Maggio Giugno 2021 - In depth review

Nutritional therapy in chronic proteinuric nephropathy

Abstract

Proteinuria is a well-known marker of renal damage and, at the same time, an important factor in the progression of chronic kidney disease itself. The scientific community has always sought to investigate and provide answers on how nutritional therapy can influence and modify proteinuria and therefore limit its impact on progression to end-stage renal disease. However, despite the importance of the topic, the studies rarely take the form of randomized and controlled trials; in any case, they are often limited to protein intake only, conducted on very heterogeneous populations and, finally, they rarely indicate the precise values of proteinuria. The aim of this work is to explore the different nutritional approaches and their implications in the pathological conditions associated with proteinuria.

Keywords: proteinuria, end stage renal disease, diet, low protein, chronic renal failure

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Introduzione

La proteinuria è un noto fattore di rischio indipendente per la progressione ad end-stage renal disease. È un fattore di rischio spesso modificabile e la riduzione della proteinuria è una importante strategia nell’ottica di ritardare e prevenire la perdita della funzione renale stessa [1]. Le cause fisiopatologiche che correlano la proteinuria alla progressione del danno renale sono molteplici e riguardano diversi meccanismi di azione, che spesso rimangono ancora sconosciuti. Tra questi meccanismi, uno dei più importanti è rappresentato dall’alterazione della permeabilità della barriera glomerulare, derivata dall’attività delle proteasi e dalla riduzione della sintesi di proteoglicani, necessarie per il corretto mantenimento e funzionamento della barriera [2]. Nell’ambito del sovvertimento della struttura glomerulare, anche il transforming growth factor-beta (TGF-b) svolge un ruolo fondamentale nel processo di fibrosi e sclerosi glomerulare, incrementando la sintesi di matrice extracellulare [3]. Altri meccanismi che svolgono un ruolo fondamentale nella patogenesi della proteinuria sono rappresentati dai radicali liberi e dalle specie reattive dell’ossigeno [4].

In questo variegato scenario eziopatogenetico, la comunità scientifica ha cercato ormai da molti anni di indagare e fornire risposte su come la terapia nutrizionale possa influenzare, modificare e bloccare questi processi patologici. Questi studi non risultavano esclusivamente orientati alla riduzione del processo patologico che porta alla comparsa ed all’aumento della proteinuria, ma anche alla preservazione della funzione renale, in quanto, nel corso degli anni, l’influenza della proteinuria nella velocità di progressione dell’insufficienza renale appariva sempre più netta. Alla luce di ciò, la terapia nutrizionale, che spesso si limitava alla progressione dell’insufficienza renale, si è ampliata verso approcci riguardanti l’insorgenza e la riduzione della proteinuria.

Nonostante l’importanza dell’argomento, però, gli studi sono stati spesso limitati all’apporto proteico; spesso sono stati valutati su popolazioni troppo eterogenee; raramente indicavano con precisione i valori di proteinuria; avevano spesso follow-up limitati; raramente riguardavano trials randomizzati. L’obiettivo di questo lavoro è quello di esplorare i differenti approcci nutrizionali e la loro influenza sui vari meccanismi eziopatogenetici conosciuti. Si andrà ad esplorare l’efficacia clinica di alcuni approcci dietetici, segnalandone i possibili effetti collaterali.

 

La low protein diet e very low protein diet

La riduzione dell’apporto proteico è l’approccio terapeutico-nutrizionale più utilizzato ed esaminato. Questa strategia è nota sin dagli anni ‘80, da quando i gruppi di Brenner ed El-Nahas mostrarono come la low protein diet (LPD) riducesse l’iperfiltrazione e la sclerosi glomerulare nei ratti [5,6]. Sfortunatamente, da allora, la maggior parte degli studi ha studiato popolazioni che già presentavano una insufficienza renale cronica e raramente pazienti che avevano una funzione renale normale.

 

LPD e VLPD nella patologia renale cronica

Gli studi riguardanti questo argomento sono diminuiti negli ultimi anni e spesso ci dobbiamo riferire ad analisi compiute più di 10 anni fa. Più recentemente, sono state presentate alcune metanalisi che, pur non rappresentando studi originali, hanno comunque cercato di compiere una revisione analitica e fare maggiore chiarezza sui benefici di queste terapie nelle diverse popolazioni studiate (Tabella I).

Chaveau et al. nel 2007 analizzarono le modifiche della proteinuria come risposta ad una “very low protein diet” (VLPD) con supplementazioni amminoacidiche o di ketoanaloghi (sVLPD) in 220 pazienti consecutivi con Chronic Kidney Disease (CKD). Il protocollo dietetico prevedeva una dieta con: 0.3 g/Kg peso ideale/die di proteine di origine vegetale più un 1 g di proteine per ogni grammo di proteinuria eccedente i 3 g/die. La supplementazione era rappresentata da 1 compressa di ketoanaloghi misti ed aminoacidi essenziali ogni 5 Kg di peso corporeo. Il fosforo inorganico era circa 5-7 mg/kg/die. L’energia totale era di 35 Kcal/Kg/die. Per esempio, un paziente di 70 Kg con 6 g/die di proteinuria riceveva 21 +3 g di proteine di origine vegetale e 14 compresse di ketoanaloghi. L’ammontare di fosforo inorganico era di circa 420 mg/die, con un apporto calorico medico di circa 2450 Kcal/die. La popolazione veniva divisa in 2 gruppi, a seconda della proteinuria basale: 1-3 g/die e >3 g/die. Entrambi i gruppi mostrarono una riduzione della proteinuria di circa il 50%, ma in misura maggiore quelli con proteinuria basale maggiore. La massima efficacia fu raggiunta ai 3 mesi di terapia. I pazienti con una maggiore riduzione della proteinuria evidenziavano anche una minore progressione del declino dell’eGFR. Inoltre, la riduzione delle proteine urinarie influenzava positivamente anche i valori di albumina plasmatica e l’assetto lipidico generale. Gli autori supposero che, probabilmente, i pazienti “responder” nel breve periodo erano quelli che avevano migliori outcome, nel lungo periodo, rispetto al declino dell’eGFR. Questa supposizione faceva propendere verso una continuazione, nel lungo periodo, della terapia nutrizionale nei pazienti “responder” [7]. Le limitazioni più importanti di questo studio erano il piccolo sample size e l’arruolamento dei soli pazienti in uno stadio avanzato della patologia renale, ossia con stadio CKD IV e V.

Un recente studio cross-sectional realizzato a Taipei valutava l’associazione tra la dieta vegetariana e la prevalenza di CKD in un sample di 55113 pazienti. La dieta vegetariana era significativamente associata ad una minore prevalenza di CKD. La popolazione analizzata era eterogenea, con una prevalenza di CKD del 16.8% ed un eGFR medio di 84 ml/min per 1.73 m2. Veniva inoltre segnalata una ridotta prevalenza di proteinuria nel gruppo “vegano”. Le limitazioni di questo studio erano riconducibili ad un possibile bias di selezione ed una mancanza delle informazioni riguardanti l’apporto energetico e la composizione nutrizionale delle diete [8].

 

LPD, VLPD e ketoanaloghi

Nel 2013 veniva condotto un interessante e peculiare piccolo trial monocentrico, open-label, randomizzato e controllato, riguardante 17 pazienti con virus da Epatite B e glomerulonefrite cronica. Veniva valutato in questi pazienti l’effetto di una dieta ipoproteica in termini di outcomes e di asset nutrizionale. Tutti i pazienti avevano uno stadio I e II CKD e una proteinuria >1 g/die. Nove pazienti ricevevano una dieta ipoproteica a 0.6-0.8 g/kg/die di peso corporeo ideale, senza supplementazione; 8 pazienti ricevevano la stessa dieta ipoproteica con supplementazione di ketoanaloghi, al dosaggio di 0.1 g/kg/die. Il dato significativo è rappresentato dal fatto che il gruppo con supplementazione aveva una riduzione significativa della proteinuria delle 24 ore, sia a 6 mesi che a 12 mesi. Inoltre, il valore assoluto di proteinuria era significativamente minore nel gruppo con ketoanaloghi rispetto al gruppo in sola LPD (2.0 ± 1.8 vs 4.4 ± 2.7 g/24h). Infine, nel gruppo con supplementazione, l’aspetto nutrizionale rimaneva invariato durante tutta la durata del follow-up [9]. Questo studio dimostra come la dieta a ridotto apporto proteico supplementata con ketoanaloghi possa migliorare la proteinuria ed evitare la malnutrizione, rispetto alla dieta non-supplementata. Supporta inoltre la teoria che i ketoanaloghi possano ridurre i valori dei fattori pro-fibrotici come il TGF-β che, come visto in precedenza, è fortemente implicato nel sovvertimento della struttura glomerulare renale. Ovviamente lo studio, seppur innovative e caratteristico, è limitato dal basso numero di pazienti e dalla specificità della loro patologia di base.

La più recente metanalisi di trial clinici randomizzati controllati veniva pubblicata da Yue et al. nel 2019 e analizzava gli effetti della dieta a basso apporto proteico sulla funzione renale. Questa metanalisi, rispetto a precedenti studi, evidenziava come il principale effetto della dieta ipoproteica non fosse il miglioramento dell’eGFR, ma la riduzione della proteinuria. Nel dettaglio della metanalisi, 19 studi confermavano la non influenza della LPD sull’eGFR. Per quanto riguarda la proteinuria, invece, la riduzione di 0,1 g/Kg/die die proteine era associata ad una riduzione della proteinuria di 0,0031 g/die. Effettivamente questa riduzione non appariva clinicamente significativa, ma quando la terapia era più lunga di 1 anno, la riduzione diventava più evidente, con una riduzione di 0.673 g/die. La riduzione era leggermente inferiore quando l’età dei soggetti era maggiore di 60 anni (-0.526 g/die). Nei pazienti in LPD si segnalava anche la riduzione del peso corporeo, del BMI, dell’urea e del BUN [10].

Oltre a diversi studi che analizzano l’efficacia della restrizione proteica nella riduzione della progressione dell’insufficienza renale e nella riduzione o comparsa della proteinuria, sono presenti anche diversi lavori che analizzano la sicurezza clinica e gli effetti collaterali delle diete ad apporto proteico basso e molto basso. In questo contesto, l’effetto collaterale più pericoloso, e di conseguenza più indagato, è rappresentato dall’insorgenza della malnutrizione proteico-calorica. Una metanalisi condotta nel 2018 evidenziava come la LPD non causasse malnutrizione [11] e permettesse di garantire un bilancio azotato anche nella sindrome nefrosica. Questo bilancio sembrava essere garantito anche dal fatto che, come conseguenza della perdita urinaria di proteine, si instaurava un meccanismo di “salvataggio aminoacidico” [12]. Diversi studi, però, rimarcano l’importanza di un corretto apporto energetico nei pazienti sottoposti a dieta ipocalorica. In particolare, un apporto calorico di 30-35 kcal/kg/die può permettere di prevenire stati di malnutrizione [13]. In molti studi, infatti, la “protein energy wasting” viene rilevata, nelle diete a bassissimo contenuto di proteine, solo se l’apporto calorico risulta insufficiente [14].

Nella metanalisi di studi clinici randomizzati controllati avviata da Yue nel 2019, precedentemente analizzata, veniva eseguita una buona analisi della sicurezza a lungo termine della restrizione proteica, esaminando le implicazioni della LPD quando la durata del trattamento era superiore ai 12 mesi. La restrizione proteica influenzava significativamente il BMI, con una riduzione di 0.907 kg/m2 (CI: -1.491 to -0.322 kg/m2) e dell’albumina (-1.586 g/l; CI: -5.258 to 2.086 g/l), evidenziando come un lungo periodo di restrizione potesse essere un fattore di rischio per la comparsa di malnutrizione. Inoltre, la riduzione dell’apporto proteico ridurrebbe la secrezione dell’ormone della crescita e del glucagone.

Per quanto riguarda la VLPD, nell’analisi post hoc dello studio Modification of Diet in Renal Disease (MDRD) si evidenziava quanto la prescrizione di una VLPD potesse aumentare il rischio di mortalità nei pazienti con insufficienza renale cronica [15]. D’altra parte, ci sono numerosi studi che al contrario non evidenziavano la comparsa di deficit nutrizionali [16] e che non confermavano l’aumento del rischio di malnutrizione in questi contesti [17]. A tal riguardo, l’utilizzo di ketoanaloghi potrebbe avere un impatto nella riduzione del rischio di insorgenza di malnutrizione. Tale supplementazione migliora il bilancio azotato e migliora l’asset proteico [18]. Nell’ambito dello stato nutrizionale complessivo, non è da sottovalutare l’influenza che ha la riduzione della proteinuria nell’aumento dei livelli di albumina sierici. Questo aumento, oltre ad essere associato alla riduzione della perdita urinaria, potrebbe essere associato anche ad ulteriori adattamenti fisiologici del metabolismo proteico, in una condizione di ridotto apporto ed aumentata perdita. In particolare, tra i meccanismi attivati si segnalano: la riduzione dei processi di proteolisi, la riduzione dell’ossidazione amminoacidica e la stimolazione di sintesi proteica post-prandiale [19].

In definitiva, non è possibile fornire una univoca conclusione sulla sicurezza della LPD e VLPD, in quanto gli studi presenti in letteratura forniscono dati discordanti e spesso presentano nelle loro analisi fattori confondenti, bias di selezione e dati non completi sulla quantità di apporto proteico e calorico.

 

Nefropatia diabetica

In letteratura sono presenti numerosi studi riguardanti la nutrizione nella nefropatia diabetica. Nell’ambito di competenza di questo lavoro, uno degli studi più rappresentativi risulta una metanalisi pubblicata nel 2019, dove veniva valutato l’impatto della LPD in questa tipologia di pazienti (Tabella I). I risultati, forse non scontati, evidenziavano una similitudine con quelli riguardanti i soggetti non-diabetici. Infatti, non si riscontravano significative differenze nei valori di creatinina sierica, di filtrato glomerulare ed emoglobina glicosilata, nel gruppo in trattamento. Di contro, i valori di albuminuria e proteinuria risultavano significativamente inferiori nel gruppo in LPD rispetto al gruppo di controllo (standard mean difference: 0.62, 95% CI: 0.06-1.19; 0.69, 95% CI: 0.22-1.16 rispettivamente) [20].

Un’altra review sistematica di Zhu et al. confermava questi risultati, riscontrando una significativa riduzione della proteinuria nel gruppo dei pazienti in LPD, nella sottopopolazione con Diabete Mellito tipo II (1.32, 95% CI: 0.17-2.47, p=0.02) [21]. Gli autori hanno provato a dare delle spiegazioni patogenetiche alla nefroprotezione dalla dieta a ridotto apporto proteico. Per prima cosa questa tipologia di dieta riduce il carico glomerulare proteico e questo determina: una inibizione del sistema renina-angiotensina renale; una riduzione della secrezione di glucagone con una minore dilatazione dell’arteriola afferente; una riduzione dell’insulin-like growth factor-1, con una conseguente potente azione vasodilatatoria [22]. Inoltre, la LPD attivava, nei modelli animali con Diabete di tipo II, i processi autofagici attraverso la soppressione di meccanismi che hanno come target la via del complesso 1 della Rapamicina [23]. In generale però, anche questi due studi riportavano una maggiore efficacia nella riduzione della proteinuria, ma una modesta efficacia a livello di nefroprotezione nei pazienti con nefropatia diabetica in restrizione proteica.

In un innovativo trial controllato crossover, eseguito in 17 pazienti con diabete mellito di tipo II, gli autori analizzavano la differenza di outcomes tra: una dieta libera, una dieta a base di pollo (senza altra tipologia di carne) e una dieta latto-ovo-vegetariana a ridotto contenuto proteico rispettivamente. Il tasso di escrezione urinaria di albumina risultava significativamente ridotto nei gruppi in “chicken-diet” e nei latto-ovo-vegetariani, comparati con quelli in dieta libera (20.6%, 95% CI: 4.8-36.4%; 31.4%, 95% CI: 12.7-50% rispettivamente). La riduzione dell’albuminuria tra la dieta a base di carne di pollo e quella latto-ovo-vegetariana non era statisticamente significativa (p=0.249) [24]. Probabilmente entrambe queste diete garantivano un alto contenuto sierico di acidi grassi polinsaturi (PUFAs), i quali influenzavano la riduzione della proteinuria [25]. Alti livelli di PUFAs potrebbero avere, inoltre, un effetto protettivo sulla funzione endoteliale e potrebbero migliorare l’insulino-resistenza, con un effetto sulla riduzione della proteinuria. Bisogna ovviamente tenere in conto che lo studio aveva un numero esiguo di partecipanti.

 

Nefropatia proteinurica in gravidanza

Un aspetto da non sottovalutare, poiché riguarda una popolazione molto particolare, è quello delle donne in gravidanza. In queste pazienti andrebbe evitata quanto più possibile l’insorgenza di proteinuria oppure la progressione di una proteinuria o una insufficienza renale cronica già esistenti. Questo per evitare l’insorgenza di gravi e note complicanze, che risultano pericolose ed a volte infauste e che riguardano sia la salute della madre, sia quella del nascituro. La terapia nutrizionale nelle donne in gravidanza è quindi un aspetto importante ed al tempo stesso complesso.

Gli studi presenti in letteratura non sono numerosi, ma i gruppi italiani di Torino e Cagliari hanno investigato, da diversi anni, la problematica. Il loro focus si concentrava sulla valutazione della efficacia e della sicurezza della LPD, basata su una dieta vegana-vegetariana, nel ridurre la proteinuria ed evitare la progressione dell’insufficienza renale. Il loro protocollo prevedeva la prescrizione di una dieta con un apporto proteico di 0.6 g/kg/die, supplementato da alfa-ketoanaloghi e amminoacidi (1 compressa ogni 10 kg di peso corporeo ideale) nei primi due trimestri. L’apporto proteico aumentava nel terzo trimestre, con 0.8 g/Kg/die di proteine + 1 compressa di ketoanaloghi ogni 8 Kg di peso corporeo ideale. La dieta era sostanzialmente vegana, con occasionale presenza di latte e yoghurt. Non vi era una restrizione di sale, ma venivano strettamente controllati, ed eventualmente supplementati, la Vitamina B12, il ferro e la 25-OH-Vitamina D. I risultati evidenziavano un incremento della proteinuria sia nel gruppo in LPD, sia nel gruppo di controllo, salvo poi ridursi a 3 e mesi dal parto, in seguito alla scomparsa della “fase iperfiltrativa”. La dieta non risultava efficace neanche sulla progressione dell’insufficienza renale. Nonostante questi dati, è importante sottolineare come l’incidenza di una età gestionale minore del decimo percentile, o la frequenza di neonati marcatamente prematuri, fosse significativamente inferiore nel gruppo vegetariano-vegano, rispetto alla popolazione di controllo. Le madri lamentavano però un significativo impatto della terapia nutrizionale nello stile di vita quotidiano [26] (Tabella I).

In un altro studio sperimentale veniva invece analizzato l’utilizzo di proteine derivate dalla soia durante la gravidanza e l’allattamento in ratti con patologie renali ereditarie. L’utilizzo esclusivo di proteine derivate dalla soia, comparate con una dieta contenente proteine derivate dal latte, determinava una riduzione della proteinuria del 33% (p=0.0013). Inoltre, la dieta a base di proteine della soia durante la gravidanza e l’allattamento riduceva lo stato infiammatorio (-24% di infiltrato macrofagico durante la gravidanza e -32% durante l’allattamento) e lo stress ossidativo (-28% e -56% di LDL-ossidate rispettivamente) [27]. Secondo gli autori, queste riduzioni potevano essere ricondotte ad un minor livello plasmatico di Valina e Lisina, che parrebbero ridurre la frazione di filtrazione glomerulare [28].

Una review di 22 lavori dimostra come la dieta vegana-vegetariana sia sicura in gravidanza. Nessuno degli studi analizzati riportava, infatti, aumento dei rischi correlati alla gravidanza o aumento di eventi legati alla nascita o alla salute del nascituro [29]; questo eccetto per un singolo studio, che riportava un aumento dell’incidenza di ipospadia nei bambini di madri vegetariane [30]. Ovviamente, tutti gli studi rimarcavano l’importanza di poter sviluppare carenze di Vitamina B12, ferro o Zinco, raccomandandone l’eventuale supplementazione [31].

Per concludere, la dieta vegetariana non fornisce significativi vantaggi nel preservare la funzione renale o nel ridurre la proteinuria ma sembrerebbe non avere effetti collaterali severi e potrebbe ridurre alcune complicanze gestazionali. Si potrebbe per esempio prescrivere una dieta vegetariana nelle pazienti che hanno già una sindrome nefrosica in corso, o una storia di proteinuria significativa; nelle pazienti che hanno una progressione della proteinuria durante la gravidanza; in quelle con uno stato di insufficienza renale già avanzato. Queste pazienti potrebbero beneficiare di questo approccio dietetico, soprattutto per ridurre le complicanze gestionali.

Studi Pazienti Funzione Renale Intake Proteico (g/kg/d) Info cliniche Risultati
Chaveau (2007)

[7]
220 CKD IV-V 0.3 (vegetariana) + 1 g per grammo di proteine >3 g/d + supplementazione nd Riduzione della proteinuria del 50%. Max efficacia dopo 3 mesi. Maggiore riduzione proteinuria = minore declino dell’eGFR
Mou (2013)

[9]
17 CKD I-II e proteinuria >1g/d

 

0.6-0.8 g/Kg/d su peso ideale con Ketoanaloghi (0.1 g/Kg/d) o senza HBV+ La proteinuria era significativamente minore nel gruppo con Ketoanaloghi rispetto al gruppo senza supplementazione (2.0 ±1.8 vs 4.4 ±2.7 g/24h)
Yue (2019) (metanalisi)

[10]
3566 nd 0.28-0.8 g/Kg/d nd Quando la dieta >12 mesi, ogni riduzione di 0.1 g/Kg/d di intake proteico era associato ad una riduzione di -0.673 g/24h di proteinuria
Li (2019) (metanalisi)

[20]
690 nd 0.6-1.0 g/Kg/d Diabetici La proteinuria diminuiva nel gruppo in LPD vs gruppo controllo (SMD rispettivamente: 0.62, CI: 0.06-1.19 e 0.69, CI: 0.22-1.16)
Attini (2019)

[26]
36 CKD III-V o proteinuria >1g/d 0.6 g/Kg/d + supplemento (0.8 g/Kg/d + supplemento III trimestre) Gravide La proteinuria aumentava nel gruppo LPD e nel gruppo controllo. L’incidenza di basso peso per età gestionale era significativamente inferiore nel gruppo LPD
Tabella I: Principali studi sull’intake proteico nella proteinuria

 

Altri aspetti nutrizionali e proteinuria

Sebbene la maggior parte degli studi in letteratura riguardanti la riduzione della proteinuria e la preservazione della funzione renale siano riconducibili alla restrizione proteica, e sebbene l’argomento di questa review sia diretto in questo ambito, non possiamo non trattare brevemente alcuni differenti aspetti nutrizionali fortemente implicati in questo ambito patologico/terapeutico e che possono interferire con l’efficacia delle diete a ridotto apporto proteico.

 

Fibre, alcali e Vitamina K

La proteinuria può essere gestita con diversi alimenti, tra cui la curcumina, oltre che con la restrizione proteica (Tabella II). Altri nutrienti che potrebbero essere utilizzati in questo ambito sono le fibre, gli alcali e la Vitamina K. Nella dieta Vegana e nella VLPD le fibre e la Vitamina K1 sono molto più presenti rispetto ad altre diete [32]; inoltre, vi sono alimenti che hanno un alto potere alcalinizzante e potrebbero migliorare l’efficienza delle varie diete e dei benefici derivanti dalla riduzione dell’apporto proteico. In alcuni studi la Vitamina K è stata associata ad una riduzione della mortalità in pazienti con malattia renale cronica [33]. L’intake di fibre diminuisce il pH intestinale e modula favorevolmente il microbiota. Inoltre, anche la riduzione dell’apporto di acidi con la dieta potrebbe ridurre la mortalità nei pazienti con insufficienza renale cronica e sicuramente favorisce l’omeostasi dell’equilibrio acido-base e migliora il controllo dell’iperkaliemia, specialmente quando è in corso un trattamento con ACE-inibitori o Sartanici [34].

 

Fosforo

Un ruolo importante nel management della proteinuria è svolto dal fosforo sierico e dall’intake di fosforo. Lee H et al. hanno dimostrato come un valore elevato di fosforo ematico, anche in range non patologico, era indipendentemente e positivamente correlato con albuminuria, seppur di basso grado, ed era un potente fattore predittore di aumento del rapporto albumina/creatinina (coefficiente di regressione = 0,610, p <0.001). Questo studio non includeva pazienti con eGFR <60 ml/min e con proteinuria e microematuria già presente [35]. L’intake dietetico di fosforo, in particolare derivante da proteine animali, aumentava i livelli di fosforo e diminuiva la dilatazione flusso-mediata, un marker sostitutivo della funzione endoteliale [36]. Un altro studio in pazienti con malattia renale cronica confermava inoltre che il fosforo attenua l’effetto anti-proteinurico della VLPD [37]. Infine, alti livelli di fosforo attenuano anche l’effetto nefroprotettore degli ACE-inibitori in pazienti con proteinuria e malattia renale cronica [38].

 

Intake di sodio

L’intake di sodio è un punto cruciale nell’approccio nutrizionale della proteinuria. Un interessante trial randomizzato evidenziava come l’aggiunta di una restrizione sodiemica in aggiunta alla terapia con ACE-inibitori fosse più effettiva nella riduzione della proteinuria rispetto al “doppio blocco”, consistente nell’aggiunta del Sartanico all’ACE-inibitore. Al basale, i pazienti in terapia con ACE-inibitori in dieta libera avevano una proteinuria di 1.68 g/d (1.31-2.14). Se si aggiungeva in terapia il Sartanico, la proteinuria scendeva a 1.44 g/d (1.07-1.93; p = 0.003). Molto più efficace risultava l’introduzione di una dieta a basso contenuto di sodio, che portava i valori di proteinuria a 0.85 g/d (0.66-1.10; p <0.001). Va segnalato che nessuno dei pazienti nello studio aveva una nefropatia diabetica [39].

Questo effetto cumulativo della restrizione sodiemica è stato riscontrato in altri studi. Diversi lavori riportano inoltre lo stesso effetto cumulativo della restrizione sodiemica in pazienti in terapia con ACE-inibitori e LPD o VLPD. L’effetto cumulativo sembrerebbe riconducibile a due differenti meccanismi: la riduzione del “precarico” e del “postcarico” glomerulare [40]. In generale, la LPD ha un basso apporto di sodio, tuttavia una indicazione di una dieta iposodiemica ed ipoproteica in pazienti in terapia con inibitori del RAS può essere una strategia efficace nella riduzione della proteinuria.

Alimenti Meccanismo di azione Risultati
Curcumina (animali) Nrf2-attivatore; previene apoptosi della β-cell; attenua l’insulino-resistenza; riduce l’infiammazione Attenua l’escrezione urinaria di albumina nei pazienti con diabete mellito di tipo II
Lactobacillus (ratti) Rigenera l’espressione delle proteine della barriera intestinale; riduce l’infiammazione sistemica Diminuisce la proteinuria in ratti con CKD
Fibre, Alkali and Vitamina K Diminuisce il pH intestinale e modula favorevolmente il microbiota Riduce l’apporto dietetico di acidi; riduce la mortalità in persone con CKD; migliora l’equilibrio acido-base; migliora il controllo dell’iperkaliemia
Fosforo Diminuisce la dilatazione endoteliale flusso-mediata; attenua l’effetto antiproteinurico della VLPD e degli ACE-inibitori indipendentemente e positivamente correlata con la presenza di albuminuria; aumenta il rapporto urinario albuminuria/creatininuria
Riduzione intake di Sodio Riduce il precarico glomerulare; inibisce il sistema renina-angiotensina Riduzione della proteinuria; effetto cumulativo quando associato agli ACE-inibitori o ai Sartanici
Tabella II: Meccanismo di azione e risultati di differenti alimenti nel management della proteinuria

 

Conclusioni

La proteinuria ha un ruolo fondamentale nella diagnosi, nella gestione e nel trattamento dell’insufficienza renale cronica ma non esistono numerosi studi focalizzati sugli effetti della dieta sulla proteinuria. La restrizione proteica è l’approccio dietetico più studiato nella gestione della proteinuria e dell’insufficienza renale. Tale dieta non sembra agire direttamente sui valori del GFR, ma è spesso efficace nel ridurre la proteinuria, considerata come il principale fattore di rischio di progressione dell’insufficienza renale. Questo dato rimarca come i benefici della terapia nutrizionale sulle perdite urinarie di proteine possano influenzare la progressione della patologia renale, soprattutto a lungo termine, determinando un forte impatto sui fattori di rischio cardiovascolari e sulla mortalità in generale.

Una sana alimentazione, inoltre, tende al miglioramento del microbiota intestinale, che sembrerebbe uno meccanismo fisiopatologico di rilievo nella riduzione della proteinuria. Nei soggetti con proteinuria è fondamentale un continuo monitoraggio dello status nutrizionale, specialmente nei soggetti in dieta ipoproteica, per evitare l’insorgenza di malnutrizione.

Non esistono protocolli dietetici universali nel management della proteinuria. Ogni paziente dovrebbe avere una terapia nutrizionale personalizzata, basata sulle cause eziopatogenetiche e sui valori della proteinuria, sulle comorbidità esistenti e sulla valutazione nutrizionale di base.

Ulteriori trials clinici randomizzati focalizzati sulla proteinuria, possibilmente divisi per cause eziopatogenetiche e livelli di proteinuria, sono necessari e andrebbero incentivati.

 

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