Settembre Ottobre 2023 - Articoli originali

New Therapeutic Strategies in the Treatment of CKD Anemia: Hypoxia-Induced Factor Prolyl-Hydroxylase Inhibitors

Abstract

The link between chronic renal failure and anemia has been known for more than 180 years, negatively impacting the quality of life, cardiovascular risk, mortality, and morbidity of patients with chronic kidney disease (CKD). Traditionally, the management of anemia in CKD has been based on the use of replacement martial therapy, vitamin therapy, and the use of erythropoiesis-stimulating agents (ESAs). In recent years, alongside these consolidated therapies, new molecules known as hypoxia-induced factor prolyl-hydroxylase inhibitors (HIF-PHIs) have appeared. The mechanism of action is expressed through an increased transcriptional activity of the HIF gene with increased erythropoietin production. The drugs currently produced are roxadustat, daprodustat, vadadustat, molidustat, desidustat, and enarodustat; among these only roxadustat is currently approved and usable in Italy. The possibility of oral intake, pleiotropic activity on martial and lipidic metabolism, and the non-inferiority compared to erythropoietins make these drugs a valid alternative to the treatment of anemia associated with chronic kidney disease in the nephrologist practice.

Keywords: CKD, Anemia, Erythropoietin, HIF, Roxadustat

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Introduzione

Il link che intercorre tra malattia renale cronica (MRC) e anemia è ormai noto da più di 180 anni [1]. La Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO) definisce l’anemia come la presenza di valori di emoglobina sierica (Hb) < 13,0 g/dl per gli uomini e < 12,0 g/dl per le donne non in stato di gravidanza.

Ad oggi è ormai consolidato come al progredire della malattia renale incrementi anche la prevalenza di anemia, condizione che impatta negativamente sulla qualità di vita, sul rischio cardiovascolare, sulla mortalità e sulla morbidità di pazienti già con rischio aumentato per tutte queste condizioni [24].

L’anemia associata a malattia renale cronica è determinata da differenti meccanismi patogenetici. Oltre alla diminuita capacità del rene di produrre l’eritropoietina (EPO), si è visto come l’attività delle tossine uremiche sia capace di inibire i meccanismi deputati all’eritropoiesi e diminuire la sopravvivenza degli eritrociti. Accanto a questi meccanismi si aggiungono le alterazioni del metabolismo marziale, dove l’eccesso di epcidina risulta il principale attore impattando negativamente sull’assorbimento dietetico del ferro e sulla mobilizzazione dei suoi depositi corporei [5].

Tradizionalmente la gestione dell’anemia in corso di MRC si è basata sull’uso di terapia marziale di rimpiazzo e sull’uso di agenti stimolanti l’eritropoiesi (erythropoiesis-stimulating agents, ESAs) [68]. È proprio da questi ultimi agenti che, a partire dagli anni ’80, i pazienti hanno avuto il maggior beneficio tramite una riduzione dei sintomi relativi all’astenia e la liberazione dalla dipendenza di emotrasfusioni e delle correlate complicanze, tra cui sovraccarico marziale, infezioni e sensibilizzazioni che potenzialmente inficiavano le possibilità di trapianto. Secondo le principali linee guida, in pazienti con MRC, la presenza di valori di emoglobina compresi tra 9-10 g/dl necessita di correzione mediante la somministrazione di eritropoietine, fino al raggiungimento i valori compresi tra 11-12 g/dl, con una personalizzazione della terapia a seconda dei casi [2]. 

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