
11 M 43 51 Positiva Perdita GFR PKD1:missenso c.896G>C VoUS, non troncante
12 M 44 55 Positiva Perdita GFR PKD1: splice c.6916-9G>A Verosimilmente patogenetica, troncante
13 F 46 53 Positiva 1C Mayo Clinic PKD1: in frame c.223_228del

PKHD1:missenso c.2279G>A

PKD1: VoUS, non troncante. PKHD1:

verosimilmente patogenetica, non troncante

14 F 50 45 Positiva Perdita GFR PKD1:deletion 5976_5978delCAC

Verosimilmente patogenetica,

non troncante

15 M 39 64 Positiva Perdita GFR PKD1:missenso c.1259A>G

Verosimilmente patogenetica,

non troncante

16 F 43 54 Negativa 1C Mayo clinic PKD1:non senso c.10423C>T Patogenetica, troncante
17 M 33 72 Positiva Perdita GFR PKD1:deletion c.6632_6638delTGAGCCG Patogenetica, troncante
18 M 55 31 Positiva Perdita GFR PKD1:frameshift c.11334_11343dupCAGCGATTAC Patogenetica, troncante
19 M 49 27 Negativa Perdita GFR PKD1: missenso c.9146 C>T VoUS, non troncante
20 F 45 52 Positiva Perdita GFR PKD1: nonsenso c.1102C>T

Missenso c.6749C>T

PKD1: patogenetica, troncante nell’esone 5; VoUS, non troncante nell’esone 15
21 M 53 27 Positiva Perdita GFR Non eseguita
22 F 45 42 Positiva Perdita GFR PKD1:missenso c.6560G>T

PKHD1: missenso c.10592T>C

PKD1: verosimilmente patogenetica, non troncante. PKHD1: verosimilmente benigna, non troncante
23 F 41 39 Positiva Perdita GFR PKD1:frameshift c.11511dupG PKD1: patogenetica, troncante
24 M 46 62 Negativa Perdita GFR PKD1:nonsenso c.12031C>T

 

PKD1: patogenetica, troncante
25 F 37 64 Positiva 1 D Mayo Clinic PKD2: frameshift 2159delA PKD2: patogenetica, troncante
Legenda: GFR, velocità di filtrazione glomerulare, VoUS, variante di incerto significato
Tabella II: caratteristiche dei pazienti

 

Discussione

L’approvazione del tolvaptan per il rallentamento della crescita delle cisti è stata una svolta terapeutica nell’ambito della terapia dell’APDKD, che finora si era avvalsa solo di misure preventive generiche. Il farmaco è però stato studiato ed ha dimostrato la sua efficacia solo in presenza di “malattia rapidamente progressiva”, motivo per cui l’indicazione terapeutica è limitata a questa categoria di pazienti.

Sebbene esistano diversi modi per valutare la “malattia rapidamente progressiva” il metodo più semplice, immediato ed economico è misurare la perdita di filtrato glomerulare che deve essere >di 2.5 mL/min/1.72 m2 all’anno negli ultimi 5 anni, o >5 ml/min/1.72 m2 nell’ultimo anno. Tuttavia, il GFR rimane per definizione stabile per molto tempo, pur in presenza di un processo patologico sottostante, cosicché il criterio della perdita di filtrato glomerulare può non essere da solo sufficiente ad identificare tutti i pazienti “rapidi progressori”, soprattutto nelle fasi iniziali di malattia. Bisogna quindi essere in grado di garantire un approccio multidisciplinare per poter ricercare gli altri criteri di “malattia rapidamente progressiva”.

La terapia con tolvaptan richiede frequenti monitoraggi bioumorali ed accessi al centro per valutare gli effetti collaterali. L’inibizione del recettore della vasopressina causa infatti poliuria e polidipsia, che, sebbene siano la prova dell’efficacia del farmaco, rappresentano la principale cause di interruzione del trattamento. Nella nostra esperienza 3/25 (12%) pazienti hanno sospeso il farmaco, due per incompatibilità con lo stile di vita, ed uno per aumento degli enzimi epatici. Tali dati sono sovrapponibili a quanto riscontrato negli studi TEMPO 3:4 e 4:4 [9,11].

Il vero effetto collaterale del farmaco è l’epatotossicità descritta in circa il 4.4% dei pazienti trattati con tolvaptan e definita da un rialzo dell’alanina aminotransferasi (ALT) 3 volte oltre il limite e un aumento di bilirubina maggiore di 2 volte il limite. Tutti i casi si sono verificati durante i primi 18 mesi dall’inizio della terapia e si sono risolti con l’interruzione del trattamento. Anche se non frequente, il rischio di epatotossicità esiste, motivo per cui i pazienti necessitano di un monitoraggio mensile degli enzimi epatici. In letteratura è descritto un caso di epatotossicità grave che ha richiesto il trapianto epatico [14].

In conseguenza allo stretto monitoraggio imposto dalla terapia, i pazienti devono eseguire frequenti esami e visite di controllo, pur essendo in una fase iniziale di IRC, che secondo quanto raccomandato dalle linee guida, richiederebbe solo una o due valutazioni l’anno. Questo comporta la medicalizzazione di una condizione che di per sé ancora non lo richiede e anticipa la percezione del paziente di essere affetto da una patologia cronica. Per tutte queste ragioni, i pazienti che iniziano il tolvaptan, devono essere fortemente motivati. L’assunzione della terapia deve poi essere continuativa perché se assunto in maniera intermittente, l’effetto rebound della vasopressina potrebbe addirittura essere controproducente.

La gestione dei pazienti in terapia con tolvaptan è difficile anche dal punto di vista dell’organizzazione medica, e lo è stata ancora di più durante la pandemia. L’epatotossicità sebbene non frequente, è senza dubbio un effetto collaterale grave e temibile ed il monitoraggio laboratoristico è imprescindibile. Tuttavia la reale necessità di sottoporsi a visite in presenza può probabilmente essere ridimensionata, soprattutto dopo i primi 5-6 mesi di terapia, quando la poliuria si stabilizza ed il paziente diventa confidente con la terapia e la gestione dei liquidi. In questa fase potrebbe essere sufficiente garantire un monitoraggio da remoto degli esami di laboratorio ed un contatto telefonico, evitando l’accesso in centro del paziente. Questo approccio è stato utilizzato durante la pandemia ed in molti casi continuato anche dopo il lockdown, soprattutto per quei pazienti residenti fuori provincia ed afferenti ad altre Nefrologie.

Questo modello di implementazione della telemedicina non solo riduce il carico di lavoro per i medici che si occupano dei pazienti ADPKD in terapia con tolvaptan, ma soprattutto riduce la percezione di malattia, senza comunque modificare la qualità dell’assistenza offerta.

 

Conclusioni

Il tolvaptan è al momento l’unico farmaco disponibile per rallentare la progressione dell’IRC nei pazienti affetti da ADPKD. L’identificazione dei pazienti candidati al farmaco richiede un approccio multidisciplinare, con coinvolgimento di figure professionali diverse. La possibilità di eseguire esami strumentali per calcolare i volumi renali (TKV) e la classe Mayo Clinic, così come l’analisi genetica per poter calcolare il PROPKD score è fondamentale per identificare quei pazienti “rapid progressors” non altresì identificabili con il solo criterio di perdita di GFR.

L’intenso follow-up clinico dei pazienti in trattamento con tolvaptan potrebbe essere rimodulato, affiancando visite in presenza a visite eseguite in telemedicina, soprattutto dopo i primi 6 mesi di terapia, quando il volume urinario si è stabilizzato ed il paziente ha imparato la gestione dei bilanci. Questo approccio consentirebbe di ottimizzare tempo e risorse, senza rinunciare alla sicurezza ed alla qualità delle cure.

 

Bibliografia

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  14. Endo M, Katayama K, Matsuo H, Horiike S, Nomura S, Hayashi A, et al. Role of Liver Transplantation in Tolvaptan-Associated Acute Liver Failure. Kidney Int Rep 2019; 4(11):1653-7. https://doi.org/10.1016/j.ekir.2019.09.002

ADPKD and intracranial aneurysms: indications for screening, follow-up and clinical management

Abstract

Autosomal dominant polycystic kidney disease (ADPKD) is the most frequent hereditary nephropathy and is the fourth most common cause for end-stage renal disease in Europe. ADPKD is a systemic disease; besides the typical renal involvement, characterized by progressive cyst expansion leading to massive enlargement and distortion of the kidney architecture and, ultimately, to end-stage renal disease, multiple extrarenal manifestations can be observed included cysts in other organs, diverticulosis, cardiac valvulopathies, abdominal and inguinal hernias, vascular anomalies. The rupture of an intracranial aneurysm is one of the most serious complications in ADPKD patients. Aim of this review is to provide useful indications for the clinician to define the risk of intracranial aneurysms in ADPKD population, to identify screening criteria (which patients to screen, how often and with which diagnostic methods), to estimate the risk of rupture of intracranial aneurysms, which may require intervention.

Keywords: ADPKD, intracranial aneurysms, screening, risk of rupture, treatment

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Introduzione

La malattia renale policistica autosomica dominante dell’adulto (ADPKD) è la più comune nefropatia ereditaria, con una prevalenza stimata tra 1/1000 e 1/2500 individui [1,2]. L’ADPKD rappresenta la quarta causa di end-stage renal disease (ESRD) per incidenza e prevalenza [3] e si stima che in Europa un paziente in dialisi su 10 sia affetto da ADPKD [4]. In Italia vi sono almeno 32000 pazienti affetti da ADPKD [5,6].

Oltre al noto coinvolgimento renale, in pazienti ADPKD si possono osservare con frequenza variabile coinvolgimenti extrarenali: cisti in altri organi (fegato, pancreas, milza, vesciche seminali, membrana aracnoidea), diverticolosi, valvulopatie cardiache (es. prolasso mitralico), ernie della parete addominale ed inguinali, anomalie vascolari (es. aneurismi intracranici, dilatazione della radice aortica e dissezione dell’aorta toracica, occlusioni dell’arteria centrale retinica) [79].

Pur essendo una patologia geneticamente eterogenea, nella popolazione ADPKD la maggior parte delle mutazioni identificate coinvolge i geni PKD1 e PKD2, che codificano rispettivamente per le proteine policistina-1 e policistina-2, espresse prevalentemente a livello delle cellule epiteliali tubulari renali. L’espressione sia di policistina-1 che policistina-2 anche a livello delle cellule muscolari lisce è stata documentata in laboratorio su colture cellulari; tale evidenza ha avvalorato l’ipotesi che le anomalie vascolari nei pazienti con rene policistico possano essere direttamente correlate ad alterata espressione/funzione dei geni PKD a livello della muscolatura liscia vascolare [10,11].

In considerazione delle manifestazioni renali ed extrarenali, nella gestione di pazienti ADPKD è indispensabile adottare un approccio multidisciplinare, che vede il nefrologo al centro della cura del malato. È importante, inoltre, che tale visione multidisciplinare prosegua anche dopo il raggiungimento dell’ESRD in modo da garantire una corretta gestione nel tempo anche delle problematiche extrarenali associate alla malattia policistica renale.

La rottura di un aneurisma cerebrale, con conseguente possibile emorragia subaracnoidea o intracerebrale, è tra le complicanze più serie in pazienti ADPKD. Negli ultimi anni in letteratura sono emerse nuove indicazioni e suggerimenti in merito alla correlazione tra aneurismi intracranici (ICAN) ed ADPKD. Alla luce dei dati emersi dalla revisione della letteratura, vogliamo focalizzarci su prevalenza, indicazioni allo screening ed al follow-up, indicazioni al trattamento di aneurismi intracranici in pazienti ADPKD. Al fine di fornire delle indicazioni utilizzabili nella pratica clinica per la gestione di pazienti ADPKD con rischio di aneurismi cerebrali, abbiamo formulato 5 quesiti specifici e per ognuno di essi abbiamo riportato una analisi della letteratura disponibile che ha consentito di formulare delle raccomandazioni.

 

Quesito 1: I pazienti affetti da rene policistico autosomico dominante (ADPKD) hanno un maggior rischio di presentare aneurismi intracranici rispetto alla popolazione generale?

  • La prevalenza di aneurismi intracranici è 4 volte maggiore in pazienti affetti da ADPKD che nella popolazione generale, con stime che vanno dal 9 al 12%. La prevalenza di aneurismi intracranici è maggiore in pazienti con familiarità per stroke emorragico/aneurismi cerebrali.
  • Seppur negli studi su popolazione ADPKD solo la presenza di familiarità per stroke emorragico/aneurismi cerebrali ha raggiunto la significatività statistica quale fattore di rischio per presenza di ICAN, è ragionevole valutare anche nei pazienti affetti da nefropatia policistica i fattori di rischio individuati per la popolazione generale.
  • Pur essendo estremamente più rare degli aneurismi intracranici, è importante considerare anche la possibile associazione della malattia policistica con dissezioni carotidee, vertebrali, intracraniche e dolicoectasie. La rarità di tali entità non consente di formulare ulteriori specifiche strategie di screening, ma vanno riconosciute come manifestazioni cerebrovascolari dell’arteriopatia correlata ad ADPKD anche per valutare correttamente il rischio di eventi acuti.

 

Nella popolazione generale sono stati identificati fattori di rischio modificabili e non modificabili per sviluppo e rottura di aneurismi cerebrali. Fattori di rischio non modificabili includono sesso femminile, l’età, l’anamnesi sia personale che familiare positiva per aneurismi cerebrali, l’etnia finlandese o giapponese; fattori di rischio modificabili includono il fumo di sigaretta, l’ipertensione arteriosa e l’abuso alcolico [1214].

Per quanto riguarda invece i pazienti ADPKD, le informazioni sulla storia naturale di aneurismi intracranici sono limitate e provengono prevalentemente da studi osservazionali; inoltre, pur considerando plausibile che gli stessi fattori di rischio evidenziati nella popolazione generale siano estendibili anche alla sottopopolazione ADPKD, dagli studi in tale popolazione l’unica correlazione statisticamente significativa che emerge è tra ICAN e familiarità per stroke emorragico/aneurismi cerebrali.

Nel 2011 Xu et al. pubblicano i risultati di uno studio retrospettivo su 355 pazienti che documenta una prevalenza di aneurismi intracranici nella popolazione di pazienti ADPKD analizzata pari al 12,4%, senza differenza statistica nella distribuzione tra uomini e donne (53% donne, 47% uomini) [15]. Lo studio includeva tutti i pazienti con nuova diagnosi di ADPKD afferenti al dipartimento di Nefrologia dell’ospedale di Chang Zheng tra novembre 2007 e novembre 2008. Tutti i pazienti eseguivano una angio-RMN cerebrale (3-T system); in caso di riscontro di aneurismi intracranici, ai pazienti con valori di creatinina sierici <4 mg/dl, veniva proposto un ulteriore studio angiografico con angiografia a sottrazione digitale (DSA) convenzionale, DSA rotazionale e ricostruzione 3D. La prevalenza di ICAN era maggiore tra i pazienti con familiarità per stroke emorragico o ICAN (21,6%) ed aumentava con l’età fino ad un picco di 23,3% tra i pazienti di età compresa tra 60 e 69 anni. Non vi erano differenze statisticamente significative nella prevalenza di ICAN in base a ipertensione arteriosa, funzionalità renale e presenza di cisti epatiche; l’unica correlazione statisticamente significativa che emergeva era tra durata dell’ipertensione arteriosa e ICAN (p=0,001) [15]. Sempre nel 2011 il gruppo della Mayo Clinic pubblica una grande casistica (407 pazienti valutati tra il 1989 ed il 2009) nella quale la prevalenza di aneurismi intracranici asintomatici era del 9,3% senza differenza statisticamente significativa tra i due sessi. L’età media alla diagnosi di aneurismi intracranici era 49 anni (range 20-72 aa), in particolare 48 anni nel sesso femminile e 52 nel sesso maschile. Anche in questa casistica la prevalenza di aneurismi intracranici asintomatici era maggiore in presenza di familiarità (21,1%) rispetto ai pazienti ADPKD senza familiarità per eventi cerebrovascolari (6,3%) [16]. I diversi criteri di arruolamento adottati dal gruppo cinese e da quello della Mayo Clinic possono spiegare la diversa prevalenza riscontrata: Xu et al avevano incluso nello studio tutti i pazienti ADPKD [15], mentre il gruppo della Mayo Clinic, a partire dal 1992, aveva ristretto lo screening a pazienti con familiarità per aneurismi intracranici o emorragia subaracnoidea o prima di interventi chirurgici maggiori in elezione [16].

Nel 2014 la KDIGO (Kidney Disease Improving Global Outcomes) Controversies Conference, sulla base della letteratura disponibile, conferma un rischio maggiore di aneurismi intracranici nella popolazione ADPKD rispetto alla popolazione generale [17,18]. Anche in questo lavoro non emergono chiari fattori di rischio per la presenza di ICAN nella popolazione ADPKD, salvo la familiarità per eventi cerebrovascolari acuti; inoltre non si evidenziano differenze nella percentuale di rottura di aneurismi rispetto alla popolazione generale [1719].

Recentemente il gruppo della Mayo Clinic ha confermato, su una popolazione ancora più estesa, una prevalenza di aneurismi intracranici asintomatici analoga a quella precedentemente riportata. 812 dei 3010 pazienti ADPKD valutati alla Mayo Clinic dal 1989 al 2017 avevano eseguito angio-RMN cerebrale ed erano stati indentificati 94 ICAN in 75 pazienti (9%) con uno sbilanciamento nel sesso femminile (49 donne e 26 uomini) ed una frequenza maggiore in pazienti ipertesi, fumatori o con familiarità per ICAN o per emorragia subaracnoidea [20].

Gli ICAN non sono l’unica manifestazione cerebrovascolare dell’arteriopatia correlata ad ADPKD. Sebbene siano stati riportati numerosi casi di dissezioni carotidee o vertebrali [21,22], la dissezione di arterie intracraniche non è considerata una caratteristica tipica di ADPKD; solo recentemente è stato descritto un caso di dissezione dell’arteria cerebrale anteriore in paziente con nefropatia policistica [23]. L’ipertensione arteriosa, comune in pazienti ADPKD, può avere un ruolo in tali eventi; va tuttavia ricordato che in ADPKD è stata descritta l’interruzione della lamina elastica interna in arterie intracerebrali sia normali che dilatate. Schievink et al. hanno riportato che la prevalenza di dolicoectasia arteriosa intracranica era significativamente maggiore in pazienti ADPKD (7/307 pz) che in non ADPKD (0/360 pz), e che alcune di queste dolicoectasie erano sospette per essere secondaria ad una dissezione. Inoltre va ricordato come la distinzione tra dolicoectasia (allungamento e dilatazione di un tratto di arteria cerebrale) ed aneurisma intracranico fusiforme sia talvolta marginale e come una dolicoectasia possa mimare radiologicamente un aneurisma sacculare [24]. Sebbene la rarità di tali anomalie vascolari anche nella popolazione ADPKD non consenta di formulare strategie di screening su ampia scala, il riconoscimento di tali entità in ambito di screening per ICAN è essenziale in correlazione alla valutazione del rischio di stroke [25].

In ultimo, sebbene la presenza di cefalea cronica sia frequente nella popolazione ADPKD anche in assenza di anomalie vascolari cerebrali (secondo alcuni autori fino al 48%) [26], nella popolazione generale l’insorgenza di cefalea si associa a riscontro di ICAN e talvolta ne anticipa la rottura [27,28]. Pertanto la comparsa di sintomatologia, inclusa cefalea, correlabile con ICAN va monitorata e considerata una indicazione ad approfondimento imaging indipendentemente dall’età e dalla familiarità al fine di diagnosticare precocemente una eventuale anomalia vascolare [29].

 

Quesito 2: Per quali pazienti ADPKD è indicato lo screening per aneurismi intracranici? In caso di negatività allo screening, ogni quanto è indicato re-screening?

  • Lo screening è raccomandato in tutti i pazienti ADPKD con familiarità per ICAN o emorragia subaracnoidea, sintomi suggestivi per ICAN, attività ad alto rischio (es. piloti d’aereo), esplicita richiesta del paziente dettata da estrema ansietà.
  • Pur essendovi dati che suggeriscono una possibile superiorità in termini di QALYs (quality-adjusted life-years, dove 1 QALY corrisponde all’aspettativa di vita di un anno in buone condizioni di salute e zero QALY all’evento morte) di uno screening sistematico rispetto ad uno mirato, manca ad oggi uno studio prospettico su grande scala che determini la superiorità in termini di utilità clinica e costi/utilità di una delle due strategie di screening sull’altra.
  • In caso di negatività allo screening, è ragionevole proporre re-screening ogni 5-10 anni.

 

Le opinioni in merito alla tipologia di screening in pazienti ADPKD sono divergenti in letteratura.

Nel 2014 un pannello di esperti all’interno delle KDIGO raccomanda lo screening per aneurismi intracranici in pazienti con familiarità per ICAN o emorragia subaracnoidea, pregressa rottura di aneurismi, appartenenza a professioni ad alto rischio (es. piloti d’aereo) o in pazienti con elevata ansia correlata alla possibilità di avere aneurismi intracranici. In caso di assenza di malformazioni vascolari cerebrali al primo esame di screening, le KDIGO suggeriscono re-screening ad intervalli di 5-10 anni [17]. Quest’ultima indicazione deriva principalmente da uno studio prospettico pubblicato nel 2004 da Schrier che evidenzia come in 2 dei 76 pazienti negativi al primo screening per ICAN, fosse successivamente stato diagnosticato un aneurisma intracranico durante un follow-up di 10 anni [30].

Sempre nel 2014, recependo le indicazioni delle KDIGO, le linee guida spagnole per la gestione di pazienti ADPKD raccomandano, seppur con livello di evidenza D, screening per aneurismi intracranici nelle seguenti categorie: familiarità per ICAN o emorragia subaracnoidea, sintomi suggestivi per ICAN, lavoro o hobby per i quali una perdita di coscienza potrebbe essere fatale, richiesta del paziente dettata da estrema ansietà del paziente o prima di interventi di chirurgia maggiore. Non vengono fornite indicazioni specifiche in merito al timing di re-screening in caso di negatività [29].

Analoghe indicazioni vengono fornite nel 2015 all’interno delle linee guida Australiane. Gli australiani peraltro sottolineano l’assenza di evidenza di benefici correlati a screening in caso di interventi di chirurgia maggiore; tuttavia, la decisione di effettuare lo screening in queste circostanze è stata considerata parte dell’assistenza medica standard, ed è improbabile che la conoscenza medica, l’intuizione e il giudizio si combinino con dati basati sull’evidenza per confermare o confutare i benefici dello screening in queste circostanze specifiche [31].

Flahault et al., pubblicando i dati di screening su una casistica monocentrica francese, effettuano anche una analisi di costo/utilità utilizzando un modello matematico probabilistico volto a valutare se uno screening sistematico possa essere superiore rispetto ad uno screening mirato o all’assenza di screening per ICAN nella popolazione ADPKD in termini di QALYs. Nel lavoro di Falhault lo screening sistematico veniva definito come screening ogni 5 anni in tutti i pazienti ADPKD dai 20 ai 60 anni, mentre lo screening mirato era rivolto a pazienti con familiarità per ICAN (accertata o sospetta) in parenti di primo o secondo grado. In questo modello lo screening sistematico forniva un guadagno di 1.29 QALYs rispetto all’assenza di screening e di 0.68 QALYs rispetto allo screening mirato. Secondo tale lavoro lo screening mirato solo a pazienti ADPKD con familiarità escluderebbe dalla possibilità di trattamento profilattico l’80% di pazienti ADPKD che nell’arco della propria vita sperimenteranno rottura di aneurisma intracranici. Questo ha portato il gruppo francese, che aveva fino ad allora adottato una strategia di screening mirato, a suggerire il passaggio a screening sistematici su tutta la popolazione ADPKD [32].

Uno studio di costo/utilità pubblicato nel 2019 da Malhotra et al., utilizzando un modello matematico probabilistico analogo a quello proposto dal gruppo francese, suggerisce come strategia ottimale lo screening ogni 5 anni per tutti i pazienti ADPKD con aspettativa di vita >6 anni, senza limiti superiori d’età [33].

Sulla base della propria esperienza e di review della letteratura, nel 2019 il gruppo della Mayo Clinic conclude per una insufficienza di dati tali da determinare con certezza la superiorità di una delle due strategie di screening (diffuso o mirato) rispetto all’altra; in caso di negatività allo screening, inoltre, viene raccomandato re-screening ogni 5 anni nei pazienti con buona aspettativa di vita [20].

 

Quesito 3: Qual è la metodica di screening per aneurismi intracranici in pazienti ADPKD?

  • La metodica di screening principale per aneurismi intracranici in pazienti ADPKD dovrebbe essere la angiografia a risonanza magnetica “Time-of-flight” (TOF-MRA), anche in quanto non richiede mezzo di contrasto. In caso di controindicazioni ad esecuzione di RMN va considerata la angio-TC cerebrale.

 

Nello studio retrospettivo sopracitato di Xu et al. del 2011, in una casistica di 355 pazienti ADPKD, 15 pazienti con 18 ICAN diagnosticati con angio-RMN cerebrale avevano eseguito un ulteriore studio angiografico con angiografia a sottrazione digitale (DSA) convenzionale, DSA rotazionale e ricostruzione 3D: tutti gli aneurismi riscontrati con angio-RMN cerebrale erano stati confermati e non ne erano stati identificati altri [15].

Josephson et al., nel 2013, in una revisione sistematica della letteratura sulle metodiche di imaging utilizzate nel diagnosticare aneurismi intracranici (non solo in pazienti ADPKD), non documentavano differenze tra angiografia e angio-risonanza magnetica, né in termini di sensibilità né di specificità [34].

Lo Spanish Working Group on Inherited Kidney Diseases nel 2014 raccomandava (con livello di evidenza C) l’utilizzo dell’angio-RMN cerebrale come metodica di prima scelta nello screening di pazienti ADPKD [29]; analoghe indicazioni emergevano dalla KDIGO Controversies Conference, che indicava come metodo di screening di scelta la angiografia a risonanza magnetica “Time-of-flight” (TOF-MRA), anche in considerazione dell’assenza di mdc per tale indagine [17].

La scelta di angio-RMN cerebrale come metodica principale di screening veniva confermata anche dalle linee guida australiane KHA-CARI [31] e da Perrone nel 2015 [25] e Cagnazzo nel 2017 [18].

 

Quesito 4: La storia naturale degli aneurismi intracranici nei pazienti ADPKD differisce rispetto alla popolazione generale per posizione, dimensioni e rischio di rottura degli aneurismi?

  • In pazienti ADPKD gli aneurismi intracranici si presentano più frequentemente a livello del circolo cerebrale anteriore, con un rischio di rottura in base alla posizione che si può definire intermedio. Nella maggior parte dei casi le dimensioni degli aneurismi sono ridotte, tanto da collocarli in una fascia di basso rischio rottura per dimensioni.
  • Non vi sono dati sufficienti in letteratura per definire quali siano i fattori di rischio per crescita e comparsa di nuovi aneurismi nella popolazione ADPKD.

 

Le informazioni sulla storia naturale di aneurismi intracranici derivano principalmente da studi sulla popolazione generale non ADPKD; secondo questi studi i principali predittori di rottura di aneurismi intracranici sono le dimensioni e la posizione degli aneurismi, oltre che le pregresse emorragie subaracnoidee. In due grandi studi prospettici, il primo nella popolazione canadese, statunitense ed europea (ISUIA – International Study of Unruptured Intracranial Aneurysms) ed il secondo nella popolazione giapponese (UCAS – Unruptured Cerebral Aneurysms Study), il cutoff identificato per definire un basso rischio di rottura di aneurisma intracranico era 7 mm [35,36]. Inoltre lo ISUIA definiva come a rischio intermedio di rottura aneurismi coinvolgenti il circolo cerebrale anteriore [35]; anche nello UCAS aneurismi del circolo cerebrale anteriore venivano considerati, insieme a quelli del circolo posteriore, a maggior rischio di rottura rispetto ad aneurismi originanti dall’arteria cerebrale media [36].

Dati sul rischio di rottura di aneurismi in pazienti ADPKD sono limitati. In uno studio retrospettivo pubblicato da Xu nel 2011 che analizzava la popolazione cinese, tutti gli aneurismi cerebrali diagnosticati coinvolgevano il circolo cerebrale anteriore (in ordine di frequenza arteria carotide interna, arteria cerebrale media, arteria comunicante anteriore e arteria cerebrale anteriore). Cinquantatré (53/54) aneurismi cerebrali erano sacculari e solo un aneurisma su 54 era fusiforme. Il 18,2% dei pazienti con diagnosi di ICAN presentava aneurismi multipli (2 o 3). Tutti gli aneurismi tranne uno erano di ridotte dimensioni (<10 mm) con un diametro medio di 3.85 ±3.25 mm (range: 1.7-25 mm) [15]. Nel 2017 Cagnazzo et al., in una revisione sistematica della letteratura che analizzava 16 studi (= 563 pazienti ADPKD), segnala che le più frequenti localizzazioni di aneurismi intracranici erano l’arteria carotide interna (40.5%), in caso di aneurismi asintomatici, e l’arteria cerebrale media (45%), in caso di rottura di aneurismi. La dimensione media di tali aneurismi era 4.4 mm (6 mm in caso di aneurismi rottisi successivamente). Nella casistica analizzata il tasso di rottura era 0.4/100 pazienti-anno, sovrapponibile alla popolazione generale, il tasso di crescita era 0.4/100 pazienti-anno e l’incidenza di nuovi aneurismi era 1.4/100 pazienti-anno (vs 0.9/100 pazienti-anno nella popolazione generale) [18]. In una coorte francese di 495 pazienti ADPKD, 181 pazienti erano stati sottoposti a screening pre-sintomatico (100 pz con familiarità, 81 senza familiarità per aneurismi intracranici) ed in 19 pazienti erano stati rilevati aneurismi intracranici. In un follow-up medio di 6 anni, 6/19 pazienti erano stati sottoposti a trattamento chirurgico/endovascolare come profilassi ed 1/19 pazienti si era verificata rottura di aneurisma. Tra i pazienti con screening negativo per aneurismi intracranici, in un caso si era verificata rottura di aneurisma nel follow-up. Inoltre, tre dei 314 pazienti non sottoposti a screening avevano sperimentato rottura di aneurisma intracranico nel periodo di follow-up. Il rischio di rottura di aneurismi nella coorte descritta in questo studio era di 0.2/100 pazienti-anno [32]. In una grande casistica pubblicata nel 2019 dal gruppo della Mayo Clinic su 3010 pazienti ADPKD, 83 (88%) degli aneurismi identificati tramite screening pre-sintomatico coinvolgeva il circolo cerebrale anteriore mentre il 12% il circolo cerebrale posteriore. La maggior parte degli aneurismi era di ridotte dimensioni con un diametro medio di 4 mm (range 2-12mm). Sette aneurismi in 7 pazienti erano stati sottoposti a trattamento chirurgico o endovascolare ed in nessuno degli altri pazienti si era assistito a rottura di aneurismi nel periodo di follow-up. Tra i pazienti per i quali lo screening non aveva identificato aneurismi intracranici, 2 pazienti avevano presentato rottura di aneurismi nel follow-up. Il rischio di rottura di aneurismi nella coorte di pazienti sottoposti a screening era di 0.04/100 pazienti-anno [20].

Per quanto concerne la crescita di aneurismi intracranici nel tempo o la comparsa di nuovi aneurismi, lo studio della Mayo Clinic riportava, durante il follow-up, una crescita di aneurismi intracranici noti nel 13% dei pz positivi allo screening pre-sintomatico (crescita media di 2 ±1mm di diametro), con comparsa nella stessa sottopopolazione di aneurismi de novo in 1.07/100 pazienti-anno. Tra i pazienti sottoposti a screening pre-sintomatico ma senza riscontro di aneurismi intracranici, la comparsa di aneurismi de novo era di 0.32/100 pazienti-anno in un periodo di 7 ±4 anni [20].

 

Quesito 5: I pazienti ADPKD con riscontro di aneurismi intracranici asintomatici allo screening differiscono rispetto alla popolazione generale in merito a follow-up, indicazioni al trattamento o tipologia di trattamento?

  • Il follow-up e l’indicazione al trattamento di aneurismi intracranici nella popolazione ADPKD non differiscono rispetto alla popolazione generale.
  • Pur essendo riportate in uno studio di registro complicanze più frequenti in pazienti ADPKD rispetto alla popolazione generale, questo non sembra tradursi in una maggiore mortalità/morbilità.
  • Nei pazienti ADPKD nei quali viene riscontrato ICAN allo screening è necessario un approccio multidisciplinare che coinvolga anche il neurochirurgo per definire in base a dimensioni, velocità di crescita, posizione, numero di aneurismi, comorbidità e fattori di rischio l’approccio individualizzato, al pari della popolazione generale.

 

In letteratura non emergono dati che suggeriscano necessità di un diverso follow-up e diverse indicazioni all’intervento in pazienti ADPKD con aneurismi intracranici rispetto alla popolazione generale.

Nel 2014 la KDIGO Controversies Conference raccomanda una gestione multidisciplinare di pazienti ADPKD con aneurismi intracranici. Pazienti con aneurismi di piccole dimensioni senza immediata indicazione al trattamento correttivo dovrebbero essere rivalutati ogni 6-24 mesi. Sono fortemente raccomandati la sospensione del fumo ed il controllo dei fattori di rischio cardiovascolari [17].

Nello stesso anno Rozenfeld et al. pubblicano uno studio di registro nel quale confrontano la prevalenza di complicazioni correlate ad interventi di correzione di aneurismi intracranici asintomatici (sia chirurgici che endovascolari) nella popolazione ADPKD rispetto alla popolazione generale. L’incidenza di eventi iatrogeni era maggiore nei pazienti ADPKD sia in caso di trattamento neurochirurgico (11.8% vs 6.4%) che endovascolare (9.4% vs 3.0%). Nonostante questo, non si registrava alcun decesso associato alla procedura nella popolazione ADPKD analizzata; inoltre, la durata dell’ospedalizzazione ed i costi di ospedalizzazione erano significativamente inferiori nei pazienti ADPKD rispetto alla popolazione generale. Gli autori attribuiscono tale dato alla età media al momento del trattamento inferiore rispetto a quella della popolazione generale, che si potrebbe correlare a minori comorbidità [37].

In una revisione della letteratura del 2017 (Cagnazzo et al.) il trattamento chirurgico degli aneurismi era il più comune (90% in caso di rottura di aneurismi vs 74% in caso di aneurismi asintomatici). Il trattamento endovascolare degli aneurismi asintomatici sembrava associato ad un rischio maggiore di complicanze 27% vs 11% dell’approccio chirurgico. Dai dati emersi da questa revisione della letteratura, il trattamento degli aneurismi intracranici sembrava essere associato ad un non trascurabile rischio di complicanze, e pertanto la selezione dei pazienti e la gestione da parte di un centro altamente specializzato era raccomandata [18].

Nella casistica francese descritta da Flahault, 5 pazienti erano stati sottoposti a correzione di aneurisma intracranico asintomatico tramite approccio endovascolare. Un paziente era stato sottoposto a correzione chirurgica di un piccolo aneurisma di forma irregolare localizzato alla biforcazione dell’arteria cerebrale media; il decorso post operatorio si era complicato con stroke ischemico con sequele neurologiche minori [32].

Nella casistica raccolta alla Mayo Clinic dal 1989 al 2017 (Sanchis et al.) sette aneurismi intracranici asintomatici erano stati corretti durante il follow-up, 2 con approccio chirurgico e 5 endovascolare. In 2 pazienti vi erano state complicanze post procedurali: un paziente aveva manifestato transitorio cambio di personalità dopo infarto acuto frontale sinistro secondario a correzione di un aneurisma dell’arteria comunicante anteriore; l’altro paziente non aveva avuto sequele neurologiche ma si era evidenziato al controllo imaging post-procedurale una area infartuale nel territorio dell’arteria temporale anteriore [20].

In nessuno dei lavori valutati emergono dati in merito a differenze tra i pazienti ADPKD con aneurismi intracranici e popolazione generale per quanto riguarda l’indicazione alla correzione di aneurismi o la tipologia di intervento (chirurgico o endovascolare).

Per quanto riguarda l’approccio non interventistico ad ICAN, negli ultimi anni stanno emergendo in letteratura dati in merito al possibile utilizzo di aspirina ed altri antiaggreganti piastrinici nel ridurre il rischio di rottura di aneurismi intracerebrali nella popolazione generale. Sebbene da un lato sia possibile che gli agenti antiaggreganti possano aumentare il rischio di rottura di aneurismi mediante l’inibizione della formazione del trombo intra-aneurismatico ed esacerbare la severità di emorragia in caso di rottura, l’aspirina potrebbe invece avere un effetto protettivo mediante l’inibizione dei mediatori dell’infiammazione [14,25,38,39], il ruolo dei quali è stato ampiamente dimostrato nell’ultimo decennio nella patogenesi della rottura di aneurismi [40,41]. Benché i dati in letteratura orientino verso un minor rischio di emorragia subaracnoidea nella popolazione generale in pazienti trattati con acido acetilsalicilico, sono necessari ulteriori studi per chiarire meglio il ruolo dell’aspirina nell’emorragia subaracnoidea [4245]. Oltre agli antiaggreganti piastrinici, per prevenire la rottura di aneurismi intracranici sono in fase di studio anche le statine in considerazione del ruolo antinfiammatorio [46]; inoltre, la simvastatina ha dimostrato di prevenire la progressione degli aneurismi stimolando l’angiogenesi e l’integrità vascolare [47]. Seppur non vi siano ad oggi in letteratura studi mirati all’uso di antiaggreganti piastrinici e statine nella popolazione ADPKD, sarà interessante valutare gli esiti dei prossimi lavori nella popolazione generale e valutarne in seguito l’applicabilità anche nei pazienti affetti da nefropatia policistica autosomica dominante.

 

Conclusioni

I pazienti affetti da ADPKD hanno un rischio del 9-12% di presentare aneurismi intracranici; tale rischio è circa 4 volte maggiore rispetto alla popolazione generale. Se nella popolazione generale i fattori di rischi per ICAN sono ben definiti (es. sesso femminile, età, anamnesi sia personale che familiare positiva per aneurismi cerebrali, etnia finlandese o giapponese, fumo di sigaretta, ipertensione arteriosa, abuso alcolico), nella popolazione ADPKD la familiarità per stroke emorragico/aneurismi cerebrali rappresenta l’unico fattore di rischio statisticamente significativo emerso in tutte le casistiche analizzate. Tale dato, pur identificando nei pazienti ADPKD con familiarità per ICAN la classe a maggior rischio, non autorizza a non considerare i fattori di rischio identificati nel resto della popolazione, anche nell’ottica della modificabilità di alcuni di questi. È inoltre importante ricordare l’esistenza di altre possibili manifestazioni della patologia vascolare nell’ADPKD (es. dissezioni intracraniche, dolicoectasie cerebrovascolari) che, seppur estremamente più rare degli ICAN, possono avere un impatto sulla prognosi e sulla qualità di vita del paziente.

Nonostante la presenza in letteratura di dati suggestivi sui possibili benefici di uno screening di massa rispetto ad uno screening mirato, in termini di capacità di riscontrare ICAN, attualmente lo screening per anomalie vascolari intracraniche è raccomandato in tutti i pazienti ADPKD con i seguenti fattori di rischio: familiarità per ICAN o emorragia subaracnoidea, attività ad alto rischio (es. piloti d’aereo), esplicita richiesta del paziente dettata da estrema ansietà o sintomi suggestivi per ICAN. Si sottolinea come la cefalea cronica, pur essendo frequente nella popolazione ADPKD anche in assenza di anomalie cerebrovascolari, possa associarsi a riscontro di ICAN e talvolta ne anticipi la rottura.

La metodica di screening principale per aneurismi intracranici in pazienti ADPKD è la angiografia a risonanza magnetica “Time-of-flight” (TOF-MRA). In caso di controindicazioni ad esecuzione di RMN va considerata angio-TC cerebrale. In caso di negatività allo screening, è ragionevole proporre re-screening ogni 5-10 anni.

Gli ICAN riscontrati nei pazienti ADPKD sono più frequentemente a rischio di rottura, un rischio intermedio per quanto riguarda la posizione e basso per quanto riguarda le dimensioni; non vi sono inoltre dati sufficienti per definire fattori di rischio per crescita di aneurismi nella popolazione ADPKD.

La popolazione ADPKD con ICAN non differisce inoltre dalla popolazione generale per quanto riguarda follow-up, indicazioni al trattamento e tipologia stessa di trattamento. Una gestione multidisciplinare che coinvolga neurochirurgo e/o neuroradiologo è essenziale per un approccio individualizzato, sia in termini di trattamento chirurgico/endovascolare che farmacologico e di gestione dei fattori di rischio.

Infine, va sottolineato che, sebbene le complicanze correlate a correzione di ICAN possano essere più frequenti in pazienti ADPKD rispetto alla popolazione generale, questo non sembra tradursi in una maggiore mortalità/morbilità.

 

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  45. Qian C, He Y, Li Y, Chen C, Zhang B. Association Between Aspirin Use and Risk of Aneurysmal Subarachnoid Hemorrhage: A Meta-analysis. World Neurosurg 2020; 138:299-308.
  46. Liu Z, Ajimu K, Yalikun N, Zheng Y, Xu F. Potential therapeutic strategies for intracranial aneurysms targeting aneurysm pathogenesis. Front Neurosci 2019; 13:1238.
  47. Aoki T, Kataoka H, Ishibashi R, Nozaki K, Hashimoto N. Simvastatin suppresses the progression of experimentally induced cerebral aneurysms in rats. Stroke 2008; 39(4):1276-85.

Tolvaptan in ADPKD: a turning point or an unsustainable therapy? One year of “real life” experience

Abstract

Autosomal dominant polycystic kidney disease (ADPKD) is the most frequent monogenic kidney disease, alone responsible for over 10% of patients with end-stage renal disease, and with an important impact on public health. Tolvaptan (TOLV) has recently been approved in many European countries for its ability to slow disease progression in patients that are eligible for treatment. Nevertheless, the doctor’s choice to prescribe the drug and the patient’s compliance are strongly influenced by the aquaretic effect complications. In a cohort of patients pertaining to the Nephrology clinic of the AOU Federico II of Naples and  treated with TOLV, we assessed  not only the adherence to the treatment and the safety of the drug, but also the real feasibility of this therapy through specific questionnaires on sleep quality, abdominal-renal pain, quality of life and patients’ general satisfaction. Within the limits of preliminary data and on the basis of the responses of our population, followed for a period  of at least one year and administered the maximum titration dosage, it can be asserted that the doubts regarding the real compliance of the patients can be overcome.

 

Keywords: ADPKD, Tolvaptan, “real life” experience, quality of life

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Introduzione

La malattia policistica autosomica dominante (ADPKD) è la più frequente malattia renale monogenica, con circa 12,5 milioni di persone affette nel mondo, ed è responsabile di oltre il 10% dei pazienti allo stadio di malattia renale terminale (ESRD) con un importante peso sulla sanità pubblica [1].

In Italia si stima un numero compreso tra 24.000 e 34.000 soggetti affetti.

Per una patologia che è stata a lungo negletta per mancanza di opzioni terapeutiche specifiche è ora disponibile un’attraente possibilità di trattamento, il Tolvaptan (TOLV). In due trial clinici (Tempo 3:4, Reprise), TOLV ha dimostrato efficacia clinica nel rallentare la progressione della malattia in pazienti ADPKD con insufficienza renale (IRC) precoce e avanzata [15]. Sulla base di tali evidenze TOLV è stato recentemente approvato in molti paesi Europei [5].

Tuttavia, una serie di argomenti contro il TOLV ancora impatta sulla decisione clinica di trattare i pazienti. Tali argomenti includono: effetto sulla qualità di vita dei pazienti dovuto all’importante attività acquaretica, possibile epatotossicità, variabile effetto sulla progressione della funzione renale, difficoltà a completare l’uptitration e a mantenere l’aderenza al trattamento.

La scelta del paziente di cominciare il trattamento rimane ancora oggi fortemente influenzata soprattutto dall’effetto acquaretico caratteristico della terapia.

 

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ADPKD treatment: Tolvaptan and Octreotide

Abstract

Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease (ADPKD) is the most frequent monogenic hereditary disease as well as the most studied inherited kidney disease. Two drugs have recently been authorized that can slow down the progression of the disease: Tolvaptan (vasopressin receptor antagonist) and Octreotide-LAR (long-acting somatostatin analogue); they both are able to reduce the activity of cyclic adenosine monophosphate (cAMP) and therefore have anti-proliferative and anti-secretory effects. This review analyzes the main trials published to date demonstrating the effects on disease progression in patients with ADPKD and illustrates the indications for identifying subjects eligible for therapy.

Keywords: ADPKD, Tolvaptan, Octreotide

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Introduzione

Il Rene Policistico Autosomico Dominante dell’Adulto (ADPKD) è la principale malattia renale ereditaria e rappresenta la quarta causa di insufficienza renale terminale (End Stage Kidney Disease, ESKD) nell’adulto [1]. Si stima che in Europa la prevalenza della malattia sia intorno a 4 casi ogni 10.000 abitanti [2]. È caratterizzata da una progressiva crescita delle cisti renali che si accompagna a molteplici manifestazioni renali (dal difetto di concentrazione delle urine nelle fasi iniziali fino al dolore da compressione e ingombro nelle fasi più avanzate). La macroematuria, l’ipertensione arteriosa e l’insufficienza renale sono le principali complicanze della malattia e possono comparire tra la terza e quarta decade della vita, anche se talvolta possono manifestarsi nei soggetti più giovani [3]. All’età di 60 anni oltre il 50% dei soggetti può manifestare ESKD [4]. La malattia è dovuta alle mutazioni di due geni PKD1 e PKD2 (localizzati rispettivamente sul cromosoma 16 e sul cromosoma 4) che codificano due proteine, le policistine 1 e 2, implicate nella regolazione delle funzioni del cilio primario presente sulle cellule del tubulo. La trasmissione della malattia è autosomica dominante a penetranza completa ma con espressività variabile. Le mutazioni del PKD1 sono responsabili di circa l’85% dei casi di rene policistico mentre il rimanente 15% dei casi è dovuto a mutazioni del gene PKD2 [5].

 

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Psychological Assessment of a sample of women with ADPKD: quality of life, body image, anxiety and depression

Abstract

Introduction: The Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease (ADPKD) is a chronic renal disease that has not yet been the subject of psychological research. There are only a few studies related to the consequences and complications of this pathology on female patients, although women affected by this disease present serious problems.

Aim: The purpose of this study is to perform a psychological assessment (quality of life, anxiety, depression, body image) on a sample of 37 women with ADPKD.

Materials and Methods: The assessment is based on ad hoc social and personal record, KDQOL-SF (to evaluate health-related quality of life), HADS (for anxiety and depression) and BUT (for perceived body image). This assessment is administrated in a specific outpatient clinic.

Results: Results show that kidney disease has a negative impact on health-related quality of life. Concerns about body image are linked to anxious and depressive symptomatology: an increase in these concerns is related to a worsening of anxiety and depressive symptoms in patients. Moreover, a higher psychological malaise emerges in hypertensive ADPKD patients, in terms of mood and quality of life, compared to those without this concomitant pathology. Finally, it is important to note that social support, real or perceived, is of paramount importance in maintaining psychological well-being.

Conclusions: The psychological evaluation of ADPKD patients can be used in clinical practice as a supplemental model in multidisciplinary Nephrology team.

 

Keywords: Quality of life, ADPKD, body image, psychological assessment, hypertension.

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Introduzione

Nel corso degli ultimi anni, la collaborazione dello Psicologo Clinico con le Unità Operative di Nefrologia e Dialisi si è consolidata tanto da promuovere lo sviluppo della Psiconefrologia [1]. Tale disciplina ha l’obiettivo di identificare precocemente la presenza di situazioni di disagio psicologico legate alle patologie renali croniche e di agire su quest’ultime, con interventi di supporto psicologico il più possibile specializzati. 

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Infected hepatic cyst in ADPKD patient in peritoneal dialysis

Abstract

Renal and hepatic cysts infections are among the most important infectious complications of ADPKD and often require hospitalization. Liver cysts are even more complex than renal cysts and their diagnosis and treatment are quite controversial.

We report the case of a 58-year-old patient with ADPKD undergoing peritoneal dialysis treatment. He presented fever and severe asthenia and was diagnosed with a hepatic cyst infection. Given the presence of the peritoneal catheter, and in order to facilitate the targeted treatment of the infection, we administered antibiotics (ceftazidime and teicoplanin) in the bags used for peritoneal dialysis exchanges for 4 weeks, obtaining the complete disappearance of symptoms and laboratory and ultrasound alterations.

Intraperitoneal antibiotics administration in the treatment of infected hepatic cysts represents an effective and safe therapeutic alternative, never described in literature so far.

 

Keywords: ADPKD, ESRD, Infected hepatic cyst, peritoneal dialysis

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Introduzione

L’ADPKD è la più comune malattia ereditaria renale a trasmissione autosomico dominante, nonchè la quarta causa di End Stage Renal Disease (ESRD), ed ha un’incidenza variabile tra 1:500 e 1:1000 individui. Nell’85% dei casi è caratterizzata dalla presenza di mutazioni del gene PKD1 e nel 15% dei casi del gene PKD2, codificanti rispettivamente per la Podocina 1 e Podocina 2, che portano alla formazione di cisti, principalmente a livello renale ed epatico. Molti pazienti sono asintomatici nelle fasi iniziali, e presentano poi sintomi quali macroematuria, proteinuria, coliche renali, insufficienza renale cronica, sintomi da ingombro addominale, manifestazioni cardiovascolari (ipertensione, ipertrofia del ventricolo sinistro, prolasso della valvola mitrale, aneurismi), infezioni del tratto genitourinario, carcinoma renale e diverticolosi [16]. Le principali complicanze sono le emorragie e le infezioni delle cisti [7]. 

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