Impact of remote monitoring in home dialysis: 5-year observation results

Abstract

Dialysis (hemodialysis and peritoneal dialysis) is one of the main therapeutic alternatives for patients with end-stage renal disease. It can be provided in different settings, including the home setting. Published literature shows that home dialysis improves both survival and quality of life, while producing economic advantages. However, there are also significant barriers. Home dialysis patients often report “abandonment issues” by healthcare personnel.

This work aimed at assessing the efficiency of the Doctor Plus® Nephro telemedicine system (adopted in the Nephrology Center of the P.O. G.B. Grassi di Roma-ASL Roma 3) in monitoring patient health status and improving the quality of care. From 2017 to 2022, N=26 patients were included in the analysis (mean duration of observation: 2.3 years). The analysis showed that the program was able to promptly identify possible anomalies of the vital parameters and activate a series of interventions aimed at normalizing the altered profile. During the study period, the system issued N=41,563 alerts (N=1.87 alerts per patient/day), of which N=16,325 (39.3%) were clinical and N=25,238 (60.7%) were missed measurements. These warnings ensured stabilization of the parameters, with clear benefits on patients’ quality of life. A trend of improvement was reported by patients, regarding their perception of the health state (EQ-5D questionnaire; +11.1 points on the VAS scale), the number of hospital admissions (-0.43 accesses/patient in 4 months), and of working days lost (-3.6 days lost in 4 months). Therefore, Doctor Plus® Nephro represents a useful and efficient tool for home dialysis patients’ management.

Keywords: chronic renal insufficiency, dialysis, hemodialysis, Doctor Plus® Nephro, remote monitoring

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Introduzione

L’insufficienza renale cronica (IRC) è una malattia severa che se non trattata adeguatamente può avere un impatto negativo sulla qualità e l’aspettativa di vita. Storicamente, i pazienti affetti da IRC dispongono di due alternative terapeutiche: il trapianto d’organo, attuabile in una casistica selezionata, e la dialisi (emodialisi e dialisi peritoneale) [13]. A livello globale, le stime del 2010 segnalavano una prevalenza di 2.050 milioni di soggetti dializzati, un numero destinato a raddoppiare, almeno, intorno al 2030 [4]. In Italia, si stima che il numero di pazienti attualmente in dialisi sia pari a circa 45-49.000 [2].

La dialisi può essere erogata in diversi setting, tra cui quello domiciliare. Nonostante questa pratica sia stata introdotta ormai da circa 60 anni, la dialisi domiciliare non è il setting utilizzato più comunemente in Italia, rappresentando circa il 15% [3]. 

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Nephrological nutritional office: a transversal organization model and access flowchart

Abstract

The nutritional aspect has a critical relevance in the educational and care path of nephropathic patients. The Nephrology-Dietology synergy in the Hospital is conditioned by various factors, such as the difficulty for Dietology to provide capillary and personalized follow-up to nephropathic patients.

Hence the experience of a transversal II level nephrological clinic, dedicated to nutritional aspects throughout the path of nephropathic patients, from the earliest stages of kidney disease to replacement treatment. The access flowchart provides a nephrological indication: from chronic kidney disease (CKD), kidney stones, immunopathology, hemodialysis, peritoneal dialysis, and transplantation clinics, from the nephrological department, patients are selected for evaluation.

The clinic is conducted by an expert nephrologist and trained dietitians, and is divided into different settings: educational meetings in small groups (patients and caregivers); simultaneous dietary and nephrological visits to advanced CKD; nutritional-nephrological visits on specific problems: from metabolic screening of kidney stones to action on the intestinal microbiota in immunological pathologies, to the application of the ketogenic diet in obesity, metabolic syndrome, diabetes, and early kidney damage, to onconephrology. Submission to further dietological assessment is limited to critical and selected cases.

The synergistic model between nephrology and dietetics offers clinical and organizational advantages: guarantees a capillary follow-up, reduces the number of hospital accesses, thus enhancing compliance and clinical outcomes, optimizes available resources, and overcomes the critical issues of a complex hospital with the advantage of the always profitable multidisciplinarity.

Keywords: dietetic-nutritional therapy, nephrology, chronic kidney disease

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La terapia dietetico-nutrizionale nella malattia renale cronica (MRC)

L’aspetto nutrizionale ha rilevanza critica nel percorso educazionale e di cura del paziente nefropatico tanto che anche le linee guida nazionali ed internazionali [16] confermano la Terapia Dietetico-Nutrizionale (TDN) come parte integrante del trattamento da offrire ai nostri pazienti cronici. Il suo obiettivo non è solo di preservare la funzione renale residua, rallentando la progressione della malattia renale verso l’uremia, ma anche e soprattutto di meglio controllare i sintomi uremici e di mantenere uno stato nutrizionale adeguato [1, 2, 7]. In questo modo i pazienti stanno meglio e giungono al trattamento sostitutivo più tardi e in condizioni cliniche e nutrizionali migliori, con vantaggi anche economici di risparmio sulla spesa sanitaria [1, 2]. 

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Ultrafiltration tolerance in patients on chronic dialysis: is an ultrasound based approach useful?

Abstract

Introduzione: L’ipotensione intradialitica è una delle complicanze più frequenti del trattamento emodialitico e si associa ad aumento della mortalità. Ad oggi non esistono fattori predittivi validati per stimare a priori la tolleranza emodinamica alla sottrazione idrica in corso di trattamento dialitico.
Scopo dello studio è stato valutare se i parametri ecografici inerenti alla vena cava inferiore (VCI) a inizio dialisi possano essere predittivi di tolleranza all’ultrafiltrazione in pazienti emodializzati cronici, clinicamente stabili, previa valutazione dello stato di idratazione con un’ecografia polmonare bed-side.
Materiali e metodi: Abbiamo condotto uno studio spontaneo, prospettico, osservazionale, monocentrico, esplorativo su 17 pazienti in emodialisi cronica. Prima dell’inizio della seduta dialitica, sono state eseguite l’ecografia della VCI e l’ecografia polmonare. Abbiamo confrontato i dati ecografici rilevati dal gruppo di pazienti che ha presentato almeno un episodio di ipotensione intradialitica con quelli dei pazienti che non ne hanno presentati.
Risultati: Dei 17 pazienti arruolati, 4 hanno presentato ipotensione. L’indice di collassabilità della VCI (IC-VCI) dei pazienti che presentavano ipotensione intradialitica è risultato significativamente aumentato rispetto ai pazienti che non andavano incontro a ipotensione. Il diametro minimo della VCI (VCI min) è risultato significativamente minore nei soggetti con ipotensioni intradialitiche. Il risultato si confermava anche nelle analisi multivariate in cui tali parametri si mantenevano significativi anche al netto del B-lines-score.
Conclusioni: I risultati del nostro studio permettono di ipotizzare che IC-VCI e VCI min possano essere considerati predittori di rischio di ipotensione intradialitica inpazienti in emodialisi cronica. Studi ulteriori saranno necessari per confermare i dati osservati.

Parole chiave: emodialisi, ipotensione intradialitica, ecografia vena cava inferiore, ecografia polmonare

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Introduzione

L’ipotensione intradialitica è una complicanza relativamente frequente nel paziente in emodialisi cronica cheimpedisce il raggiungimento del peso secco e risulta correlata a ridotta sopravvivenza e a ridotta efficacia del trattamento emodialitico [1, 2].

Per evitare le ipotensioni intradialitiche è fondamentale garantire la tolleranza emodinamica alla ultrafiltrazione che dipende sia dalla corretta valutazione dello stato di idratazione che del peso secco.

La valutazione clinica dello stato di idratazione risulta spesso complessa e non conclusiva. Metodiche strumentali come l’Rx torace non sono sempre disponibili al letto, hanno una sensibilità e specificità non ottimali ed espongono il paziente a radiazioni [3]. Lo studio bioimpedenziometrico (BIA) rappresenta una metodica che deve essere utilizzata come una parte di tutto lo strumentario disponibile per il nefrologo per lo studio dello stato di idratazione e va integrato con la valutazione clinica [4]. 

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Extended release calcifediol and paricalcitol in the treatment of secondary hyperparathyroidism: a network meta-analysis of indirect comparison

Abstract

Introduction: Secondary hyperparathyroidism (SHPT) is a common and major complication of chronic kidney disease (CKD) among patients on dialysis and in patients with CKD stage G3 to G5. SHPT in CKD is caused by disturbances in metabolic parameters. Paricalcitol (PCT), other active vitamin D analogous (doxercalciferol and alfacalcidol), and active vitamin D (calcitriol) have been commonly used to treat SHPT in non-dialysis CKD (ND-CKD) for several years. However, recent studies indicate that these therapies adversely increase serum calcium, phosphate, and fibroblast growth factor 23 (FGF-23) levels. Extended release calcifediol (ERC) has been developed as an alternative treatment for SHPT in ND-CKD. The present meta-analysis compares the effect of ERC against PCT in the control of PTH and calcium levels.
Methods: A systematic literature review was conducted, according to Preferred Reporting Items for Systematic reviews and Meta-Analyses (PRISMA) guidelines to identify studies for inclusion in the Network Meta-Analysis (NMA).
Results: 18 publications were eligible for inclusion in the network meta-analysis and 9 articles were included in the final NMA. The estimated PTH reduction from PCT (-59.5 pg/ml) was larger than the PTH reduction from ERC (-45.3 pg/ml), but the difference in treatment effects did not show statistical significance. Treatment with PCT caused statistically significant increases in calcium vs. placebo (increase: 0.31 mg/dl), while the marginal increase in calcium from treatment with ERC (increase: 0.10 mg/dl) did not reach statistical significance.
Conclusions: The evidence suggests that both PCT and ERC are effective in reducing levels of PTH, whereas calcium levels tended to increase from treatment with PCT. Therefore, ERC may be an equally effective, but more tolerable treatment alternative to PCT.

Keywords: secondary hyperparathyroidism, PTH, calcium, vitamin D

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Introduzione

L’iperparatiroidismo secondario (IPS) è una complicanza grave e comune della malattia renale cronica (MRC) tra i pazienti sia in fase conservativa che in dialisi. L’IPS è caratterizzato da alterazioni di parametri metabolici, fra i quali livelli sierici di fosforo (P), calcio (Ca), fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF-23), e insufficienza/carenza di vitamina D. La diminuzione della capacità dei reni di convertire la vitamina D [25(OH)D] nel suo metabolita attivo [1,25(OH)2D] determina una secrezione eccessiva di paratormone (PTH). Valori elevati di PTH, se non controllati, possono causare malattia ossea e calcificazione extra-scheletrica con aumento del rischio di insorgenza di malattie cardiovascolari legate all’incremento delle calcificazioni vascolari stesse. Inoltre l’IPS prolungato può evolvere nella sua forma terziaria, resistente alla terapia con vitamina D e calciomimetici, con la necessità di ricorrere alla paratiroidectomia nei casi più severi o in previsione del trapianto renale [1]. Pertanto, è essenziale controllare contemporaneamente vari biomarcatori, fra cui PTH, Ca e P, per poter attuare un trattamento efficace dei problemi correlati all’IPS in corso di MRC [2]. 

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Psychological support in anxiety management for patients affected by chronic kidney disease and treated by dialysis

Abstract

Introduction: The quality of life of patients with chronic kidney disease stage V is strongly affected by the recommended therapies. Such a situation alters the state of anxiety, which expresses a perception connected to a specific context and it overlaps with trait anxiety, which evaluates relatively stable aspects of being prone to anxiety.
The study aims to analyze the anxiety level of uremic patients and to demonstrate the benefit of psychological support either in person or online in order to mostly reduce the state of anxiety.
Materials and methods: 23 patients treated at the Nephrology Unit of the San Bortolo Hospital in Vicenza have undergone at least 8 psychological sessions. The first and the eighth sessions have been held in person, while the others were either in person or online based on the patients’ preference.
The State-Trait Anxiety Inventory (STAI), which means to evaluate the current state of anxiety and aspects of being prone to anxiety, was submitted during the first and the eighth sessions.
Results: Patients, before being submitted to psychological treatment, showed high rates of both State and Trait anxiety levels. After eight sessions the trait anxiety features and even better the state anxiety ones have significantly reduced both thanks to in-person or online treatments.
Conclusions: A treatment of minimum eight sessions shows a significant improvement of the nephropathic patient’s trait and, even better, state anxiety level and it also fosters the achievement of advanced adjustment levels compared to the new clinical status together with an improvement of the quality of life.

Keywords: psychological support, chronic kidney disease, state anxiety, trait anxiety

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Introduzione

La malattia renale cronica rappresenta oggi una delle malattie croniche con il maggior impatto sociale, sia per il crescente numero di pazienti, dato anche dall’allungamento della vita media, sia perché conduce il paziente a intraprendere percorsi che lo accompagnano per tutta la vita, con la scelta condivisa tra clinico e paziente che può ricadere su emodialisi, dialisi peritoneale, trapianto renale o terapia conservativa [1].

L’impatto psicologico della malattia renale cronica e delle terapie sostitutive conseguenti ad essa è ben noto, in quanto sono numerosi i fattori connessi a tali terapie che comportano una riduzione della qualità di vita associata ad un aumento delle quote di ansia e di distress psicologico nei pazienti nefropatici [2, 3].

Come stabilito dall’OMS, la salute deve corrispondere ad “uno stato di benessere fisico, mentale e sociale e non alla semplice assenza di malattia”, e in quest’ottica il percorso di miglioramento della qualità della vita ha come obiettivo ottimizzare l’outcome clinico di molte patologie e la compliance alla terapia da parte del paziente [4, 5]. 

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Thrombophilic study in dialysis patients

Abstract

Chronic kidney disease is a complex phenotype that results from the association of underlying kidney disease and environmental and genetic factors. In addition to the traditional risk factors, genetic factors are involved in the etiology of renal disease, including single nucleotide polymorphisms which could account for the increased mortality from cardiovascular disease of our hemodialysis patients. The genes that influence the development and rate of progression of kidney disease deserve to be better defined. We have evaluated the alterations of thrombophilia genes in hemodialysis patients and in blood donors and we have compared the results obtained. The objective of the present study is to identify biomarkers of morbidity and mortality, which allow us to identify patients with chronic kidney disease at high risk, thanks to which it is possible to implement accurate therapeutic strategies and preventive strategies that have the objective of intensifying controls in these patients.

Keywords: single nucleotide polymorphisms, thrombophilia panel, biomarkers of mortality, omic sciences, chronic kidney disease, hemodialysis

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Introduzione

La malattia renale cronica è definita come una progressiva ed irreversibile perdita della funzione renale, evidenziata con un GFR stimato al di sotto di 60 ml/min/1,73 m2, con la persistente presenza di manifestazioni che sono suggestive di danno renale (proteinuria, sedimento urinario attivo, danni istologici, anormalità strutturali o storia di trapianto renale) o con entrambi, presenti da più di tre mesi [1].

La malattia renale cronica è da sempre considerata un problema di salute pubblica mondiale che richiede un’importante assistenza e significativi oneri economici. È noto che ad una riduzione del GFR fa seguito un incremento degli eventi cardiovascolari, delle ospedalizzazioni e complessivamente della mortalità [2]. La prevalenza della malattia renale cronica varia a seconda delle aree geografiche e per lo più varia tra il 10% e il 20 %, percentuale che aumenta gradualmente soprattutto nei paesi sviluppati [3, 4]. Questo trend potrebbe essere attribuito all’aumentato invecchiamento della popolazione a livello globale [5], oltre che all’incremento di patologie come il diabete mellito, l’ipertensione e l’obesità [6]. 

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The therapeutic management and economic burden of patients with chronic kidney disease non-dialysis-dependent with anemia and ESA treated: findings from a real-world study in Italy

Abstract

Background. This real-world study aimed to provide insights on the characteristics, drug utilization, and economic burden of chronic kidney disease non-dialysis-dependent (NDD-CKD) patients with anemia prescribed Erythropoiesis Stimulating Agents (ESA) in Italian clinical practice settings.
Methods. A retrospective analysis was performed based on administrative and laboratory databases covering around 1.5 million subjects across Italy. Adult patients with a record for NDD-CKD stage 3a-5 and anemia during 2014-2016 were identified. Eligibility to ESA was defined as the presence of ≥ 2 records of Hb < 11 g/dL over 6 months, and patients eligible and currently treated with ESA were included. Results. Overall, 101,143 NDD-CKD patients were screened for inclusion, of which 40,020 were anemic. A total of 25,360 anemic patients were eligible to ESA treatment and 3,238 (12.8%) were prescribed ESA and included. The mean age was 76.9 years and 51.1% was male. More frequently observed comorbidities were hypertension (over 90% in each stage), followed by diabetes (37.8-43.2%) and cardiovascular condition (20.5-28.9%). Adherence to ESA was observed in 47.9% of patients, with a downward trend while progressing across stages (from 65.8% stage 3a to 35% stage 5). A consistent proportion of patients did not have nephrology visits during the 2 years of follow-up. Costs were mainly due to all drugs (€4,391) followed by all-cause hospitalization (€3,591) and laboratory tests (€1,460).
Conclusions. Findings from the study highlight an under-use of ESA in the management of anemia in NDD-CKD as well as a sub-optimal adherence to ESA and showed a great economic burden for anemic NDD-CKD patients.

Keywords: anemia, administrative databases, Erythropoiesis Stimulating Agents (ESA), chronic kidney disease (CKD), nephrology, real life

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Introduzione

L’anemia è una delle complicanze comunemente riscontrate nell’insufficienza renale cronica (IRC), una condizione che colpisce prevalentemente la popolazione anziana [1]; la sua prevalenza aumenta con il progredire degli stadi dell’IRC [2, 3], ed è stata osservata fin nel 60% di pazienti affetti da IRC non dipendente da dialisi (IRC-NDD) [4]. L’anemia nell’IRC è principalmente causata da una diminuzione nella produzione di eritropoietina (EPO) e dall’alterazione dei meccanismi di rilevazione dell’ossigeno dovute alla ridotta funzionalità renale [5]. Numerosi studi osservazionali hanno evidenziato un incremento del rischio di comorbilità (soprattutto riguardo le malattie cardiovascolari e il diabete) e di mortalità associato alla presenza di anemia nei pazienti IRC; tale rischio risulta maggiore negli stati anemici più severi [2, 5, 6].

Le supplementazioni di ferro e le terapie con i farmaci stimolanti l’eritropoiesi (Erythropoiesis Stimulating Agents, ESA) rappresentano il trattamento cardine dell’anemia nell’IRC [79]. In particolare, le linee guida Internazionali raccomandano di iniziare un trattamento con ESA in caso di valori di emoglobina (hemoglobin, Hb) < 10 g/dL, mentre nella pratica clinica italiana il valore soglia utilizzato è Hb < 11 g/dL, come indicato dalla Società Italiana di Nefrologia [10] e definito nel Piano Terapeutico Italiano per la prescrizione di ESA [11, 12]. 

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Tolvaptan resistance is related with a short-term poor prognosis in patients with lung cancer and syndrome of inappropriate anti-diuresis

Abstract

Purpose: Tolvaptan (TVP), a vasopressin receptor antagonist, represents a therapeutic option in the syndrome of inappropriate anti-diuresis (SIAD). The aim of this study was to evaluate the effect of TVP to treat and solve hyponatremia in oncologic patients.
Methods: 15 oncologic patients who developed SIAD have been enrolled. Patients receiving TVP belonged to group A, whereas group B was characterized by hyponatremic patients treated with hypertonic saline solutions and fluid restriction.
Results: In group A, the correction of serum sodium was achieved after 3.7±2.8 days. In group B, the target levels were obtained more slowly, after 5.2±3.1 days (p: 0.01) than in group A. The hospital stay and incidence of re-hospitalization were higher in group B than in group A. In this latter, 37% of patients had hyponatremic relapses, notwithstanding the progressive increase of doses from 7.5 to 60 mg per day of TVP, revealing a complete lack of response to TVP. In these patients, a growth of tumor mass or new metastatic lesions has been revealed.
Conclusion: TVP improved hyponatremia more efficiently and stably than hypertonic solutions and fluid restrictions. Positive consequences have been obtained about the rate of chemotherapeutical cycles concluded, hospital stay, rate of relapse of hyponatremia, and re-hospitalization.
Our study also suggested potential prognostic information that could be deduced from TVP patients, in whom sudden and progressive hyponatremia occurred, despite TVP dosage increase. A re-staging of these patients to rule out tumor mass growth or new metastatic lesions is suggested.

Keywords: hyponatremia, paraneoplastic syndrome, syndrome of inappropriate anti-diuresis, tolvaptan, vasopressin

Introduction

The prognosis of oncologic patients is often related to the onset of electrolytic disorders, particularly if hyponatremia occurs [1]. The syndrome of inappropriate anti-diuresis (SIAD) represents the main cause of hyponatremia, even though differential diagnosis with concomitant comorbidities (heart failure, nephrotic syndrome, extracellular volume depletion, pulmonary disorders) and drugs (tricyclic antidepressants, selective serotonin reuptake inhibitors, opioids, chemotherapeutic agents and immunotherapy) needs to be carried out [2, 3].

In particular, SIAD is directly associated with malignancy as expression of a paraneoplastic endocrine effect mediated by an ectopic production of vasopressin (AVP) by cancer cells. Moreover, medications, particularly chemotherapic agents, such as vinca alkaloids, alkylating agents, and platinum compounds, which increase the AVP synthesis/release, could induce SIAD. Other drugs, such as cyclophosphamide, could enhance the water permeability of the distal tubule, in the absence of high AVP levels [1].

 

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Malnutrition and dialytic adequacy in patients on peritoneal dialysis: two sides of the same coin?

Abstract

Dialysis adequacy and a state of “eunutrition” are two essential elements to consider in the evaluation of patient undergoing dialysis treatment.

Dialysis inadequacy is often associated with malnutrition, and the combination of these two factors significantly worsens the prognosis.

In the following monocentric and prospective study, the correlation between nutritional markers and dialytic adequacy was tested in a cohort of patients permanently followed by the peritoneal dialysis clinic, followed consistently for two years.

It was therefore evaluated if modification of dialysis therapy, aimed to reach adequacy parameters, could simultaneously improve metabolic parameters.

Although there were no frankly malnourished patients, the group of “inadequate” patients had a significantly lower nPCR value.

In this same group, after about 6 months, therapeutic measures adopted allowed an overall improvement in Kt/V and nPCR, with other nutritional parameters (such as body weight, albumin, pre-albumin, total cholesterolemia) remaining stable.

At the end of the follow-up period the Kt/V of the “inadequate” (<1.7) was higher ​​than the baseline, reaching statistical significance at the 12th and 24th months. Early identification of a dialysis inadequacy, therefore, allowed the execution of therapeutic changes necessary to achieve a lasting improvement in “adequate” replacement therapy, and a temporary improvement in the patient's nutritional status. Suddenly, despite the persistent improvement of the Kt/V there was a new reduction of the nPCR. Keywords: Peritoneal Dialysis, Malnutrition, Dialytic Adequacy

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Introduzione

La malnutrizione è un’importante problematica nei pazienti con malattia renale cronica. Può insorgere già dai primi stadi, peggiorare con il progredire della malattia e influire sull’efficienza della metodica dialitica. Sin dagli stadi iniziali di CKD si verifica in una percentuale elevata di pazienti (35-70%) un inadeguato apporto di nutrienti causato da una progressiva perdita di appetito [1]. Uno stato pro-infiammatorio [2] e la riduzione dell’attività fisica, in particolar modo nelle fasi avanzate di malattia renale cronica, contribuiscono alla deplezione protido-energetica [3].

È stato dimostrato come la malnutrizione si sviluppi principalmente nei pazienti in dialisi peritoneale che perdono la funzione renale residua [4].

Gli esperti della Società Internazionale di Nutrizione Renale e Metabolismo (ISRNM) hanno introdotto già nel 2008 il termine ‘Protein-Energy Wasting’ (PEW) per descrivere uno “stato di diminuzione delle riserve corporee di proteine ​​​​e combustibili energetici (proteine ​​​​corporee e masse grasse)” [5]. Perché si possa parlare quindi di PEW, è necessario che almeno tre criteri di ciascuna delle quattro categorie (parametri biochimici, massa corporea totale, massa muscolare, intake dietetico) siano soddisfatti. 

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Denosumab and fracture risk in kidney transplant

Abstract

Background: Kidney transplant patients bear a higher risk of bone disease. The monoclonal antibody Denosumab (Den), by binding RANKL, reduces osteoclastic activity and increases mineral density (BMD), thus limiting the risk of bone fractures. We evaluated the efficacy and safety of Den in kidney transplant patients who developed bone fractures.
Methods: Thirteen kidney transplant recipients (aged from 50 to 79 years 7M and 6F, with an average 9,9 years follow up after transplantation, and nearly normal renal function (GFR 62±15 ml/min/1.73m2), who developed low-energy vertebral fractures (21 dorsal and 1 lumbar) after transplantation, had been evaluated for 2 years with Dual-energy X-ray absorptiometry (DEXA) and morphometric absorptiometry (MXA) while receiving Den (four 60-mg doses). Data for vertebral heights and posterior-anterior height ratios (P/A), and BMD values for vertebral, femoral, and radius were obtained. The immunosuppressive regimen consisted of CNI and MMF, and 8 out of 13 were taking prednisone. A fixed dose of 450.000 UI-year of cholecalciferol was prescribed to all patients. Whole-PTH, 25-OHD3, and alkaline phosphatase (ALP) were also evaluated.
Results: After 2 years of Den treatment, we observed a significative increase in vertebral T-score (from -2.12±0.35 to -1.67±0.35; p< 0.02), while T score of femoral neck and radius did not show significative variation (-1.86±0.21 versus -1.84±0.23 and -3.04±0.42 versus -3.19±0.45, respectively). We found a lower incidence of fracture/patient-year pre and post Den 0.17 [95 CI 0.11-0.24] vs 0.07 [95% CI 0.02-0.3] respectively. No significative variations were observed in whole-PTH (89.31±19.9 pg/ml versus 68.38±9.8 pg/ml), 25OHD3 (24.02±2.75ug/L versus 26.67±2.29 ug/L) and alkaline phosphatase (78.46±12.73UI/L versus 56.77±7.14UI/L). No adverse events were registered. Conclusions: Treatment with Den improve BMD in vertebral bone and possibly reduces the risk of low-energy vertebral fractures in kidney transplant patients.

Keywords: Denosumab, low-energy fracture, transplant osteopathy

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Introduzione

Le fratture scheletriche costituiscono una complicanza severa e disabilitante del trapianto renale (Tx) con un’incidenza fratturativa da 5 a 34 volte (M versus F) superiore a quanto rilevato nel soggetto normale [1].

Il Tx contribuisce solo in parte a migliorare i disturbi del metabolismo minerale, perché la possibile persistenza di elevati livelli di PTH e di FGF-23 [2], l’allungamento dei tempi di mineralizzazione insensibile agli effetti della vitamina D [3] e, soprattutto, l’interferenza degli immunodepressori sul metabolismo osseo [4, 5] inducono una costante perdita della densità e della qualità minerale scheletrica, aumentando il rischio fratturativo.

Il denosumab (Den), un anticorpo monoclonale umanizzato che si lega con alta affinità al RANKL, bloccando l’interazione tra RANK e RANKL, inibisce l’osteoclastogenesi e l’attività osteoclastica con conseguente aumento della densità minerale ossea, mimando l’effetto fisiologico dell’osteoprotegerina. Il suo utilizzo nell’osteoporosi postmenopausale è ormai consolidato, con un’efficacia superiore ai bifosfonati nel migliorare la densità minerale e nel ridurre il rischio di fratture low-energy [6, 7]. Nei Pazienti sottoposti a trapianto renale, tuttavia, mancano le evidenze di una reale riduzione del rischio fratturativo, a fronte di un sensibile e documentato miglioramento della densità minerale scheletrica [8].

Nel presente studio è stato valutato, oltre alla BMD, il rischio fratturativo mediante morfometria vertebrale con DEXA dopo 2 anni di trattamento con denosumab, somministrato ad una coorte di pazienti sottoposti a trapianto di rene con fratture singole o multiple low-energy del rachide dorso-lombare, ad alto rischio di nuove fratture [9]. 

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