Acute HCV-induced hepatitis in a patient affected by atypical hemolytic uremic syndrome (aHUS) treated with Eculizumab – case report

Abstract

Atypical hemolytic uremic syndrome (aHUS) is a rare and heterogenous disease caused by a disregulation of the alternative pathway of the complement cascade. Specifically, microvascular damage is produced that can lead to acute kidney disease, hemolytic anemia and thrombocytopenia. It accounts for 10% of all hemolytic uremic syndromes and can result in death or in end stage renal disease since the first episode [1,2]. We can differentiate two forms of aHUS: a sporadic form (80%), affecting adult people, and a familial form (20%) that usually became manifest during infancy [1, 4]. In the acute phase of the disease, frequent and severe anemia requires multiple blood transfusions, exposing patients to the risk of catching an infective disease. HCV hepatitis is the most prevalent chronic hepatitis worldwide, with approximately 170 million chronically infected individuals – many of which are unaware of their condition. The evolution of the HCV infection is variable: almost 20% of patients spontaneously clear the infection over time (Anti HCV positive, HCV RNA negative patients); 80% of patients cannot control the virus and develop chronic infection (Anti HCV positive; HCV RNA positive patients) that can evolve into liver cirrhosis and hepatocellular carcinoma [12, 15]. The aim of this paper is to describe a clinical case of acute HCV hepatitis in a patient with aHUS treated with Eculizumab.

Keywords: atypical hemolytic uremic syndrome, aHUS, hepatitis C virus, HCV, Eculizumab, acute hepatitis

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Descrizione del caso clinico

Nel presente articolo discutiamo il caso clinico di un paziente di 75 anni ricoverato presso il nostro Reparto per tre volte nel corso di sei mesi e giunto per la prima volta alla nostra osservazione con un quadro clinico di grave insufficienza renale acuta associata a crisi ipertensiva, grave anemia e polmonite lobare superiore sinistra.

 

Primo ricovero

Il paziente viene trasferito presso il nostro reparto con un quadro di insufficienza renale acuta ingravescente (Creatininemia = 7,96 mg/dl; Azotemia = 231 mg/dl) associata a pancitopenia (HB 7.0 g/dl; GB 3630/mcL; PLT 84000/mcL) ed a segni di ematuria e proteinuria all’esame estemporaneo delle urine.  Alla TAC Torace ed Addome senza mdc si rilevava la presenza di un ispessimento interstiziale peribroncovasale, prevalente al lobo superiore sx a cui si associava una iperdensità a vetro smerigliato e versamento pleurico bilaterale; i reni erano morfo-volumetricamente nei limiti della norma e non si rilevavano dilatazioni delle vie urinarie. L’anamnesi patologica remota era positiva solo per lieve anemia, la cui etiopatogenesi non era mai stata indagata; il paziente riferiva che nel corso dell’ultima settimana aveva presentato ematuria associata a cefalea, nausea, vomito ed intensa astenia.

Nel tentativo di definire l’eziopatogenesi dell’insufficienza renale, furono effettuati esami immunologici quali C-ANCA, P-ANCA, ANA, Anti-DNA, ENA profile che dettero tutti esito negativo mentre il dosaggio dei fattori C3 e C4 del complemento evidenziavano un consumo della componente C3 (0,55 gr/L).

In seconda giornata, in virtù dell’ulteriore peggioramento degli indici di funzionalità renale (Creatininemia = 9,47 mg/dl; Azotemia = 240 mg/dl), si sottopose il paziente a trattamento emodialitico sostitutivo. Al fine di individuare la causa della grave anemia, si richiese il riscontro del sangue occulto fecale (SOF) su tre campioni che risultò negativo nonché si sottopose il paziente ad EGDS che risultò nei limiti della norma; si eseguirono inoltre Test di Coombs diretto ed indiretto anch’essi negativi, mentre l’aptoglobina risultava lievemente ridotta e l’LDH lievemente aumentata.

Ci si orientò così su una microangiopatia trombotica e, dopo aver escluso che potesse trattarsi una porpora trombotica trombocitopenica previo dosaggio dell’ADAMTS13 Ag (che risultava ridotto) e della Attività della ADAMTS13 (nella norma 77%), si ebbe il sospetto clinico che potesse trattarsi di una Sindrome Uremico Emolitica atipica.

Fu così sottoposto a trattamenti plasmaferetici per tre giorni, ottenendo una parziale remissione dell’insufficienza renale dopodiché fu trasferito presso altra struttura al fine di effettuare una biopsia renale.

Nel corso del primo ricovero, le ripetute e gravi anemizzazioni richiesero plurime emotrasfusioni di emazie concentrate.

 

Secondo ricovero

Il paziente ritorna alla nostra osservazione dopo aver eseguito biopsia renale che evidenziava la presenza, sull’unico frustolo prelevato e contenente otto glomeruli, di segni compatibili con microangiopatia trombotica. In particolare, all’esame strutturale si rilevavano su due glomeruli la presenza di “lumi pervi, membrane basali libere da depositi e di spessore segmentale aumentato per espansione della lamina rara interna; tale espansione si associa a presenza di materiale amorfo-granulare; collasso di anse capillari con ripiegamento marcato della membrana basale; endotelio con perdita di fenestratura e distacco della membrana basale; nulla di importante a carico del mesangio; assenti depositi granulari elettrondensi; presente materiale marcatamente elettrondenso riferibile a fibrina o frammentazione di eritrociti; fusione dei pedicelli dei podociti che mostrano anche aspetti di microvillarizzazione”. Agli esami ematochimici su rilevava una Creatininemia = 5,48 mg/dl; Azotemia = 225 mg/dl; Hb = 8,6 gr/dl; WBC= 2750 /mmc; PLT= 102000.

Si iniziarono cicli di trattamento con Eculizumab alla dose di 900 mg/settimana per le prime quattro settimane e, dalla quinta settimana, alla dose di 1200 mg/14 giorni. Nel corso dei giorni si evidenziò un ulteriore recupero della funzionalità renale ed una riduzione della necessità di ricorso alle emotrasfusioni. Venne dimesso in sedicesima giornata con una Creatininemia = 3,87 mg/dl.

 

Figura 1: Variazioni della creatininemia e dell’emoglobina (Hb) nel corso di un follow up di 42 settimane. Viene inoltre rappresentata la tempistica dei ricoveri e dei principali interventi
Figura 1: Variazioni della creatininemia e dell’emoglobina (Hb) nel corso di un follow up di 42 settimane. Viene inoltre rappresentata la tempistica dei ricoveri e dei principali interventi

 

Terzo ricovero

Circa cinque mesi dopo il primo ricovero, quattro dopo l’inizio della terapia con Eculizumab, il paziente riferiva la comparsa di intensa cefalea associata a facile affaticabilità ed a palpitazioni. Su consiglio del medico di Medicina Generale aveva eseguito esami di controllo che avevano evidenziato una grave anemizzazione (Hb = 6,6 gr/dl) associata a movimento delle transaminasi (AST = 159 UI/L, ALT = 254 UI/L); indici di funzionalità renale stabili con Creatininemia = 2,2 mg/dl; veniva così nuovamente indirizzato alla nostra attenzione e ricoverato presso il nostro Reparto.

All’ingresso, oltre alla grave anemia per la quale furono trasfuse due sacche di emazie concentrate, si rilevava una grave leucopenia (WBC = 1400 c/mcL con Neutrofili = 650/mcL) ed una piastrinopenia (PLT = 54000/mcL), motivo per il quale fu intrapresa terapia con granulokine per tre giorni e nel contempo, vista la stabilità degli indici di funzionalità renale (Creatininemia = 2,2 mg/dl), furono ricercate cause terze di possibile blocco della produzione midollare. Si richiesero così markers per infezione da CMV, Parvovirus, Herpes Virus e Virus dell’epatite, con riscontro di positività agli anti HCV (paziente politrasfuso).

La ricerca Quali-Quantitativa dell’HCV riscontrò una discreta carica virale (HCV RNA real time PCR Abbott: 2.255.652 UI/ml) diHCV RNA genotipo: 2a/2c.

Per la potenziale interazione dell’Eculizumab con i meccanismi biologici atti alla difesa dell’ospite contro l’infezione da HCV, si decise di sospendere il trattamento con lo stesso; si eseguì consulenza infettivologica che dichiarò possibile il trattamento con i nuovi farmaci antivirali, ipotizzando che il contagio si potesse esser realizzato circa sei mesi prima; si consigliò pertanto l’esecuzione di un Fibroscan.

Una settimana dopo, il paziente fu sottoposto ad esame ecografico con Fibroscan che refertava: “Fegato di volume ancora conservato e ad ecostruttura lievemente disomogenea. Non si evidenziano lesioni focali. La glissoniana è lineare e continua come di norma, in tutti i segmenti. All’elastografia shear wave, il valore medio di stiffness del parenchima è di 18.0 kPa. Tale valore elevato (che corrisponde ad un grado di fibrosi F4) nel caso specifico è con maggior verosimiglianza espressione di flogosi nella fase subacuta più che di fibrosi, non essendo rilevabili deformazioni nodulari sulla parete dei vasi intraepatici o sulla glissoniana (solo nel VI° segmento si rileva un accenno di pattern micro nodulare). Normali le strutture vascolari intraepatiche e la vena porta. Colecisti contratta. Normali le vie biliari intra ed extraepatiche. Pancreas non esplorabile per il meteorismo. Milza notevolmente aumentata di volume (Diametro longitudinale di circa 20 cm, ma ad ecostruttura omogenea e con stiffness aumentata (valore medio = 32 kPa). Reni in sede, normali per volume ed ecostruttura, con corticale normalmente rappresentata. Bilateralmente non si evidenziano immagini da calcoli o da dilatazioni delle vie urinarie”.

Qualche giorno dopo, si iniziò terapia con Maviret 100/40 mg (100 mg di Glecaprevir e 40 mg di Pibrentasvir) 3 cp/die da protrarre per tre mesi ma già dopo il primo mese di terapia, l’HCV RNA non era rilevabile ed i livelli di transaminasi erano rientrati nei limiti della norma.

I valori di funzionalità renale nel corso del primo mese di terapia antivirale rimasero stabili e solo dopo questo periodo, fu ripreso il trattamento con Eculizumab alla dose di 1200 mg diluiti in una soluzione fisiologica da 250 ml ogni due settimane.

In questo periodo, giunsero i risultati dello studio di genetica molecolare sui campioni di sangue inviati prima dell’effettuazione della plasmaferesi che identificarono una variante c.136C>T in eterozigosi nel gene CFHR5 ed aplotipi a rischio in eterozigosi sul gene MCP e CFH.

Infine, si inviò una informativa dell’accaduto alla Direzione Sanitaria ed al Centro Trasfusionale al fine di eseguire uno screening per la ricerca dell’HCV sui donatori delle sacche di sangue trasfuse.

 

Discussione

Il sistema del complemento è uno dei principali meccanismi effettori dell’immunità umorale oltre che un importante mediatore della risposta innata. Il suo nome deriva dagli esperimenti che furono condotti a partire dal 1894 dal Dottor Jules Bordet, presso l’Istituto Pasteur di Parigi, nei quali si dimostrava che se si incubavano, a temperatura fisiologica, dei batteri con del siero contenente anticorpi specifici, i batteri venivano lisati; al contrario se il siero veniva riscaldato ad una temperatura superiore ai 56°C prima che venissero aggiunti i batteri, esso perdeva la propria capacità litica. La perdita di tale capacità non poteva dipendere dalla denaturazione degli anticorpi (termostabili) ma doveva esser legata alla presenza nel siero di un’altra componente, termolabile, che “complementava” l’azione litica degli anticorpi. Oggi sappiamo che tale componente, definita Complemento, è costituita da numerose proteine solubili e di membrana, che interagiscono tra loro e con altre componenti del sistema immunitario in maniera strettamente regolata, generando proteine funzionali all’eliminazione dei microrganismi.  Il Complemento presenta tre vie di attivazione: la via classica, la via della Lectina e la via alternativa. Quest’ultima viene attivata dal legame del C3b alla superficie dei microrganismi o ad anticorpi ad essa associati. Il C3b interagisce a sua volta con il Fattore B, generando la C3bBb che viene identificata come la C3 Convertasi della via alternativa. La C3 convertasi agirà amplificando il clivaggio del fattore C3, contribuendo alla formazione della C5 Convertasi (C3bBbC3b) che, a sua volta, innescherà le tappe successive del processo di attivazione del Complemento che, comuni alle tre vie, porteranno alla formazione del complesso MAC (Complesso di adesione alla Membrana) ed alla lisi del microrganismo. Tale sistema è finemente regolato per cui, se in condizioni normali il C3b si depositasse sulle cellule dell’ospite, quali ad esempio le cellule endoteliali, esso verrebbe immediatamente inattivato da fattori regolatori quali il Fattore H, Il Fattore I, il cofattore MCP (CD46), il DAF o la Protectina (CD59). Una mutazione genetica di uno solo di questi fattori regolatori o la formazione di auto anticorpi contro di essi o contro la C3 convertasi (C3Nephritic Factor) causerà l’attivazione incontrollata della via alternativa del complemento con conseguenti danni per l’ospite [2,3]. Questo è quello che accade nella aHUS, nella quale le cellule endoteliali diventano bersaglio della risposta immunitaria mediata dalla continua deposizione del C3b sulla loro superficie.   Ciò comporterà la lisi delle cellule endoteliali, il loro distacco dalla membrana basale, la successiva attivazione piastrinica con formazione di trombi endoluminari che ridurranno ulteriormente il calibro delle arteriole e dei capillari [3,4].  Si svilupperà così l’anemia emolitica microangiopatica, indotta dal trauma che le emazie subiranno nel passaggio nelle arteriole e nei capillari così distorti (Anemia emolitica – Coombs negativa) nonché la piastrinopenia (da consumo). L’Eculizumab è un anticorpo monoclonale IgG umanizzato in grado di legarsi al Fattore C5 del complemento impedendone la scissione nei due frammenti C5a e C5b, rendendo così impossibile la formazione del complesso MAC. In virtù di tale meccanismo di azione, tutte e tre le vie di attivazione del complemento saranno bloccate ed i pazienti in trattamento con Eculizumab saranno così più suscettibili alle infezioni opportunistiche, in particolare dovute a Neisseria e batteri capsulati. Ma il sistema del complemento svolge un’azione fondamentale anche nel corso delle infezioni virali tanto che l’evoluzione verso la guarigione o la cronicizzazione dell’infezione acuta dipende dalla capacità di interazione di tale sistema con l’immunità adattativa dell’ospite [5, 6, 11].

In generale, la cooperazione tra l’immunità innata e l’adattativa consente ai mammiferi di avere una efficace protezione nei confronti dei patogeni ed allo stesso tempo di limitare i danni da essi causati.

La risposta immunitaria innata agisce immediatamente dopo l’avvenuta infezione, attraverso la produzione di citochine infiammatorie e mediando la presentazione dell’antigene alle cellule T e B; è così in grado di neutralizzare direttamente l’infezione, di scatenare una risposta infiammatoria, di opsonizzare i patogeni e di modulare la risposta adattativa, grazie all’interazione tra la propria  componente cellulare (Monociti, Cellule Dendritiche, Piastrine, Cellule Natural Killer e cellule NKT) e le cellule dell’immunità adattativa (Linfociti T e B).

Le componenti cellulari dell’immunità innata sono in grado di riconoscere, attraverso specifici recettori definiti PRRs (Pattern Recognition Receptors), le proteine antigeniche definite PAMPs (Pathogen Associated Molecular Patterns) presenti sulla superficie del virus infettante o sulla superficie delle cellule infettate.

Dal canto suo, il sistema del complemento è in grado di riconoscere i patogeni sia direttamente che attraverso il legame al frammento cristallizabile degli immunocomplessi (Cross-linked) ancorati alla superficie virale o alla membrana delle cellule infette. Il sistema del complemento può quindi mediare la lisi diretta dell’envelope virale o della membrana delle cellule infettate dal virus, previo la formazione del complesso MAC e la conseguente lisi osmotica di queste ultime.

Gli epatociti sono i principali produttori delle componenti della cascata del Complemento, dei mannose-binding lectin (MBL) e delle L ed H-ficoline. Le MBL, le L ed H-ficoline attivate, si legheranno alle MBL associated Serin Proteasi (MASP 1 e MASP 2), dando il via alla cascata del Complemento attraverso la via della Lectina.

L’attivazione del Complemento a seguito di un’infezione virale può avvenire attraverso cinque meccanismi:

  • Legame del C1q al frammento cristallizabile di almeno due anticorpi (IgG o IgM) complessati ad antigeni presenti sulla superficie virale o delle cellule infette (epatociti). Tale legame medierà l’attivazione del C1r e del C1s che sono delle serin-proteasi in grado di clivare il C4 nelle subunità C4a (frammento più piccolo, rilasciato in fase fluida dove svolge un’azione proinfiammatoria) e C4b (frammento maggiore, in grado di legarsi alla superficie antigenica o all’anticorpo ad esso complessato). Il frammento C4b ha inoltre la capacità di legare la componente C2 del complemento e, grazie all’azione litica del C1s, scinderlo nei frammenti C2a e C2b. Il C2a si legherà covalentemente al C4b andando così a formare la C4bC2a che rappresenta la C3 Convertasi della via Classica.
  • Legame diretto del C1q alla superficie virale, in assenza di immunoglobuline.
  • Le Ficoline e le MBL si legheranno alle proteine glicosilate presenti sulla superficie del patogeno mediando così il reclutamento delle MBL associated Serin Proteasi (MASPs) che a loro volta cliveranno il C4 dando il via all’attivazione della via classica del Complemento.
  • Deposizione spontanea del C3b sulle particelle virali. Il C3b ha multiple attività antivirali: ha una azione opsonizzante attraverso il reclutamento delle cellule presentanti l’antigene sulla superficie virale; in associazione alla C4bC2a (C3 convertasi della via classica) o alla C3bBb (C3 convertasi della via alternativa) formerà la C5 Convertasi.
  • Legame del C1q alle pentraxina 3 presenti sulla superficie virale o alle HBD (Human B Defensine) inserite nella membrana delle cellule infettate dell’ospite.

Diversi fattori saranno in grado di prevenire l’attacco al self. Il fattore H è uno dei principali regolatori del sistema: esso agisce da cofattore al C3bBb e, legandosi ai glicosaminoglicani presenti sulla superficie cellulare dell’ospite, inibisce l’azione della C3 convertasi. La deposizione delle componenti del complemento sulle cellule dell’ospite è inoltre inibita dall’espressione della proteina CD55 (Decay Accelerating Factor) e del CD59 (Protectina) che, rispettivamente, inibiscono la deposizione del C3bBb e del complesso di attacco alla membrana (complesso MAC). Inoltre, la proteina MCP (CD46) presente sulla superficie dell’ospite, funge da cofattore per il Fattore I, che a sua volta inattiva il C3b ed il C4b [2].

 

Figura 2: Schema di attivazione delle tre vie del complemento con relativi meccanismi di regolazione
Figura 2: Schema di attivazione delle tre vie del complemento con relativi meccanismi di regolazione

 

Figura 3: Meccanismi di escape dell’HCV dalla risposta immunitaria innata
Figura 3: Meccanismi di escape dell’HCV dalla risposta immunitaria innata

 

Il virus dell’epatite C utilizza una serie di meccanismi per evadere le difese dell’ospite. Il virione dell’HCV, grazie alla codifica di specifiche glicoproteine, circola nel sangue legato a lipoproteine quali le Apolipoproteine E, C1 e B; tale legame rende il virus meno riconoscibile dal sistema immunitario. È stato inoltre dimostrato che l’HCV è in grado di internalizzare nel proprio pericapside il CD 59 [14], impedendo così la formazione del complesso MAC (C5-9) sulla superficie del virione; le proteine del core e la proteina NS5a del virus sono in grado di inibire la trascrizione del C4 nonché l’HCV è in grado di ridurre l’espressione dell’RNA messaggero del C2 e di aumentare la trascrizione del Fattore H [7,8]. Inoltre, l’interazione delle proteine del core con il gC1q-R sopprime l’attivazione delle cellule T CD8 + [13], deputate al riconoscimento delle cellule epatiche infette ed alla loro distruzione.

Nel corso delle prime 2-5 settimane dall’infezione, la risposta immunitaria sarà legata all’attivazione del complemento e di linfociti T (2-5 settimane) specifici mentre la produzione degli anticorpi Anti-HCV si avrà solo dopo 6-8 settimane [6,12].

Il rilievo di cellule T CD8+ citotossiche specifiche per i multipli epitopi dell’HCV, presenti nel sangue e nel fegato della persona infettata, avviene tra l’ottava e la dodicesima settimana ed è proprio dall’entità della risposta che tali cellule saranno in grado di mettere in atto e dalla quantità di interferone gamma prodotto, che si potrà ottenere la risoluzione spontanea o meno dell’infezione. In questa fase sarà possibile verificare variazioni nelle concentrazioni dell’HCV RNA e delle ALT. Circa il 20 % delle infezioni acute da HCV sono “self limiting” grazie a tale risposta; nel restante 80%, l’infezione cronicizza.

La nostra scelta di interrompere il trattamento con Eculizumab è stata dettata dalla consapevolezza che il prosieguo della terapia avrebbe potuto ulteriormente compromettere la naturale capacità di risposta del paziente, in una condizione nella quale lo stesso virus tentava di indebolire l’efficacia della risposta immunitaria innata. Solo dopo otto settimane, ovvero un mese dopo l’inizio della terapia con antivirali diretti, fu ripreso il trattamento con Eculizumab; nel corso di queste otto settimane non si osservò mai un peggioramento degli indici di funzionalità renale.

In conclusione, potremmo consigliare, in pazienti immunocompromessi quali quelli affetti da aHUS in trattamento con Eculizumab, che nel corso della loro storia clinica abbiano ricevuto molteplici emotrasfusioni, di considerare cause terze di anemizzazione. Nel nostro caso, una trasfusione di emazie concentrate, prelevata da un donatore che doveva vivere nel periodo finestra dell’infezione da HCV ha verosimilmente causato il contagio del nostro paziente e lo sviluppo di una epatite acuta. Considerare inoltre che il test immunoenzimatico per il rilievo degli Anti-HCV potrebbe esser negativo nelle primissime settimane di una infezione acuta e nei pazienti immunocompromessi, motivo per il quale sarebbe utile ripetere i markers virali per l’HBV e l’HCV a distanza di circa tre mesi dall’esecuzione delle emotrasfusioni e, nei pazienti immunocompromessi, eseguire il dosaggio dell’HCV RNA quantitativo.

 

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Eculizumab as rescue therapy for lupus nephritis-related thrombotic microangiopathy

Abstract

Thrombotic microangiopathy (TMA) is a frequent and severe complication in systemic lupus erythematosus (SLE). It is reported in almost 20-25% of renal biopsies of patients with lupus nephritis (LN) and is associated with a poor renal prognosis. We report the case of a patient suffering from an aggressive form of proliferative LN in association with thrombotic microangiopathy (TMA-LN), who was resistant to standard combined immunosuppressive treatment with corticosteroids and cyclophosphamide, as well as to plasma exchange (PEX). Eculizumab was given as a rescue therapy with an optimal clinical response. We performed a systematic review of the literature and identified 11 papers, published between 2011 and 2018, with a total of 20 patients, in which eculizumab was used, always as rescue therapy, to treat TMA-LN. All reported cases showed a positive clinical response to eculizumab with a high rate of remission. Even if sparse, available clinical cases and case series support the use of eculizumab in highly selected cases as rescue treatment for LN-TMA resistant to conventional combined immunosuppressive treatment.

Keywords: lupus nephritis, systemic lupus erythematosus, Thrombotic microangiopathy, eculizumab

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Introduzione

La presenza di una concomitante microangiopatia trombotica (TMA) è nota e descritta fin nel 20-25% delle biopsie renali dei pazienti con nefrite lupica (LN) [1,2]. Di questi circa l’80% presenta TMA-LN renale isolata, circa il 10% un quadro sistemico di emolisi e trombocitopenia associata alla microangiopatia, e l’1-13% ha una concomitante sindrome da anticorpi antifosfolipidi (APLs) [1,3]. TMA-LN è stata descritta in tutte le classi istologiche, ma nell’80% si associa alle classi IV o IV+V [1]. La TMA-LN presenta una prognosi renale significativamente peggiore rispetto alla LN isolata [4]. La patogenesi della TMA-LN è fortemente eterogenea e può coinvolgere la presenza di anticorpi interferenti con gli enzimi di clivaggio del fattore di Von Willebrand (ADAMTS13), azione protrombotica degli anticorpi antifosfolipidi o alterazioni dei fattori di regolazione della cascata del complemento [2]. Il ruolo centrale svolto dal complemento è confermato, oltre che dai dati laboratoristici che documentano un consumo del complemento in circa l’80% delle nefriti lupiche, dalla fissazione dei fattori di attivazione terminale (C5b-9) nel 75% delle biopsie TMA-LN [5] e dalla compresenza di C4d glomerulare e microtrombi vascolari renali, suggerendo un ruolo della via classica del complemento nel danno microangiopatico [5,6]. Anche la via alterna del complemento sembra tuttavia essere coinvolta ed è stata descritta una serie di 11 pazienti con sindrome emolitico-uremica complemento-mediata (CM-HUS) e LN, in 6 dei quali era stata identificata una mutazione causativa [7]. Inoltre, in pazienti affetti da LN sono stati riscontrati specifici anticorpi attivanti la via alterna, in particolar modo anti-C3 [8,9]. Si tratta di anticorpi IgG, appartenenti prevalentemente alle sottoclassi IgG1 e IgG3 [10], la cui presenza sembra essere correlata allo stato di attività di malattia [11]. Tali anticorpi svolgerebbero una funzione attivante la via alterna, attraverso un aumentato clivaggio di C3, con la formazione di nuove C3 convertasi in grado di amplificare l’attivazione della via stessa [9]. Inoltre, gli anticorpi anti-C3 sarebbero in grado di inibire l’interazione di C3b con il fattore regolatore CR1, interferendo sulla dissociazione del C3b mediata dal Fattore H [12]. Infine, anche l’azione opsonizzante di C3b sulle cellule apoptotiche può essere inibita dal legame con l’autoanticorpo, favorendo la soppressione della clearance macrofagica C3b-mediata [13]. Questi anticorpi sono stati associati ad un decorso più grave ed incline alla riacutizzazione della LN ma, vista la specifica azione sulla via alterna, potrebbero anche essere coinvolti nella patogenesi della TMA-LN [9,14]. Inoltre, la prognosi renale della LN sarebbe correlata a valori elevati del Bb sierico, marcatore di attivazione della via alterna del complemento, supportandone ulteriormente il ruolo centrale nella patogenesi [15]. Viste le crescenti evidenze relative al coinvolgimento di entrambe le vie del complemento nella patogenesi della LN e la necessità di trattare prontamente e con efficacia forme clinicamente aggressive altrimenti associate a scadente prognosi renale [16], è stato di recente proposto l’utilizzo di eculizumab per il trattamento di forme di TMA-LN refrattarie al trattamento convenzionale [17]. Eculizumab è un anticorpo monoclonale IgG2/IgG4 ricombinante completamente umanizzato che, legandosi alla frazione C5, blocca la formazione del complesso terminale C5b-9 con C5a e di conseguenza la via di attivazione comune del complemento [18].  L’efficacia di eculizumab è già stata dimostrata in pazienti con sindrome emolitico-uremica atipica (aHUS) complemento-mediata ed associata a trapianto renale, consentendo una stabile interruzione della plasmaferesi [19]. Inoltre, è stato utilizzato con successo nella prevenzione delle recidive di sindrome catastrofica da anticorpi antifosfolipidi (CAPS) [20]. Riportiamo di seguito un caso di TMA-LN refrattaria alla terapia convenzionale responsivo ad eculizumab somministrato come terapia di salvataggio.

 

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HELLP syndrome and hemolytic uremic syndrome during pregnancy: two disease entities, same causation. Case report and literature review

Abstract

Abstract

Thrombotic microangiopathies (TMA) are a group of diseases that can complicate pregnancy and threaten the lives of both the mother and the fetus. Several conditions can lead to TMA, including thrombotic thrombocytopenic purpura (TTP), HELLP syndrome and hemolytic uremic syndrome (HUS). We describe the case of a 39-year-old woman who presented a HELLP syndrome in the immediate postpartum period. The patient had acute kidney injury (AKI), increased LDH, unmeasurable haptoglobin levels and hypocomplementemia. Her ADAMTS13 value was normal, thus ruling out TTP. Shiga toxin tests were negative, so HUS associated with E. coli was also ruled out. HELLP syndrome and atypical hemolytic-uremic syndrome (aHUS) remained the most probable diagnosis. In the days following childbirth, the patient’s transaminase and bilirubin levels normalized while the anemia persisted, as did the AKI, resulting in the institution of dialysis treatment. A diagnosis of aHUS was made and therapy with eculizumab was started. The patient’s blood counts progressively improved, urine output was restored, her indices of renal function also concomitantly improved and dialysis was interrupted. A rash appeared after the third administration of eculizumab and the treatment was suspended. The patient is currently being followed up and has not relapsed. At thirteen months after delivery her renal function is normal as are her platelet counts, LDH, haptoglobin levels and proteinuria. Tests for mutations in the genes that regulate complement activity were negative. We believe that childbirth triggered the HELLP syndrome, which in turn brought about and sustained the HUS. In fact, the patient’s liver function improved right after delivery, while her kidney injury and hemolysis persisted, and she also had an excellent response to eculizumab. To our knowledge, no other cases of HELLP syndrome associated with haemolytic uremic syndrome during pregnancy have been reported in literature, nor have cases in which treatment with eculizumab was limited to only three administrations.

Keywords: HELLP syndrome, hemolytic uremic syndrome, pregnancy, eculizumab, thrombotic microangiopathy

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Introduzione

Le microangiopatie trombotiche (MAT) rappresentano un eterogeneo gruppo di affezioni che possono complicare la gravidanza mettendo a rischio la vita della madre e del feto. Tra di esse troviamo la porpora trombotica trombocitopenica (PTT), la sindrome HELLP e la sindrome emolitica uremica (SEU), tutte caratterizzate da un danno a carico delle cellule endoteliali e trombosi dei piccoli vasi che si manifestano clinicamente con anemia emolitica, trombocitopenia, e danno d’organo [13]. I confini tra queste patologie non sono ben definiti tanto che può essere difficile o addirittura impossibile una diagnosi differenziale, considerando poi che dette condizioni possono coesistere [48]. A complicare ulteriormente l’iter diagnostico, durante la gravidanza i parametri ematologici [9], della proteinuria [10] e della concentrazione del complemento hanno range di riferimento differenti rispetto al soggetto non in gravidanza [11-12]. 

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The unusual couple: a clinical case of coexistence between aHUS and Fabry’s disease

Abstract

Atypical hemolytic-uremic syndrome (aHUS) is a rare, potentially lethal (14) systemic disorder, capable of affecting both adults and children, causing thrombotic microangiopathy (TMA) (5) that leads to the formation of thrombus within small blood vessels with multiple organ failure. The pathogenesis of the aHUS is part of a sort of chronic and uncontrolled activation of the complement system by genetic mutation of some proteins usually responsible for its self-regulation (6,7). Today, the rapid diagnosis of the disease and the timely start of treatment with eculizumab, improve outcomes of renal failure, stroke and heart attack (810).

Fabry disease is a rare tesaurismosis, X linked, due to the deficiency of the lysosomal enzyme alpha-galactosidase A (11-13), necessary for the physiological catabolism of glycosphingolipids. Multisystem clinical manifestations lead to a serious degenerative pathology. The diagnostic suspicion based on anamnesis and careful research of the symptoms and then confirmed by the enzymatic dosage of alpha galactosidase or by molecular analysis, allows the early treatment of the patient with enzyme replacement therapy, guaranteeing the resolution and/or slowing down the evolution of the disease, especially in the brain, heart and kidneys.

In this report, we describe the clinical case of a patient who is a carrier of both rare diseases.

 

Keywords: aHUS, eculizumab, Fabry’s disease, alpha galactosidase, enzyme replacement therapy

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Caso clinico

Riportiamo il caso clinico di una paziente nata nel 1980, prima di due sorelle, in riferita a.b.s fino a gennaio del 2001, epoca in cui presentò un episodio di macroematuria, trattato con terapia antibiotica per sospetta cistite emorragica. Dopo un mese, all’esame delle urine, presentava ancora microematuria. Nel corso del 2001 continuò a lamentare astenia, attribuita allo stress per lo studio e al contemporaneo lavoro di modella, ma non fu sottoposta ad ulteriori esami ematici.  

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Atypical Hemolytic Uremic Syndrome: experience of a pediatric center

Abstract

In the last two years we admitted in our Hospital  38 children with acute renal failure (ARF). Six of them were affected by hemolytic uremic syndrome (HUS) atypical. The aHUS is diagnosed in the presence of thrombotic microangiopathy (MAT), renal insufficiency (GFR 5%).

The clinical presentation of our children has been varied and so also its evolution. Patients observed were all male, aged 2 to 12 years, and no one had a family history of kidney disease. In four patients we documented alterations of complement factors (MCP deficiency and factor H and presence of anti factor H). Repeated blood transfusions were required in 4 patients and in 3 patients the platelet count was slightly reduced. In 5 patients we did plasmapheresis and in 3 patients dialysis (hemodialysis and peritoneal dialysis). In three patients in whom the diagnosis was not clear, renal biopsy was performed to confirm the diagnosis. Eculizumab was administered in 3 patients resistant to plasma exchange. We obtain a rapid response on MAT with normalization of platelet count. The effect on renal function was variable (complete remission in a patient, partial improvement in another, and unresponsiveness in the last). The last had on Kidney biopsy signs of severe impairment and we documented the presence of antibodies to eculizumab. HUS is a rare condition, but probably much more common than reported. In children with ARF and microangiopathic anemia is necessary evaluated  complement factors as early to obtain an improved clinical response to treatment with eculizumab.

Keywords: atypical hemolytic uremic syndrome, acute renal failure, pediatric, eculizumab.

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Introduzione

La sindrome emolitico uremica atipica (aSEU) è una rara forma di microangiopatia trombotica dalle manifestazioni cliniche pleiotropiche. Essa è caratterizzata da insufficienza renale acuta (IRA), anemia emolitica (AE), piastrinopenia, assenza di Shiga-toxin nelle feci (a differenza della SEU tipica) e con livello di ADAMTS-13 superiore al 5%, contrariamente alla porpora trombotica trombocitopenica idiopatica con cui la aSEU presenta delle analogie (1). 

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ATYPICAL HEMOLITIC UREMIC SYNDROME AFTER ADMINISTRATION OF DOCETAXEL

Abstract

The purpose of this study is to describe the clinical case of a patient suffering from a gland carcinoma with bilateral inguinal and pelvic lymph node metastases in treatment with weekly administrations of Docetaxel.
After two therapy cycles, the patient developed an atypical uremic hemolytic Syndrome (SEUa), treated with infusions of frozen fresh plasma, hemodialysis, and antibiotics.
Because of a severe septic secondary complication on an extensive lymph node abscess, the administration of Eculizumab was not possible.
The patient survived the mentioned Syndrome and is currently in periodic dialysis treatment.

Keywords: aHUS, Docetaxel, Eculizumab

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Introduzione

Il Docetaxel, un taxanosemi-sintetico di seconda generazione, è un antineoplastico caratterizzato da un ampio spettro di proprietà antitumorali. Il suo principale meccanismo d’azione consiste nel legarsi e stabilizzare la tubulina inibendo così lo smontaggio del microtubulo e provocando l’arresto del ciclo cellulare alla fase G2/M e quindi la morte cellulare. Questo farmaco inibisce diversi fattori pro-angiogenetici come il fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF) e presenta proprietà immuno-modulatorie e pro-infiammatorie per stimolazione di diversi mediatori della risposta infiammatoria. Il Docetaxel è approvato dalla “Food and Drug Administration” (FDA), in mono-terapia o associato ad altri chemioterapici, per il trattamento dei tumori al seno, non a piccole cellule del polmone, prostatico refrattario alla terapia ormonale, a cellule squamose del capo e del collo e dell’adenocarcinoma gastrico (1).La SEUa è associata molto raramente alla somministrazione di Docetaxel, anche se sono descritti molti casi con altri chemioterapici (2). Noi descriviamo il caso di SEUa in un paziente affetto da carcinoma squamoso del glande metastatico ai linfonodi loco-regionali dopo trattamento con Docetaxel quale terapia di seconda linea. 

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Membranous glomerulonephritis (MGN), ongoing studies

Abstract

The membranous nephropathy (MN) is the major cause of nephrotic syndrome in in the adult, account for 20% of cases with annual incidence is 1 in 100.000.
In the past 10 years, the role of podocytes has been identified; environmental triggers in genetically predisposed patients can activate podocytes to exhibit antigenic epitopes (receptor of phospholipase A2, thrombospondin type 1) that become targets of specific autoantibodies with subsequent complement activation. The discovery of this mechanisms has opened new horizons in the therapy of MN and novel drugs are available with more specific mechanism of action.
Rituximab, a monoclonal antibody directed against CD20 expressed by lymphocytes B, has been used in several trials and appears able to induce remission of nephrotic syndrome in 60% of patients (GEMRITUX trial) with similar risk profile. Nowadays it remains to define the most effective therapeutic pattern.
In MN, the concept of targeting disease control, has permit novel therapies with specific blocking mechanisms (belimumab) and non-specific (ACTH) and new therapeutic options, such as ofatumumab, bortezomib and eculizumab, that have allowed to recognize pathological processes involved in the glomerular diseases.

Key Words: Membranous Glomerulonephritis, membranous nephropathy, Rituximab, ECULIZUMAB

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Background

La glomerulonefrite membranosa (GMN) è diagnosticata nel 20% dei casi di sindrome nefrosica dell’adulto, la sua incidenza annuale è di 1 caso ogni 100.000 per anno, vengono diagnosticati quindi 10.000 nuovi casi all’anno in Europa (1).

Negli ultimi 10 anni ne sono stati definiti i precisi meccanismi patogenetici che hanno aperto nuovi scenari di trattamento.

Cosa c’è quindi di nuovo e sostanziale nella nefropatia membranosa?

In sintesi la novità degli ultimi anni è che tale glomerulonefrite è una malattia del podocita che, probabilmente in risposta a stimoli ambientali non ancora chiaramente identificati e su una potenziale predisposizione genetica, espone epitopi di antigeni che diventano bersaglio di anticorpi che determinano attivazione del complemento.

Queste acquisizioni hanno avviato dal punto vista della ricerca una serie di vie per la comprensione dei meccanismi caratterizzanti lo sviluppo della malattia. Sono diventati quindi oggetto di studio i marcatori podocitari in grado di attivare il sistema immunitario, le cellule che producono anticorpi diretti contro gli antigeni esposti e la via di attivazione del complemento (23).
 

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