Settembre Ottobre 2023 - Articoli originali

New Therapeutic Strategies in the Treatment of CKD Anemia: Hypoxia-Induced Factor Prolyl-Hydroxylase Inhibitors

Abstract

The link between chronic renal failure and anemia has been known for more than 180 years, negatively impacting the quality of life, cardiovascular risk, mortality, and morbidity of patients with chronic kidney disease (CKD). Traditionally, the management of anemia in CKD has been based on the use of replacement martial therapy, vitamin therapy, and the use of erythropoiesis-stimulating agents (ESAs). In recent years, alongside these consolidated therapies, new molecules known as hypoxia-induced factor prolyl-hydroxylase inhibitors (HIF-PHIs) have appeared. The mechanism of action is expressed through an increased transcriptional activity of the HIF gene with increased erythropoietin production. The drugs currently produced are roxadustat, daprodustat, vadadustat, molidustat, desidustat, and enarodustat; among these only roxadustat is currently approved and usable in Italy. The possibility of oral intake, pleiotropic activity on martial and lipidic metabolism, and the non-inferiority compared to erythropoietins make these drugs a valid alternative to the treatment of anemia associated with chronic kidney disease in the nephrologist practice.

Keywords: CKD, Anemia, Erythropoietin, HIF, Roxadustat

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Introduzione

Il link che intercorre tra malattia renale cronica (MRC) e anemia è ormai noto da più di 180 anni [1]. La Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO) definisce l’anemia come la presenza di valori di emoglobina sierica (Hb) < 13,0 g/dl per gli uomini e < 12,0 g/dl per le donne non in stato di gravidanza.

Ad oggi è ormai consolidato come al progredire della malattia renale incrementi anche la prevalenza di anemia, condizione che impatta negativamente sulla qualità di vita, sul rischio cardiovascolare, sulla mortalità e sulla morbidità di pazienti già con rischio aumentato per tutte queste condizioni [24].

L’anemia associata a malattia renale cronica è determinata da differenti meccanismi patogenetici. Oltre alla diminuita capacità del rene di produrre l’eritropoietina (EPO), si è visto come l’attività delle tossine uremiche sia capace di inibire i meccanismi deputati all’eritropoiesi e diminuire la sopravvivenza degli eritrociti. Accanto a questi meccanismi si aggiungono le alterazioni del metabolismo marziale, dove l’eccesso di epcidina risulta il principale attore impattando negativamente sull’assorbimento dietetico del ferro e sulla mobilizzazione dei suoi depositi corporei [5].

Tradizionalmente la gestione dell’anemia in corso di MRC si è basata sull’uso di terapia marziale di rimpiazzo e sull’uso di agenti stimolanti l’eritropoiesi (erythropoiesis-stimulating agents, ESAs) [68]. È proprio da questi ultimi agenti che, a partire dagli anni ’80, i pazienti hanno avuto il maggior beneficio tramite una riduzione dei sintomi relativi all’astenia e la liberazione dalla dipendenza di emotrasfusioni e delle correlate complicanze, tra cui sovraccarico marziale, infezioni e sensibilizzazioni che potenzialmente inficiavano le possibilità di trapianto. Secondo le principali linee guida, in pazienti con MRC, la presenza di valori di emoglobina compresi tra 9-10 g/dl necessita di correzione mediante la somministrazione di eritropoietine, fino al raggiungimento i valori compresi tra 11-12 g/dl, con una personalizzazione della terapia a seconda dei casi [2].

Se da un lato i benefici derivanti da tali terapie sono molteplici, bisogna considerare la presenza di effetti avversi. I pazienti sottoposti a terapia con ESAs presentano un aumentato rischio di ipertensione, convulsioni e coagulazione dell’accesso vascolare per emodialisi [9, 10]. Inoltre, gli ESAs non si sono dimostrati efficaci nel ridurre gli aventi avversi correlati all’anemia (mortalità, eventi cardiovascolari non fatali, ipertrofia ventricolare sinistra e progressione della malattia renale) in studi prospettici controllati e randomizzati [1113].
Recenti studi in pazienti affetti da CKD in emodialisi e pre-dialisi dimostrano un aumento del rischio di morte, di eventi avversi cardiovascolari ed ictus [14, 15]. Infine, questi agenti sono stati associati a progressione di malattie maligne e a morte in pazienti affetti da neoplasia [16].

La terapia marziale si colloca accanto alla terapia con ESAs nel trattamento dell’anemia secondaria a CKD. Il ferro è fondamentale non solo per implementare i depositi, ma anche per rendere più efficace l’azione degli ESAs [17, 18].

La progressiva riduzione di efficacia degli ESAs parallelamente alle preoccupazioni relative ai potenziali eventi avversi di questi farmaci, hanno progressivamente portato allo sviluppo di nuovi farmaci che presentassero una migliore sicurezza generale e cardiovascolare, superando l’iporeattività degli ESAs associata all’infiammazione.

Tra i nuovi approcci terapeutici compaiono gli inibitori del dominio prolil idrossilasi del fattore inducibile da ipossia (HIF-PHIs).

 

Meccanismo molecolare e farmacodinamica

I fattori indotti dall’ipossia (Hypoxia-inducible factors ‒ HIFs) sono dei fattori di trascrizione regolati dalla quantità di ossigeno presente nell’ambiente cellulare. Il fattore HIF fu originariamente identificato nel 1991 da Semenza e collaboratori [19].

HIF è costituito da una subunità α sensibile all’ossigeno e da una subunità β, formando una struttura etero dimerica [20].

In condizioni di normo ossigenazione cellulare, la subunità α di HIF viene idrossilata da una prolil-idrossilasi (PHD) con conseguente ubiquitinazione da parte della E3 ubiquitina ligasi (processo facilitato dal legame con la proteina di Von Hippel-lindau (VHL)) e successiva degradazione proteasomica. In condizioni di ipossiemia, invece, l’attività di PHD è ridotta e ciò consente la sopravvivenza e la traslocazione nucleare di HIF α dopo la sua dimerizzazione con la subunità β [21] determinando l’attivazione trascrizionale genetica.

Sono stati identificati tre distinti sottotipi di HIF-α: HIF-1α, HIF-2α e HIF-3α. HIF-1α è espresso in quasi tutte le cellule e la sua attività nucleare determina la trascrizione di numerosi geni coinvolti nel metabolismo energetico, glucidico e marziale, nell’angiogenesi e nell’infiammazione [22]. HIF-2α è principalmente espresso da cellule simil-fibroblastiche presenti nell’interstizio renale e dalle cellule endoteliali, anche se studi successivi hanno dimostrato la sua espressione negli epatociti, cardiomiociti, pneumociti e cellule gliali [23, 24]. Esso è principalmente coinvolto nella regolazione della produzione di eritropoietina (EPO) e nel trasporto marziale [25]. La funzione del sottotipo HIF-3α non è nota, ma si pensa possa essere coinvolta nella regolazione dell’espressione genica degli altri due sottotipi [23].

Mentre il rene rappresenta la principale fonte fisiologica di produzione di EPO nell’età adulta, il fegato risulta essere il sito principale di sintesi durante lo sviluppo embrionale. In ogni caso, nell’adulto, il fegato mantiene la sua capacità di sintesi in risposta ad una moderata o severa ipossia o in caso di attivazione farmacologica del fattore HIF [26]. Infatti, similmente al rene, il fegato risponde in presenza di ipossia severa incrementando il numero di epatociti EPO secernenti localizzati attorno alle vene centrali [27]. Va inoltre considerato come l’espressione di mRNA per EPO è stata riscontrata anche nelle cellule cerebrali, polmonari, cardiache, nel midollo emopoietico, nella milza e nel tratto riproduttivo [28].

Da quanto suddetto, la capacità dei farmaci che vengono qua descritti di determinare una correzione dei valori di emoglobina nel paziente con malattia renale cronica è legata all’inibizione delle prolil-idrossilasi (PHD) che, non potendo determinare l’ubiquitinazione e conseguentemente la degradazione del fattore HIF, fa sì che quest’ultimo possa traslocare nel nucleo ed avviare i processi trascrizionali descritti (Figura 1).

Figura 1. In questa figura è rappresentata la regolazione del fattore HIF in condizioni di normossia e ipossia, modulata dall’azione dei farmaci inibitori la prolil idrossilasi (PH) coinvolta nella degradazione proteasomica del fattore nucleare di trascrizione HIF.
Figura 1. In questa figura è rappresentata la regolazione del fattore HIF in condizioni di normossia e ipossia, modulata dall’azione dei farmaci inibitori la prolil idrossilasi (PH) coinvolta nella degradazione proteasomica del fattore nucleare di trascrizione HIF.

In tal modo si genera un’incrementata produzione di EPO che a livello midollare determinerà lo stimolo all’eritropoiesi. Dagli studi effettuati, l’attività di tali farmaci, però, non si limita solo all’incremento dell’EPO. L’azione sul fegato garantisce anche una soppressione dell’epcidina, un’aumentata espressione di ceruloplasmina, transferrina e recettori della transferrina, con incremento dell’assorbimento e biodisponibilità del ferro [2932], effetto sinergico con l’incremento dell’EPO nel correggere l’anemia in pazienti con MRC che, com’è noto, presentano uno stato infiammatorio cronico con carenza marziale cronica e frequente resistenza alla terapia con EPO [33].

Allo stato attuale sono disponibili diverse molecole inibitrici della prolil-idrossilasi del fattore ipossia indotto per il trattamento dell’anemia nel paziente con MRC dipendente o non dipendente da emodialisi. Tra queste si annoverano: roxadustat, daprodustat, vadadustat, molidustat, desidustat ed enarodustat. Il roxadustat ha ricevuto l’approvazione dalla EMA e dall’AIFA nel 2021, mentre l’FDA ha approvato il daprodustat nei primi giorni del febbraio 2023.

 

Farmacocinetica

Questi farmaci vengono assunti per via orale, il loro assorbimento è indipendente dalla presenza di cibo, ma può essere limitato dalla presenza di chelanti a scambio ionico. Dopo l’assorbimento subiscono un metabolismo di primo passaggio a livello epatico ad opera del citocromo P-450 e della uridina difosfato grucoronil transferasi. Il metabolita attivo circola nel plasma legato per il 99% a proteine plasmatiche per cui la sua biodisponibilità non è influenzata dal trattamento emodialitico.

L’eliminazione avviene con urine e feci in massima parte come metaboliti, in minima parte come farmaco non modificato [34].

 

Effetti collaterali

Al pari degli ESAs, anche gli HIF-PHIs possono presentare potenziali eventi avversi dipendenti da dose e farmacocinetica.

Poiché i fattori responsabili della produzione di eritropoietina sono altamente sensibili all’ipossia rispetto ad altri bersagli HIF (quali ad esempio il VEGF) [35], gli HIF-PHIs sono in grado di ottenere effetti pro-eritropoietici a dosi che non elicitano un più ampio spettro di risposte di HIF nei pazienti con CKD, compresa la stimolazione di pathway VEGF-dipendenti [36].

Gli eventi avversi gravi (SAE), riportati negli studi di fase 3, non sono stati considerati correlati al farmaco e rientravano nell’intervallo delle frequenze attese di SAE nei pazienti con CKD.

Tuttavia, le informazioni sulla prescrizione della Japanese Pharmaceutical and Medical Devices Agency includono un avviso di sicurezza relativo al rischio potenziale di tromboembolia, infarto cerebrale e miocardico, embolia polmonare e trombosi venosa profonda e degli accessi vascolari con HIF-PHIs [37]. Una maggiore incidenza di eventi tromboembolici (11,3% vs. 3,9%) è stata riportato con roxadustat rispetto a darbepoetina alfa nell’analisi di sicurezza degli studi aggregati di fase 3 nei pazienti in emodialisi [37].

I dati preliminari di 3 studi con roxadustat in pazienti dializzati non hanno riportato alcun aumento del rischio di mortalità per tutte le cause e per roxadustat rispetto a epoetina alfa, mentre il rischio insufficienza cardiaca o angina instabile, che richiede ospedalizzazione, è stato significativamente ridotto per roxadustat vs epoietin alfa [38]. Questo potrebbe essere dovuto ai potenziali effetti pleiotropici da parte di HIF-PHIs quali roxadustat e daprodustat che si sono dimostrati in grado di ridurre i livelli sierici di colesterolo totale, LDL e trigliceridi [3941]. L’effetto ipolipemizzante potrebbe essere spiegato dall’aumento dell’assorbimento HIF-dipendente delle lipoproteine e dalla riduzione della sintesi del colesterolo attraverso una maggiore degradazione della 3-idrossi-3-metil-glutaril-CoA reduttasi [42, 43].

L’iperkaliemia è un evento avverso segnalato frequentemente con roxadustat negli studi cinesi di fase 3 sia nei pazienti con CKD non dipendenti da dialisi (NDD-CKD) che in quelli in trattamento emodialitico (DD-CKD) [4447] e in studi di fase 2 in pazienti trattati con altri HIF-PHIs [48, 49]. Un ulteriore evento avverso segnalato in pazienti in terapia con roxadustat non in dialisi è l’acidosi metabolica, sebbene i meccanismi alla base non siano chiari, riportata nel 12% dei casi [45]. Vi sono poi da prendere in considerazione potenziali eventi avversi correlati agli effetti pro-angiogenici degli HIF-PHIs. In particolare, in pazienti con retinopatia vascolare [48], non vi è stato alcun aumento nell’incidenza di emorragia retinica, edema maculare o cambiamenti nella pressione intraoculare o nell’acuità visiva negli studi clinici con roxadustat o daprodustat [49, 50].

Poiché l’attivazione dell’HIF è evidente in molti tumori (soprattutto quando, in crescita, sperimentano l’ipossia e cooptano la via dell’HIF per l’adattamento metabolico e l’angiogenesi) sono state avanzate preoccupazioni relative alle capacità di questi prodotti di promuovere la crescita tumorale o facilitare le metastasi [51].  Tuttavia, ad oggi, gli studi sugli animali non hanno mostrato alcuna evidenza che l’esposizione prolungata agli HIF-PHI sia pro-oncogenica [52, 53]. A tal proposito sono necessarie osservazioni a lungo termine nell’uomo ed attualmente non ne è raccomandato l’uso in pazienti con storia di neoplasia a causa dell’esclusione negli studi effettuati di pazienti con neoplasie maligne attive o in anamnesi più recente di 2-5 anni.

Altre preoccupazioni includono il potenziale rischio di ipertensione arteriosa polmonare (poiché l’attivazione di HIF aumenta il tono vascolare nelle arterie polmonari [54, 55], eventi tromboembolici che sono stati osservati in pazienti con policitemia di Chuvash [5658], promozione della crescita delle cisti renali [56], eventi avversi sul metabolismo del glucosio e del fegato [59] e gli eventi avversi sulle calcificazioni vascolari e sui livelli dell’FGF23 [60, 61].

 

Trial e risultati

Roxadustat

Molteplici sono gli studi che hanno valutato l’efficacia ed il profilo di roxadustat sia in pazienti con malattia renale cronica non dipendenti da dialisi (NDD-CKD) che in pazienti dialisi-dipendenti o incipienti (DD- CKD, ID-CKD), ESA naive o già in trattamento con ESAs.

Nel 2019 Chen N. e collaboratori hanno pubblicato I risultati di due trial clinici condotti in Cina. In uno si valutava l’efficacia in 154 pazienti con MRC non in trattamento dialitico, randomizzati 2:1 a ricevere il farmaco o placebo. Nel gruppo trattamento si osservava un incremento di emoglobina di 1,9 g/dl a differenza del gruppo placebo in cui si osservava una riduzione di 0,4 g/dl. Inoltre, nel gruppo trattato si riducevano significativamente anche i livelli di epcidina e colesterolo [62]. Nel secondo trial invece gli autori hanno avviato terapia con roxadustat in pazienti in trattamento dialitico che da sei mesi effettuavano terapia con epoietina alfa e li hanno confrontati con un gruppo di pazienti che proseguivano terapia con EPO. In questo studio si evidenziava la non inferiorità del roxadustat rispetto all’epoietina alfa nel mantenere valori di emoglobina a target. Paragonato ad epoetina alfa, roxadustat determinava un incremento del valore di transferrina, una stabilità della sideremia ed un minor calo della saturazione della transferrina. In ultimo la riduzione del colesterolo e dell’epcidina era maggiore nel gruppo trattato con roxadustat [63].

Una pooled analysis su studi che hanno coinvolto pazienti in trattamento emodialitico in terapia con ESA randomizzati a proseguire EPO o assumere roxadustat (ROCKIES, PYRENEES, SIERRAS, HIMALAYAS) ha mostrato come roxadustat non sia inferiore all’eritropoietina nel correggere e mantenere i valori di emoglobina con profilo di sicurezza cardiovascolare simile [64].

Una pooled analysis riguardante gli studi ALPS, ANDES, OLYMPUS, in pazienti con MRC, non in trattamento emodialitico, randomizzati a ricevere roxadustat o placebo, ha evidenziato come il primo sia più efficace del placebo nell’incrementare i valori di emoglobina, con minore frequenza di trasfusioni e con stesso profilo di sicurezza o eventi avversi [65].

Nel 2021 Barratt J. e collaboratori hanno confrontato roxadustat con darbepoietina alfa in uno studio di non inferiorità che ha coinvolto 616 pazienti con MRC non in dialisi (DOLOMITES trial) [66]. I risultati mostravano come roxadustat avesse la stessa capacità della darbepoietina nel mantenere stabile i valori di emoglobina per 104 settimane. Nel 2022 Fishbane e collaboratori in un trial su 2133 pazienti in trattamento dialitico riscontravano una capacità di roxadustat di incrementare i valori di emoglobina con stessa incidenza di eventi avversi quando paragonato ad epoietina alfa (ROCKIES study) [67].

Daprodustat

Anche per questo farmaco vari sono i trial in letteratura che hanno analizzato, in confronto con le molecole di eritropoietina più comunemente usate nella pratica clinica, la capacità di controllare nel tempo i valori di emoglobina e gli eventi avversi correlati.

Sono stati disegnati ed effettuati due trial clinici i cui risultati sono stati pubblicati nel 2021 (ASCEND-D ed ASCEND-ND trial) che si sono rivolti a pazienti in trattamento dialitico e non in trattamento dialitico (MRC G3-G5) rispettivamente.

Nel primo trial venivano randomizzati 2964 pazienti in trattamento dialitico sostitutivo a ricevere daprodustat o ESAs (epoietina alfa in pazienti in trattamento emodialitico, darbepoietina alfa in pazienti in trattamento peritoneo dialitico) per 52 settimane. I valori medi di emoglobina, la somministrazione di ferro endovenoso, gli effetti sulla pressione arteriosa e gli eventi avversi, non differivano nei due gruppi di trattamento [68].

Nel trial ASCEND-ND, che ha arruolato quasi 4000 partecipanti, sono stati randomizzati pazienti con MRC non in trattamento emodialitico e in terapia con eritropoietine, a ricevere daprodustat o darbepoietina alfa. I risultati derivanti dall’indagine garantivano il mantenimento dei valori di emoglobina in entrambi i gruppi con stessi eventi avversi [69].

Nel 2022 è stata pubblicata una metanalisi coinvolgente 8 dei principali trial clinici indaganti daprodustat e 8245 pazienti. I risultati mostrano che, in comparazione con ESAs, daprodustat mantiene la stessa efficacia nell’incrementare i valori di emoglobina, riduce in misura maggiore i livelli di epcidina e gli eventi cardiovascolari maggiori [70].

Vadadustat

I due trial clinici principali che hanno valutato vadadustat come farmaco in grado di mantenere adeguati valori di emoglobina sono stati PRO2TECT e INNO2VATE, rivolti rispettivamente a pazienti con malattia renale cronica in trattamento conservativo ed emodialitico.

Il PRO2TECT ha comparato vadadustat con darbepoetina alfa in pazienti con MRC non in dialisi in due gruppi diversi: quelli con valori di emoglobina inferiori a 10 g/dl, non in terapia con EPO, e quelli con valori di emoglobina compresi tra 8 g/dl e 11 g /dl, in terapia con EPO.

In questi due gruppi i rispettivi 1751 e 1725 pazienti sono stati randomizzati a ricevere vadadustat o darbepoetina alfa. Dopo 52 settimane di follow-up i risultati ottenuti mostravano come vadadustat, comparato a darbepoietina alfa, raggiungeva il pre-specificato criterio di non inferiorità per l’efficacia sull’incremento dell’emoglobina, ma non su quello della sicurezza cardiovascolare, mostrando cioè un numero maggiore di eventi cardiovascolari nel gruppo di trattati con vadadustat [71].

Il trial INNO2VATE è stato eseguito su 3923 pazienti con MRC dipendenti da dialisi, randomizzati a ricevere vadadustat o darbepoetina alfa. In entrambi i gruppi sono stati valutati oltre all’efficacia di controllare i valori di emoglobina, anche gli eventi avversi cardiovascolari. Gli autori concludevano che il vadadustat non risultava essere inferiore alla darbepoietina alfa nel correggere e mantenere la concentrazione emoglobinica, con stesso profilo di sicurezza cardiovascolare [72].

Nel 2022 sono stati pubblicati i risultati di una metanalisi che ha incluso 4 trial randomizzati riguardanti la comparazione tra vadadustat e placebo e 6 trial randomizzati di confronto con eritropoietine per un totale di 8438 partecipanti. In questo lavoro si evidenziava come vadadustat rispetto ai gruppi placebo determinava un incremento dell’emoglobina, comparato con placebo e darbepoietina alfa determinava una riduzione dell’epcidina e della ferritina con aumentata capacità ferro legante. L’uso del vadadustat era invece correlato ad un maggior tasso di effetti avversi lievi-moderati come diarrea e nausea, ma non incrementava il rischio di eventi cardiovascolari maggiori e mortalità per tutte le cause [73].

Molidustat

Questo farmaco è stato testato come gli altri appartenenti alla classe in pazienti con MRC avanzata sia in trattamento dialitico che conservativo, sia in pazienti già in trattamento con eritropoietine, che naïve.

Il trial DIALOGUE comprendeva delle sottosezioni in cui molidustat veniva confrontato con placebo (in pazienti naïve per ESAs), oppure dopo sospensione della precedente terapia con epoietina alfa o darbepoietina alfa (DIALOGUE 1, 2, 4 rispettivamente) [74].

Il MIYABI program ha comparato l’efficacia del molidustat rispetto alla darbepoietina alfa in pazienti in trattamento emodialitico e già in terapia con EPO con un follow-up di 52 settimane [75].

In questi trial si dimostrava la non inferiorità di molidustat rispetto alla terapia standard eritropoietinica, la capacità di correggere l’anemia in pazienti naïve, con profili di tossicità non dissimili.

Desidustat

I due trial principali di investigazione sono stati il DRAEM-D [76] in pazienti con MRC in trattamento emodialitico ed il DREAM-ND [77], in pazienti MRC non in dialisi. Nel primo, sia pazienti in trattamento con EPO che naïve con livelli di emoglobina tra 8 ed 11 g/dl venivano randomizzati a ricevere desidustat o epoietina alfa. Nel secondo invece, pazienti con MRC in trattamento conservativo, con valori di emoglobina tra 7 e 10 g/dl, venivano randomizzati a ricevere desidustat o darbepoietina alfa.

In entrambi i trial si osservava una non inferiorità del desidustat rispetto alla terapia con EPO nel mantenere costanti i valori di emoglobina durante il follow-up, con un maggior tasso di responder nei gruppi desidustat. Nel secondo trial, inoltre si osservavano valori significativamente più bassi di epcidina e LDL nei pazienti trattati con desidustat.

Enarodustat

I trial SYMPHONY-ND [30] e SYMPHONY-HD [78] hanno valutato l’efficacia e la tollerabilità di enarodustat in due corti di popolazioni giapponesi rispettivamente in MRC conservativa ed in trattamento emodialitico.

Il SYMPHONY-ND ha randomizzato una popolazione di pazienti naïve per ESAs 1:1 ad assumere enarodustat o darbepoietina alfa con follow-up di 24 settimane. Il SYMPHONY-HD condotto su pazienti in emodialisi periodica ha randomizzato 1:1 a ricevere enarodustat o darbepoietina alfa, con follow-up di 24 settimane. In entrambi gli studi si dimostrava la non inferiorità di enarodustat a correggere e mantenere i livelli di emoglobina quando confrontato a darbepoietina alfa, con un profilo di tossicità non differente, con l’aggiunta capacità di migliorare l’assetto marziale [79, 80].

 

Roxadustat: attuali linee guida in Italia

Attualmente, in Italia, l’unica molecola disponibile è il roxadustat. In commercio sono presenti compresse da 20, 50, 70, 100 e 150 mg. La somministrazione deve essere fatta tre volte a settimana, in giorni non consecutivi, indipendentemente dall’assunzione di cibo. Per i pazienti che non assumono eritropoietine, la dose iniziale è di 70 mg 3 volte a settimana per pazienti con peso inferiore ai 100 kg, 100 mg per pazienti con peso maggiore di 100 kg. La dose può essere incrementata fino a 400 mg 3 volte a settimana (in pazienti in trattamento emodialitico) o 300 mg 3 volte a settimana (in pazienti non in dialisi), con controllo dell’emocromo ogni 2 settimane fino al raggiungimento dei valori target e successivamente ogni 4 settimane.

Nei pazienti in trattamento con eritropoietine è disponibile una tabella (Tabella 1) di conversione che permette di evitare un periodo di wash out per la terapia eritropoietinica, facendo assumere la prima compressa di roxadustat al posto della successiva dose di eritropoietina. Per i pazienti in trattamento emodialitico non è necessario un aggiustamento della dose del farmaco [81].

In attesa di nuove evidenze, come avviene per la ormai consolidata terapia con eritropoietine, per valori di emoglobina al di sotto di 9 g/dl si dovrebbe avviare terapia con HIF-PHIs, con raggiungimento di valori di mantenimento tra 11-12 g/dl.

È da considerare inoltre che, in caso di compromissione epatica è consigliato di dimezzare la dose in caso di compromissione moderata (Child Pugh-B) e di evitare la somministrazione in caso di compromissione severa (Child Pugh-C).

Dose di darbepoietina alfa endovenosa o sottocutanea (microgrammi/settimana) Dose di epoietina endovenosa o sottocutanea (UI/settimana) Dose di metossipoietilenglicole-epoietina beta endovenosa o sottocutanea (microgrammi/mese) Dose di roxadustat (milligrammi tre volte a settimana)
Meno di 25 Meno di 5000 Meno di 80 70
Da 25 a meno di 40 Da 5000 fino ad 8000 Da 80 fino a 120 inclusi 100
Da 40 fino ad 80 inclusi Da più di 8000 fino a 16000 incluse Da più di 120 fino a 200 inclusi 150
Più di 80 Più di 16000 Più di 200 200
In questa tabella sono riportati i dosaggi e lo schema terapeutico nel passaggio da ESA a roxadustat
Tabella 1. Dosi iniziali di roxadustat da assumere tre volte alla settimana nei pazienti che passano da un ESA a roxadustat.

Dagli studi effettuati si è visto come alcuni chelanti del fosforo quali acetato di calcio e sevelamer carbonato riducono la biodisponibilità della molecola, per tanto roxadustat deve essere assunto almeno un’ora dopo l’assunzione di tali chelanti. Per il lantanio carbonato invece non si sono osservate interazioni significative. Inoltre, roxadustat può determinare un incremento delle concentrazioni sieriche delle statine per cui, in caso di co-somministrazione è necessario valutare la possibilità di ridurre il dosaggio della stessa.

 

Conclusioni

Questa nuova classe di farmaci, utili al trattamento dell’anemia correlata a malattia renale cronica, dai numerosi studi eseguiti si è dimostrata non inferiore rispetto alla terapia standard con eritropoietine nel correggere e mantenere i valori di emoglobina in pazienti con malattia renale cronica, e potrebbe garantire, nel prossimo futuro, un’alternativa terapeutica. Un punto di forza di queste nuove molecole è rappresentato dagli effetti pleiotropici sul metabolismo lipidico e marziale. Com’è noto i pazienti con malattia renale cronica, a causa di uno stato infiammatorio cronico possono presentare alterazioni del normale metabolismo marziale con difficoltà al trattamento dell’anemia con l’eritropoietina. I farmaci HIF-PHIs grazie alla modulazione genica, determinando una soppressione dell’epcidina, un’aumentata espressione di ceruloplasmina, transferrina e recettori della transferrina, facilitano l’assorbimento e la biodisponibilità del ferro. Tale meccanismo potrebbe rendere tali molecole una valida opzione terapeutica alle anemie difficili da trattare a causa della flogosi [82, 83].

Altro vantaggio nell’utilizzo di queste nuove molecole risulta legato alla possibilità di una produzione più “fisiologica” dell’EPO endogena se confrontata ad una possibile disponibilità “sovrafisiologica” di eritropoietina ricombinante esogena necessaria per correggere l’anemia. Questo determinerebbe un minore feed-back negativo endocrino sugli organi eritropoietici con minori effetti collaterali, in particolar modo cardio-vascolari, rispetto alla classica terapia con eritropoietina che, in alcuni casi, per fenomeni di resistenza, necessita incrementi del dosaggio, esponendo il paziente a un maggior rischio di eventi avversi con valori di emoglobina a target [84, 85].

Presentando un buon profilo di sicurezza e limitati effetti avversi, con l’utilizzo su larga scala si potrà in futuro confermare queste iniziali evidenze, ma senza dubbio, questi farmaci andranno ad arricchire l’armamentario farmacologico del nefrologo.

 

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