Atrial fibrillation, oral anticoagulation and nephroprotection: caution or bravery?

Abstract

Atrial fibrillation (AF) and chronic kidney disease (CKD) are strictly related and share several risk factors (i.e. hypertension, diabetes mellitus, congestive heart failure). As consequence, AF is very common among CKD patients, especially in those with end stage renal disease (ESRD). Moreover, patients with AF and advanced kidney disease have a higher mortality rate than patients with preserved renal function due to an increased incidence of stroke and an unpredicted elevated hemorrhagic risk. The adequate long-term oral anticoagulation in this subgroup of patients represents a major challenging issue faced by physicians in clinical practice. Direct oral anticoagulants (DOACs) are currently contraindicated in patients with ESRD while vitamin K antagonists (VKAs) are characterized by a narrow therapeutic window, increased tissue calcification and an unfavorable risk/benefit ratio with low stroke prevention effect and augmented risk of major bleeding. The purpose of this review is to shed light on the applications of DOAC therapy in CKD patients, especially in ESRD patients.

Keywords: atrial fibrillation, chronic kidney disease, warfarin, direct oral anticoagulants, end stage renal disease, left atrial appendage occlusion

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

La prevalenza della fibrillazione atriale (FA) nella popolazione generale oscilla tra lo 0,5 e l’1% con punte massime pari all’8% nei pazienti over 80, nonché in alcune condizioni patologiche ben definite come la malattia renale cronica (CKD, cronic kidney disease) e, soprattutto, nei pazienti sottoposti a terapia renale sostitutiva [1]. Proprio a proposito della condizione di CKD, va ricordato come il paziente nefropatico sia inquadrato come paziente ad alto ovvero altissimo rischio cardiovascolare, come sottolineato dalle recenti linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) [2]. Nei pazienti affetti da CKD, la prevalenza di FA può raggiungere picchi decisamente elevati e, nell’ambito della popolazione affetta da FA, il 40-50% dei pazienti presentano un qualche grado di compromissione della funzione renale [35], mentre fino al 15-20% dei pazienti con CKD è affetto da FA, soprattutto nei pazienti con malattia renale cronica terminale (ESRD, end-stage renal disease) [68]. Una caratteristica fondamentale dei pazienti affetti da CKD è quella di presentare un rischio elevato sia di fenomeni tromboembolici, sia di fenomeni emorragici [913], particolare che complica la gestione di una qualsivoglia terapia anticoagulante. Una percentuale non trascurabile di pazienti con valori di filtrato glomerulare stimato (eGFR) <30 ml/min presentano un importante rischio emorragico dovuto, in primo luogo, alla disfunzione quali/quantitativa della componente piastrinica [1416]. Tra l’altro, una delle maggiori criticità nella valutazione del rischio emorragico/tromboembolico dei pazienti con CKD ed ESRD risiede nel fatto che i calcolatori di rischio più impiegati (HASBLED e CHAD2VASC2) non considerano, per il punteggio definitivo, proprio quei parametri più strettamente legati alla disfunzione renale (alterazioni del sistema della coagulazione, variazioni dell’ eGFR per fare due esempi) [17].

Il rischio trombotico/emorragico nel paziente con CKD

Il primo elemento da prendere in considerazione in termini di fisiopatologia del rischio trombotico ed emorragico è quello relativo alla correlazione tra CKD e FA in termine di condivisione di fattori di rischio quali ipertensione arteriosa, diabete mellito (DM) e sindrome metabolica. Inoltre, come già accennato, il progressivo deterioramento della funzione renale si accompagna ad incremento del rischio di FA con un quadro clinico che si caratterizza per un elevato rischio emorragico e tromboembolico [4, 6]. La presenza contemporanea di FA e CKD delinea una condizione clinica caratterizzata da un rischio tromboembolico molto elevato (ictus cardioembolico, tromboembolismo sistemico e morte) e un inaspettato rischio emorragico elevato, soprattutto nei pazienti in dialisi [14, 15]. Il ruolo centrale della CKD nel rischio tromboembolico elevato è ben noto. Piccini et al. hanno dimostrato che l’alterazione della funzione renale è un importante fattore predittivo di ictus cardioembolico ed embolia sistemica [18]. Pertanto, per una migliore valutazione del rischio tromboembolico, hanno proposto di estendere il punteggio CHADS2 con altri 2 punti per i pazienti con eGFR <60 mL/min, il cosiddetto punteggio R2CHADS2 [18]. Diversi fattori aumentano la propensione alla formazione di trombi nei pazienti con CKD; come illustrato nella Figura 1, tutti gli elementi della triade di Virchow (anomalie nel flusso sanguigno, nella parete dei vasi e nei costituenti del sangue) appaiono anormali. Inoltre, un eGFR ridotto è un fattore predittivo indipendente di bassa contrattilità e velocità di flusso dell’auricola sinistra [19, 20]. Questi elementi promuovono la formazione nell’atrio sinistro di un denso contrasto ecocardiografico spontaneo, che è un indicatore di stasi sanguigna rilevante ed è associato a un aumento del rischio trombogenico [21]. D’altra parte, i pazienti CKD hanno una maggiore suscettibilità all’aterosclerosi con una maggiore velocità dell’onda sfigmica e una ridotta dilatazione endotelio-dipendente mediata dal flusso [22, 23]. Livelli endogeni più elevati di Endotelina-1 e di cAMP plasmatico negli individui affetti da CKD sembrano essere associati a una maggiore suscettibilità tromboembolica [24]. Infine, la CKD è associata a un aumento dei biomarcatori infiammatori e della coagulazione che aumentano l’attività piastrinica e la formazione di coaguli [25, 26]. Il ridotto metabolismo della proteina C-reattiva, l’espressione anomala della glicoproteina Ib, l’aumento dei livelli di proteine pro-infiammatorie (IL-1, TNF alfa, D-Dimero) e di fattori della coagulazione (VII, VIII, fibrinogeno, Von Willebrand, inibitore dell’attivatore del plasminogeno-1) e l’inibizione della plasmina grazie all’aumento dei livelli di lipoproteina(a) sono le più importanti anomalie ematologiche descritte nei pazienti CKD [2730]. Tali fattori sono anche coinvolti in un aumento del rischio emorragico [14]. In particolare, le anomalie piastriniche, le tossine uremiche, l’ipertensione non controllata, le ripetute incannulazioni per la dialisi e le procedure invasive contribuiscono a un rischio di sanguinamento notevolmente elevato (Figura 2). Soprattutto, le disfunzioni piastriniche sembrano essere predominanti e comprendono la riduzione dell’ADP intracellulare, il rilascio alterato della proteina alfa-granulare piastrinica, l’aumento del cAMP intracellulare, il metabolismo anomalo dell’acido arachidonico e l’attività della ciclo-ossigenasi, l’aberrazione dell’attività della GP IIb/IIIa e l’alterazione del fattore von Willebrand che promuove uno stato pro-emorragico [3133]. Inoltre, le tossine uremiche alterano il flusso sanguigno e aumentano la carenza di eritropoietina [33, 34].

Figura 1: Fattori che predispongono alla trombogenesi nei pazienti con CKD
Figura 1: Fattori che predispongono alla trombogenesi nei pazienti con CKD RAAS: sistema renina-angiotensina-aldosterone
Figura 2: Fattori che contribuiscono allo stato pro-emorragico nei pazienti con CKD
Figura 2: Fattori che contribuiscono allo stato pro-emorragico nei pazienti con CKD FANS: antinfiammatori non steroidei; NO: Ossido Nitrico.

 

Nefropatia da anticoagulanti e progressione della malattia renale

Nonostante il crescente uso di anticoagulanti orali negli ultimi 20 anni, solo nel 2009 Brodsky et al. hanno introdotto il concetto di “nefropatia correlata a warfarin” (WRN) [35]. La WRN è una forma particolare di danno renale acuto (AKI) senza alcuna causa sottostante evidente, in un paziente trattato con warfarin con un rapporto internazionale normalizzato (INR) >3,0 ed ematuria microscopica o macroscopica [35]. Brodsky et al. hanno eseguito biopsie renali in nove pazienti con AKI inspiegabile e INR sovraterapeutico; i campioni istologici hanno mostrato un pattern di accumulo eritrocitario diffuso e dismorfo sia nei tubuli renali, alcuni dei quali apparivano ostruiti e dilatati, sia nel glomerulo, soprattutto nello spazio di Bowman [35]. I due principali processi fisiopatologici che spiegano l’AKI sono la rottura della barriera di filtrazione glomerulare che provoca un’emorragia nello spazio di Bowman e l’aggregazione dei globuli rossi, formando dei calchi nei tubuli, che portano alla loro ostruzione e ischemia [35]. L’anticoagulazione sovraterapeutica sembra giocare un ruolo essenziale nell’indurre la WRN, ma è probabile che sia necessario un secondo fattore; un numero notevolmente ridotto di nefroni o un danno acuto ai glomeruli sembrano essere le condizioni che contribuiscono all’emorragia glomerulare in caso di anticoagulazione sovraterapeutica. Cause di danno acuto ai nefroni potrebbero essere l’insufficienza cardiaca congestizia, l’inizio recente di inibitori del sistema renina-angiotensina, la malattia renale tromboembolica, la glomerulonefrite endocapillare proliferativa o i coaguli vescicali che causano un’ostruzione ureterale. In uno studio caso-controllo che ha arruolato 15.258 pazienti che hanno iniziato il warfarin durante un periodo di 5 anni, una diagnosi presuntiva di WRN si è verificata nel 20,5% dell’intera coorte e nel 33,0% della coorte CKD [36]. La mortalità a 1 anno nei pazienti con WRN è stata del 31,1% rispetto al 18,9% nei pazienti senza WRN, il che rappresenta un rischio aumentato del 65% [36]. Nel complesso, la WRN può essere considerata non solo una complicazione comune della terapia con VKAs, ma anche un potente fattore prognostico negativo. Dal 2009, diversi studi hanno confermato l’ipotesi proposta da Brodsky che un’eccessiva anticoagulazione è associata a WRN [3740]. Golbin et al. hanno descritto la più grande serie di casi biopticamente provati di AKI indotta da altri VKAs, in particolare i primi casi di AKI da fluindione e acenocumarolo [41]. Da notare che non sono state riportate differenze cliniche o istologiche nei pazienti trattati con warfarin o fluindione/acenocumarolo [41]. La connessione tra AKI e anticoagulazione è stata estesa anche ai DOACs; pertanto, il termine WRN è stato gradualmente sostituito dal più inclusivo “nefropatia legata all’anticoagulazione” (ARN) [4245].

Data la scarsità di esiti renali riportati negli studi sui DOACs e la mancanza di dati limitati a lungo termine, è possibile che la vera incidenza dell’ARN sia sottovalutata. Due grandi studi retrospettivi hanno dimostrato che apixaban, dabigatran e rivaroxaban sono associati a un rischio inferiore di AKI rispetto al warfarin (Figura 3) [46, 47]. Nel complesso, la somministrazione di VKAs è ancora considerata un importante fattore di rischio per l’AKI, come risultato della calcificazione vascolare dovuta all’inibizione della proteina Gla di matrice (MGP) dipendente dalla vitamina K, come illustrato nella Figura 4 [4851]. Risultati simili sono stati riportati anche in una coorte di pazienti con FA sottoposti a intervento coronarico percutaneo; dopo la somministrazione del mezzo di contrasto, i pazienti che assumevano DOACs, in particolare dabigatran, hanno mostrato un migliore controllo della funzione renale rispetto ai pazienti in warfarin con una tendenza alla riduzione dell’incidenza di AKI [52]. Sebbene le nuove linee guida ESC della FA raccomandino l’uso dei DOACs per l’anticoagulazione orale a lungo termine, e i precedenti studi osservazionali abbiano dimostrato come questi farmaci debbano giocare un ruolo importante nella conservazione della funzione renale, un ampio studio che ha confrontato i DOACs in diversi stadi della funzione renale ha rivelato che la percentuale di pazienti che utilizzano i DOACs diminuisce parallelamente alla diminuzione della funzione renale [53]. Infatti, nei pazienti con eGFR ≥90 mL/min, un DOAC è stato prescritto nel 73,5% dei casi, mentre nei pazienti con eGFR tra 15 e 30 mL/min, un DOAC è stato prescritto solo nel 45,0% dei casi [53]. In particolare, non è stata riportata alcuna differenza in termini di mortalità tra i tre DOAC, e ognuno di essi ha mostrato un’efficacia e una sicurezza almeno equivalenti rispetto al warfarin in tutti gli stadi funzionali dei reni, confermando i risultati promettenti in questo particolare contesto di pazienti [53]. In conclusione, la progressione dell’insufficienza renale rappresenta un problema centrale nella gestione dell’anticoagulazione orale a lungo termine, soprattutto nei pazienti anziani in cui FA e CKD coesistono fino al 25% dei casi [3, 35]. La FA può deteriorare la funzione renale nel tempo, e il peggioramento dell’eGFR è un fattore predittivo indipendente di ictus ischemico/embolia sistemica [5456]. In questi pazienti ad alto rischio tromboembolico ed emorragico, la funzione renale dovrebbe essere monitorata regolarmente, preferibilmente dopo 1 mese inizialmente e almeno ogni 3 mesi in seguito [9].

Confronto tra DOACs e warfarin
Figura 3: Confronto tra DOACs e warfarin in termini di nefroprotezione CI: Intervallo di Confidenza; DOAC: Anticoagulanti Orali Diretti; HR: Hazard Ratio
Calcificazione vascolare, danno vascolare e renale indotto dalla inibizione
Figura 4: Calcificazione vascolare, danno vascolare e renale indotto dalla inibizione della MGP. BMP: proteina morfogenetica dell’osso

 

DOACs, diabete e malattia renale cronica

Per quanto riguarda la progressione della CKD, è fondamentale sottolineare la stretta relazione tra FA, DM e CKD; quasi il 25% dei pazienti con CKD sono anche diabetici [57, 58]. Come descritto nella Figura 5, le complicanze microvascolari nel DM potrebbero peggiorare la funzione renale e contribuire all’insorgenza della malattia renale diabetica (DKD), che colpisce circa un terzo dei pazienti con DM [5962]. La terapia anticoagulante a lungo termine nei pazienti diabetici affetti da FA e CKD può essere più impegnativa perché sia il DM che la CKD sono stati indipendentemente associati a un aumento del rischio tromboembolico e di sanguinamento, che deriva dallo stato pro-trombotico e pro-infiammatorio [6367]. Nei pazienti diabetici, le anomalie metaboliche predispongono le arterie all’aterosclerosi e aumentano la reattività piastrinica e la coagulabilità del sangue [68, 69]. Contemporaneamente, il progressivo peggioramento della funzione renale è associato a un aumento del tasso di FA e a un maggiore rischio di sanguinamento [16, 70]. Dati emergenti suggeriscono che i DOACs possono essere associati a una migliore conservazione della funzione renale rispetto al warfarin [37, 71, 72]. Come descritto in precedenza, i VKAs possono anche indurre un danno renale dovuto all’aumento della calcificazione vascolare derivante dall’inibizione della MGP dipendente dalla vitamina K [4850]. In uno studio di Fusaro et al., la MGP sembrava essere ridotta nei pazienti affetti da DM e CKD, predisponendoli a un outcome renale peggiore quando trattati con VKAs [48, 7377]. Al contrario, rivaroxaban può garantire la nefroprotezione diminuendo l’infiammazione vascolare attraverso la riduzione del signalling di PAR-1 e PAR-2 [78]. I pazienti diabetici con FA trattati con rivaroxaban hanno mostrato un tasso di incidenza inferiore di ospedalizzazione per AKI, progressione allo stadio 5 della CKD o emodialisi rispetto ai pazienti trattati con warfarin [78]. Inoltre, nell’analisi post-hoc ROCKET AF, il rivaroxaban ha mostrato una sicurezza e un’efficacia migliori rispetto al warfarin nei pazienti con FA e DM [79]. L’evidenza del mondo reale supporta i risultati che la funzione renale è meglio preservata nei pazienti con DM che ricevono DOACs piuttosto che warfarin. Un’analisi di sottogruppo dello studio RE-LOAD ha esaminato l’efficacia e la sicurezza del rivaroxaban rispetto al warfarin in pazienti con FA e DM; il rischio di AKI e ESRD è diminuito nei pazienti con DM che assumono rivaroxaban [78]. In un’analisi condotta da Yao W et al. su un’ampia coorte eterogenea di pazienti con FA e DM (Figura 6), il trattamento con DOAC è stato correlato a una minore incidenza di peggioramento della funzione renale, definita come un calo ≥30% dell’eGFR, raddoppio della creatinina sierica o AKI [46]. I dati dono stati poi confermati dallo stesso Yao in una nuova pubblicazione nella quale i pazienti sono stati anche stratificati in base ai livelli di filtrato glomerulare, evidenziando un maggior beneficio della terapia con DOACs (in modo particolare con Rivaroxaban e Dabigatran) rispetto al warfarin [53]. Ulteriori dati a conforto della maggiore efficacia dei DOACs rispetto a warfarin nella rallentare la progressione della malattia renale giungono anche da un recente lavoro pubblicato da un gruppo italiano il quale, non solo ha confermato l’effetto favorevole esercitato da Rivaroxaban sulla progressione delle calcificazioni valvolari cardiache ma anche sulla preservazione della funzione renale probabilmente anche correlata ad un’azione antiinfiammatoria della molecola, come documentato dall’impatto sui livelli sierici di citochine infiammatorie [8082].

Figura 5: Fisiopatologia della malattia renale diabetica ROS: Specie Reattive dell’Ossigeno
Confronto tra DOACs e warfarin
Figura 6: Confronto tra DOACs e warfarin in termini di nefroprotezione nei pazienti diabetici CI: Intervallo di Confidenza; DOAC: Anticoagulanti Orali Diretti; HR: Hazard Ratio

 

DOACs e malattia renale cronica terminale

L’aumento del rischio emorragico e la mancanza di prove certe per un efficace rapporto rischio/beneficio sono le ragioni principali per l’uso limitato degli anticoagulanti nei pazienti con CKD, specialmente quelli sottoposti a terapia renale sostitutiva (RRT) [83, 84]. Nei pazienti sottoposti a RRT, considerando che l’eliminazione dei farmaci è strettamente dipendente dalle dimensioni delle molecole, dalle percentuali legate alle proteine plasmatiche e dalle proprietà fisico-chimiche del filtro di dialisi, il warfarin e i DOACs sono entrambi scarsamente eliminati dalla clearance della dialisi. Mentre la superiorità dei DOACs rispetto al warfarin è ben documentata nei pazienti con funzione renale conservata o CKD moderata, mancano dati attualmente disponibili per i DOAC in pazienti con CKD avanzata o ESRD che possono portare a un aumento del rischio di sanguinamento [85]. Infatti, non ci sono dati di studi randomizzati controllati sull’uso dei DOACs per la prevenzione dell’ictus nei pazienti con FA con CKD grave o in RRT, poiché tutti gli studi di riferimento sui DOACs hanno escluso i pazienti con eGFR <30 mL/min (tranne alcuni pazienti con apixaban con eGFR 25-30 mL/min) [8689]. I dati principali sull’uso dei DOACs nei pazienti con RRT provengono da studi condotti negli USA. Dabigatran 110 o 150 mg due volte al giorno ha prodotto un’esposizione maggiore rispetto ai pazienti RE-LY standard (aumento dell’area sotto la curva da 1,5 a 3,3 volte); dabigatran 75 o 110 mg una volta al giorno ha prodotto esposizioni comparabili a quelle simulate nei tipici pazienti RE-LY. Questi dati sembrano suggerire che il regime a dose ridotta può essere più adatto ai pazienti in emodialisi [90, 91]. Sono disponibili informazioni più dettagliate sulle caratteristiche farmacocinetiche di apixaban. L’ESRD ha portato a un modesto aumento (36%) dell’area sotto la curva di apixaban senza aumento della concentrazione di picco [92]. Apixaban 2,5 mg b/die somministrato a pazienti in emodialisi ha determinato un’esposizione al farmaco simile a quella della dose standard (5 mg b/die) in pazienti con funzione renale conservata, mentre apixaban 5 mg due volte al giorno è associato a livelli sovraterapeutici nei pazienti con ESRD [93]. Inoltre, l’apixaban è altamente legato alle proteine, e in caso di un evento emorragico, si dovrebbe somministrare un concentrato di complesso protrombinico invece di tentare il trattamento con dialisi. Risultati simili sono stati riportati con rivaroxaban 10 mg/die in pazienti in emodialisi rispetto alla dose standard (20 mg/die) in pazienti con funzione renale normale [94]. Sorprendentemente, il deterioramento della funzione renale da grave a ESRD non sembra avere un impatto significativo sulla farmacocinetica di rivaroxaban e sull’effetto anticoagulante rispetto ai cambiamenti osservati con insufficienza renale moderata o grave [95]. Sebbene i dati attuali sull’efficacia e la sicurezza dei DOACs nell’ESRD siano limitati, sono molto incoraggianti (Figura 7) [96]. In uno studio retrospettivo di coorte, apixaban è risultato superiore nei pazienti ESRD sia in termini di sicurezza che di efficacia rispetto al warfarin; sia la dose standard (5 mg/bd) che quella ridotta (2,5 mg/bd) di apixaban erano associate a minori rischi di sanguinamento maggiore, ma solo la dose standard era associata a minori eventi tromboembolici e mortalità [97]. Miao B et al. hanno confrontato rivaroxaban e apixaban in pazienti ESRD. Non sono state riportate differenze significative in termini di rischio tromboembolico ed emorragico [98]; tuttavia, rispetto al warfarin, il rivaroxaban sembra essere associato a una riduzione del sanguinamento maggiore [99]. Inoltre, una meta-analisi che ha arruolato 71.877 pazienti in dialisi a lungo termine e con FA ha mostrato che i pazienti che ricevevano apixaban 5 mg due volte al giorno avevano un rischio di mortalità significativamente inferiore rispetto a quelli che ricevevano apixaban 2,5 mg due volte al giorno, warfarin o nessun anticoagulante e un rischio di sanguinamento inferiore rispetto a quelli che assumevano warfarin, dabigatran o rivaroxaban [100]. Nel complesso, tra i pazienti con CKD avanzata ed ESRD, l’uso di apixaban è stato associato a un minor rischio di sanguinamento maggiore rispetto al warfarin ed è stato efficace nel prevenire l’embolia sistemica [101]. Ad oggi, solo rivaroxaban 15 mg/die e apixaban 5 mg/bd (dose ridotta 2,5 mg/bd nei pazienti di 80 anni o più che pesano 60 kg o meno) sono approvati dalla Food and Drug Administration come anticoagulante orale nei pazienti ESRD. Nonostante la crescente evidenza sulla possibilità di usare i DOACs nei pazienti con eGFR <15 mL/min, le linee guida nefrologiche KDIGO raccomandano ancora il warfarin come farmaco di prima scelta e suggeriscono la possibilità di chiusura percutanea o chirurgica dell’auricola atriale sinistra [102]. Uno studio randomizzato che confronti DOACs e warfarin nei pazienti ESRD potrebbe essere appropriato per chiarire quale sia la terapia di prevenzione dell’ictus a lungo termine più sicura ed efficace nei pazienti ESRD e con FA. Sono in corso studi randomizzati controllati che confrontano i DOACs con il warfarin in pazienti con CKD avanzata o in dialisi. Lo studio AXADIA (Compare Apixaban and Vitamin-K Antagonists in Patients with Atrial Fibrillation and End-Stage Kidney Disease) sta randomizzando i pazienti ad apixaban 2,5 mg/bd o al fenprocumone regolato individualmente a un INR di 2,0-3,0; la data di completamento dello studio è prevista per luglio 2023 (NCT02933697) [103]. Tassi simili di eventi emorragici maggiori e non maggiori clinicamente rilevanti sono stati riportati nello studio RENAL-AF in cui i pazienti sono stati randomizzati ad apixaban 5 mg/bd o warfarin (NCT02942407). Purtroppo, lo studio è stato interrotto presto e ha arruolato solo 154 dei 762 pazienti previsti, quindi la piccola dimensione del campione e il basso tasso di eventi sono limitazioni significative dello studio. Molto incoraggianti i dati dello studio Valkyrie nel quale sono stati arruolati poco più di 100 pazienti suddivisi in tre bracci di trattamento: solo warfarin con target INR compreso tra 2 e 3, Rivaroxaban al dosaggio di 10 mg/die o Rivaroxaban 10 mg/die in associazione a vitamina K2 [104]. I risultati sono stati decisamente incoraggianti con un incremento della sopravvivenza nei pazienti trattati con l’inibitore del fattore Xa e ancor di più in coloro i quali facevano parte del gruppo trattato con Rivaroxaban in associazione a vitamina K2. Inoltre, sempre nei due gruppi trattati con Rivaroxaban, si è osservata una riduzione della progressione delle calcificazioni cardiovascolari, soprattutto a livello di aorta toracica e di circolo coronarico [104].

Confronto tra DOACs e warfarin nei pazienti con FA con malattia renale avanzata o dializzati
Figura 7: Confronto tra DOACs e warfarin nei pazienti con FA con malattia renale avanzata o dializzati CI: Intervallo di Confidenza; DOAC: Anticoagulanti Orali Diretti; HR: Hazard Ratio

 

Prevenzione non farmacologica dello stroke

Considerando la difficoltà della gestione della terapia con VKAs e le evidenze che depongono per un maggior tasso di mortalità nei pazienti trattati con VKAs, i pazienti con ESRD che necessitano di terapia anticoagulante potrebbero giovarsi di procedure interventistiche come, ad esempio, la chiusura dell’auricola dell’atrio sinistro. La chiusura percutanea dell’auricola sinistra (LAAO) è emersa come una potenziale alternativa all’anticoagulazione orale per tutta la vita, perché il 90% o più dei trombi durante la FA sono localizzati nell’appendice atriale sinistra, un residuo dell’atrio sinistro primordiale [105]. Questa strategia è attualmente limitata ai pazienti con un alto rischio tromboembolico e di sanguinamento che non sono idonei per gli anticoagulanti orali a lungo termine. Sulla base dei dati disponibili, l’uso della LAAO probabilmente crescerà enormemente nei prossimi anni perché il tasso di eventi avversi maggiori periprocedurali è molto basso nei pazienti con diverse comorbidità e alto rischio tromboembolico/emorragico [106113]. Nei pazienti con CKD avanzata, la LAAO percutanea sembra avere un rischio simile di complicazioni periprocedurali rispetto ai pazienti senza compromissione renale significativa [114, 115]. Inoltre, studi recenti hanno esplorato la sua efficacia per la prevenzione tromboembolica nei pazienti con malattia renale allo stadio terminale [58, 114, 116121]. Anche se non ancora confermato in studi di grandi dimensioni, questi risultati preliminari sono molto promettenti. Noi crediamo che la LAAO potrebbe essere una valida alternativa all’anticoagulazione a vita nei pazienti con CKD in stadio avanzato con FA, fornendo così un’efficace prevenzione tromboembolica senza aumentare il rischio di eventi emorragici pericolosi per la vita. Lo svantaggio principale della LAAO è il rischio di possibile formazione di trombi sul dispositivo di occlusione. Diverse strategie antitrombotiche sono state empiricamente adottate nella pratica clinica per evitare questa preoccupante complicanza [110, 122125]. Ad oggi, l’approccio più comune si basa sull’uso dell’aspirina, inizialmente con clopidogrel e poi da sola, per prevenire l’attivazione delle piastrine che entrano in contatto con la superficie atriale del dispositivo fino alla completa endotelizzazione [114, 116119, 126]. Sono necessari studi clinici randomizzati per identificare la migliore terapia antitrombotica per prevenire la trombosi legata al dispositivo ed esplorare l’efficacia della LAAO in popolazioni ad alto rischio con un ridotto margine di sicurezza tra la prevenzione dell’ictus e il rischio di sanguinamento (ad esempio, CKD allo stadio finale, anziani).

 

Conclusioni

I pazienti con CKD, specialmente con ESRD già in RRT, rappresentano una popolazione impegnativa per la scelta della terapia anticoagulante a lungo termine; tuttavia, la crescente evidenza suggerisce che i DOACs potrebbero essere un’alternativa migliore del warfarin come risultato della minore incidenza di AKI e WRN e un migliore rapporto rischio/beneficio.

 

Abbreviazioni

AKI: Danno Renale Acuto

ARN: Nefropatia Legata all’Anticoagulazione

BMP: Proteina Morfogenetica dell’Osso

CI: Intervallo di Confidenza

CKD: Malattia Renale Cronica

DKD: Malattia Renale Diabetica

DM: Diabete Mellito

DOACs: Anticoagulanti Orali Diretti

eGFR: Filtrato Glomerulare Stimato

ESC: Società Europea di Cardiologia

ESRD: End-Stage Renal Disease

FA: Fibrillazione Atriale

FANS: Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei

HR: Hazard Ratio

INR: Rapporto Internazionale Normalizzato

LAAO: Chiusura Percutanea di Auricola

NO: Ossido Nitrico

RAAS: sistema renina-angiotensina-aldosterone

ROS: Specie Reattive dell’Ossigeno

RRT: Terapia Renale Sostitutiva

WRN: Nefropatia Correlata a Warfarin

 

Bibliografia

  1. Kannel WB, Wolf PA, Benjamin EJ, Levy D. Prevalence, incidence, prognosis, and predisposing conditions for atrial fibrillation: population-based estimates. Am J Cardiol 1998; 82:2N-9N. https://doi.org/10.1016/S0002-9149(98)00583-9
  2. Hindricks G, Potpara T, Dagres N, et al. 2020 ESC Guidelines for the diagnosis and management of atrial fibrillation developed in collaboration with the European Association for Cardio-Thoracic Surgery (EACTS). European Heart Journal 2021; 42:373-498. https://doi.org/10.1093/eurheartj/ehaa612
  3. Hart RG, Eikelboom JW, Brimble KS, McMurtry MS, Ingram AJ. Stroke prevention in atrial fibrillation patients with chronic kidney disease. Can J Cardiol 2013; 29:S71-78. https://doi.org/10.1016/j.cjca.2013.04.005
  4. Soliman EZ, Prineas RJ, Go AS, et al. Chronic kidney disease and prevalent atrial fibrillation: the Chronic Renal Insufficiency Cohort (CRIC). Am Heart J 2010; 159:1102-1107. https://doi.org/10.1016/j.ahj.2010.03.027
  5. Ananthapanyasut W, Napan S, Rudolph EH, et al. Prevalence of atrial fibrillation and its predictors in nondialysis patients with chronic kidney disease. Clin J Am Soc Nephrol 2010; 5:173-181. https://doi.org/10.2215/CJN.03170509
  6. Genovesi S, Pogliani D, Faini A, et al. Prevalence of atrial fibrillation and associated factors in a population of long-term hemodialysis patients. Am J Kidney Dis 2005; 46:897-902. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2005.07.044
  7. Levey AS, Eckardt K-U, Tsukamoto Y, et al. Definition and classification of chronic kidney disease: a position statement from Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO). Kidney Int 2005; 67:2089-2100. https://doi.org/10.1111/j.1523-1755.2005.00365.x
  8. Vazquez E, Sanchez-Perales C, Garcia-Garcia F, et al. Atrial fibrillation in incident dialysis patients. Kidney Int 2009; 76:324-330. https://doi.org/10.1038/ki.2009.185
  9. Steffel J, Verhamme P, Potpara TS, et al. The 2018 European Heart Rhythm Association Practical Guide on the use of non-vitamin K antagonist oral anticoagulants in patients with atrial fibrillation. Eur Heart J 2018; 39:1330-1393. https://doi.org/10.1093/eurheartj/ehy136
  10. Turakhia MP, Shafrin J, Bognar K, et al. Estimated prevalence of undiagnosed atrial fibrillation in the United States. PLoS One 2018; 13:e0195088. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0195088
  11. January CT, Wann LS, Calkins H, et al. 2019 AHA/ACC/HRS Focused Update of the 2014 AHA/ACC/HRS Guideline for the Management of Patients With Atrial Fibrillation: A Report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Clinical Practice Guidelines and the Heart Rhythm Society in Collaboration With the Society of Thoracic Surgeons. Circulation 2019; 140:e125-e151. https://doi.org/10.1161/CIR.0000000000000665
  12. Lip GYH, Banerjee A, Boriani G, et al. Antithrombotic Therapy for Atrial Fibrillation: CHEST Guideline and Expert Panel Report. Chest 2018; 154:1121-1201. https://doi.org/10.1016/j.chest.2018.07.040
  13. Lavalle C, Di Lullo L, Bellasi A, et al. Adverse Drug Reactions during Real-Life Use of Direct Oral Anticoagulants in Italy: An Update Based on Data from the Italian National Pharmacovigilance Network. Cardiorenal Med 2020; 10:266-276. https://doi.org/10.1159/000507046
  14. Iseki K, Kinjo K, Kimura Y, Osawa A, Fukiyama K. Evidence for high risk of cerebral hemorrhage in chronic dialysis patients. Kidney Int 1993; 44:1086-1090. https://doi.org/10.1038/ki.1993.352
  15. Bos MJ, Koudstaal PJ, Hofman A, Breteler MMB. Decreased glomerular filtration rate is a risk factor for hemorrhagic but not for ischemic stroke: the Rotterdam Study. Stroke 2007; 38:3127-3132. https://doi.org/10.1161/STROKEAHA.107.489807
  16. Shimizu M, Natori T, Tsuda K, et al. Thrombin-induced platelet aggregation -effect of dabigatran using automated platelet aggregometry. Platelets 2020; 31:360-364. https://doi.org/10.1080/09537104.2019.1624707
  17. Bussalino E, Ravera M, Minutolo R, et al. A new CHA2DS2VASC score integrated with eGFR, left ventricular hypertrophy, and pulse pressure is highly effective in predicting adverse cardiovascular outcome in chronic kidney disease. Eur J Prev Cardiol 2022:zwac039. https://doi.org/10.1093/eurjpc/zwac039
  18. Piccini JP, Stevens SR, Chang Y, et al. Renal dysfunction as a predictor of stroke and systemic embolism in patients with nonvalvular atrial fibrillation: validation of the R(2)CHADS(2) index in the ROCKET AF (Rivaroxaban Once-daily, oral, direct factor Xa inhibition Compared with vitamin K antagonism for prevention of stroke and Embolism Trial in Atrial Fibrillation) and ATRIA (AnTicoagulation and Risk factors In Atrial fibrillation) study cohorts. Circulation 2013; 127:224-232. https://doi.org/10.1161/CIRCULATIONAHA.112.107128
  19. Providência R, Fernandes A, Paiva L, et al. Decreased glomerular filtration rate and markers of left atrial stasis in patients with nonvalvular atrial fibrillation. Cardiology 2013; 124:3-10. https://doi.org/10.1159/000345434
  20. Kizawa S, Ito T, Akamatsu K, et al. Chronic Kidney Disease as a Possible Predictor of Left Atrial Thrombogenic Milieu Among Patients with Nonvalvular Atrial Fibrillation. Am J Cardiol 2018; 122:2062-2067. https://doi.org/10.1016/j.amjcard.2018.08.058
  21. Gedikli Ö, Mohanty S, Trivedi C, et al. Impact of dense “smoke” detected on transesophageal echocardiography on stroke risk in patients with atrial fibrillation undergoing catheter ablation. Heart Rhythm 2019; 16:351-357. https://doi.org/10.1016/j.hrthm.2018.10.004
  22. Bolton CH, Downs LG, Victory JG, et al. Endothelial dysfunction in chronic renal failure: roles of lipoprotein oxidation and pro-inflammatory cytokines. Nephrol Dial Transplant 2001; 16:1189-1197. https://doi.org/10.1093/ndt/16.6.1189
  23. Wang M-C, Tsai W-C, Chen J-Y, Huang J-J. Stepwise increase in arterial stiffness corresponding with the stages of chronic kidney disease. Am J Kidney Dis 2005; 45:494-501. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2004.11.011
  24. Heintz B, Schmidt P, Maurin N, et al. Endothelin-1 potentiates ADP-induced platelet aggregation in chronic renal failure. Ren Fail 1994; 16:481-489. https://doi.org/10.3109/08860229409045079
  25. Della Rocca DG, Pepine CJ. Endothelium as a predictor of adverse outcomes. Clin Cardiol 2010; 33:730-732. https://doi.org/10.1002/clc.20854
  26. Della Rocca DG, Pepine CJ. Some thoughts on the continuing dilemma of angina pectoris. Eur Heart J 2014; 35:1361-1364. https://doi.org/10.1093/eurheartj/ehs225
  27. Keller C, Katz R, Cushman M, Fried LF, Shlipak M. Association of kidney function with inflammatory and procoagulant markers in a diverse cohort: a cross-sectional analysis from the Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis (MESA). BMC Nephrol 2008; 9:9. https://doi.org/10.1186/1471-2369-9-9
  28. Costa E, Rocha S, Rocha-Pereira P, et al. Cross-Talk between Inflammation, Coagulation/Fibrinolysis and Vascular access in Hemodialysis Patients. J Vasc Access 2008; 9:248-253. https://doi.org/10.1177/112972980800900405
  29. Shlipak MG, Fried LF, Crump C, et al. Elevations of inflammatory and procoagulant biomarkers in elderly persons with renal insufficiency. Circulation 2003; 107:87-92. https://doi.org/10.1161/01.CIR.0000042700.48769.59
  30. Tomura S, Nakamura Y, Doi M, et al. Fibrinogen, coagulation factor VII, tissue plasminogen activator, plasminogen activator inhibitor-1, and lipid as cardiovascular risk factors in chronic hemodialysis and continuous ambulatory peritoneal dialysis patients. Am J Kidney Dis 1996; 27:848-854. https://doi.org/10.1016/S0272-6386(96)90523-5
  31. Boccardo P, Remuzzi G, Galbusera M. Platelet dysfunction in renal failure. Semin Thromb Hemost 2004; 30:579-589. https://doi.org/10.1055/s-2004-835678
  32. Kaw D, Malhotra D. Platelet dysfunction and end-stage renal disease. Semin Dial 2006; 19:317-322. https://doi.org/10.1111/j.1525-139X.2006.00179.x
  33. Mannucci PM, Tripodi A. Hemostatic defects in liver and renal dysfunction. Hematology Am Soc Hematol Educ Program 2012; 2012:168-173. https://doi.org/10.1182/asheducation.V2012.1.168.3798232
  34. Reinecke H, Brand E, Mesters R, et al. Dilemmas in the management of atrial fibrillation in chronic kidney disease. J Am Soc Nephrol 2009; 20:705-711. https://doi.org/10.1681/ASN.2007111207
  35. Brodsky SV, Satoskar A, Chen J, et al. Acute kidney injury during warfarin therapy associated with obstructive tubular red blood cell casts: a report of 9 cases. Am J Kidney Dis 2009; 54:1121-1126. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2009.04.024
  36. Brodsky SV, Nadasdy T, Rovin BH, et al. Warfarin-related nephropathy occurs in patients with and without chronic kidney disease and is associated with an increased mortality rate. Kidney Int 2011; 80:181-189. https://doi.org/10.1038/ki.2011.44
  37. Brodsky S, Eikelboom J, Hebert LA. Anticoagulant-Related Nephropathy. JASN 2018; 29:2787-2793. https://doi.org/10.1681/ASN.2018070741
  38. Piran S, Traquair H, Chan N, Robinson M, Schulman S. Incidence and risk factors for acute kidney injury in patients with excessive anticoagulation on warfarin: a retrospective study. J Thromb Thrombolysis 2018; 45:557-561. https://doi.org/10.1007/s11239-018-1626-1
  39. de Aquino Moura KB, Behrens PMP, Pirolli R, et al. Anticoagulant-related nephropathy: systematic review and meta-analysis. Clin Kidney J 2019; 12:400-407. https://doi.org/10.1093/ckj/sfy133
  40. Ware K, Brodsky P, Satoskar AA, et al. Warfarin-related nephropathy modeled by nephron reduction and excessive anticoagulation. J Am Soc Nephrol 2011; 22:1856-1862. https://doi.org/10.1681/ASN.2010101110
  41. Golbin L, Vigneau C, Touchard G, et al. Warfarin-related nephropathy induced by three different vitamin K antagonists: analysis of 13 biopsy-proven cases. Clinical Kidney Journal 2017; 10:381-388. https://doi.org/10.1093/ckj/sfw133
  42. Zeni L, Manenti C, Fisogni S, et al. Acute Kidney Injury due to Anticoagulant-Related Nephropathy : A Suggestion for Therapy. Case Rep Nephrol 2020; 2020:8952670. https://doi.org/10.1155/2020/8952670
  43. Escoli R, Santos P, Andrade S, Carvalho F. Dabigatran-Related Nephropathy in a Patient with Undiagnosed IgA Nephropathy. Case Rep Nephrol 2015; 2015:298261. https://doi.org/10.1155/2015/298261
  44. Ryan M, Ware K, Qamri Z, et al. Warfarin-related nephropathy is the tip of the iceberg: direct thrombin inhibitor dabigatran induces glomerular hemorrhage with acute kidney injury in rats. Nephrol Dial Transplant 2014; 29:2228-2234. https://doi.org/10.1093/ndt/gft380
  45. Zhang C, Gu Z-C, Ding Z, et al. Decreased risk of renal impairment in atrial fibrillation patients receiving non-vitamin K antagonist oral anticoagulants: A pooled analysis of randomized controlled trials and real-world studies. Thromb Res 2019; 174:16-23. https://doi.org/10.1016/j.thromres.2018.12.010
  46. Yao X, Tangri N, Gersh BJ, et al. Renal Outcomes in Anticoagulated Patients With Atrial Fibrillation. Journal of the American College of Cardiology 2017; 70:2621-2632. https://doi.org/10.1016/j.jacc.2017.09.1087
  47. Chan Y-H, See L-C, Tu H-T, et al. Efficacy and Safety of Apixaban, Dabigatran, Rivaroxaban, and Warfarin in Asians With Nonvalvular Atrial Fibrillation. J Am Heart Assoc 2018; 7:e008150. https://doi.org/10.1161/JAHA.117.008150
  48. Price PA, Faus SA, Williamson MK. Warfarin causes rapid calcification of the elastic lamellae in rat arteries and heart valves. Arterioscler Thromb Vasc Biol 1998; 18:1400-1407. https://doi.org/10.1161/01.ATV.18.9.1400
  49. Tantisattamo E, Han KH, O’Neill WC. Increased vascular calcification in patients receiving warfarin. Arterioscler Thromb Vasc Biol 2015; 35:237-242. https://doi.org/10.1161/ATVBAHA.114.304392
  50. Della Rocca DG, Santini L, Forleo GB, et al. Novel perspectives on arrhythmia-induced cardiomyopathy: pathophysiology, clinical manifestations and an update on invasive management strategies. Cardiol Rev 2015; 23:135-141. https://doi.org/10.1097/CRD.0000000000000040
  51. Han KH, O’Neill WC. Increased Peripheral Arterial Calcification in Patients Receiving Warfarin. JAHA 2016; 5. https://doi.org/10.1161/JAHA.115.002665
  52. Montone RA, Niccoli G, Tufaro V, et al. Changes in renal function and occurrence of contrast-induced nephropathy after percutaneous coronary interventions in patients with atrial fibrillation treated with non-vitamin K oral anticoagulants or warfarin. Postepy Kardiol Interwencyjnej 2019; 15:59-67. https://doi.org/10.5114/aic.2019.83772
  53. Yao X, Inselman JW, Ross JS, et al. Comparative Effectiveness and Safety of Oral Anticoagulants Across Kidney Function in Patients With Atrial Fibrillation. Circ Cardiovasc Qual Outcomes 2020; 13:e006515. https://doi.org/10.1161/CIRCOUTCOMES.120.006515
  54. Fauchier L, Bisson A, Clementy N, et al. Changes in glomerular filtration rate and outcomes in patients with atrial fibrillation. Am Heart J 2018; 198:39-45. https://doi.org/10.1016/j.ahj.2017.12.017
  55. Banerjee A, Fauchier L, Vourc’h P, et al. A prospective study of estimated glomerular filtration rate and outcomes in patients with atrial fibrillation: the Loire Valley Atrial Fibrillation Project. Chest 2014; 145:1370-1382. https://doi.org/10.1378/chest.13-2103
  56. Bohula EA, Giugliano RP, Ruff CT, et al. Impact of Renal Function on Outcomes With Edoxaban in the ENGAGE AF-TIMI 48 Trial. Circulation 2016; 134:24-36. https://doi.org/10.1161/CIRCULATIONAHA.116.022361
  57. Pecoits-Filho R, Abensur H, Betônico CCR, et al. Interactions between kidney disease and diabetes: dangerous liaisons. Diabetol Metab Syndr 2016; 8:50. https://doi.org/10.1186/s13098-016-0159-z
  58. Magnocavallo M, Vetta G, Trivigno S, et al. The Connubium among diabetes, chronic kidney disease and atrial fibrillation. Minerva Cardiol Angiol 2022. https://doi.org/10.23736/S2724-5683.22.05891-4
  59. United States Renal Data System. 2019 USRDS Annual Data Report: Epidemiology of Kidney Disease in the United States; United States Renal Data System: Bethesda, MD, USA, 2019.
  60. Fox CS, Larson MG, Leip EP, Culleton B, Wilson PWF, Levy D. Predictors of new-onset kidney disease in a community-based population. JAMA 2004; 291:844-850. https://doi.org/10.1001/jama.291.7.844
  61. de Boer IH, Rue TC, Hall YN, Heagerty PJ, Weiss NS, Himmelfarb J. Temporal trends in the prevalence of diabetic kidney disease in the United States. JAMA 2011; 305:2532-2539. https://doi.org/10.1001/jama.2011.861
  62. Beckman JA, Creager MA, Libby P. Diabetes and atherosclerosis: epidemiology, pathophysiology, and management. JAMA 2002; 287:2570-2581. https://doi.org/10.1001/jama.287.19.2570
  63. Franchi F, James SK, Ghukasyan Lakic T, et al. Impact of Diabetes Mellitus and Chronic Kidney Disease on Cardiovascular Outcomes and Platelet P2Y12 Receptor Antagonist Effects in Patients With Acute Coronary Syndromes: Insights From the PLATO Trial. J Am Heart Assoc 2019; 8:e011139. https://doi.org/10.1161/JAHA.118.011139
  64. Ferreiro JL, Angiolillo DJ. Diabetes and antiplatelet therapy in acute coronary syndrome. Circulation 2011; 123:798-813. https://doi.org/10.1161/CIRCULATIONAHA.109.913376
  65. Baber U, Chandrasekhar J, Sartori S, et al. Associations Between Chronic Kidney Disease and Outcomes With Use of Prasugrel Versus Clopidogrel in Patients With Acute Coronary Syndrome Undergoing Percutaneous Coronary Intervention: A Report From the PROMETHEUS Study. JACC Cardiovasc Interv 2017; 10:2017-2025. https://doi.org/10.1016/j.jcin.2017.02.047
  66. Bonello L, Angiolillo DJ, Aradi D, Sibbing D. P2Y12-ADP Receptor Blockade in Chronic Kidney Disease Patients With Acute Coronary Syndromes. Circulation 2018; 138:1582-1596. https://doi.org/10.1161/CIRCULATIONAHA.118.032078
  67. Desai RJ, Spoendlin J, Mogun H, Gagne JJ. Contemporary Time Trends in Use of Antiplatelet Agents Among Patients with Acute Coronary Syndrome and Comorbid Diabetes Mellitus or Chronic Kidney Disease. Pharmacotherapy 2017; 37:1322-1327. https://doi.org/10.1002/phar.2018
  68. Meyer C, Gerich JE. Role of the kidney in hyperglycemia in type 2 diabetes. Curr Diab Rep 2002; 2:237-241. https://doi.org/10.1007/s11892-002-0089-z
  69. Abe M, Kalantar-Zadeh K. Haemodialysis-induced hypoglycaemia and glycaemic disarrays. Nat Rev Nephrol 2015; 11:302-313. https://doi.org/10.1038/nrneph.2015.38
  70. Zimmerman D, Sood MM, Rigatto C, Holden RM, Hiremath S, Clase CM. Systematic review and meta-analysis of incidence, prevalence and outcomes of atrial fibrillation in patients on dialysis. Nephrol Dial Transplant 2012; 27:3816-3822. https://doi.org/10.1093/ndt/gfs416
  71. Ravera M, Bussalino E, Fusaro M, Di Lullo L, Aucella F, Paoletti E. Systematic DOACs oral anticoagulation in patients with atrial fibrillation and chronic kidney disease: the nephrologist’s perspective. J Nephrol 2020; 33:483-495. https://doi.org/10.1007/s40620-020-00720-5
  72. Posch F, Ay C, Stöger H, Kreutz R, Beyer-Westendorf J. Exposure to vitamin k antagonists and kidney function decline in patients with atrial fibrillation and chronic kidney disease. Res Pract Thromb Haemost 2019; 3:207-216. https://doi.org/10.1002/rth2.12189
  73. Fusaro M, Gallieni M, Aghi A, et al. Osteocalcin (bone GLA protein) levels, vascular calcifications, vertebral fractures and mortality in hemodialysis patients with diabetes mellitus. J Nephrol 2019; 32:635-643. https://doi.org/10.1007/s40620-019-00595-1
  74. Price PA, Fraser JD, Metz-Virca G. Molecular cloning of matrix Gla protein: implications for substrate recognition by the vitamin K-dependent gamma-carboxylase. Proc Natl Acad Sci U S A 1987; 84:8335-8339. https://doi.org/10.1073/pnas.84.23.8335
  75. Chatrou MLL, Winckers K, Hackeng TM, Reutelingsperger CP, Schurgers LJ. Vascular calcification: the price to pay for anticoagulation therapy with vitamin K-antagonists. Blood Rev 2012; 26:155-166. https://doi.org/10.1016/j.blre.2012.03.002
  76. Parker BD, Ix JH, Cranenburg ECM, Vermeer C, Whooley MA, Schurgers LJ. Association of kidney function and uncarboxylated matrix Gla protein: data from the Heart and Soul Study. Nephrol Dial Transplant 2009; 24:2095-2101. https://doi.org/10.1093/ndt/gfp024
  77. Chimenti C, Lavalle C, Magnocavallo M, et al. A proposed strategy for anticoagulation therapy in noncompaction cardiomyopathy. ESC Heart Failure 2022; 9:241-250. https://doi.org/10.1002/ehf2.13694
  78. Hernandez AV, Bradley G, Khan M, et al. Rivaroxaban vs. warfarin and renal outcomes in non-valvular atrial fibrillation patients with diabetes. Eur Heart J Qual Care Clin Outcomes 2020; 6(4):301-307. https://doi.org/10.1093/ehjqcco/qcz047
  79. Fordyce CB, Hellkamp AS, Lokhnygina Y, et al. On-Treatment Outcomes in Patients With Worsening Renal Function With Rivaroxaban Compared With Warfarin: Insights From ROCKET AF. Circulation 2016; 134:37-47. https://doi.org/10.1161/CIRCULATIONAHA.116.021890
  80. Bellasi A, Di Lullo L, Russo D, et al. Predictive Value of Measures of Vascular Calcification Burden and Progression for Risk of Death in Incident to Dialysis Patients. J Clin Med 2021; 10:376. https://doi.org/10.3390/jcm10030376
  81. Di Lullo L, Lavalle C, Magnocavallo M, et al. New evidence of direct oral anticoagulation therapy on cardiac valve calcifications, renal preservation and inflammatory modulation. International Journal of Cardiology 2021; 345:90-97. https://doi.org/10.1016/j.ijcard.2021.10.025
  82. Bellasi A, Di Lullo L, Russo D, et al. Vascular Calcification Progression Modulates the Risk Associated with Vascular Calcification Burden in Incident to Dialysis Patients. Cells 2021; 10:1091. https://doi.org/10.3390/cells10051091
  83. O’Brien EC, Simon DN, Allen LA, et al. Reasons for warfarin discontinuation in the Outcomes Registry for Better Informed Treatment of Atrial Fibrillation (ORBIT-AF). Am Heart J 2014; 168:487-494. https://doi.org/10.1016/j.ahj.2014.07.002
  84. Magnocavallo M, Bellasi A, Mariani MV, et al. Thromboembolic and Bleeding Risk in Atrial Fibrillation Patients with Chronic Kidney Disease: Role of Anticoagulation Therapy. J Clin Med 2020; 10. https://doi.org/10.3390/jcm10010083
  85. Ruff CT, Giugliano RP, Braunwald E, et al. Comparison of the efficacy and safety of new oral anticoagulants with warfarin in patients with atrial fibrillation: a meta-analysis of randomised trials. Lancet 2014; 383:955-962. https://doi.org/10.1016/S0140-6736(13)62343-0
  86. Patel MR, Mahaffey KW, Garg J, et al. Rivaroxaban versus Warfarin in Nonvalvular Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2011; 365:883-891. https://doi.org/10.1056/NEJMoa1009638
  87. Giugliano RP, Ruff CT, Braunwald E, et al. Edoxaban versus Warfarin in Patients with Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2013; 369:2093-2104. https://doi.org/10.1056/NEJMoa1310907
  88. Granger CB, Alexander JH, McMurray JJV, et al. Apixaban versus Warfarin in Patients with Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2011; 365:981-992. https://doi.org/10.1056/NEJMoa1107039
  89. Coppens M, Synhorst D, Eikelboom JW, Yusuf S, Shestakovska O, Connolly SJ. Efficacy and safety of apixaban compared with aspirin in patients who previously tried but failed treatment with vitamin K antagonists: results from the AVERROES trial. Eur Heart J 2014; 35:1856-1863. https://doi.org/10.1093/eurheartj/ehu048
  90. Connolly SJ, Ezekowitz MD, Yusuf S, et al. Dabigatran versus Warfarin in Patients with Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2009; 361:1139-1151. https://doi.org/10.1056/NEJMoa0905561
  91. Liesenfeld K-H, Clemens A, Kreuzer J, Brueckmann M, Schulze F. Dabigatran treatment simulation in patients undergoing maintenance haemodialysis. Thromb Haemost 2016; 115:562-569. https://doi.org/10.1160/th15-07-0531
  92. Wang X, Tirucherai G, Marbury TC, et al. Pharmacokinetics, pharmacodynamics, and safety of apixaban in subjects with end-stage renal disease on hemodialysis. J Clin Pharmacol 2016; 56:628-636. https://doi.org/10.1002/jcph.628
  93. Mavrakanas TA, Samer CF, Nessim SJ, Frisch G, Lipman ML. Apixaban Pharmacokinetics at Steady State in Hemodialysis Patients. J Am Soc Nephrol 2017; 28:2241-2248. https://doi.org/10.1681/ASN.2016090980
  94. De Vriese AS, Caluwé R, Bailleul E, et al. Dose-finding study of rivaroxaban in hemodialysis patients. Am J Kidney Dis 2015; 66:91-98. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2015.01.022
  95. Dias C, Moore KT, Murphy J, et al. Pharmacokinetics, Pharmacodynamics, and Safety of Single-Dose Rivaroxaban in Chronic Hemodialysis. Am J Nephrol 2016; 43:229-236. https://doi.org/10.1159/000445328
  96. See L-C, Lee H-F, Chao T-F, et al. Effectiveness and Safety of Direct Oral Anticoagulants in an Asian Population with Atrial Fibrillation Undergoing Dialysis: A Population-Based Cohort Study and Meta-Analysis. Cardiovasc Drugs Ther 2021; 35:975-986. https://doi.org/10.1007/s10557-020-07108-4
  97. Siontis KC, Zhang X, Eckard A, et al. Outcomes Associated With Apixaban Use in Patients With End-Stage Kidney Disease and Atrial Fibrillation in the United States. Circulation 2018; 138:1519-1529. https://doi.org/10.1161/CIRCULATIONAHA.118.035418
  98. Miao B, Sood N, Bunz TJ, Coleman CI. Rivaroxaban versus apixaban in non-valvular atrial fibrillation patients with end-stage renal disease or receiving dialysis. Eur J Haematol 2020; 104:328-335. https://doi.org/10.1111/ejh.13383
  99. Coleman CI, Kreutz R, Sood NA, et al. Rivaroxaban Versus Warfarin in Patients With Nonvalvular Atrial Fibrillation and Severe Kidney Disease or Undergoing Hemodialysis. Am J Med 2019; 132:1078-1083. https://doi.org/10.1016/j.amjmed.2019.04.013
  100. Kuno T, Takagi H, Ando T, et al. Oral Anticoagulation for Patients With Atrial Fibrillation on Long-Term Hemodialysis. J Am Coll Cardiol 2020; 75:273-285. https://doi.org/10.1016/j.jacc.2019.10.059
  101. Chokesuwattanaskul R, Thongprayoon C, Tanawuttiwat T, Kaewput W, Pachariyanon P, Cheungpasitporn W. Safety and efficacy of apixaban versus warfarin in patients with end-stage renal disease: Meta-analysis. Pacing Clin Electrophysiol 2018; 41:627-634. https://doi.org/10.1111/pace.13331
  102. Wanner C, Herzog CA, Turakhia MP, et al. Chronic kidney disease and arrhythmias: highlights from a Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO) Controversies Conference. Kidney International 2018; 94:231-234. https://doi.org/10.1016/j.kint.2018.05.005
  103. Reinecke H, Jürgensmeyer S, Engelbertz C, et al. Design and rationale of a randomised controlled trial comparing apixaban to phenprocoumon in patients with atrial fibrillation on chronic haemodialysis: the AXADIA-AFNET 8 study. BMJ Open 2018; 8:e022690. https://doi.org/10.1136/bmjopen-2018-022690
  104. De Vriese AS, Caluwé R, Pyfferoen L, et al. Multicenter Randomized Controlled Trial of Vitamin K Antagonist Replacement by Rivaroxaban with or without Vitamin K2 in Hemodialysis Patients with Atrial Fibrillation: the Valkyrie Study. J Am Soc Nephrol 2020; 31:186-196. https://doi.org/10.1681/ASN.2019060579
  105. Blackshear JL, Odell JA. Appendage obliteration to reduce stroke in cardiac surgical patients with atrial fibrillation. Ann Thorac Surg 1996; 61:755-759. https://doi.org/10.1016/0003-4975(95)00887-X
  106. Boersma LVA, Schmidt B, Betts TR, et al. Implant success and safety of left atrial appendage closure with the WATCHMAN device: peri-procedural outcomes from the EWOLUTION registry. Eur Heart J 2016; 37:2465-2474. https://doi.org/10.1093/eurheartj/ehv730
  107. Tzikas A, Shakir S, Gafoor S, et al. Left atrial appendage occlusion for stroke prevention in atrial fibrillation: multicentre experience with the AMPLATZER Cardiac Plug. EuroIntervention 2016; 11:1170-1179. https://doi.org/10.4244/EIJY15M01_06
  108. Lakkireddy D, Afzal MR, Lee RJ, et al. Short and long-term outcomes of percutaneous left atrial appendage suture ligation: Results from a US multicenter evaluation. Heart Rhythm 2016; 13:1030-1036. https://doi.org/10.1016/j.hrthm.2016.01.022
  109. Gianni C, Anannab A, Sahore Salwan A, Della Rocca DG, Natale A, Horton RP. Closure of the left atrial appendage using percutaneous transcatheter occlusion devices. J Cardiovasc Electrophysiol 2020; 31:2179-2186. https://doi.org/10.1111/jce.14471
  110. Holmes DR, Kar S, Price MJ, et al. Prospective randomized evaluation of the Watchman Left Atrial Appendage Closure device in patients with atrial fibrillation versus long-term warfarin therapy: the PREVAIL trial. J Am Coll Cardiol 2014; 64:1-12. https://doi.org/10.1016/j.jacc.2014.04.029
  111. Reddy VY, Möbius-Winkler S, Miller MA, et al. Left atrial appendage closure with the Watchman device in patients with a contraindication for oral anticoagulation: the ASAP study (ASA Plavix Feasibility Study With Watchman Left Atrial Appendage Closure Technology). J Am Coll Cardiol 2013; 61:2551-2556. https://doi.org/10.1016/j.jacc.2013.03.035
  112. Gadiyaram VK, Mohanty S, Gianni C, et al. Thromboembolic events and need for anticoagulation therapy following left atrial appendage occlusion in patients with electrical isolation of the appendage. J Cardiovasc Electrophysiol 2019; 30:511-516. https://doi.org/10.1111/jce.13838
  113. Della Rocca DG, Horton RP, Di Biase L, et al. First Experience of Transcatheter Leak Occlusion With Detachable Coils Following Left Atrial Appendage Closure. JACC Cardiovasc Interv 2020; 13:306-319. https://doi.org/10.1016/j.jcin.2019.10.022
  114. Kefer J, Tzikas A, Freixa X, et al. Impact of chronic kidney disease on left atrial appendage occlusion for stroke prevention in patients with atrial fibrillation. Int J Cardiol 2016; 207:335-340. https://doi.org/10.1016/j.ijcard.2016.01.003
  115. Sedaghat A, Vij V, Streit SR, et al. Incidence, predictors, and relevance of acute kidney injury in patients undergoing left atrial appendage closure with Amplatzer occluders: a multicentre observational study. Clin Res Cardiol 2020; 109:444-453. https://doi.org/10.1007/s00392-019-01524-9
  116. Luani B, Genz C, Herold J, et al. Cerebrovascular events, bleeding complications and device related thrombi in atrial fibrillation patients with chronic kidney disease and left atrial appendage closure with the WATCHMANTM device. BMC Cardiovasc Disord 2019; 19:112. https://doi.org/10.1186/s12872-019-1097-0
  117. Cruz-González I, González-Ferreiro R, Freixa X, et al. Left atrial appendage occlusion for stroke despite oral anticoagulation (resistant stroke). Results from the Amplatzer Cardiac Plug registry. Rev Esp Cardiol (Engl Ed) 2020; 73:28-34. https://doi.org/10.1016/j.recesp.2019.02.018
  118. Genovesi S, Porcu L, Slaviero G, et al. Outcomes on safety and efficacy of left atrial appendage occlusion in end stage renal disease patients undergoing dialysis. J Nephrol 2021; 34:63-73. https://doi.org/10.1007/s40620-020-00774-5
  119. Xue X, Jiang L, Duenninger E, et al. Impact of chronic kidney disease on Watchman implantation: experience with 300 consecutive left atrial appendage closures at a single center. Heart Vessels 2018; 33:1068-1075. https://doi.org/10.1007/s00380-018-1157-x
  120. Della Rocca DG, Magnocavallo M, Gianni C, et al. Procedural and short-term follow-up outcomes of Amplatzer Amulet occluder versus Watchman FLX device: A meta-analysis. Heart Rhythm 2022:S1547-5271(22)00130-8. https://doi.org/10.1016/j.hrthm.2022.02.007
  121. Magnocavallo M, Della Rocca DG, Gianni C, et al. Zero contrast left atrial appendage occlusion and peridevice leak closure in patients with advanced kidney disease. Heart Rhythm 2022:S1547-5271(22)00110-2. https://doi.org/10.1016/j.hrthm.2022.01.036
  122. Reddy VY, Doshi SK, Sievert H, et al. Percutaneous left atrial appendage closure for stroke prophylaxis in patients with atrial fibrillation: 2.3-Year Follow-up of the PROTECT AF (Watchman Left Atrial Appendage System for Embolic Protection in Patients with Atrial Fibrillation) Trial. Circulation 2013; 127:720-729. https://doi.org/10.1161/CIRCULATIONAHA.112.114389
  123. Ayhan H, Mohanty S, Gedikli Ö, et al. A simple method to detect leaks after left atrial appendage occlusion with Watchman. J Cardiovasc Electrophysiol 2020; 31:2338-2343. https://doi.org/10.1111/jce.14641
  124. Della Rocca DG, Magnocavallo M, Di Biase L, et al. Half-Dose Direct Oral Anticoagulation Versus Standard Antithrombotic Therapy After Left Atrial Appendage Occlusion. JACC: Cardiovascular Interventions 2021:S1936879821014035. https://doi.org/10.1016/j.jcin.2021.07.031
  125. Della Rocca DG, Murtaza G, Di Biase L, et al. Radiofrequency Energy Applications Targeting Significant Residual Leaks After Watchman Implantation. JACC: Clinical Electrophysiology 2021; 7:1573-1584. https://doi.org/10.1016/j.jacep.2021.06.002
  126. Della Rocca DG, Horton RP, Di Biase L, et al. Incidence of Device-Related Thrombosis in Watchman Patients Undergoing a Genotype-Guided Antithrombotic Strategy. JACC: Clinical Electrophysiology 2021; 7:1533-1543. https://doi.org/10.1016/j.jacep.2021.04.012

The link between homocysteine, folic acid and vitamin B12 in chronic kidney disease

Abstract

Patients with chronic kidney disease or end-stage renal disease experience tremendous cardiovascular risk. Cardiovascular events are the leading causes of death in these patient populations, thus the interest in non-traditional risk factors such as hyperhomocysteinemia, folic acid and vitamin B12 metabolism is growing.  Hyperhomocysteinemia is commonly found in CKD patients because of impaired renal metabolism and reduced renal excretion. Folic acid, the synthetic form of vitamin B9, is critical in the conversion of homocysteine to methionine like vitamin B12. Folic acid has also been shown to improve endothelial function without lowering homocysteine, suggesting an alternative explanation for the effect of folic acid on endothelial function. Whether hyperhomocysteinemia represents a reliable marker of cardiovascular risk and cardiovascular mortality or a therapeutic target in this population remains unclear. However, it is reasonable to consider folic acid with or without methylcobalamin supplementation as appropriate adjunctive therapy in patients with CKD. The purpose of this review is to summarize the characteristics of homocysteine, folic acid, and vitamin B12 metabolism, the mechanism of vascular damage, and the outcome of vitamin supplementation on hyperhomocysteinemia in patients with CKD, ESRD, dialysis treatment, and in kidney transplant recipients.

Keywords: hyperhomocysteinemia, folic acid, vitamin B12, chronic kidney disease, end-stage renal disease, cardiovascular disease

Introduction

Chronic Kidney Disease (CKD) represents an important economic burden for health systems around the world, with an estimated global prevalence of between 11 and 13%. Rationalized measures are needed to slow the progression to end-stage kidney disease (ESRD) and to decrease cardiovascular mortality [1]. Mortality rates remain in fact above 20% per year with the use of dialysis, with more than half of all deaths related to cardiovascular disease [2]. The problem of peripheral arteries disease (PAD) is also emerging, which is more common in patients with CKD and is associated with lower limb amputations and increased mortality [3].

Traditional factors such as hypertension, dyslipidaemia and diabetes mellitus are not sufficient to explain the dramatically increased cardiovascular risk in the population with CKD/ESRD. Thus, much attention shifted to other less studied aspects of CKD such as oxidative stress, endothelial dysfunction, chronic inflammation, vascular calcification in chronic kidney disease-mineral and bone disorder (CKD-MBD) and finally hyperhomocysteinemia (HHcy) [4].

The latter, since its discovery, proved to be a plausible risk factor for the development of atherosclerotic vascular disease processes leading to cardiovascular disease (CVD) and stroke. Levels of homocysteine (Hcy) higher than 20.0 μmol/L are associated with mortality 4.5 times higher. The “homocysteine hypothesis” is supported by the fact that subjects with problems in the enzymatic pathway of homocysteine metabolism have a higher level of homocysteine than the general population and a faster progression of arteriosclerosis. Therefore, the link between cardiovascular mortality and arteriosclerosis has been the subject of debate with conflicting results [5].

The high prevalence of HHcy in patients with CKD generated interest in a potential role of HHcy as a risk factor for CKD progression and CVD [5,8,9,10].

Hcy is a non-essential, sulfur-containing, non-proteinogenic amino acid, synthetized by transmethylation of the essential, diet-derived amino acid methionine (Figure 1). Aberrant Hcy metabolism could lead to redox imbalance and oxidative stress resulting in elevated protein, nucleic acid and carbohydrate oxidation and lipoperoxidation, products known to be involved in cytotoxicity [11].

Hcy levels can be significantly reduced by supplementation with folic acid (FA), vitamin B12 and vitamin B6. However, in several randomized and controlled studies the impact of vitamin supplementation seems to be disappointing in terms of cardiovascular mortality [6,7]. The debate is still open: some studies have reported a null or harmful effect of supplementation with FA and B vitamins, including cyanocobalamin [10], while others have confirmed a link between the homeostasis of the vitamins, cardiovascular risk and CKD progression [12]. These two outcomes are ultimately considered the result of a complex interaction between the effects of HHcy, FA, enzymatic activity/gene variants, and FA fortification programs that exist in some countries [13].

 

B vitamins and homocysteine metabolism

Folic acid/Vitamin B9

The term “folate” includes several forms of vitamin B9, including tetrahydrofolic acid (the active form), methyltetrahydrofolate (the primary circulating form), methenyltetrahydrofolate, folinic acid, folacin and pteroylglutamic acid. Since the human body is not able to synthesize folate, it must be provided through the diet [14]. Folic acid comes from polyglutamates that are converted into monoglutamates in the intestine, and then transported through mucous epithelium by a specific vector [15].

Cobalamin/Vitamin B12

Vitamin B12, also known as cobalamin, is a nutrient with a key role in human health: it is essential as a cofactor for the enzyme methionine synthase and other biochemical reactions, such as beta oxidation of fatty acids or DNA synthesis, and in the production of red blood cells [1718]. Vitamin B12 deficiency is a common cause of HHcy and a frequent feature of patients with CKD [1416].

Cobalamin is one of the most complex coenzymes in nature. The molecule consists of a corrinic ring and a part of dimethylbenzimidazole (DMB), and the focal point of the structure is the cobalt atom, held in the center of the corrinic ring which bonds some chemical groups, the most important of which are the hydroxyl group (hydroxocobalamin, OHCbl) and group CN (cyanocobalamin, CNCbl). These are the forms most commonly used in pharmaceutical formulations for vitamin B12 supplementation.

Vitamin B12, when ingested, is complexed with salivary haptocorrin, and cobalamin is released from pancreatic proteases in the duodenum. Then, cobalamin binds to an intrinsic factor secreted by the parietal cells of the stomach: when this complex reaches the distal ileum, it is endocytosed by enterocytes through cubilin. Then, it is transported into the plasma by a plasma transport protein called transcobalamin. B12 is filtered by the glomerulus; however, urinary excretion is minimal under normal conditions, due to reabsorption in the proximal tubule [19].

Metabolism of homocysteine and folate cycle

As mentioned above, Hcy plasma levels are determined by several factors, such as genetic alterations of the methionine metabolism enzymes, and vitamin B12, vitamin B6 and folic acid deficiency. FA, playing a pivotal role in Hcy metabolism, is inert and requires to be activated in tetrahydrofolic acid, a precursor of 5-methyltetrahydrofolate (5-MTHF). Methylenetetrahydrofolate reductase (MTHFR) is a key regulatory enzyme involved in folate dependent Hcy remethylation. MTHFR catalyzes the reduction of 5,10-methyltetrahydrofolate to 5-MTHF, necessary for the normal activity of the enzyme methionine synthetase (MTS), which uses vitamin B12 as a cofactor and converts homocysteine into methionine [20]. Methionine is transformed into S-adenosylmethionine (SAM) and then converted to S-adenosylhomocysteine (SAH) through a reaction catalyzed by methionine synthase reductase (MTRR). SAM is one of the most important donors of methyl groups and is fundamental in the catabolism of various amino acids and fatty acids [21].

Hcy is the final product, derived from the hydrolysis of SAH to Hcy and adenosine, and is located at the center of two metabolic pathways: it is irreversibly degraded through the path of transsulfuration into cysteine or is remethylated to methionine (folate cycle).

  1. Transsulfuration: Firstly, Hcy combines with serine by forming cystathionine via cystathionine-beta-synthase (CBS); then, cystathionine is hydrolyzed into cysteine and alpha-ketobutyrrate from cystathionine-gamma-lyase (CTH). Human CBS is expressed in the liver, kidneys, brain and ovaries and, during the first embryogenesis, in the neural and cardiac systems.
  2. Remethylation: Hcy conversion into methionine is catalyzed by the enzyme MTS and connects the cycle of folates with Hcy metabolism. While the MTS enzyme is expressed ubiquitously, another Hcy remethylation system, betaine-Hcy methyltransferase, is expressed mainly in the liver and kidneys [1].

The main reactions of Hcy metabolism are summarized in Figure 1.

Figure 1: Schematic representation of homocysteine metabolic pathway. DHF: dihydrofolate; DMG: N,N- dimethylglycine betaine; Met: methionine; SAH: S-adenosylhomocysteine; SAM: S-adenosylmethionine; THF: tetrahydrofolate
Figure 1: Schematic representation of homocysteine metabolic pathway. DHF: dihydrofolate; DMG: N,N- dimethylglycine betaine; Met: methionine; SAH: S-adenosylhomocysteine; SAM: S-adenosylmethionine; THF: tetrahydrofolate

 

Folic acid metabolism, vitamin B12 and homocysteine in CKD

Homocysteine

Patients with CKD and ESRD have been shown to have higher blood levels of Hcy than the general population [22]. The normal plasma level is <10 μmol/L; levels of Hcy <16 μmol/L are defined as mild HHcy, while severe HHcy is diagnosed when the levels are >100 μmol/L [23]. About 80-90% of the circulating Hcy is protein-bound; 10-20% of total homocysteine (tHcy) is present as Hcy-cysteine and Hcy mixed disulfide (Hcy dimer), and <1% is present in the reduced free form [14]. In CKD, studies show that the cause of HHcy is a reduced clearance rather than an increase in production, but the exact site of altered clearance remains controversial: under physiological conditions, only non-protein related Hcy is subjected to glomerular filtration and is then mostly reabsorbed into the tubules and oxidized into carbon dioxide and sulfate in kidney cells [24]. Some data support the hypothesis that decreased Hcy removal in CKD is caused by a decreased intrarenal metabolism, through both transsulfuration and remethylation [25].

Folic acid

It has also been shown that an anionic inhibition of the membrane transport of 5-MTHF occurs in patients with CKD with a depression in the intracellular incorporation rate of folates. These results suggest that the level of folates measured in the blood of uremic individuals does not reflect its intracellular use because the uptake is altered due to anionic inhibition [26].

Vitamin B12

Mainly linked to proteins in the blood, about 20% of circulating B12 is related to holotranscobalamin (TC2). The kidney plays an important role in TC2 metabolism, as TC2 is filtered into the glomerulus and is reabsorbed into the proximal tubule. Defects in protein resorption in the proximal tubule could therefore lead to a biologically active loss of CT2 in the urine. Increased levels of TC2 were observed in patients with CKD. Despite this, there is a decrease in TC2 absorption in cells that can lead to a paradoxical increase in cell Hcy levels, despite normal total B12. Thus, a functional deficiency of B12 can occur in patients with CKD as part of an increase in TC2 leaks in the urine, lower absorption of CT2 in the proximal tubule, and lower cellular absorption of TC2.

It is also important to consider that high levels of B12 could be harmful to individuals with CKD. This is related to cyanide metabolism, which is abnormal in individuals with CKD due to the decreased glomerular filtrate. Cyanocobalamin, the most common form of B12 replacement, is metabolized into active methylcobalamin, releasing small amounts of cyanide. Under normal circumstances, methylcobalamin binds to cyanide converting it to cyanocobalamin. However, in patients with CKD, reduced cyanide clearance prevents the conversion of cyanocobalamin into the active form, and therefore integration into this form is less effective in reducing Hcy levels. In addition, the excessive amount of supplementation with cyanocobalamin can release cyanide ions that are not excreted and contribute to the onset of complications in the patient with CKD (e.g. uremic neuropathy) [2728].

 

Methylenetetrahydrofolate reductase polymorphisms

MTHFR plays a key role in Hcy metabolism and catalyzes the conversion of 5, 10-methylenetetrahydrofolate to 5-methyl-THF, the predominant circulating form of folate [29]. The MTHFR gene encodes the enzyme methyltetrahydrofolate reductase and is localized on chromosome 1 (1p36.3). Genetic polymorphisms involved in the homocysteine-methyonine route have been shown to result in HHcy. Although several MTHFR gene variants have been identified, the most characterized are single nucleotide polymorphisms (SNPs) in position 677 (MTHFR 677C>T), in position 1298 (MTHFR 129 8A>C), in position 1317 (MTHFR 1317T>C) and in position 1793 (MTHFR 1793G>A). It has been proposed that the two common mutations, MTHFR C677T and A1298C, may be associated with congenital abnormalities, cardiovascular diseases, strokes, cancer and clotting abnormalities [30,31].

C677T polymorphism is characterized by a point mutation at position 677 of the MTHFR gene that converts a cytosine into a thymine. It is known that when alanine replaces valine in the enzyme at the folate binding site, this polymorphism is commonly called thermolabile, because the activity of the encoded enzyme is reduced by 50-60% at 37°C and by 65% at 46°C. People who are homozygous for C677T tend to have slightly increased blood Hcy levels if their folate intake is insufficient, but normal Hcy levels if folate intake is adequate [32]. Substitution 677C>T is the most common missense variation of MTHFR, with a global prevalence of 40%. The frequency of C677T homozygosis varies depending on the ethnicity: from 1% or less among blacks in Africa and the United States, to 25.3% or more among Italians, Hispanic Americans and Colombians [30]. In contrast, the frequency of the mutant T allele in the MTHFR C677T gene in the Chinese population is 41.7%, higher than in other populations and could be an independent risk factors of early renal damage in the hypertensive Chinese population [33].

A1298C polymorphism is characterized by a point mutation in position 1298 in exon 7 of the MTHFR gene responsible for an amino acid substitution of a glutamine with an alanine in the enzyme regulatory domain. The activity of the encoded enzyme decreases, but to a lesser extent than in the case of C677T polymorphism. Subjects who are homozygotes for the A1298C allele do not appear to have increased serum Hcy levels [30,31]. According to Trovato et al., MTHFR 677C>T and A1298A>C gene polymorphisms could have a protective role on renal function as suggested by the lower frequency of both polymorphisms among a population of 630 dialysis patients in end-stage renal failure [34]. Regarding the other most common SNPs, MTHFR 1317T>C is a silent mutation, while MTHFR 1793G>A results in amino acid replacement, but with no impact on the functional activity of the enzyme [31].

The link between Hcy level and MTHFR gene polymorphisms has been investigated by Malinow et al.: homozygote subjects for the MTHFR T677 allele have shown an important reduction in the plasma levels of tHcy after FA integration. On the other hand, C677 allele homozygosity, especially subjects with higher basal folate levels, have shown a lesser tHcy reduction after FA supplementation. Finally, the carriers of the T/T genotype have shown the sharpest decrease of tHcy with FA integration [35]. This result was confirmed by Anchour et al: the simultaneous supplementation of folate and vitamin B12 was only useful in the homozygotes for the C allele and the reduction of Hcy was significantly higher in the carriers of the TT genotype than in other genotypes (CC/CT) [36]. These findings are consistent with the China Stroke Primary Prevention Trial (CSPPT), in which the largest decrease in serum Hcy was seen in the carriers of the TT genotype [37]. The relationship between MTHFR polymorphism and coronary heart disease severity showed that Hcy levels were significantly higher in patients with coronary arteries disease (CAD) than in control subjects and the genotype of MTHFR 677C>T was associated with increased CAD severity in patients at high risk for this pathology [38]. In summary, most available evidence suggests that MTHFR polymorphisms may influence folic acid and vitamin B12 treatment response in terms of Hcy lowering and cardiovascular risk reduction in patients with CKD and ESRD although indication of routine testing is matter of debate [39].

 

Endothelial damage of homocysteine and impact of CVD in ESRD patients

The pathogenic role of HHcy on the cardiovascular system in CKD and ESRD is related to the progression of atherosclerosis in the context of an already increased risk of vascular damage caused by the uremic syndrome. The mechanisms by which endothelial damage occurs are (Figure 2):

  • Oxidative stress. HHcy helps generate reactive oxygen species (ROS), reactive nitrogen species (RNS) and reactive species of thiol, thus decreasing the bioavailability of nitrogen monoxide (NO). These processes trigger latent matrix-metalloproteinase (MMP) and make the tissue inhibitor of metalloproteinase (TIMP) inactive. This leads to adverse cardiovascular remodelling, with increased collagen deposit [40]. HHcy significantly reduces the expression of the endothelial synthase nitric oxide protein (eNOS) in a dose-dependent manner and ultimately causes impaired basal production of NO, formation of radicals and subsequent endothelial damage by decreasing the bioavailability and bioactivity of NO [41].
  • Inflammation. Through the activation of the nuclear factor kappa B (NF-κB), a transcription factor known to stimulate the production of cytokines, chemokines, leukocyte adhesion molecules, HHcy induces the expression of proinflammatory chemokines MCP-1 and IL-8 in endothelial cells by enhancing transendothelial migration of monocytes, vascular inflammation and atherogenesis [4243]. As for low-density lipoproteins (LDL), N-homocysteination produces aggregation, thus the accumulation of cholesterol, and facilitates the mediated absorption of oxidized LDL by macrophage scavenger receptors, resulting in the formation of foam cells in atherosclerosis [4344].
  • Proliferation of smooth muscle cells. HHcy can significantly promote vascular smooth muscle cells (VSMC) proliferation, by promoting the expression of adhesion molecules, chemokines and VSMC mitogen [45]. HHcy can act directly on glomerular cells by inducing sclerosis and trigger kidney damage by reducing the plasma and tissue level of adenosine. The decrease in plasma adenosine in turn leads to a greater proliferation of VSMC, accelerating the sclerotic process in the arteries and glomeruli. In a pattern of folate-free HHcy rat, glomerular sclerosis, mesangial expansion, podocyte dysfunction, and fibrosis all occurred due to increased local oxidative stress [46].
Figure 2: Main pathogenetic pathways of endothelial damage mediated by hyperhomocysteinemia
Figure 2: Main pathogenetic pathways of endothelial damage mediated by hyperhomocysteinemia

These pathways end up amplifying the atherosclerotic process and inflammatory state present in CKD [47]. For patients with CKD and ESRD, despite the increase in Hcy levels (average level of Hcy in the general population about 10-15 μmol/L versus 25-35 μmol/L in uremic patients), the role of Hcy as a cardiovascular risk and mortality factor is still uncertain and many retrospective and interventional studies have given rise to conflicting evidence [48].

 

Folic acid supplementation in patients suffering from CKD

There is a large body of evidence indicating that folate therapy improves HHcy in the general population, but the data is less clear in CKD and ERSD patients [39,49]. The main interventional studies on the use of folic acid and vitamin B12 in CKD patients are summarized in Table 1. The benefits of folate supplementation in subjects with reduced renal function do not seem to lie entirely in the lowering of serum Hcy. Endothelial dysfunction is a key process in atherosclerosis and independently predicts cardiovascular events. High-dose FA (5 mg per day), alone or in combination with other B vitamins, appears to improve endothelial function through a largely Hcy-independent mechanism [50]. Endothelial cells can be particularly vulnerable to HHcy, as they do not express CBS, the first enzyme of the transsulfuration pathway [51]. Therefore, endothelial cells can eliminate Hcy only through remethylation, and normal activity of the enzymatic route is thus essential to prevent the increase of Hcy to a pathological level [52]. FA improves endothelial function by reducing intravascular oxidative stress; also improves intracellular superoxide generation by increasing the half-life of NO [53]. Folate therapy reduces but does not normalizes Hcy levels, frequently elevated in CKD patients. The mechanisms of this folate resistance have not been fully elucidated, yet. The entry of folate into the cell is mediated by specific folate receptors, whose expression is also modulated by the folate state, through an Hcy-dependent regulation mechanism. In peripheral mononuclear cells of hemodialysis patients, FR2 expression decreased and did not respond to changes in Hcy concentration [54].

 

Use of folate and vitamin B12 in the prevention of cardiovascular mortality and in slowing the progression of CKD

The role of folic acid and vitamin B12 supplementation in reducing mortality and preventing progression to ESRD is still to be determined. According to the meta-analysis of Heinz et al. of retrospective, prospective and observational studies on total 5123 patients, HHcy emerged as a risk factor for cardiovascular events and mortality in ESRD, especially in those subjects who do not receive additional FA (in countries without fortification programmes). Prospective studies have shown that in patients with ESRD, a 5 μmol/L increase in Hcy concentration is associated with a 7% increase in the risk of total mortality and a 9% increase in the risk of cardiovascular events. The level of Hcy in these patients seems to have decreased of 13 to 31 μmol/L due to supplementation with B vitamins in intervention studies. This was associated with a 27% reduction in the risk of cardiovascular events, although mortality had not decreased [55].

The minimum dose of folic acid to achieve a reduction of Hcy is debated: non-diabetic ESRD patients can respond to a daily dose of 5 mg FA, but diabetic patients with ESRD may need up to 15 mg to reduce the Hcy level more than 20% and have benefits on CVD risk, regardless of FA fortification. In addition, simultaneous administration with vitamin B12 is more effective in counteracting HHcy [56]. In non-diabetic patients with mild to moderate CKD a treatment strategy with pravastatin, vitamin E and Hcy reduction therapy (vitamin B12 and folate) leads to a significant reduction in the progression of carotid stenosis and a significant improvement in endothelial function and urinary excretion of albumin. However, no significant effect on the eGFR has been observed [57]. Similar results have emerged in the meta-analysis of Quin et al. including studies carried out from 1966 to 2011, for a total of 3886 patients with ESRD and CKD, where the relationship between supplementation with B12, FA and CVD had been analyzed after 24 months of treatment. FA therapy reduced the risk of CVD by 15%. Greater benefits were observed in those trials with a treatment duration >24 months, a decrease in Hcy level >20% (P = 0.007), and no or partial FA fortification (P = 0.04). The positive effect was seen when Hcy levels decreased >20%, even in the presence of FA fortification [58]. However, a reduction in Hcy secondary to high-dose FA therapy does not correspond to an increase in survival nor to a reduction of cardiovascular events according to randomized double-blind studies [59]. In the meta-analysis by Pan et al. (10 studies of patients in CKD), Hcy-lowering therapy is not associated with reduction of CVD, stroke and all-cause mortality [60]. However, the cohort of patients recruited had a high number of diabetic patients from areas with a grain fortification program.

Although HHcy is associated with increased CKD progression and albuminuria [61], the DIVINE study investigated the effects of Hcy-lowering therapy with high doses of folate (40 mg/day), vitamin B12 (1000 mg/day) and vitamin B6 (2 mg/day) in patients with diabetic nephropathy and showed that this treatment regimen does not increase survival or slow progression in ESRD, but rather leads to a higher incidence of cardiovascular events and a greater decrease in eGFR [62]. A possible explanation for these negative results can be attributed to the high load of cardiovascular comorbidity and to suboptimal therapy compliance. In addition, the study considered the CKD and ESRD population together and not separately. The above-mentioned China Stroke Primary Prevention Trial (CSPPT), a large, randomized study among adults with high blood pressure without a history of stroke or myocardial infarction, found that a therapy with ACE inhibitors and FA significantly reduced the relative risk of first stroke by 21%, more than ACE inhibitors alone. Among individuals with MTHFR 677 CC or CT genotypes, those with the lowest basal folate levels have the highest risk of stroke and benefit the most from FA therapy. In addition, individuals with the TT genotype may require a higher dosage of FA to exceed biologically insufficient levels [37]. An exploratory analysis by subgroups to assess the effect of treatment on primary outcome in various subgroups of CKD participants showed that the reduction in the risk of CKD progression was more represented in the diabetes subgroup [63]. Of note, CSPPT study selected a population without fortification of cereals with folic acid.

Several factors including age, baseline Hcy levels, FA fortification of grains, B12 status, renal function, comorbidities, and medications could modify the effects of folic acid and vitamin B12 on cardiovascular risk. The available evidence regarding the effect of Hcy lowering therapies on CKD progression is controversial and further studies are needed, with CKD progression as primary endpoint and with a more homogeneous population selection [39].

 

The role of folate and vitamin B12 therapy

ESRD patients in chronic dialysis treatment

In many cases, the literature has shown that dialysis and ESRD patients are a peculiar population whose response to certain factors is opposite to that of the general population, a condition that has been called “reverse epidemiology” [64]. A curious example is hypocholesterolemia, identified as a predictor of higher mortality in dialysis patients [65]. Similarly, data from our group have previously shown that a higher BMI protects ESRD patients from coronary artery calcifications [66], in line with a meta-analysis by Lowrie et al, based on 43,334 hemodialysis patients, indicating an improved survival associated with increased BMI values [67].

In line with this theory, very low Hcy levels appear to be associated with worse clinical outcomes, longer hospitalization, and higher mortality from all causes, and cardiovascular mortality in ESRD patients [68]. The combined effect of protein-energy malnutrition and inflammation may partly explain the apparent paradox represented by the inverse relationship between Hcy level and mortality in patients with ESRD [14].

The study of Sohoo et al. examined a cohort of 12,968 hemodialysis patients treated with vitamin B12 for 5 years, to observe the relationship between serum folate/B12 and mortality. Concentrations of B12 ≥550 pg/mL are associated with increased mortality from all causes in hemodialysis patients, regardless of sociodemographic data and laboratory variables [12]. The effectiveness of high-dose folic acid in event prevention in ESRD was evaluated in a randomized study. A total of 510 patients on chronic dialysis were randomized to 1.5 or 15 mg of FA contained in a renal multivitamin with a median follow-up of 24 months. Composite mortality rates and cardiovascular events did not differ between the FA groups. High basal Hcy was associated with lower event rates, which would confirm an inverse relationship between Hcy and events in ESRD patients. The administration of FA at high doses did not affect event rates [69]. Similar studies have come to the same conclusion: the Atherosclerosis and Folic Acid Supplementation Trial (ASFAST) recruited a total of 315 subjects with chronic kidney failure (most of them in dialysis) who were randomized to 15 mg FA per day or placebo and followed for a median of 3.6 years. Total Hcy in plasma is reduced by 19% in the FA group but this does not slow down the progression of atherosclerosis nor improve morbidity or cardiovascular mortality in patients [57].

Supplementation with B vitamins along with FA could be an alternative in reducing vascular oxidative stress. However, the randomized multicenter study conducted in double-blind by Heinz et al. on 650 patients in hemodialysis undergoing supplementation with FA, vitamin B12 and vitamin B6, showed that such therapies did not reduce total mortality and had no significant effect on the risk of cardiovascular events in patients with end-stage kidney disease [62]. Normalization of Hcy levels is difficult to achieve in dialysis patients with FA alone: according to Righetti et al., only 12% of a cohort of 81 patients in chronic dialysis has reached normal levels of Hcy. However, this condition has again shown no benefit in terms of survival [70].

The changes in the uremic patient’s metabolism described in the previous sections leave an open question regarding FA and vitamin B12 supplementation in dialysis. Another study by Righetti suggested that folate therapy to lower Hcy can reduce cardiovascular events in dialysis patients [71]. In a study by our group on a population of 341 patients in chronic dialysis, group A was treated with 50 mg i.v. of 5-MTHF, and group B was treated with 5 mg/d of oral FA. Both groups received vitamin B6 and B12. Our data showed that I.V. 5-MTHF appears to improve survival in hemodialysis patients regardless of the lowering of Hcy [72]. This latest evidence confirms that the role of FA and vitamin B12 should be better understood in this category of patients, both at the biochemical level and at the level of clinical outcomes.

Study, year Duration, design Population Treatment Outcomes

Nanayakkara PW et al, 2007 [57]

2 yrs, double-blind RCT 93 patients with mild to moderate CKD Pravastatin, vitamin E, and homocysteine lowering therapy (daily 5 mg FA + 100 mg vitamin B6 + 1 mg vitamin B12) vs placebo

In the treatment group significant reduction in CC-IMT, increase in BA-FMD, improvement in endothelial function and urinary albumin excretion, no effect on eGFR

Jamison RL et al, 2008 [58]

7 yrs, double-blind RCT 2056 patients with CKD (n=1305) or ESRD (n=751) and HHcy (> 15 mmol/L) Daily 40 mg FA + 100 mg vitamin B6 + 2 mg vitamin B12 vs placebo

In the treatment group significant lowering of Hcy levels, no effect on secondary outcomes (MI, stroke, and amputations time to dialysis and mortality)

Zoungas S et al, 2006 [61]

3.6 yrs, double-blind RCT 315 patients with CKD Daily 15 mg FA vs placebo

In the treatment group lowering by 19% of Hcy levels, no effect on secondary outcomes (change of IMT, artery function MI, stroke, cardiovascular death and overall cardiovascular events)

Heinz J et al, 2010 [62]

6 yrs, double-blind RCT 650 ESRD patients under hemodialysis treatment 5 mg FA + 50 mg vitamin B12 + 20 mg vitamin B6 (active treatment) vs or 0.2 mg FA, 4 mg vitamin B12 + 1.0 mg vitamin B6 (placebo) 3 times/week for 2 yrs

No effect on total mortality and fatal or nonfatal cardiovascular events

Xu X et al, 2016 [63]

4.5 yrs, double-blind RCT 1671 patients with CKD Daily 10 mg enalapril + 0.8 mg FA (n=7545) vs 10 mg enalapril alone (n=7559)

In patients receiving enalapril + FA   the risk for CKD progression and the rate of eGFR decline were decreased by 56% and 44%, respectively

Wrone EM et al, 2004 [63]

2 yrs, RCT 510 ESRD patients under hemodialysis treatment Daily 1, 5, or 15 mg FA contained in a renal multivitamin

No effect of high-dose FA administration on the rates of cardiovascular events and mortality

Righetti M et al, 2003 [70]

1 yr, RCT 81 ESRD patients under hemodialysis treatment Daily 15 mg FA (n=25) vs 5 mg FA (n=26) vs untreated (n=30)

No significant improvement of HHcy, regardless of FA dose, but treated patients tended towards a decreased rate of cardiovascular events.

Righetti M et al, 2006 [71]

871 days (median follow-up, range 132-1825 days), single-center, open, randomized prospective trial 114 ESRD patients under hemodialysis treatment 5 mg daily FA, or 5 mg every other day (if serum FA levels were up the normal high limit of 16.8 ng/mL) + vitamin B complex (250 mg B1 + 250 mg B6 + 500 mg B12, if plasma vitamin B12 values were below the normal limit of 200 ng/L)

Lower rate of cardiovascular events in treated patients with low Hcy levels

Cianciolo G et al, 2008 [72]

55 months, randomized prospective study 341 ESRD patients under hemodialysis treatment Patients were randomized into two groups: group A (n=174) treated with I.V. 50 mg 5-MTHF (Prefolic) three times a week (end of each dialysis session) vs group B (n=167) treated with daily 5 mg FA. Both groups also received I.V. 300 mg vitamin + 1 g vitamin B12 at the end of the dialysis session.

Both FA acid and 5-MTHF decreased Hcy levels, and I.V. 5-MTHF improved survival in hemodialysis independent from Hcy lowering. CRP but not HHcy resulted to be the main risk factor for mortality in hemodialysis patients

Buccianti G et al, 2001 [74]

6 months, cross-sectional clinical study 55 ESRD patients under hemodialysis treatment 27 patients with macrocytosis treated the end of each dialysis session with I.V. 0.9 mg folinic acid + 0.5 mg cyanocobalamin + 1.5 mg hydroxycobalamin vs 28 untreated patients

Intermittent I.V. administration of folinic acid combined with vitamin B12 resulted in lower HHCy plasma concentration, but the effect was also related to genotype and dialysis modality

Bostom AG et al, 2011 [78]

5 yrs, multi-center

double-blind RCT

4110 stable kidney transplant recipients Participants were randomized to receive either a high dose (n=2056) of FA (5.0 mg), vitamin B6 (pyridoxine; 50 mg) and vitamin B12 (cyanocobalamin; 1.0 mg) or a low dose (n=2054) of vitamin B6 (1.4 mg) and vitamin B12 (2.0 µg) and no FA.

In the high dose treatment arm, a significant reduction in Hcy level was achieved, but without any beneficial impact on cardiovascular outcomes, all-cause mortality, or allograft failure

Table 1: Summary of major interventional studies on folic acid / vitamin B12 administration in patients with CKD

BA-FMD: brachial artery flow-mediated dilatation; CC-IMT: carotid intima-media thickness; CKD: chronic kidney disease; eGFR: estimated glomerular filtration rate; ESRD: end-stage renal disease; FA: folic acid; HHcy: homocysteinemia; I.V.: intravenous; MI: myocardial infarction; RCT: randomized controlled trial; yr(s): year(s)

Role of FA and B12 supplementation in CKD anemia

In uremia-related anemia, unless patients with CKD and ESRD show significant folate depletion, additional FA supplementation does not appear to have a beneficial effect on erythropoiesis or response to recombinant human erythropoietin therapy (rHuEPO). However, measurements of folate circulating in the serum do not necessarily reflect folate reserves in tissues, and folate measurements in red blood cells provide a more accurate representation. The low concentrations of folate in red blood cells in these patients suggest the need for FA supplement [73]. Megaloblastic anemia, that occurs in vitamin deficiencies frequently found in uremic patients, results from inhibition of DNA synthesis during the production of red blood cells [74]. When cobalamin levels become inadequate, DNA synthesis is compromised, and the cell cycle cannot progress from the G2 growth phase to the mitosis phase. This leads to continuous cell growth without division, and then to macrocytosis [14]. In patients with CKD, folate and vitamin B12 deficiency may represent an important factor in renal anemia and hyporesponsiveness to rHuEPO therapy [75].

Kidney transplant recipients

In kidney transplants, several factors such as dialysis vintage, anemia, immunosuppression, inflammatory state, and dysmetabolic alterations can affect the cardiovascular risk [76,77]. The effect of supplementation of FA, vitamin B12 and vitamin B6 on CVD and mortality reduction has been studied by the Folic Acid for Vascular Outcome Reduction in Transplantation (FAVORIT) study. Kidney transplant recipients were randomized to a daily multivitamin drug containing high doses of folate (5.0 mg), vitamin B12 (1.0 mg) and vitamin B6 (50 mg), or placebo. Despite the actual lowering the Hcy, the incidence of CVD, mortality from all causes and the onset of kidney failure dependent on dialysis did not differ between the two treatment arms [78]. A longitudinal ancillary study of the FAVORIT trial has recently indicated that the integration of high-dose B vitamins results in a modest cognitive benefit in patients with high base values. It should be noted that almost all subjects had no shortage of folate or B12, thus the potential cognitive benefits of folate and B12 supplementation in individuals with poor vitamin B status remain controversial [79].

 

Future perspectives and conclusion

At present, the results from available trials do not provide complete support for considering alterations in FA and vitamin B12 as reliable indices of CVD risk in CKD and ESRD population. Moreover, these factors do not represent a validated therapeutic target to cardiovascular risk reduction and CKD progression.

However, there is some evidence to indicate that the incidence of stroke and CKD progression might be controlled using more targeted FA therapy (baseline FA levels may have an impact on the efficacy of the FA intervention therapy), in particular among those with the MTHFR 677TT genotype and low to moderate folate levels and in countries without a grain fortification program [37,63]. However, in both general population and CKD patients, it remains a matter of debate if beneficial effects of FA therapy are due to its direct antioxidant effect or to a reduction in HHcy.

Discordant results in terms of CKD progression and cardiovascular risk, in the analyzed studies, result from differences in patient characteristics and FA treatment schemes among trials and may be influenced by the degree of cardiovascular and renal impairment.

In conclusion FA with or without vitamin B12 supplementation is an appropriate adjunctive therapy in patients with CKD and ESRD on dialysis treatment, in these cases FA may be supplemented pharmacologically after careful evaluation of folate status.

 

References

  1. Hill NR, Fatoba ST, Oke JL, Hirst JA, O’Callaghan CA, Lasserson DS, Hobbs FD. Global Prevalence of Chronic Kidney Disease – A Systematic Review and Meta-Analysis. PLoS One 2016 Jul 6; 11(7):e0158765. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0158765
  2. Go AS, Chertow GM, Fan D, McCulloch CE, Hsu CY. Chronic kidney disease and the risks of death, cardiovascular events, and hospitalization. N Engl J Med 2004 Sep 23; 351(13):1296-305. https://doi.org/10.1056/NEJMoa041031. Erratum in: N Engl J Med 2008; 18(4):4.
  3. Bourrier M, Ferguson TW, Embil JM, Rigatto C, Komenda P, Tangri N. Peripheral Artery Disease: Its Adverse Consequences With and Without CKD. Am J Kidney Dis 2020 May; 75(5):705-712. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2019.08.028
  4. Chrysant SG, Chrysant GS. The current status of homocysteine as a risk factor for cardiovascular disease: a mini review. Expert Rev Cardiovasc Ther 2018 Aug; 16(8):559-565. https://doi.org/10.1080/14779072.2018.1497974
  5. McCully KS. Homocysteine and vascular disease. Nat Med 1996 Apr; 2(4):386-9. https://doi.org/10.1038/nm0496-386
  6. Toole JF, Malinow MR, Chambless LE, Spence JD, Pettigrew LC, Howard VJ, Sides EG, Wang CH, Stampfer M. Lowering homocysteine in patients with ischemic stroke to prevent recurrent stroke, myocardial infarction, and death: the Vitamin Intervention for Stroke Prevention (VISP) randomized controlled trial. JAMA 2004 Feb 4; 291(5):565-75. https://doi.org/10.1001/jama.291.5.565
  7. Lonn E, Yusuf S, Arnold MJ, Sheridan P, Pogue J, Micks M, McQueen MJ, Probstfield J, Fodor G, Held C, Genest J Jr; Heart Outcomes Prevention Evaluation (HOPE) 2 Investigators. Homocysteine lowering with folic acid and B vitamins in vascular disease. N Engl J Med 2006 Apr 13; 354(15):1567-77. https://doi.org/10.1056/NEJMoa060900. Erratum in: N Engl J Med 2006 Aug 17; 355(7):746.
  8. Marti F, Vollenweider P, Marques-Vidal PM, Mooser V, Waeber G, Paccaud F, Bochud M. Hyperhomocysteinemia is independently associated with albuminuria in the population-based CoLaus study. BMC Public Health 2011 Sep 26; 11:733. https://doi.org/10.1186/1471-2458-11-733
  9. Ponte B, Pruijm M, Marques-Vidal P, Martin PY, Burnier M, Paccaud F, Waeber G, Vollenweider P, Bochud M. Determinants and burden of chronic kidney disease in the population-based CoLaus study: a cross-sectional analysis. Nephrol Dial Transplant 2013 Sep; 28(9):2329-39. https://doi.org/10.1093/ndt/gft206
  10. House AA, Eliasziw M, Cattran DC, Churchill DN, Oliver MJ, Fine A, Dresser GK, Spence JD. Effect of B-vitamin therapy on progression of diabetic nephropathy: a randomized controlled trial. JAMA 2010 Apr 28; 303(16):1603-9. https://doi.org/10.1001/jama.2010.490
  11. Škovierová H, Vidomanová E, Mahmood S, Sopková J, Drgová A, Červeňová T, Halašová E, Lehotský J. The Molecular and Cellular Effect of Homocysteine Metabolism Imbalance on Human Health. Int J Mol Sci 2016 Oct 20; 17(10):1733. https://doi.org/10.3390/ijms17101733
  12. Soohoo M, Ahmadi SF, Qader H, Streja E, Obi Y, Moradi H, Rhee CM, Kim TH, Kovesdy CP, Kalantar-Zadeh K. Association of serum vitamin B12 and folate with mortality in incident hemodialysis patients. Nephrol Dial Transplant 2017 Jun 1; 32(6):1024-1032. https://doi.org/10.1093/ndt/gfw090
  13. Cianciolo G, De Pascalis A, Di Lullo L, Ronco C, Zannini C, La Manna G. Folic Acid and Homocysteine in Chronic Kidney Disease and Cardiovascular Disease Progression: Which Comes First? Cardiorenal Med 2017 Oct; 7(4):255-266. https://doi.org/10.1159/000471813
  14. Cappuccilli M, Bergamini C, Giacomelli FA, Cianciolo G, Donati G, Conte D, Natali T, La Manna G, Capelli I. Vitamin B Supplementation and Nutritional Intake of Methyl Donors in Patients with Chronic Kidney Disease: A Critical Review of the Impact on Epigenetic Machinery. Nutrients 2020 Apr 27; 12(5):1234. https://doi.org/10.3390/nu12051234
  15. Randaccio L, Geremia S, Demitri N, Wuerges J. Vitamin B12: unique metalorganic compounds and the most complex vitamins. Molecules 2010 Apr 30; 15(5):3228-59. https://doi.org/10.3390/molecules15053228
  16. Mahajan A, Sapehia D, Thakur S, Mohanraj PS, Bagga R, Kaur J. Effect of imbalance in folate and vitamin B12 in maternal/parental diet on global methylation and regulatory miRNAs. Sci Rep 2019 Nov 26; 9(1):17602. https://doi.org/10.1038/s41598-019-54070-9
  17. Froese DS, Fowler B, Baumgartner MR. Vitamin B12, folate, and the methionine remethylation cycle-biochemistry, pathways, and regulation. J Inherit Metab Dis 2019 Jul; 42(4):673-685. https://doi.org/10.1002/jimd.12009
  18. Buccianti G, Bamonti Catena F, Patrosso C, Corghi E, Novembrino C, Baragetti I, Lando G, De Franceschi M, Maiolo AT. Reduction of the homocysteine plasma concentration by intravenously administered folinic acid and vitamin B (12) in uraemic patients on maintenance haemodialysis. Am J Nephrol 2001 Jul-Aug; 21(4):294-9. https://doi.org/10.1159/000046264
  19. Kang SS, Wong PW, Malinow MR. Hyperhomocyst(e)inemia as a risk factor for occlusive vascular disease. Annu Rev Nutr 1992; 12:279-98. https://doi.org/10.1146/annurev.nu.12.070192.001431
  20. Yi F, Li PL. Mechanisms of homocysteine-induced glomerular injury and sclerosis. Am J Nephrol 2008; 28(2):254-64. https://doi.org/10.1159/000110876
  21. Long Y, Nie J. Homocysteine in Renal Injury. Kidney Dis (Basel) 2016 Jun; 2(2):80-7. https://doi.org/10.1159/000444900
  22. Langan RC, Goodbred AJ. Vitamin B12 Deficiency: Recognition and Management. Am Fam Physician 2017 Sep 15; 96(6):384-389. PMID: 28925645.
  23. Perna AF, Ingrosso D, Satta E, Lombardi C, Acanfora F, De Santo NG. Homocysteine metabolism in renal failure. Curr Opin Clin Nutr Metab Care 2004 Jan; 7(1):53-7. https://doi.org/10.1097/00075197-200401000-00010
  24. Perna AF, Sepe I, Lanza D, Capasso R, Di Marino V, De Santo NG, Ingrosso D. The gasotransmitter hydrogen sulfide in hemodialysis patients. J Nephrol 2010 Nov-Dec; 23 Suppl 16: S92-6. PMID: 21170893.
  25. van Guldener C, Stehouwer CD. Homocysteine metabolism in renal disease. Clin Chem Lab Med 2003 Nov; 41(11):1412-7. https://doi.org/10.1515/CCLM.2003.217
  26. Jennette JC, Goldman ID. Inhibition of the membrane transport of folates by anions retained in uremia. J Lab Clin Med 1975 Nov; 86(5):834-43. PMID: 1185041.
  27. McMahon GM, Hwang SJ, Tanner RM, Jacques PF, Selhub J, Muntner P, Fox CS. The association between vitamin B12, albuminuria and reduced kidney function: an observational cohort study. BMC Nephrol 2015 Feb 2; 16:7. https://doi.org/10.1186/1471-2369-16-7
  28. Koyama K, Yoshida A, Takeda A, Morozumi K, Fujinami T, Tanaka N. Abnormal cyanide metabolism in uraemic patients. Nephrol Dial Transplant 1997 Aug; 12(8):1622-8. https://doi.org/10.1093/ndt/12.8.1622. Erratum in: Nephrol Dial Transplant 1998 Mar; 13(3):819.
  29. Cheng X. Updating the relationship between hyperhomocysteinemia lowering therapy and cardiovascular events. Cardiovasc Ther 2013 Aug; 31(4):e19-26. https://doi.org/10.1111/1755-5922.12014
  30. Sazci A, Ergul E, Kaya G, Kara I. Genotype and allele frequencies of the polymorphic methylenetetrahydrofolate reductase gene in Turkey. Cell Biochem Funct 2005 Jan-Feb; 23(1):51-4. https://doi.org/10.1002/cbf.1132
  31. Cristalli, C.P.; Zannini, C.; Comai, G.; Baraldi, O.; Cuna, V.; Cappuccilli, M.; Mantovani, V.; Natali, N.; Cianciolo, G.; La Manna, G. Methylenetetrahydrofolate reductase, MTHFR, polymorphisms and predisposition to different multifactorial disorders. Genes Genomics 2017, 39, 689–699.
  32. Böttiger AK, Hurtig-Wennlöf A, Sjöström M, Yngve A, Nilsson TK. Association of total plasma homocysteine with methylenetetrahydrofolate reductase genotypes 677C>T, 1298A>C, and 1793G>A and the corresponding haplotypes in Swedish children and adolescents. Int J Mol Med 2007 Apr; 19(4):659-65. PMID: 17334642.
  33. Yun L, Xu R, Li G, Yao Y, Li J, Cong D, Xu X, Zhang L. Homocysteine and the C677T Gene Polymorphism of Its Key Metabolic Enzyme MTHFR Are Risk Factors of Early Renal Damage in Hypertension in a Chinese Han Population. Medicine (Baltimore) 2015 Dec; 94(52):e2389. https://doi.org/10.1097/MD.0000000000002389
  34. Trovato FM, Catalano D, Ragusa A, Martines GF, Pirri C, Buccheri MA, Di Nora C, Trovato GM. Relationship of MTHFR gene polymorphisms with renal and cardiac disease. World J Nephrol 2015 Feb 6; 4(1):127-37. https://doi.org/10.5527/wjn.v4.i1.127 .
  35. Malinow MR, Nieto FJ, Kruger WD, Duell PB, Hess DL, Gluckman RA, Block PC, Holzgang CR, Anderson PH, Seltzer D, Upson B, Lin QR. The effects of folic acid supplementation on plasma total homocysteine are modulated by multivitamin use and methylenetetrahydrofolate reductase genotypes. Arterioscler Thromb Vasc Biol 1997 Jun; 17(6):1157-62. https://doi.org/10.1161/01.atv.17.6.1157
  36. Tremblay R, Bonnardeaux A, Geadah D, Busque L, Lebrun M, Ouimet D, Leblanc M. Hyperhomocysteinemia in hemodialysis patients: effects of 12-month supplementation with hydrosoluble vitamins. Kidney Int 2000 Aug; 58(2):851-8. https://doi.org/10.1046/j.1523-1755.2000.00234.x
  37. Xu X, Qin X, Li Y, Sun D, Wang J, Liang M, Wang B, Huo Y, Hou FF; investigators of the Renal Substudy of the China Stroke Primary Prevention Trial (CSPPT). Efficacy of Folic Acid Therapy on the Progression of Chronic Kidney Disease: The Renal Substudy of the China Stroke Primary Prevention Trial. JAMA Intern Med 2016 Oct 1; 176(10):1443-1450. https://doi.org/10.1001/jamainternmed.2016.4687
  38. Brustolin S, Giugliani R, Félix TM. Genetics of homocysteine metabolism and associated disorders. Braz J Med Biol Res 2010 Jan; 43(1):1-7. https://doi.org/10.1590/s0100-879×2009007500021. Epub 2009 Dec 4. PMID: 19967264; PMCID: PMC3078648.
  39. Capelli I, Cianciolo G, Gasperoni L, Zappulo F, Tondolo F, Cappuccilli M, La Manna G. Folic Acid and Vitamin B12 Administration in CKD, Why Not? Nutrients 2019 Feb 13; 11(2):383. https://doi.org/10.3390/nu11020383
  40. Steed MM, Tyagi SC. Mechanisms of cardiovascular remodeling in hyperhomocysteinemia. Antioxid Redox Signal 2011 Oct 1; 15(7):1927-43. https://doi.org/10.1089/ars.2010.3721. Erratum in: Antioxid Redox Signal 2013 Feb 10; 18(5):601.
  41. Zhang X, Li H, Jin H, Ebin Z, Brodsky S, Goligorsky MS. Effects of homocysteine on endothelial nitric oxide production. Am J Physiol Renal Physiol 2000 Oct; 279(4):F671-8. https://doi.org/10.1152/ajprenal.2000.279.4.F671
  42. Poddar R, Sivasubramanian N, DiBello PM, Robinson K, Jacobsen DW. Homocysteine induces expression and secretion of monocyte chemoattractant protein-1 and interleukin-8 in human aortic endothelial cells: implications for vascular disease. Circulation 2001 Jun 5; 103(22):2717-23. https://doi.org/10.1161/01.cir.103.22.2717
  43. Zeng XK, Guan YF, Remick DG, Wang X. Signal pathways underlying homocysteine-induced production of MCP-1 and IL-8 in cultured human whole blood. Acta Pharmacol Sin 2005 Jan; 26(1):85-91. https://doi.org/10.1111/j.1745-7254.2005.00005.x
  44. Thampi P, Stewart BW, Joseph L, Melnyk SB, Hennings LJ, Nagarajan S. Dietary homocysteine promotes atherosclerosis in apoE-deficient mice by inducing scavenger receptors expression. Atherosclerosis 2008 Apr; 197(2):620-9. https://doi.org/10.1016/j.atherosclerosis.2007.09.014
  45. Tsai JC, Perrella MA, Yoshizumi M, Hsieh CM, Haber E, Schlegel R, Lee ME. Promotion of vascular smooth muscle cell growth by homocysteine: a link to atherosclerosis. Proc Natl Acad Sci U S A 1994 Jul 5; 91(14):6369-73. https://doi.org/10.1073/pnas.91.14.6369
  46. Deussen A, Pexa A, Loncar R, Stehr SN. Effects of homocysteine on vascular and tissue adenosine: a stake in homocysteine pathogenicity? Clin Chem Lab Med 2005; 43(10):1007-10. https://doi.org/10.1515/CCLM.2005.176
  47. Colì L, Donati G, Cappuccilli ML, Cianciolo G, Comai G, Cuna V, Carretta E, La Manna G, Stefoni S. Role of the hemodialysis vascular access type in inflammation status and monocyte activation. Int J Artif Organs 2011 Jun; 34(6):481-8. https://doi.org/10.5301/IJAO.2011.8466
  48. Suliman ME, Stenvinkel P, Jogestrand T, Maruyama Y, Qureshi AR, Bárány P, Heimbürger O, Lindholm B. Plasma pentosidine and total homocysteine levels in relation to change in common carotid intima-media area in the first year of dialysis therapy. Clin Nephrol 2006 Dec; 66(6):418-25. https://doi.org/10.5414/cnp66418
  49. Perna AF, De Santo NG, Ingrosso D. Adverse effects of hyperhomocysteinemia and their management by folic acid. Miner Electrolyte Metab 1997; 23(3-6):174-8. PMID: 9387111.
  50. Doshi SN, McDowell IF, Moat SJ, Payne N, Durrant HJ, Lewis MJ, Goodfellow J. Folic acid improves endothelial function in coronary artery disease via mechanisms largely independent of homocysteine lowering. Circulation 2002 Jan 1; 105(1):22-6. https://doi.org/10.1161/hc0102.101388
  51. Finkelstein JD. Methionine metabolism in mammals. J Nutr Biochem 1990 May; 1(5):228-37. https://doi.org/10.1016/0955-2863(90)90070-2
  52. Debreceni B, Debreceni L. The role of homocysteine-lowering B-vitamins in the primary prevention of cardiovascular disease. Cardiovasc Ther 2014 Jun; 32(3):130-8. https://doi.org/10.1111/1755-5922.12064
  53. Stroes ES, van Faassen EE, Yo M, Martasek P, Boer P, Govers R, Rabelink TJ. Folic acid reverts dysfunction of endothelial nitric oxide synthase. Circ Res 2000 Jun 9; 86(11):1129-34. https://doi.org/10.1161/01.res.86.11.1129
  54. Perna AF, Lanza D, Sepe I, Conzo G, Altucci L, Ingrosso D. Altered folate receptor 2 expression in uraemic patients on haemodialysis: implications for folate resistance. Nephrol Dial Transplant 2013 May; 28(5):1214-24. https://doi.org/10.1093/ndt/gfs510
  55. Heinz J, Kropf S, Luley C, Dierkes J. Homocysteine as a risk factor for cardiovascular disease in patients treated by dialysis: a meta-analysis. Am J Kidney Dis 2009 Sep; 54(3):478-89. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2009.01.266
  56. Wu CC, Zheng CM, Lin YF, Lo L, Liao MT, Lu KC. Role of homocysteine in end-stage renal disease. Clin Biochem 2012 Nov; 45(16-17):1286-94. https://doi.org/10.1016/j.clinbiochem.2012.05.031
  57. Nanayakkara PW, van Guldener C, ter Wee PM, Scheffer PG, van Ittersum FJ, Twisk JW, Teerlink T, van Dorp W, Stehouwer CD. Effect of a treatment strategy consisting of pravastatin, vitamin E, and homocysteine lowering on carotid intima-media thickness, endothelial function, and renal function in patients with mild to moderate chronic kidney disease: results from the Anti-Oxidant Therapy in Chronic Renal Insufficiency (ATIC) Study. Arch Intern Med 2007 Jun 25; 167(12):1262-70. https://doi.org/10.1001/archinte.167.12.1262
  58. Qin, X., Huo, Y., Langman, C. B., Hou, F., Chen, Y., Matossian, D., Xu, X., & Wang, X. (2011). Folic acid therapy and cardiovascular disease in ESRD or advanced chronic kidney disease: a meta-analysis. CJASN; 6(3):482–488. https://doi.org/10.2215/CJN.05310610
  59. Jamison RL, Hartigan P, Kaufman JS, Goldfarb DS, Warren SR, Guarino PD, Gaziano JM; Veterans Affairs Site Investigators. Effect of homocysteine lowering on mortality and vascular disease in advanced chronic kidney disease and end-stage renal disease: a randomized controlled trial. JAMA 2007 Sep 12; 298(10):1163-70. https://doi.org/10.1001/jama.298.10.1163. Erratum in: JAMA 2008 Jul 9; 300(2):170. PMID: 17848650.
  60. Pan Y, Guo LL, Cai LL, Zhu XJ, Shu JL, Liu XL, Jin HM. Homocysteine-lowering therapy does not lead to reduction in cardiovascular outcomes in chronic kidney disease patients: a meta-analysis of randomised, controlled trials. Br J Nutr 2012 Aug; 108(3):400-7. https://doi.org/10.1017/S0007114511007033
  61. Zoungas S, McGrath BP, Branley P, Kerr PG, Muske C, Wolfe R, Atkins RC, Nicholls K, Fraenkel M, Hutchison BG, Walker R, McNeil JJ. Cardiovascular morbidity and mortality in the Atherosclerosis and Folic Acid Supplementation Trial (ASFAST) in chronic renal failure: a multicenter, randomized, controlled trial. J Am Coll Cardiol 2006 Mar 21; 47(6):1108-16. https://doi.org/10.1016/j.jacc.2005.10.064
  62. Heinz J, Kropf S, Domröse U, Westphal S, Borucki K, Luley C, Neumann KH, Dierkes J. B vitamins and the risk of total mortality and cardiovascular disease in end-stage renal disease: results of a randomized controlled trial. Circulation 2010 Mar 30; 121(12):1432-8. https://doi.org/10.1161/CIRCULATIONAHA.109.904672
  63. Xu X, Qin X, Li Y, Sun D, Wang J, Liang M, Wang B, Huo Y, Hou FF; investigators of the Renal Substudy of the China Stroke Primary Prevention Trial (CSPPT). Efficacy of Folic Acid Therapy on the Progression of Chronic Kidney Disease: The Renal Substudy of the China Stroke Primary Prevention Trial. JAMA Intern Med 2016 Oct 1; 176(10):1443-1450. https://doi.org/10.1001/jamainternmed.2016.4687
  64. Suliman M, Stenvinkel P, Qureshi AR, Kalantar-Zadeh K, Bárány P, Heimbürger O, Vonesh EF, Lindholm B. The reverse epidemiology of plasma total homocysteine as a mortality risk factor is related to the impact of wasting and inflammation. Nephrol Dial Transplant 2007 Jan; 22(1):209-17. https://doi.org/10.1093/ndt/gfl510
  65. Chmielewski M, Verduijn M, Drechsler C, Lindholm B, Stenvinkel P, Rutkowski B, Boeschoten EW, Krediet RT, Dekker FW. Low cholesterol in dialysis patients–causal factor for mortality or an effect of confounding? Nephrol Dial Transplant 2011 Oct; 26(10):3325-31. https://doi.org/10.1093/ndt/gfr008
  66. Cianciolo G, La Manna G, Donati G, Persici E, Dormi A, Cappuccilli ML, Corsini S, Fattori R, Russo V, Nastasi V, Colì L, Wratten M, Stefoni S. Coronary calcifications in end-stage renal disease patients: a new link between osteoprotegerin, diabetes and body mass index? Blood Purif 2010; 29(1):13-22. https://doi.org/10.1159/000245042
  67. Lowrie EG, Li Z, Ofsthun N, Lazarus JM. Body size, dialysis dose and death risk relationships among hemodialysis patients. Kidney Int 2002 Nov; 62(5):1891-7. https://doi.org/10.1046/j.1523-1755.2002.00642.x
  68. Kalantar-Zadeh K, Block G, Humphreys MH, McAllister CJ, Kopple JD. A low, rather than a high, total plasma homocysteine is an indicator of poor outcome in hemodialysis patients. J Am Soc Nephrol 2004 Feb; 15(2):442-53. https://doi.org/10.1097/01.asn.0000107564.60018.51
  69. Wrone EM, Hornberger JM, Zehnder JL, McCann LM, Coplon NS, Fortmann SP. Randomized trial of folic acid for prevention of cardiovascular events in end-stage renal disease. J Am Soc Nephrol 2004 Feb; 15(2):420-6. https://doi.org/10.1097/01.asn.0000110181.64655.6c
  70. Righetti M, Ferrario GM, Milani S, Serbelloni P, La Rosa L, Uccellini M, Sessa A. Effects of folic acid treatment on homocysteine levels and vascular disease in hemodialysis patients. Med Sci Monit 2003 Apr; 9(4):PI19-24. PMID: 12709680.
  71. Righetti M, Serbelloni P, Milani S, Ferrario G. Homocysteine-lowering vitamin B treatment decreases cardiovascular events in hemodialysis patients. Blood Purif 2006; 24(4):379-86. https://doi.org/10.1159/000093680
  72. Cianciolo G, La Manna G, Colì L, Donati G, D’Addio F, Persici E, Comai G, Wratten M, Dormi A, Mantovani V, Grossi G, Stefoni S. 5-methyltetrahydrofolate administration is associated with prolonged survival and reduced inflammation in ESRD patients. Am J Nephrol 2008; 28(6):941-8. https://doi.org/10.1159/000142363
  73. Bamgbola, O.F. Pattern of resistance to erythropoietin-stimulating agents in chronic kidney disease. Kidney Int 2011, 80, 464–474.
  74. Buccianti G, Bamonti Catena F, Patrosso C, Corghi E, Novembrino C, Baragetti I, Lando G, De Franceschi M, Maiolo AT. Reduction of the homocysteine plasma concentration by intravenously administered folinic acid and vitamin B(12) in uraemic patients on maintenance haemodialysis. Am J Nephrol 2001 Jul-Aug; 21(4):294-9. https://doi.org/10.1159/000046264
  75. Saifan C, Samarneh M, Shtaynberg N, Nasr R, El-Charabaty E, El-Sayegh S. Treatment of confirmed B12 deficiency in hemodialysis patients improves Epogen® requirements. Int J Nephrol Renovasc Dis 2013 Jun 5; 6:89-93. https://doi.org/10.2147/IJNRD.S44660
  76. La Manna G, Cappuccilli ML, Cianciolo G, Conte D, Comai G, Carretta E, Scolari MP, Stefoni S. Cardiovascular disease in kidney transplant recipients: the prognostic value of inflammatory cytokine genotypes. Transplantation 2010 Apr 27; 89(8):1001-8. https://doi.org/10.1097/TP.0b013e3181ce243f
  77. Korogiannou M, Xagas E, Marinaki S, Sarafidis P, Boletis JN. Arterial Stiffness in Patients With Renal Transplantation; Associations With Co-morbid Conditions, Evolution, and Prognostic Importance for Cardiovascular and Renal Outcomes. Front Cardiovasc Med 2019; 6:67. Published 2019 May 24. https://doi.org/10.3389/fcvm.2019.00067
  78. Bostom AG, Carpenter MA, Kusek JW, Levey AS, Hunsicker L, Pfeffer MA, Selhub J, Jacques PF, Cole E, Gravens-Mueller L, House AA, Kew C, McKenney JL, Pacheco-Silva A, Pesavento T, Pirsch J, Smith S, Solomon S, Weir M. Homocysteine-lowering and cardiovascular disease outcomes in kidney transplant recipients: primary results from the Folic Acid for Vascular Outcome Reduction in Transplantation trial. Circulation 2011 Apr 26; 123(16):1763-70. https://doi.org/10.1161/CIRCULATIONAHA.110.000588
  79. Scott TM, Rogers G, Weiner DE, Livingston K, Selhub J, Jacques PF, Rosenberg IH, Troen AM. B-Vitamin Therapy for Kidney Transplant Recipients Lowers Homocysteine and Improves Selective Cognitive Outcomes in the Randomized FAVORIT Ancillary Cognitive Trial. J Prev Alzheimers Dis 2017; 4(3):174-182. https://doi.org/10.14283/jpad.2017.15

Nutritional therapy in chronic proteinuric nephropathy

Abstract

Proteinuria is a well-known marker of renal damage and, at the same time, an important factor in the progression of chronic kidney disease itself. The scientific community has always sought to investigate and provide answers on how nutritional therapy can influence and modify proteinuria and therefore limit its impact on progression to end-stage renal disease. However, despite the importance of the topic, the studies rarely take the form of randomized and controlled trials; in any case, they are often limited to protein intake only, conducted on very heterogeneous populations and, finally, they rarely indicate the precise values of proteinuria. The aim of this work is to explore the different nutritional approaches and their implications in the pathological conditions associated with proteinuria.

Keywords: proteinuria, end stage renal disease, diet, low protein, chronic renal failure

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

La proteinuria è un noto fattore di rischio indipendente per la progressione ad end-stage renal disease. È un fattore di rischio spesso modificabile e la riduzione della proteinuria è una importante strategia nell’ottica di ritardare e prevenire la perdita della funzione renale stessa [1]. Le cause fisiopatologiche che correlano la proteinuria alla progressione del danno renale sono molteplici e riguardano diversi meccanismi di azione, che spesso rimangono ancora sconosciuti. Tra questi meccanismi, uno dei più importanti è rappresentato dall’alterazione della permeabilità della barriera glomerulare, derivata dall’attività delle proteasi e dalla riduzione della sintesi di proteoglicani, necessarie per il corretto mantenimento e funzionamento della barriera [2]. Nell’ambito del sovvertimento della struttura glomerulare, anche il transforming growth factor-beta (TGF-b) svolge un ruolo fondamentale nel processo di fibrosi e sclerosi glomerulare, incrementando la sintesi di matrice extracellulare [3]. Altri meccanismi che svolgono un ruolo fondamentale nella patogenesi della proteinuria sono rappresentati dai radicali liberi e dalle specie reattive dell’ossigeno [4].

In questo variegato scenario eziopatogenetico, la comunità scientifica ha cercato ormai da molti anni di indagare e fornire risposte su come la terapia nutrizionale possa influenzare, modificare e bloccare questi processi patologici. Questi studi non risultavano esclusivamente orientati alla riduzione del processo patologico che porta alla comparsa ed all’aumento della proteinuria, ma anche alla preservazione della funzione renale, in quanto, nel corso degli anni, l’influenza della proteinuria nella velocità di progressione dell’insufficienza renale appariva sempre più netta. Alla luce di ciò, la terapia nutrizionale, che spesso si limitava alla progressione dell’insufficienza renale, si è ampliata verso approcci riguardanti l’insorgenza e la riduzione della proteinuria.

Nonostante l’importanza dell’argomento, però, gli studi sono stati spesso limitati all’apporto proteico; spesso sono stati valutati su popolazioni troppo eterogenee; raramente indicavano con precisione i valori di proteinuria; avevano spesso follow-up limitati; raramente riguardavano trials randomizzati. L’obiettivo di questo lavoro è quello di esplorare i differenti approcci nutrizionali e la loro influenza sui vari meccanismi eziopatogenetici conosciuti. Si andrà ad esplorare l’efficacia clinica di alcuni approcci dietetici, segnalandone i possibili effetti collaterali.

 

La low protein diet e very low protein diet

La riduzione dell’apporto proteico è l’approccio terapeutico-nutrizionale più utilizzato ed esaminato. Questa strategia è nota sin dagli anni ‘80, da quando i gruppi di Brenner ed El-Nahas mostrarono come la low protein diet (LPD) riducesse l’iperfiltrazione e la sclerosi glomerulare nei ratti [5,6]. Sfortunatamente, da allora, la maggior parte degli studi ha studiato popolazioni che già presentavano una insufficienza renale cronica e raramente pazienti che avevano una funzione renale normale.

 

LPD e VLPD nella patologia renale cronica

Gli studi riguardanti questo argomento sono diminuiti negli ultimi anni e spesso ci dobbiamo riferire ad analisi compiute più di 10 anni fa. Più recentemente, sono state presentate alcune metanalisi che, pur non rappresentando studi originali, hanno comunque cercato di compiere una revisione analitica e fare maggiore chiarezza sui benefici di queste terapie nelle diverse popolazioni studiate (Tabella I).

Chaveau et al. nel 2007 analizzarono le modifiche della proteinuria come risposta ad una “very low protein diet” (VLPD) con supplementazioni amminoacidiche o di ketoanaloghi (sVLPD) in 220 pazienti consecutivi con Chronic Kidney Disease (CKD). Il protocollo dietetico prevedeva una dieta con: 0.3 g/Kg peso ideale/die di proteine di origine vegetale più un 1 g di proteine per ogni grammo di proteinuria eccedente i 3 g/die. La supplementazione era rappresentata da 1 compressa di ketoanaloghi misti ed aminoacidi essenziali ogni 5 Kg di peso corporeo. Il fosforo inorganico era circa 5-7 mg/kg/die. L’energia totale era di 35 Kcal/Kg/die. Per esempio, un paziente di 70 Kg con 6 g/die di proteinuria riceveva 21 +3 g di proteine di origine vegetale e 14 compresse di ketoanaloghi. L’ammontare di fosforo inorganico era di circa 420 mg/die, con un apporto calorico medico di circa 2450 Kcal/die. La popolazione veniva divisa in 2 gruppi, a seconda della proteinuria basale: 1-3 g/die e >3 g/die. Entrambi i gruppi mostrarono una riduzione della proteinuria di circa il 50%, ma in misura maggiore quelli con proteinuria basale maggiore. La massima efficacia fu raggiunta ai 3 mesi di terapia. I pazienti con una maggiore riduzione della proteinuria evidenziavano anche una minore progressione del declino dell’eGFR. Inoltre, la riduzione delle proteine urinarie influenzava positivamente anche i valori di albumina plasmatica e l’assetto lipidico generale. Gli autori supposero che, probabilmente, i pazienti “responder” nel breve periodo erano quelli che avevano migliori outcome, nel lungo periodo, rispetto al declino dell’eGFR. Questa supposizione faceva propendere verso una continuazione, nel lungo periodo, della terapia nutrizionale nei pazienti “responder” [7]. Le limitazioni più importanti di questo studio erano il piccolo sample size e l’arruolamento dei soli pazienti in uno stadio avanzato della patologia renale, ossia con stadio CKD IV e V.

Un recente studio cross-sectional realizzato a Taipei valutava l’associazione tra la dieta vegetariana e la prevalenza di CKD in un sample di 55113 pazienti. La dieta vegetariana era significativamente associata ad una minore prevalenza di CKD. La popolazione analizzata era eterogenea, con una prevalenza di CKD del 16.8% ed un eGFR medio di 84 ml/min per 1.73 m2. Veniva inoltre segnalata una ridotta prevalenza di proteinuria nel gruppo “vegano”. Le limitazioni di questo studio erano riconducibili ad un possibile bias di selezione ed una mancanza delle informazioni riguardanti l’apporto energetico e la composizione nutrizionale delle diete [8].

 

LPD, VLPD e ketoanaloghi

Nel 2013 veniva condotto un interessante e peculiare piccolo trial monocentrico, open-label, randomizzato e controllato, riguardante 17 pazienti con virus da Epatite B e glomerulonefrite cronica. Veniva valutato in questi pazienti l’effetto di una dieta ipoproteica in termini di outcomes e di asset nutrizionale. Tutti i pazienti avevano uno stadio I e II CKD e una proteinuria >1 g/die. Nove pazienti ricevevano una dieta ipoproteica a 0.6-0.8 g/kg/die di peso corporeo ideale, senza supplementazione; 8 pazienti ricevevano la stessa dieta ipoproteica con supplementazione di ketoanaloghi, al dosaggio di 0.1 g/kg/die. Il dato significativo è rappresentato dal fatto che il gruppo con supplementazione aveva una riduzione significativa della proteinuria delle 24 ore, sia a 6 mesi che a 12 mesi. Inoltre, il valore assoluto di proteinuria era significativamente minore nel gruppo con ketoanaloghi rispetto al gruppo in sola LPD (2.0 ± 1.8 vs 4.4 ± 2.7 g/24h). Infine, nel gruppo con supplementazione, l’aspetto nutrizionale rimaneva invariato durante tutta la durata del follow-up [9]. Questo studio dimostra come la dieta a ridotto apporto proteico supplementata con ketoanaloghi possa migliorare la proteinuria ed evitare la malnutrizione, rispetto alla dieta non-supplementata. Supporta inoltre la teoria che i ketoanaloghi possano ridurre i valori dei fattori pro-fibrotici come il TGF-β che, come visto in precedenza, è fortemente implicato nel sovvertimento della struttura glomerulare renale. Ovviamente lo studio, seppur innovative e caratteristico, è limitato dal basso numero di pazienti e dalla specificità della loro patologia di base.

La più recente metanalisi di trial clinici randomizzati controllati veniva pubblicata da Yue et al. nel 2019 e analizzava gli effetti della dieta a basso apporto proteico sulla funzione renale. Questa metanalisi, rispetto a precedenti studi, evidenziava come il principale effetto della dieta ipoproteica non fosse il miglioramento dell’eGFR, ma la riduzione della proteinuria. Nel dettaglio della metanalisi, 19 studi confermavano la non influenza della LPD sull’eGFR. Per quanto riguarda la proteinuria, invece, la riduzione di 0,1 g/Kg/die die proteine era associata ad una riduzione della proteinuria di 0,0031 g/die. Effettivamente questa riduzione non appariva clinicamente significativa, ma quando la terapia era più lunga di 1 anno, la riduzione diventava più evidente, con una riduzione di 0.673 g/die. La riduzione era leggermente inferiore quando l’età dei soggetti era maggiore di 60 anni (-0.526 g/die). Nei pazienti in LPD si segnalava anche la riduzione del peso corporeo, del BMI, dell’urea e del BUN [10].

Oltre a diversi studi che analizzano l’efficacia della restrizione proteica nella riduzione della progressione dell’insufficienza renale e nella riduzione o comparsa della proteinuria, sono presenti anche diversi lavori che analizzano la sicurezza clinica e gli effetti collaterali delle diete ad apporto proteico basso e molto basso. In questo contesto, l’effetto collaterale più pericoloso, e di conseguenza più indagato, è rappresentato dall’insorgenza della malnutrizione proteico-calorica. Una metanalisi condotta nel 2018 evidenziava come la LPD non causasse malnutrizione [11] e permettesse di garantire un bilancio azotato anche nella sindrome nefrosica. Questo bilancio sembrava essere garantito anche dal fatto che, come conseguenza della perdita urinaria di proteine, si instaurava un meccanismo di “salvataggio aminoacidico” [12]. Diversi studi, però, rimarcano l’importanza di un corretto apporto energetico nei pazienti sottoposti a dieta ipocalorica. In particolare, un apporto calorico di 30-35 kcal/kg/die può permettere di prevenire stati di malnutrizione [13]. In molti studi, infatti, la “protein energy wasting” viene rilevata, nelle diete a bassissimo contenuto di proteine, solo se l’apporto calorico risulta insufficiente [14].

Nella metanalisi di studi clinici randomizzati controllati avviata da Yue nel 2019, precedentemente analizzata, veniva eseguita una buona analisi della sicurezza a lungo termine della restrizione proteica, esaminando le implicazioni della LPD quando la durata del trattamento era superiore ai 12 mesi. La restrizione proteica influenzava significativamente il BMI, con una riduzione di 0.907 kg/m2 (CI: -1.491 to -0.322 kg/m2) e dell’albumina (-1.586 g/l; CI: -5.258 to 2.086 g/l), evidenziando come un lungo periodo di restrizione potesse essere un fattore di rischio per la comparsa di malnutrizione. Inoltre, la riduzione dell’apporto proteico ridurrebbe la secrezione dell’ormone della crescita e del glucagone.

Per quanto riguarda la VLPD, nell’analisi post hoc dello studio Modification of Diet in Renal Disease (MDRD) si evidenziava quanto la prescrizione di una VLPD potesse aumentare il rischio di mortalità nei pazienti con insufficienza renale cronica [15]. D’altra parte, ci sono numerosi studi che al contrario non evidenziavano la comparsa di deficit nutrizionali [16] e che non confermavano l’aumento del rischio di malnutrizione in questi contesti [17]. A tal riguardo, l’utilizzo di ketoanaloghi potrebbe avere un impatto nella riduzione del rischio di insorgenza di malnutrizione. Tale supplementazione migliora il bilancio azotato e migliora l’asset proteico [18]. Nell’ambito dello stato nutrizionale complessivo, non è da sottovalutare l’influenza che ha la riduzione della proteinuria nell’aumento dei livelli di albumina sierici. Questo aumento, oltre ad essere associato alla riduzione della perdita urinaria, potrebbe essere associato anche ad ulteriori adattamenti fisiologici del metabolismo proteico, in una condizione di ridotto apporto ed aumentata perdita. In particolare, tra i meccanismi attivati si segnalano: la riduzione dei processi di proteolisi, la riduzione dell’ossidazione amminoacidica e la stimolazione di sintesi proteica post-prandiale [19].

In definitiva, non è possibile fornire una univoca conclusione sulla sicurezza della LPD e VLPD, in quanto gli studi presenti in letteratura forniscono dati discordanti e spesso presentano nelle loro analisi fattori confondenti, bias di selezione e dati non completi sulla quantità di apporto proteico e calorico.

 

Nefropatia diabetica

In letteratura sono presenti numerosi studi riguardanti la nutrizione nella nefropatia diabetica. Nell’ambito di competenza di questo lavoro, uno degli studi più rappresentativi risulta una metanalisi pubblicata nel 2019, dove veniva valutato l’impatto della LPD in questa tipologia di pazienti (Tabella I). I risultati, forse non scontati, evidenziavano una similitudine con quelli riguardanti i soggetti non-diabetici. Infatti, non si riscontravano significative differenze nei valori di creatinina sierica, di filtrato glomerulare ed emoglobina glicosilata, nel gruppo in trattamento. Di contro, i valori di albuminuria e proteinuria risultavano significativamente inferiori nel gruppo in LPD rispetto al gruppo di controllo (standard mean difference: 0.62, 95% CI: 0.06-1.19; 0.69, 95% CI: 0.22-1.16 rispettivamente) [20].

Un’altra review sistematica di Zhu et al. confermava questi risultati, riscontrando una significativa riduzione della proteinuria nel gruppo dei pazienti in LPD, nella sottopopolazione con Diabete Mellito tipo II (1.32, 95% CI: 0.17-2.47, p=0.02) [21]. Gli autori hanno provato a dare delle spiegazioni patogenetiche alla nefroprotezione dalla dieta a ridotto apporto proteico. Per prima cosa questa tipologia di dieta riduce il carico glomerulare proteico e questo determina: una inibizione del sistema renina-angiotensina renale; una riduzione della secrezione di glucagone con una minore dilatazione dell’arteriola afferente; una riduzione dell’insulin-like growth factor-1, con una conseguente potente azione vasodilatatoria [22]. Inoltre, la LPD attivava, nei modelli animali con Diabete di tipo II, i processi autofagici attraverso la soppressione di meccanismi che hanno come target la via del complesso 1 della Rapamicina [23]. In generale però, anche questi due studi riportavano una maggiore efficacia nella riduzione della proteinuria, ma una modesta efficacia a livello di nefroprotezione nei pazienti con nefropatia diabetica in restrizione proteica.

In un innovativo trial controllato crossover, eseguito in 17 pazienti con diabete mellito di tipo II, gli autori analizzavano la differenza di outcomes tra: una dieta libera, una dieta a base di pollo (senza altra tipologia di carne) e una dieta latto-ovo-vegetariana a ridotto contenuto proteico rispettivamente. Il tasso di escrezione urinaria di albumina risultava significativamente ridotto nei gruppi in “chicken-diet” e nei latto-ovo-vegetariani, comparati con quelli in dieta libera (20.6%, 95% CI: 4.8-36.4%; 31.4%, 95% CI: 12.7-50% rispettivamente). La riduzione dell’albuminuria tra la dieta a base di carne di pollo e quella latto-ovo-vegetariana non era statisticamente significativa (p=0.249) [24]. Probabilmente entrambe queste diete garantivano un alto contenuto sierico di acidi grassi polinsaturi (PUFAs), i quali influenzavano la riduzione della proteinuria [25]. Alti livelli di PUFAs potrebbero avere, inoltre, un effetto protettivo sulla funzione endoteliale e potrebbero migliorare l’insulino-resistenza, con un effetto sulla riduzione della proteinuria. Bisogna ovviamente tenere in conto che lo studio aveva un numero esiguo di partecipanti.

 

Nefropatia proteinurica in gravidanza

Un aspetto da non sottovalutare, poiché riguarda una popolazione molto particolare, è quello delle donne in gravidanza. In queste pazienti andrebbe evitata quanto più possibile l’insorgenza di proteinuria oppure la progressione di una proteinuria o una insufficienza renale cronica già esistenti. Questo per evitare l’insorgenza di gravi e note complicanze, che risultano pericolose ed a volte infauste e che riguardano sia la salute della madre, sia quella del nascituro. La terapia nutrizionale nelle donne in gravidanza è quindi un aspetto importante ed al tempo stesso complesso.

Gli studi presenti in letteratura non sono numerosi, ma i gruppi italiani di Torino e Cagliari hanno investigato, da diversi anni, la problematica. Il loro focus si concentrava sulla valutazione della efficacia e della sicurezza della LPD, basata su una dieta vegana-vegetariana, nel ridurre la proteinuria ed evitare la progressione dell’insufficienza renale. Il loro protocollo prevedeva la prescrizione di una dieta con un apporto proteico di 0.6 g/kg/die, supplementato da alfa-ketoanaloghi e amminoacidi (1 compressa ogni 10 kg di peso corporeo ideale) nei primi due trimestri. L’apporto proteico aumentava nel terzo trimestre, con 0.8 g/Kg/die di proteine + 1 compressa di ketoanaloghi ogni 8 Kg di peso corporeo ideale. La dieta era sostanzialmente vegana, con occasionale presenza di latte e yoghurt. Non vi era una restrizione di sale, ma venivano strettamente controllati, ed eventualmente supplementati, la Vitamina B12, il ferro e la 25-OH-Vitamina D. I risultati evidenziavano un incremento della proteinuria sia nel gruppo in LPD, sia nel gruppo di controllo, salvo poi ridursi a 3 e mesi dal parto, in seguito alla scomparsa della “fase iperfiltrativa”. La dieta non risultava efficace neanche sulla progressione dell’insufficienza renale. Nonostante questi dati, è importante sottolineare come l’incidenza di una età gestionale minore del decimo percentile, o la frequenza di neonati marcatamente prematuri, fosse significativamente inferiore nel gruppo vegetariano-vegano, rispetto alla popolazione di controllo. Le madri lamentavano però un significativo impatto della terapia nutrizionale nello stile di vita quotidiano [26] (Tabella I).

In un altro studio sperimentale veniva invece analizzato l’utilizzo di proteine derivate dalla soia durante la gravidanza e l’allattamento in ratti con patologie renali ereditarie. L’utilizzo esclusivo di proteine derivate dalla soia, comparate con una dieta contenente proteine derivate dal latte, determinava una riduzione della proteinuria del 33% (p=0.0013). Inoltre, la dieta a base di proteine della soia durante la gravidanza e l’allattamento riduceva lo stato infiammatorio (-24% di infiltrato macrofagico durante la gravidanza e -32% durante l’allattamento) e lo stress ossidativo (-28% e -56% di LDL-ossidate rispettivamente) [27]. Secondo gli autori, queste riduzioni potevano essere ricondotte ad un minor livello plasmatico di Valina e Lisina, che parrebbero ridurre la frazione di filtrazione glomerulare [28].

Una review di 22 lavori dimostra come la dieta vegana-vegetariana sia sicura in gravidanza. Nessuno degli studi analizzati riportava, infatti, aumento dei rischi correlati alla gravidanza o aumento di eventi legati alla nascita o alla salute del nascituro [29]; questo eccetto per un singolo studio, che riportava un aumento dell’incidenza di ipospadia nei bambini di madri vegetariane [30]. Ovviamente, tutti gli studi rimarcavano l’importanza di poter sviluppare carenze di Vitamina B12, ferro o Zinco, raccomandandone l’eventuale supplementazione [31].

Per concludere, la dieta vegetariana non fornisce significativi vantaggi nel preservare la funzione renale o nel ridurre la proteinuria ma sembrerebbe non avere effetti collaterali severi e potrebbe ridurre alcune complicanze gestazionali. Si potrebbe per esempio prescrivere una dieta vegetariana nelle pazienti che hanno già una sindrome nefrosica in corso, o una storia di proteinuria significativa; nelle pazienti che hanno una progressione della proteinuria durante la gravidanza; in quelle con uno stato di insufficienza renale già avanzato. Queste pazienti potrebbero beneficiare di questo approccio dietetico, soprattutto per ridurre le complicanze gestionali.

Studi Pazienti Funzione Renale Intake Proteico (g/kg/d) Info cliniche Risultati
Chaveau (2007)

[7]
220 CKD IV-V 0.3 (vegetariana) + 1 g per grammo di proteine >3 g/d + supplementazione nd Riduzione della proteinuria del 50%. Max efficacia dopo 3 mesi. Maggiore riduzione proteinuria = minore declino dell’eGFR
Mou (2013)

[9]
17 CKD I-II e proteinuria >1g/d

 

0.6-0.8 g/Kg/d su peso ideale con Ketoanaloghi (0.1 g/Kg/d) o senza HBV+ La proteinuria era significativamente minore nel gruppo con Ketoanaloghi rispetto al gruppo senza supplementazione (2.0 ±1.8 vs 4.4 ±2.7 g/24h)
Yue (2019) (metanalisi)

[10]
3566 nd 0.28-0.8 g/Kg/d nd Quando la dieta >12 mesi, ogni riduzione di 0.1 g/Kg/d di intake proteico era associato ad una riduzione di -0.673 g/24h di proteinuria
Li (2019) (metanalisi)

[20]
690 nd 0.6-1.0 g/Kg/d Diabetici La proteinuria diminuiva nel gruppo in LPD vs gruppo controllo (SMD rispettivamente: 0.62, CI: 0.06-1.19 e 0.69, CI: 0.22-1.16)
Attini (2019)

[26]
36 CKD III-V o proteinuria >1g/d 0.6 g/Kg/d + supplemento (0.8 g/Kg/d + supplemento III trimestre) Gravide La proteinuria aumentava nel gruppo LPD e nel gruppo controllo. L’incidenza di basso peso per età gestionale era significativamente inferiore nel gruppo LPD
Tabella I: Principali studi sull’intake proteico nella proteinuria

 

Altri aspetti nutrizionali e proteinuria

Sebbene la maggior parte degli studi in letteratura riguardanti la riduzione della proteinuria e la preservazione della funzione renale siano riconducibili alla restrizione proteica, e sebbene l’argomento di questa review sia diretto in questo ambito, non possiamo non trattare brevemente alcuni differenti aspetti nutrizionali fortemente implicati in questo ambito patologico/terapeutico e che possono interferire con l’efficacia delle diete a ridotto apporto proteico.

 

Fibre, alcali e Vitamina K

La proteinuria può essere gestita con diversi alimenti, tra cui la curcumina, oltre che con la restrizione proteica (Tabella II). Altri nutrienti che potrebbero essere utilizzati in questo ambito sono le fibre, gli alcali e la Vitamina K. Nella dieta Vegana e nella VLPD le fibre e la Vitamina K1 sono molto più presenti rispetto ad altre diete [32]; inoltre, vi sono alimenti che hanno un alto potere alcalinizzante e potrebbero migliorare l’efficienza delle varie diete e dei benefici derivanti dalla riduzione dell’apporto proteico. In alcuni studi la Vitamina K è stata associata ad una riduzione della mortalità in pazienti con malattia renale cronica [33]. L’intake di fibre diminuisce il pH intestinale e modula favorevolmente il microbiota. Inoltre, anche la riduzione dell’apporto di acidi con la dieta potrebbe ridurre la mortalità nei pazienti con insufficienza renale cronica e sicuramente favorisce l’omeostasi dell’equilibrio acido-base e migliora il controllo dell’iperkaliemia, specialmente quando è in corso un trattamento con ACE-inibitori o Sartanici [34].

 

Fosforo

Un ruolo importante nel management della proteinuria è svolto dal fosforo sierico e dall’intake di fosforo. Lee H et al. hanno dimostrato come un valore elevato di fosforo ematico, anche in range non patologico, era indipendentemente e positivamente correlato con albuminuria, seppur di basso grado, ed era un potente fattore predittore di aumento del rapporto albumina/creatinina (coefficiente di regressione = 0,610, p <0.001). Questo studio non includeva pazienti con eGFR <60 ml/min e con proteinuria e microematuria già presente [35]. L’intake dietetico di fosforo, in particolare derivante da proteine animali, aumentava i livelli di fosforo e diminuiva la dilatazione flusso-mediata, un marker sostitutivo della funzione endoteliale [36]. Un altro studio in pazienti con malattia renale cronica confermava inoltre che il fosforo attenua l’effetto anti-proteinurico della VLPD [37]. Infine, alti livelli di fosforo attenuano anche l’effetto nefroprotettore degli ACE-inibitori in pazienti con proteinuria e malattia renale cronica [38].

 

Intake di sodio

L’intake di sodio è un punto cruciale nell’approccio nutrizionale della proteinuria. Un interessante trial randomizzato evidenziava come l’aggiunta di una restrizione sodiemica in aggiunta alla terapia con ACE-inibitori fosse più effettiva nella riduzione della proteinuria rispetto al “doppio blocco”, consistente nell’aggiunta del Sartanico all’ACE-inibitore. Al basale, i pazienti in terapia con ACE-inibitori in dieta libera avevano una proteinuria di 1.68 g/d (1.31-2.14). Se si aggiungeva in terapia il Sartanico, la proteinuria scendeva a 1.44 g/d (1.07-1.93; p = 0.003). Molto più efficace risultava l’introduzione di una dieta a basso contenuto di sodio, che portava i valori di proteinuria a 0.85 g/d (0.66-1.10; p <0.001). Va segnalato che nessuno dei pazienti nello studio aveva una nefropatia diabetica [39].

Questo effetto cumulativo della restrizione sodiemica è stato riscontrato in altri studi. Diversi lavori riportano inoltre lo stesso effetto cumulativo della restrizione sodiemica in pazienti in terapia con ACE-inibitori e LPD o VLPD. L’effetto cumulativo sembrerebbe riconducibile a due differenti meccanismi: la riduzione del “precarico” e del “postcarico” glomerulare [40]. In generale, la LPD ha un basso apporto di sodio, tuttavia una indicazione di una dieta iposodiemica ed ipoproteica in pazienti in terapia con inibitori del RAS può essere una strategia efficace nella riduzione della proteinuria.

Alimenti Meccanismo di azione Risultati
Curcumina (animali) Nrf2-attivatore; previene apoptosi della β-cell; attenua l’insulino-resistenza; riduce l’infiammazione Attenua l’escrezione urinaria di albumina nei pazienti con diabete mellito di tipo II
Lactobacillus (ratti) Rigenera l’espressione delle proteine della barriera intestinale; riduce l’infiammazione sistemica Diminuisce la proteinuria in ratti con CKD
Fibre, Alkali and Vitamina K Diminuisce il pH intestinale e modula favorevolmente il microbiota Riduce l’apporto dietetico di acidi; riduce la mortalità in persone con CKD; migliora l’equilibrio acido-base; migliora il controllo dell’iperkaliemia
Fosforo Diminuisce la dilatazione endoteliale flusso-mediata; attenua l’effetto antiproteinurico della VLPD e degli ACE-inibitori indipendentemente e positivamente correlata con la presenza di albuminuria; aumenta il rapporto urinario albuminuria/creatininuria
Riduzione intake di Sodio Riduce il precarico glomerulare; inibisce il sistema renina-angiotensina Riduzione della proteinuria; effetto cumulativo quando associato agli ACE-inibitori o ai Sartanici
Tabella II: Meccanismo di azione e risultati di differenti alimenti nel management della proteinuria

 

Conclusioni

La proteinuria ha un ruolo fondamentale nella diagnosi, nella gestione e nel trattamento dell’insufficienza renale cronica ma non esistono numerosi studi focalizzati sugli effetti della dieta sulla proteinuria. La restrizione proteica è l’approccio dietetico più studiato nella gestione della proteinuria e dell’insufficienza renale. Tale dieta non sembra agire direttamente sui valori del GFR, ma è spesso efficace nel ridurre la proteinuria, considerata come il principale fattore di rischio di progressione dell’insufficienza renale. Questo dato rimarca come i benefici della terapia nutrizionale sulle perdite urinarie di proteine possano influenzare la progressione della patologia renale, soprattutto a lungo termine, determinando un forte impatto sui fattori di rischio cardiovascolari e sulla mortalità in generale.

Una sana alimentazione, inoltre, tende al miglioramento del microbiota intestinale, che sembrerebbe uno meccanismo fisiopatologico di rilievo nella riduzione della proteinuria. Nei soggetti con proteinuria è fondamentale un continuo monitoraggio dello status nutrizionale, specialmente nei soggetti in dieta ipoproteica, per evitare l’insorgenza di malnutrizione.

Non esistono protocolli dietetici universali nel management della proteinuria. Ogni paziente dovrebbe avere una terapia nutrizionale personalizzata, basata sulle cause eziopatogenetiche e sui valori della proteinuria, sulle comorbidità esistenti e sulla valutazione nutrizionale di base.

Ulteriori trials clinici randomizzati focalizzati sulla proteinuria, possibilmente divisi per cause eziopatogenetiche e livelli di proteinuria, sono necessari e andrebbero incentivati.

 

Bibliografia

  1. Remuzzi G, Bertani T. Pathophysiology of progressive nephropathies. N Engl J Med 1998; 339:1448-56.
  2. Palmieri B, Sblendorio V. Oxidative stress detection: what for? Eur Rev Med Pharmacol Sci 2007; 11:27-54.
  3. Eddy AA. Protein restriction reduces transforming growth factor-beta and interstitial fibrosis in nephrotic syndrome. AM J PHysiol 1994; 266(6Pt2):F884-93.
  4. Ghodake S, Suryakar A, Ankush, et al. Role of free radicals and antioxidant status in childhood nephrotic syndrome. Indian J Nephrol 2011; 21:37-40.
  5. Brenner BM, Meyer TW, Hostetter TH. Dietary protein intake and the progressive nature of kidney disease: the role of hemodinamically mediated glomerular sclerosis in aging, renal ablation, and intrinsic renal disease. N Eng J Med 1982; 307:652-9.
  6. El-Nahas AM, Paraskevakou H, Zoob S, et al. Effect of dietary protein restriction on the development of renal failure after subtotal nephrectomy in rats. Clin Sci (Lond) 1983; 65:399-406.
  7. Chauveau P, Combe C, Rigalleau V, et al. Restricted protein diet is associated with decrease in proteinuria: consequences on the progression of renal failure. J Ren Nutr 2007; 17(4):250-7.
  8. Liu HW, Tsai WH, Liu JS, Kuo KL. Association of vegetarian diet with chronic kidney disease. Nutrients 2019; 11:279.
  9. Mou S, Li J, Yu Z, et al. Keto acid-supplemented low-protein diet for treatment of adult patients with hepatitis B virus infection and chronic glomerulonephritis. J Int Med Res 2013; 41(1):129-37.
  10. Yue H, Zhou P, Xu Z, et al. Effect of low-protein diet on kidney function and nutrition in nephropathy: A systematic review and meta-analysis of randomized controlled trials. Clinical Nutrition 2019; 39(9):2675-85.
  11. Rhee CM, Ahmadi S-F, Kovesdy CP, et al. Low protein diet for conservative management of chronic kidney disease: a systematic review and metanalysis of controller trials. J Cachexia Sarcopenia Muscle 2018; 9:235-45.
  12. Maroni BJ, Staffeld C, Young VR, et al. Mechanism permitting nephrotic patients to achieve nitrose equilibrium with a protein-restricted diet. J Clin Invest 1997; 99:2479-87.
  13. Zoccali C, Mallamaci F. Moderator’s view: Low-protein diet in chronic kidney disease: effectiveness, efficacy and precision nutritional treatment in nephrology. Nephrol Dial Transplant 2018; 33:387-91.
  14. Di Micco L, Di Lullo L, Bellasi A, Di Iorio BR. Very low protein diet for patients with chronic kidney disease: recent insights. J Clin Medicine 2019; 8:718.
  15. Menon V, Kopple JD, Wang X, et al. Effect of a very low-protein diet on outcomes: long-term follow-up of the modification of diet in renal disease (MDRD) study. Am J Kidney Disease 2009; 53:208-17.
  16. Bellizzi V, De Nicola L, Di Iorio BR. Restriction of dietary protein and long-term outcomes in patients with CKD. Am J Kidney Disease 2009; 53:208-17.
  17. Bellizzi V, Chiodini P, Cupisti A, et al. Very low-protein plus ketoacids in chronic kidney disease and risk of death during end-stage renal disease: a historical cohort-controlled study. Nephrol Dial Transplant 2015; 30:71-7.
  18. Li H, Long Q, Shao C, et al. Effect of short-term low-protein diet supplemented with keto acids on hyperphosphatemia in maintenance hemodialysis patients. Blood Purif 2011; 31:33-40.
  19. Giordano M, De Feo P, Lucidi P, et al. Effects of dietary protein restriction on fibrinogen and albumin metabolism in nephrotic patients. Kidney Int 2001; 60(1):235-42.
  20. Li XF, Xu J, Liu LJ, et al. Efficacy of low-protein diet in diabetic nephropathy: a meta-analysis of randomized controlled trials. Lipids Health Dis 2019; 18(1):82.
  21. Zhu HG, Jiang ZS, Gong PY, et al. Efficacy of low-protein diet for diabetic nephropathy: a systematic review of randomized controlled trials. Lipids Health Dis 2018; 17:141.
  22. Fontana L, Weiss EP, Villareal DT, et al. Long-term effects of calorie and protein restriction on serum IGF-1 and IGFBP-3 concentration in humans. Aging Cell 2008; 7:681-7.
  23. Kitada M, Ogura Y, Suzuki T, et al. A very-low-protein diet ameliorates advanced diabetic nephropathy through autophagy induction by suppression of the mTORC1 pathway in Wistar fatty rats, an animal model of type 2 diabetes and obesity. Diabetologia 2016; 1307-17.
  24. De Mello VDF, Zelmanovitz T, Perassolo MS, et al. Withdrawal of red meat from the usual diet reduces albuminuria and improves serum fatty acid profile in type-2 diabetes patients with macroalbuminuria. Am J Clin Nutr 2006; 83:1032-8.
  25. Perassolo MS, Almeida JC, Prà RL, et al. Fatty acid composition of serum lipid fractions in type 2 diabetic patients with microalbuminuria. Diabetes Care 2002; 26:613-8.
  26. Attini R, Leone F, Parisi S, et al. Vegan-vegetarian low-protein supplemented diets in pregnant CKD patients: fifteen years of experience. BMC Nephrology 2019; 17:132.
  27. Cahill LE, Peng CYC, Bankovic-Calic N, et al. Dietary soya protein during pregnancy and lactation in rats with hereditary kidney disease attenuates disease progression in offspring. British J Nutr 2007; 97:77-84.
  28. Regnault TR, Friedman JE, Wilkening RB. Fetoplacental transport and utilization of amino acids in IUGR- a review. Placenta 2005; 19:S52-S62.
  29. Piccoli GB, Clari R, Vigotti FN, et al. Vegan-vegetarian diets in pregnancy: danger or panacea? A systematic narrative review. BJOG 2015; 122:623-33.
  30. North K, Golding J, The Alspac study team. A maternal vegetarian diet in pregnancy is associated with hypospadias. BJU Int 2000; 85:107-13.
  31. King JC, Stein T, Doyle M. Effect of vegetarianism on the zinc status of pregnant women. Am J Clin Nutr 1981; 34:1049-55.
  32. Cupisti A, D’Alessandro C, Gesualdo L, et al. Non-traditional aspects of renal diets: focus on fiber, Alkali and Vitamin K1 Intake. Nutrients 2017; 9:444.
  33. Cheung CL, Sahni S, Cheung BM, et al. Vitamin K intake is inversely associated with mortality risk. J Nutr 2014; 144:743-50.
  34. Goraya N, Simoni J, Jo CH, et al. Treatment of metabolic acidosis in patients with stage 3 chronic kidney disease with fruits and vegetables or oral bicarbonate reduces urine angiotensinogen and preserves glomerular filtration rate. Kidney Int 2014; 86(5):1031-8.
  35. Lee H, Oh SW, Heo NJ, et al. Serum phoshorus as a predictor of low-grade albuminuria in a general population without evidence of chronic kidney disease. Nephrol Dial Transplant 2012; 27:2799-806.
  36. Shuto E, Taketani Y, Tanaka R, et al. Dietary phosphorus acutely impairs endothelian function. J Am Soc Nephrol 2009; 20:1504-12.
  37. Di Iorio BR, Bellizzi V, Bellasi A, et al. Phosphate attenuates the anti-proteinuric effect of very low-protein diet in CKD patients. Nephrol Dial Transplant 2013; 28:632-40.
  38. Zoccali C, Ruggenenti P, Perna A, et al. Phosphate may promote CKD progression and attenuate renoprotective effect of ACE inhibition. J Am Soc Nephrol 2011; 22:1923-30.
  39. Slagman MCJ, Waanders F, Hemmelder MH, et al. Moderate dietary sodium restriction added to angiotensin converting enzyme inhibition compared with dual blockade in lowering proteinuria and blood pressure: randomised controlled trial. BMJ 2011; 343:d4366.
  40. Jafar TH, Stark PC, Schmid CH, et al. Proteinuria as a modifiable risk factor for the progression of non-diabetic renal disease. Kidney Int 2001; 60(3):1131-40.

The underlying cause of kidney disease is often unknown in dialysis patients: a possible genomic approach

Abstract

As much as 16-17% European and American patients on renal replacement therapy do not have a conclusive diagnosis of the cause of their renal failure. This may have important implications on the types of morbidity they can develop in case of systemic diseases with extrarenal involvement, or recurrent renal diseases in transplanted patients. A better knowledge of the underlying disease can have important prognostic and therapeutic repercussions.

In this study we evaluated the rate of uremic patients who can benefit from a genomic diagnostic approach. Patients liable to a future genomic diagnostic study were selected based on two criteria: (i) age of dialysis entry less or equal to 55 years, and (ii) presence of a non-conclusive diagnosis. Based on the data extracted from the REGDIAL registry, we analyzed 534 patients undergoing renal replacement therapy. We identified 300 patients with age of entry into replacement therapy <55 years (56.2% of the overall study population). Among these, we identified 107 patients with missing or inconclusive diagnosis, which was equal to 20% of the overall population. Of these patients, 32.8% reported a positive family history of kidney disease. This study confirms that a significant proportion of patients on renal replacement therapy do not have an etiological diagnosis and may be subject to a genomic evaluation. With the increasing availability of genomic sequencing technology and the falling of related costs, nephrologists will be increasingly inclined to incorporate clinical genetic testing into their diagnostic armamentarium. There is therefore a need for in-depth, multicenter studies aimed at developing evidence-based guidelines, clear indications and at confirming the usefulness of genetic testing in nephrology. Keywords: end stage renal disease, epidemiology, nephrosclerosis

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

L’uremia terminale in Europa, secondo dati relativi al Report ERA-EDTA 2014, si caratterizza per un’incidenza di 70.953 nuovi pazienti all’anno (133 persone per milione di abitanti –pmp) ed una prevalenza di 490.743 individui (924 pmp) [1]. Le principali cause riportate sono la nefropatia diabetica (19%), le glomerulonefriti (17%) e la nefropatia ipertensiva (nefroangiosclerosi) (16%), ma è sorprendente che la patologia di base sia sconosciuta nel 17% dei casi (Figura 1). Nella realtà americana incidenza e prevalenza sono superiori rispetto al dato europeo (rispettivamente 378 pmp per l’incidenza, e 2128 pmp per la prevalenza). Dal punto di vista eziologico negli Stati Uniti, le principali cause di IRC terminale sono rappresentate dalla nefropatia diabetica (38%) e dalla nefropatia ipertensiva (25%), ma anche nella popolazione americana il 16% dei pazienti non ha una diagnosi conclusiva: un numero elevato e in linea con il dato europeo (Figura 2). Una considerazione particolare deve essere fatta per quella ampia quota di pazienti che ricevono una diagnosi di nefropatia ipertensiva o nefroangiosclerosi (16% nella popolazione europea, 25% nella popolazione americana). La nefroangiosclerosi è definita come l’esito finale della malattia ipertensiva non adeguatamente controllata da terapie antipertensive efficaci [2]. I soli criteri clinici hanno una limitata specificità e sensibilità, in particolare nella diagnosi differenziale con la glomerulosclerosi secondaria che può essere invece determinata dall’ esito di processi glomerulonefritici. Per aumentare l’accuratezza diagnostica, è necessario associare ai criteri clinici la biopsia renale che però è eseguita molto raramente in questa classe di pazienti [3]. Ne deriva quindi che una porzione consistente di pazienti con diagnosi di nefroangiosclerosi sia in realtà orfana della reale causa patogenetica della propria malattia renale. Da questi dati emerge quindi un quadro poco confortante riguardante la ampia quota di soggetti che iniziano il trattamento dialitico senza una diagnosi eziologica. Questo può avere implicazioni importanti per le morbidità che i pazienti possono sviluppare anche dopo il raggiungimento della insufficienza renale terminale, ad esempio nel caso di malattie sistemiche con coinvolgimento extrarenale o di particolari malattie renali che possono recidivare nel paziente trapiantato [4]. Crediamo che una quota di pazienti senza diagnosi eziologica, ed in particolare la quota di pazienti più giovani, possano essere portatori di malattie con una eziologia genetica e che quindi possano beneficiare di un approccio diagnostico genomico. La finalità di questo studio è stata primariamente effettuare un’analisi epidemiologica delle cause di insufficienza renale cronica nella popolazione in terapia renale sostitutiva nella provincia di Modena e identificare i casi con diagnosi mancante o non conclusiva. Attraverso questa indagine si vuole individuare una popolazione per la quale un approccio genomico possa avere una elevata chance di definizione della reale causa patogenetica.

 

Figura 1: Eziologia dei prevalenti in IRC Terminale secondo i dati dell'European Renal Association del 2014 [5]
Figura 1: Eziologia dei prevalenti in IRC Terminale secondo i dati dell’European Renal Association del 2014 [5]

 

Figura 2: Eziologia dei prevalenti in IRC terminale secondo i dati di United States Renal Data System del 2015 [7]
Figura 2: Eziologia dei prevalenti in IRC terminale secondo i dati di United States Renal Data System del 2015 [7]

Materiali e Metodi

Lo studio è stato autorizzato dal Comitato Etico della Area Vasta Emilia Nord (Pratica C.E. N.170/2019).

I dati sono stati raccolti attraverso un foglio di calcolo Excel (Office 365, Microsoft Corporation). I dati sono stati analizzati descrittivamente con le funzioni incorporate nel foglio di calcolo Excel, oppure con il pacchetto statistico Stata 11.2 (Copyright 1985-2009 StataCorp LP).

 

Estrazione dei dati

La popolazione dello studio è stata individuata attraverso il registro regionale dialisi e trapianto (REGDIAL), che raccoglie i dati della popolazione in trattamento renale sostitutivo della provincia di Modena. I dati sono stati estratti con aggiornamento al 31 dicembre 2016 e riguardano tutti i pazienti affetti da IRC terminale in trattamento con tutte le metodiche disponibili (emodialisi, dialisi peritoneale, trapianto renale).

Sono stati raccolti i seguenti dati: sesso; età all’inizio del trattamento renale sostitutivo; età al 31 dicembre 2016; tipologia di terapia renale sostitutiva iniziale e tipologia in atto al 31 dicembre 2016; etnia, eziologia dell’IRC terminale; biopsia renale; familiarità per nefropatia. La familiarità per malattia renale è stata estratta attraverso la sottomissione ai pazienti del questionario riportato nei materiali e metodi (Allegato 1 materiali supplementari). Come unico criterio di esclusione è stata applicata l’esclusione dei pazienti per i quali non erano disponibili dati clinici nei database elettronici (REGDIAL, ARIANNA) o nelle cartelle cliniche cartacee.

Abbiamo revisionato ogni diagnosi che fosse discrepante tra quanto riportato nel registro REGDIAL e quanto riportato nella restante documentazione clinica. Una commissione formata da RM, FT e DS ha collegialmente ridiscusso la diagnosi ed in caso di mancanza di unanimità nei confronti della diagnosi conclusiva questa è stata decisa attraverso votazione a maggioranza.

 

Classificazione dei casi passibili di eventuale studio genomico

I pazienti passibili di un futuro approfondimento diagnostico genomico sono stati selezionati sulla base di 2 criteri:

  • Età di ingresso in dialisi inferiore o uguale a 55 anni. La scelta dell’età inferiore a 55 anni è stata presa in considerazione dell’età media di ingresso in dialisi della più rappresentativa patologia renale genetica renale: il rene policistico autosomico dominante (ADPKD)[5].
  • Pazienti con diagnosi non conclusiva: mancata diagnosi, nefroangiosclerosi non approfondita biopticamente, CAKUT, nefropatia interstiziale idiopatica.

Queste categorie diagnostiche sono state identificate in quanto condizioni con scarsa caratterizzazione patogenetica e/o maggiore probabilità di una significativa componente eredo-familiare.

 

Risultati

Caratteristiche della popolazione

Sulla base dei dati estratti dal registro REGDIAL sono stati identificati 626 pazienti in trattamento sostitutivo renale nel periodo compreso dall’1/1/2016 al 31/12/2016 pari ad una prevalenza nella provincia di Modena di 438.7 pmp. L’età media dei pazienti in trattamento dialitico è 63 ± 15 anni mentre l’età’ media di inizio dialisi è 54 ± 19 anni. Il 63,5% della popolazione è di sesso maschile. La distribuzione dell’età di inizio della terapia di sostituzione renale presenta un andamento grossolanamente bimodale con un primo picco intorno ai 48 anni e un secondo a circa 72 anni (Figura 3). 363 soggetti sono in trattamento emodialitico (58% della popolazione); 67 soggetti sono in trattamento dialitico peritoneale (10,7% della popolazione) e infine 196 soggetti hanno ricevuto un trapianto renale (31,3% della popolazione).

 

Figura 3: Distribuzione dell’età di inizio trattamento renale sostitutivo della popolazione in esame
Figura 3: Distribuzione dell’età di inizio del trattamento sostitutivo renale della popolazione in esame

 

Eziologia IRC terminale

92 soggetti di 626 (14.6%) in trattamento sostitutivo sono stati esclusi dalle successive analisi per mancanza di dati clinici (Figura 4). Per ogni singolo paziente sono stati analizzati i dati clinici estratti dalle base dati descritte nella sezione dei materiali e metodi. La diagnosi eziologica riscontrata nei documenti clinici è stata confrontata con quella riportata nel registro REGDIAL. 101 diagnosi (18.9%) sono risultate discrepanti nel confronto tra la codifica REGDIAL e quanto riportato nelle cartelle cliniche.

Sulla base della riclassificazione le prime tre diagnosi per incidenza sono: 149 soggetti della categoria eziologica delle glomerulonefriti (24.5%), 83 soggetti della categoria nefropatia diabetica (13.6%), 75 soggetti della categoria nefroangiosclerosi (12.3%). In queste ultime due categorie la diagnosi bioptica è stata condotta in un limitato numero di casi, rispettivamente il 22,9% e il 18,7% e quindi l’accuratezza di queste diagnosi deve essere considerata subottimale. Sempre relativamente alla biopsia renale, essa è stata effettuata nella categoria ‘no diagnosi’ in 9 casi su 55 (16,4%) riscontrando appunto una diagnosi istologica non conclusiva. In 55 soggetti (10.3%) non è stata identificata una causa eziologica della insufficienza renale terminale (Tabella1).

Abbiamo confrontato l’età di ingresso in dialisi in queste categorie eziologiche, in particolare dividendo i soggetti in diagnosi conclusive e non conclusive non si apprezza una differenza statisticamente significativa nei due gruppi: 332 soggetti con diagnosi conclusiva ed età media di ingresso in dialisi 52 anni, 202 soggetti con diagnosi non conclusiva ed età media di ingresso in dialisi 54.2 anni.

 

Figura 4: Diagramma che illustra il processo di classificazione dei pazienti affetti da IRC terminale
Figura 4: Diagramma che illustra il processo di classificazione dei pazienti affetti da IRC terminale

 

CATEGORIA N. ELEMENTI PERCENTUALE
Glomerulonefriti 149 27,90%
Nefropatia a Depositi di IgA 43 28,86%
Gn Membrano-proliferativa 22 14,77%
Gn membranosa 13 8,72%
FSGS 10 6,71%
LES 10 6,71%
Vasculite 9 6,04%
Amiloidosi 6 4,03%
Sindrome Emolitico-Uremica 6 4,03%
Nefropatia a depositi di IgM 5 3,36%
Gn Post-Infettiva 5 3,36%
Gn intra ed extra-capillare 4 2,68%
Gn Necrotizzante 3 2,01%
Gn crioglobulinemica 3 2,01%
Altro 10 6,71%
Nefropatia Diabetica 83 15,54%
Diagnosi bioptica 19 22,89%
Diagnosi clino-laboratoristica 64 77,11%
Nefroangiosclerosi 75 14,04%
Diagnosi bioptica 14 18,67%
Diagnosi Clinica-laboratoristica 61 81,33%
Nefropatie ereditarie 73 13,67%
ADPKD 54 73,97%
Sindrome di Alport 6 8,22%
Nefronoftisi 5 6,85%
Altro 8 10,96%
CAKUT 36 6,74%
Reflusso vescico-ureterale 12 33,33%
Monorene congenito 7 19,44%
Ipoplasia renale 6 16,67%
Stenosi del giunto pielo-ureterale 2 5,56%
Stenosi ureterale congenita 2 5,56%
Altro 7 19,44%
Malattie Tubulo-Interstiziali 36 6,74%
Pielonefrite cronica 14 38,89%
Nefropatia interstiziale 13 36,11%
Nefropatia da farmaci 7 19,44%
Nefropatia interstiziale da S. di Sjogren 1 2,78%
Granulomatosi interstiziale 1 2,78%
Altre alterazioni renali 27 5,06%
Litiasi renale 9 33,33%
Tumore renale 5 18,52%
Iatrogena 2 7,41%
Meningocele 2 7,41%
Stenosi arterie renali 2 7,41%
Altro 7 25,93%
No Diagnosi 55 10,30%
Biopsia renale eseguita 9 16,36%
Biopsia renale non eseguita 46 83,64%
N.B.

· Glomerulonefrite, Altro: 4 glomerulonefriti avanzate e inclassificabili (con immunofluorescenza positiva), 2 da microangiopatia trombotica, 2 glomerulonefriti mesangiali, 1 myeloma kidney, 1 connettivite non meglio definita

· Nefropatie ereditarie, Altro: 4 glomerulonefriti familiari, 2 nefropatie interstiziali familiari, 1 sclerosi tuberosa, 1 malattia di Fabry; “CAKUT, Altro”: 1 ipodisplasia renale, 1 malformazione ureterale, 1 monorene funzionale, 1 estrofia vescicale congenita, 1 malformazione valvole uretrali posteriori, 1 malformazione renale, 1 malformazione apparato escretore congenita

· Altre alterazioni renali: 1 tubercolosi renale, 1 monorene chirurgico, 1 ipertrofia prostatica, 1 nefrocalcinosi, 1 idronefrosi, 1 nefropatia da sofferenza ipossica perinatale, 1 nefrectomia bilaterale per sospetta sindrome di birt-hogg-dubè

Tabella 1: Eziologia dell’IRC terminale nel dettaglio. In questa tabella sono riportati tutti i pazienti indipendentemente dall’età di ingresso in dialisi.

 

Popolazione con diagnosi non conclusiva e probabilità di patogenesi di origine genetica

I criteri di inclusione per la definizione di una popolazione a maggiore probabilità di essere portatrice di una malattia eredo-familiare sono stati riportati nella sezione dei materiali e metodi. In breve, i criteri riguardano la necessità di inizio del trattamento sostitutivo prima dei 55 anni e la mancanza di una diagnosi eziologica conclusiva. I soggetti appartenenti alla popolazione in esame con età di inizio della terapia renale sostitutiva inferiore o uguale a 55 anni sono risultati 300 (56.2%). In questo gruppo di pazienti abbiamo identificato 107 (20%) soggetti con una diagnosi clinica non nota o non conclusiva (Fig.4). Questi pazienti appartengono alle seguenti classi: nefroangiosclerosi (24 pazienti), CAKUT (30 pazienti), no diagnosi (33 pazienti) e malattie tubulo-interstiziali idiopatiche (20 pazienti). Nel gruppo dei pazienti affetti da malattia tubulo-interstiziale sono stati esclusi i soggetti che avevano una chiara causa eziologica della loro nefrite interstiziale: nefrotossicità da farmaci (3 soggetti) e da nefropatia interstiziale secondaria a sindrome di Sjogren (1 soggetto) (Materiali supplementari, Allegato 2). Questi 107 soggetti selezionati possono quindi potenzialmente beneficiare di un approccio diagnostico genomico.

Per valutare il possibile ruolo di una componente eredo familiare nella popolazione selezionata abbiamo valutato la anamnesi familiare per il riscontro di familiarità per nefropatie. I soggetti con familiarità per nefropatia sono risultati 34 (corrispondenti al 32,8% del totale). Tre (39,4%) appartengono alla classe “no diagnosi”, 7 (23,3%) alla classe CAKUT, 8 (40%) alla classe malattie tubulo-interstiziali e infine 7 (29,2%) alla classe nefroangiosclerosi. La presenza di anamnesi familiare positiva nei pazienti di etnia africana è di 3 su 14 pazienti complessivi (21,4%; in due pazienti non è stato possibile raccogliere il dato). La presenza di anamnesi familiare positiva nei pazienti di etnia caucasica è di 32 su 86 pazienti complessivi (37,2%; in 5 pazienti non è stato possibile raccogliere il dato) (vedi Tabella 2 e Materiali Supplementari, Allegato 2). La proporzione di storia familiare positiva per malattie renali non risulta statisticamente significativa rispetto alla etnia caucasica/africana (Fisher’s exact test p = 0.368).

 

CATEGORIA Num tot/% Familiarità per nefropatia/% Assenza di Familiarità/% Assenza del dato sulla Familiarità/%
CAKUT 30 28,04% 7 23,33% 23 76,67% 0 0%
Reflusso vescico-ureterale 11 36,67 2 18,18% 9 81,82% 0 0%
Monorene congenito 6 20% 2 33,33% 4 66,67% 0 0%
Ipoplasia renale 4 13,33% 2 50% 2 50% 0 0%
Stenosi ureterale 2 6,67% 0 0% 0 0% 0 0%
Altro 7 23,33% 1 14,29% 6 85,71% 0 0%
Malattie tubulo-interstiziali 20 18,69% 8 40% 10 50% 2 10%
Nefropatia interstiziale 10 50% 5 50% 3 30% 2 20%
Pielonefrite cronica 9 45% 3 33% 6 66,67% 0 0%
Granulomatosi interstiziale 1 5% 0 0% 1 100% 0 0%
Nefroangiosclerosi 24 22,43% 7 29,17% 15 62,50% 2 8,33%
Diagnosi bioptica 9 37,5% 2 22,2% 7 77,78% 0 0%
Diagnosi clinica-laboratoristica 15 62,5% 5 33,3% 8 53,33% 2 13,33%
No Diagnosi 33 30,84% 13 39,39% 17 51,52% 3 9,09%
Biopsia renale eseguita 6 18,18% 2 33,33% 4 66,67% 0 0%
Biopsia renale non eseguita 27 81,82% 11 40,74% 13 48,15% 3 11,11%
TOTALE 107 100% 35 32,71% 65 60,75% 7 6.54%
N.B.
CAKUT, Altro: 1 ipodisplasia renale, 1 malformazione ureterale, 1 monorene funzionale, 1 estrofia vescicale congenita, 1 malformazione valvole uretrali posteriori, 1 malformazione renale, 1 malformazione apparato escretore congenito
Tabella 2: Eziologia dell’IRC terminale nei pazienti con ingresso in dialisi prima dei 55 anni e diagnosi non conclusiva.

 

Discussione

L’insufficienza renale è una causa di alta mortalità e morbidità. Nella popolazione dialitica la sopravvivenza a 5 anni è del 41,8%. Sebbene in misura minore rispetto alla popolazione dialitica anche la sopravvivenza della popolazione trapiantata è ugualmente ridotta (sopravvivenza a 5 anni del 91,7%) nel confronto con la popolazione generale. Il numero di soggetti che raggiungono lo stadio di insufficienza renale terminale senza che sia stata identificata una diagnosi causale varia dal 16 al 17% nelle statistiche europee e americane rispettivamente [6,1] . Questi valori probabilmente sottostimano la reale dimensione del problema a causa del fenomeno della ‘diagnosi di convenienza’ che viene formulata in un certo numero di casi senza un sufficiente supporto diagnostico eziologico. Questo avviene principalmente nel gruppo di pazienti con diagnosi di nefroangiosclerosi ma non solo (sicuramente anche in un cospicuo numero di casi di nefropatia diabetica). I pazienti con diagnosi di nefroangiosclerosi hanno una storia positiva di ipertensione e non sono sottoposti a particolari approfondimenti diagnostici e nello specifico sono sottoposti a biopsia renale solo in un numero molto limitato di casi. Il sospetto che la etichetta di nefroangiosclerosi mistifichi una diversa diagnosi è forte soprattutto nella popolazione che raggiunge l’insufficienza renale terminale in età giovanile. Lo studio epidemiologico presentato in questo lavoro ha voluto puntualizzare l’entità del fenomeno della mancanza di diagnosi o del rischio di una diagnosi di convenienza nella provincia di Modena. In particolare, rispetto al problema della mancata diagnosi, nella prospettiva dell’utilizzo di un approccio genomico per la disambiguazione diagnostica, abbiamo aggiunto come ulteriore criterio lo sviluppo della insufficienza renale terminale in età precoce. Infatti è notorio che la malattia genetica / eredo familiare è più prevalente nella popolazione pediatrica rispetto a quella anziana [7,8]. Abbiamo in questo senso scelto come valore di cutoff una età arbitraria di 55 anni. A parziale supporto di questa scelta possiamo riportare che 55 anni corrisponde all’età mediana di ingresso in dialisi nella nostra popolazione. Inoltre, l’età di 55 anni corrisponde anche all’età media di ingresso in dialisi dei pazienti ADPKD che costituiscono il principale gruppo di pazienti affetti da nefropatia genetica della popolazione nefropatica.

Nella nostra casistica il numero di soggetti in trattamento sostitutivo renale senza una diagnosi corrisponde a 55 soggetti, il 10.3% della popolazione complessiva, un valore significativamente più basso rispetto ai valori espressi dai registri europei e americani. Ugualmente i valori di soggetti con diagnosi di nefroangiosclerosi e diabete (14% e 15.5% rispettivamente nel nostro centro) sono tendenzialmente inferiori alle statistiche europee e significativamente inferiori ai dati americani. Le motivazioni per queste differenze sono certamente imputabili ad un complesso di fattori: i fattori di ordine geografico, ambientale e di genetica delle popolazioni sicuramente ricoprono un ruolo dominante. Non si può escludere però che anche la propensione all’approfondimento bioptico possa avere un ruolo in queste percentuali contribuendo ad erodere quote che sono tipicamente ad appannaggio delle diagnosi di convenienza. In questo senso il dato riguardante le diagnosi ad eziologia glomerulare del nostro centro (27.9%) è significativamente più elevata rispetto alle stime medie europee e americane. Il dato della provincia di Modena si avvicina molto a quello del registro nazionale australiano dove le malattie glomerulari sono la prima causa di IRC terminale [9]: L’Australia è uno dei paesi che tradizionalmente ha una elevata propensione all’approfondimento bioptico [10]. Abbiamo quindi concentrato la nostra attenzione sui soggetti con diagnosi mancanti o dubbie di età inferiore ai 55 anni in quanto, il potenziale arricchimento in questo gruppo di individui di una eziologia genetica, permetterebbe di applicare metodologie diagnostiche innovative di tipo genomico [11]. I pazienti rispondenti a questi criteri nel nostro centro sono 107 pari al 18% della popolazione totale in trattamento sostitutivo renale.  Poiché la presenza di una storia familiare positiva per malattie renali suggerisce una natura eredo familiare della patologia di base[1214], abbiamo valutato la loro storia familiare attraverso l’utilizzo di uno specifico questionario (Allegato 1 materiali supplementari). I dati hanno mostrato una elevata prevalenza di storia familiare positiva per malattia renale (32.8%) in questa popolazione selezionata. ll confronto tra l’etnia africana e quella caucasica, relativamente alla positività di storia familiare, inaspettatamente riporta una più elevata frequenza nella etnia caucasica (37,2% verso 21.4%). Il nostro dato potrebbe, però, essere stato falsato sia dalla disparità numerica dei due campioni, sia per una più difficoltosa e parziale raccolta anamnestica nel gruppo di etnia africana, dovuta a barriere linguistiche e distacco geografico dalle famiglie di origine.

Gli ultimi due decenni hanno visto una esponenziale crescita delle potenzialità diagnostiche, legate all’analisi delle varianti genomiche, attraverso le tecnologie di sequenziamento super parallelo. Le tecniche di diagnostica riconosciute con i termini di Whole Exome Sequencing (WES) e Whole Genome Sequencing (WGS) permettono la rapida ed economica genotipizzazione dei pazienti [15,16] con costi che sono in continua progressiva decrescita. La recente esperienza ha dimostrato che la ricerca genomica sia un nuovo e potente strumento per l’identificazione di cause di malattia renale che sfuggono agli approcci diagnostici tradizionali. L’analisi genetica ha un’utilità diagnostica eccellente nella nefrologia pediatrica, come illustrato da studi di sequenziamento di pazienti con anomalie renali e urinarie congenite e sindrome nefrosica resistente agli steroidi. Una recente esperienza ha evidenziato una capacità diagnostica significativa attraverso l’approccio genomico anche nella popolazione adulta [17]. Questo approccio può potenzialmente portare alla luce la causa eziologica di una porzione considerevole di soggetti al momento privi di diagnosi. Le motivazioni cliniche per arrivare ad una conclusione diagnostica nei pazienti in trattamento sostitutivo renale sono molteplici. I pazienti sentono la necessità di una conclusione diagnostica che spieghi la causa della loro insufficienza renale terminale. Oltre al bisogno informativo del paziente, la diagnosi in questi pazienti ha significati clinici più stringenti. Alcune patologie genetiche, infatti, determinano alterazioni sistemiche causative di complicanze extrarenali la cui conoscenza è essenziale e determinante nella gestione clinica del paziente affetto.  Un esempio classico in tal senso è la patologia di Fabry che determinando, tra le altre, complicanze cardiache, cerebrali e intestinali richiede di essere tempestivamente diagnosticata e trattata indipendentemente dall’esito dell’insufficienza renale. La diagnosi genetica può portare ad una terapia mirata ed a migliori risultati in termini di sopravvivenza nella popolazione trapiantata. Ad esempio, i risultati di un test genetico in una donna di 67 anni, con insufficienza renale terminale senza diagnosi eziologica e sottoposta a trapianto renale, hanno permesso di giungere alla diagnosi di deficit di adenina fosforibosiltrasferasi, una causa genetica di litiasi renale. L’introduzione in terapia di allopurinolo ha prevenuto la recidiva di nefropatia e la potenziale perdita del rene trapiantato [4]. Infine, la diagnosi di una malattia genetica può avere importanti implicazioni relative al counselling familiare. Il corretto counselling può permettere di diagnosticare precocemente la condizione nei parenti, modificandone positivamente il decorso clinico, o permette di programmare una diagnosi preimpianto nella pianificazione di una gravidanza.

Questo studio conferma come una frazione rilevante dei pazienti in trattamento sostitutivo renale non abbia una diagnosi eziologica. Le tecniche di indagine genomica promettono di essere un prezioso strumento diagnostico in gruppi selezionati di questi pazienti. Con l’aumentare della disponibilità della tecnologia di sequenziamento genomico e dei costi in calo, i nefrologi saranno sempre più inclini ad incorporare test genetici clinici nel loro armamentario diagnostico. Esiste il rischio che queste nuove tecnologie vengano adottate prematuramente, prima che sia stata generata la prova sistematica della loro utilità. Vi è la necessità di approfonditi studi multicentrici per sviluppare linee guida basate sull’evidenza per indicazioni e utilità dei test genetici in nefrologia.

 

Materiali supplementari

 

Allegato 1: Questionario per la valutazione della familiarità per nefropatia in pazienti in terapia renale sostitutiva
Allegato 1: Questionario per la valutazione della familiarità per nefropatia in pazienti in terapia renale sostitutiva

 

Allegato 2: Diagramma riassuntivo delle modalità di selezione della popolazione con diagnosi di IRC terminale non conclusiva e probabilità di patogenesi di origine genetica.
Allegato 2: Diagramma riassuntivo delle modalità di selezione della popolazione con diagnosi di IRC terminale non conclusiva e probabilità di patogenesi di origine genetica.

 

Bibliografia

  1. Pippias M, Kramer A, Noordzij M, Afentakis N, et al. The European Renal Association – European Dialysis and Transplant Association Registry Annual Report 2014: a summary. Clinical kidney journal 2017; 10(2):154-69. https://doi.org/10.1093/ckj/sfw135
  2. Perera GA. Hypertensive vascular disease; description and natural history. Journal of chronic diseases 1955; 1(1):33-42. https://doi.org/10.1016/0021-9681(55)90019-9
  3. Zarif L, Covic A, Iyengar S, Sehgal AR, Sedor JR, Schelling JR. Inaccuracy of clinical phenotyping parameters for hypertensive nephrosclerosis. Nephrology, dialysis, transplantation 2000; 15(11):1801-07. https://doi.org/10.1093/ndt/15.11.1801
  4. Quaglia M, Musetti C, Ghiggeri GM, Fogazzi GB, et al. Unexpectedly high prevalence of rare genetic disorders in kidney transplant recipients with an unknown causal nephropathy. Clinical transplantation 2014; 28(9):995-1003. https://doi.org/10.1111/ctr.12408
  5. Solazzo A, Testa F, Giovanella S, Busutti M, Furci Let al. The prevalence of autosomal dominant polycystic kidney disease (ADPKD): A meta-analysis of European literature and prevalence evaluation in the Italian province of Modena suggest that ADPKD is a rare and underdiagnosed condition. PLoS One 2018; 13(1):e0190430. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0190430
  6. United States Renal Data System. 2018 USRDS annual data report: Epidemiology of kidney disease in the United States. National Institutes of Health, National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases, Bethesda, MD, 2018. https://www.usrds.org/2018/view/Default.aspx
  7. Divers J, Freedman BI. Genetics in kidney disease in 2013: Susceptibility genes for renal and urological disorders. Nature reviews Nephrology 2014; 10(2):69-70. https://doi.org/10.1038/nrneph.2013.259
  8. Kiryluk K, Li Y, Scolari F, Sanna-Cherchi S, Choi M, Verbitsky M, et al. Discovery of new risk loci for IgA nephropathy implicates genes involved in immunity against intestinal pathogens. Nature genetics 2014; 46(11):1187-96. https://doi.org/10.1038/ng.3118
  9. Jegatheesan D, Nath K, Reyaldeen R, Sivasuthan G, John GT, Francis L, Rajmokan M, Ranganathan D. Epidemiology of biopsy-proven glomerulonephritis in Queensland adults. Nephrology (Carlton, Vic) 2016; 21(1):28-34. https://doi.org/10.1111/nep.12559
  10. Fiorentino M, Bolignano D, Tesar V, Pisano A, Van Biesen W, D’Arrigo G, Tripepi G, Gesualdo L. Renal Biopsy in 2015–From Epidemiology to Evidence-Based Indications. American journal of nephrology 2016; 43(1):1-19. https://doi.org/10.1159/000444026
  11. Groopman EE, Marasa M, Cameron-Christie S, Petrovski S, Aggarwal VS, et al. Diagnostic Utility of Exome Sequencing for Kidney Disease. The New England journal of medicine 2019; 380(2):142-51. https://doi.org/10.1056/NEJMoa1806891
  12. Skrunes R, Svarstad E, Reisaeter AV, Vikse BE. Familial clustering of ESRD in the Norwegian population. CJASN 2014; 9(10):1692-1700. https://doi.org/10.2215/cjn.01680214
  13. Wu HH, Kuo CF, Li IJ, Weng CH, Lee CC, Tu KH, Liu SH, Chen YC, et al. Family Aggregation and Heritability of ESRD in Taiwan: A Population-Based Study. American journal of kidney diseases 2017; 70(5):619-26. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2017.05.007
  14. Freedman BI, Soucie JM, McClellan WM. Family history of end-stage renal disease among incident dialysis patients. JASN 1997; 8(12):1942-45.
  15. Sanna-Cherchi S, Kiryluk K, Burgess KE, Bodria M, Sampson MG, Hadley D, et al. Copy-number disorders are a common cause of congenital kidney malformations. American journal of human genetics 2012; 91(6):987-97. https://doi.org/10.1016/j.ajhg.2012.10.007
  16. Belkadi A, Bolze A, Itan Y, Cobat A, Vincent QB, Antipenko A, Shang L, Boisson B, Casanova JL, Abel L. Whole-genome sequencing is more powerful than whole-exome sequencing for detecting exome variants. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 2015; 112(17):5473-78. https://doi.org/10.1073/pnas.1418631112
  17. Aissani B. Confounding by linkage disequilibrium. Journal of human genetics 2014; 59(2):110-15. https://doi.org/10.1038/jhg.2013.130

Case report: the thoracoscopic surgery in peritoneal-pleural leakage. A valid therapeutic strategy

Abstract

Pleuro-peritoneal leakage is an uncommon complication of peritoneal dialysis (PD). In this study, we report the case of a male patient (age 83), treated with PD (daytime single-exchange). In October 2019, hospitalization was necessary due to dyspnoea and a reduction of peritoneal ultrafiltration. A right pleural leakage resulted at chest x-ray. A regression of the pleural leakage was immediately observed after interrupting PD.

It was then performed a pleuro-peritoneal CT scan at baseline, followed by a second scan performed 4 hours after the injection of 2 L of isotonic solution with 100ml of contrast medium, which evidenced a pleuro-peritoneal communication. It was then decided to perform a video-assisted thoracoscopic surgery (VATS), that showed no evidence of diaphragm communication. It was then executed a pleurodesis using sterile talcum. The patient was released on the 3rd day, with a conservative therapy and a low-protein diet. After 2 weeks a new pleuro-peritoneal CT scan with contrast medium was executed. This time the scan evidenced the absence of contrast medium in the thoracic cavity. The patient then resumed PD therapy, with 3 daily exchanges with isotonic solution (volume 1.5 L), showing no complications.

Concerning the treatment of pleuro-peritoneal leakage, VATS allows both the patch-repairing of diaphragmatic flaws and the instillation of chemical agents. In our case, VATS allowed the chemical pleurodesis which in turn enabled, in just 2 weeks of conservative treatment, the resuming of PD. In conclusion, this methodology is a valid option in the treatment of pleuro-peritoneal leakage in PD patients.

 

Keywords: pleuro-peritoneal leakage, video-assisted thoracoscopic surgery, peritoneal dialysis, end stage renal disease

Introduction

Pleuro-peritoneal leakage is an uncommon complication of peritoneal dialysis (PD) with an incidence of 1.6%, first described in 1967 [1]. It occurs in higher frequency in female patients and in the right hemithorax (90% of cases) [2]. Frequently accompanied by dyspnea, it is asymptomatic in 25% of cases [3].

The diagnosis is established observing pleural leakage and performing chest x-ray, albumin-marked scintigraphy and CT scan of peritoneal area [4].
 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Atrial fibrillation in severe and end stage renal disease: from oral anticoagulation therapy to percutaneous left atrial appendage occlusion

Abstract

Non-valvular atrial fibrillation (AF) is the most frequent arrhythmia in the general population and its prevalence increases with age. The prevalence and incidence of AF is high in patients with chronic kidney failure (CKD). The most important complication associated with AF, both in the general population and in that with CKD, is thromboembolic stroke. For this reason, in patients with AF, the Guidelines indicate oral anticoagulant therapy (OAT) with vitamin K antagonists (VKAs) or direct oral anticoagulants (DOACs) for thromboembolic risk prevention. Patients with severe CKD and, in particular, with end stage renal disease (ESRD) undergoing renal replacement therapy, often have both a high thromboembolic and hemorrhagic risk and therefore present both an indication and a contraindication to OAT. In addition, patients with severe or ESRD were excluded from trials that showed the efficacy of different antithrombotic drugs in patients with AF. Thus there is no evidence of the effectiveness of OAT in this population. This review deals with the issues related to OAT in patients with severe or end stage CKD and the possible use of percutaneous closure of the left auricula (LAAO), recently proposed as an alternative in patients with an absolute contraindication of OAT in this population.

Key words

Atrial fibrillation; oral anticoagulant therapy; bleeding; severe chronic kidney disease; end stage renal disease; left atrial appendage occlusion.

Sorry, this entry is only available in Italian.

Lista delle abbreviazioni

AF Atrial Fibrillation

C-G Cockroft-Gault

CKD Chronic Kidney Disease 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.