Prognostic Factors of Peritonitis in Patients on Peritoneal Dialysis: a Retrospective Observational Study

Abstract

Background/Objectives. Peritoneal dialysis stands as an established form of renal replacement therapy; yet peritonitis remains a major complication associated with it. This study, analyzing two decades of data from the Nephrology, Dialysis, and Hypertension Division of the University-Hospital IRCCS in Bologna, aimed to identify prognostic factors linked to peritonitis events. It also sought to evaluate the suitability of different peritoneal dialysis techniques, with a focus on Automated Peritoneal Dialysis (APD) and Continuous Ambulatory Peritoneal Dialysis (CAPD). Additionally, the study assessed the impact of an educational program introduced in 2005 on peritonitis frequency.
Methods. Conducting an observational, retrospective, single-center study, 323 patients were included in the analysis, categorized based on their use of APD or CAPD.
Results. Despite widespread APD usage, no significant correlation was found between the dialysis technique (APD or CAPD) and peritonitis onset. The analysis of the educational program’s impact revealed no significant differences in peritonitis occurrence. However, a clear relationship emerged between regular patient monitoring at the reference center and the duration of peritoneal dialysis.
Conclusions. Despite the absence of a distinct association between peritonitis onset and dialysis technique, regular patient monitoring at the reference center significantly correlated with prolonged peritoneal dialysis duration.

Keywords: end-stage renal disease, peritoneal dialysis, peritonitis, peritoneal catheter

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Introduction

Peritoneal dialysis (PD) is an effective treatment option for patients with end-stage renal disease, particularly for populations such as elderly individuals, diabetics, and those with concomitant pathologies [1, 2]. This technique involves the exchange of solutes and fluids between the patient’s peritoneal capillary blood and the introduced dialysis solution, a process made feasible by the Tenckhoff catheter [3]. This catheter has multiple benefits, including effective fluid exchange, a barrier against infections, and cost-effectiveness [4].

Since 2001, there has been a significant rise in the number of patients opting for dialysis treatments, witnessing an annual growth of approximately seven per cent [5, 6]. This surge can be attributed to an aging population, improved life expectancy for those with end-stage renal disease, and increased access to dialysis for younger patients [7]. The decision between PD and hemodialysis (HD) depends largely on regional and individual circumstances. In developed countries, the choice might be driven by patient preference or accessibility constraints to HD units. In contrast, economic challenges in less affluent regions might render PD as the primary choice [6]. 

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Omentopexy in Peritoneal Catheter Malfunction

Abstract

Among the various problems associated with peritoneal dialysis, besides infectious causes, the risk of catheter malfunction plays a significant role in conditioning the continuation of the method, accounting for up to 15-18% of the total causes of dialysis drop-out. When non-invasive maneuvers, such as the use of laxatives to stimulate intestinal peristalsis or heparin and/or urokinase have no effect, videolaparoscopy is the only method that directly detects the precise causes of peritoneal catheter malfunction. Those found are, with decreasing frequency, the winding of the catheter between the intestinal loops and the omentum (wrapping), the dislocation of the catheter, the combination of wrapping and dislocation, the occlusion of the catheter by a fibrin plug, the adhesions between the intestine and abdominal wall, the occlusion of the catheter by epiploic appendages or adnexal tissue and, occasionally, the presence of a new formation of endoperitoneal tissue enveloping and obstructing the peritoneal catheter. We report the case of a young patient of African ethnicity who, only five days after catheter placement, experienced malfunction. A videolaparoscopy revealed wrapping with invagination of omental tissue inside the catheter. After omental debridement, a proper peritoneal cavity washout with heparin was resumed, and after a couple of weeks, APD was initiated. About a month later, a new malfunction without signs of coprostasis or problems with the abdominal radiogram was observed. However, a subsequent catheterography confirmed the blockage of drainage. This was followed by another catheterography and omentopexy, with definitive solution of the Tenckhoff malfunction.

Keywords: peritoneal dialysis, peritoneal catheter, omentopexy

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Introduzione

La dialisi peritoneale rappresenta un’opzione dialitica in cui l’accesso alla cavità addominale rimane uno dei punti più importanti sia per la sopravvivenza della tecnica [1] che per la dislocazione o l’infezione del catetere, quali principali cause di fallimento della metodica. Un problema collegato all’accesso suddetto è rappresentato sicuramente dal malfunzionamento del catetere che, se si verifica, comporta l’impossibilità di eseguire in maniera adeguata la dialisi peritoneale, condizionando la sopravvivenza tecnica del catetere e spesso anche il proseguimento della metodica dialitica stessa [24]. Il rischio di malfunzionamento del catetere peritoneale è di circa il 15-18% l’anno [5, 6]. Le tecniche di posizionamento che prevedono l’esecuzione di procedure quali l’omentectomia, l’omentopessi [711], la tunnellizzazione nel retto o la fissazione intra-addominale, sembrano presentare una ridotta insorgenza di malfunzionamento [12, 13]. È opinione condivisa che il catetere peritoneale “ideale” dovrebbe quantomeno assicurare un rapido flusso bidirezionale senza comparsa di complicanze (leakage o infezioni) e che non esista in realtà una variante di catetere superiore all’altra, conferendo al nefrologo la scelta decisiva del tipo di catetere; queste caratteristiche sono sempre state tipiche del catetere originale di Tenckhoff e le sue varianti, proposte successivamente nel tentativo di ridurne le comunque possibili complicanze.

Accanto al classico catetere di Tenckhoff, ideato nel 1968, oggi troviamo tutta una serie di varianti che possono personalizzare la scelta del nefrologo. Il materiale usato è il silicone dotato di minor azione irritante rispetto al polivinile o altri materiali in precedenza utilizzati, atraumatico per i tessuti circostanti, morbido, flessibile e privo di plasticizzanti rilasciabili clinicamente dannosi. Nella forma per l’adulto la lunghezza complessiva è di circa 40 cm, strutturata in un segmento intraperitoneale diritto munito di multipli forellini, un segmento transparietale o intramurale, un segmento sottocutaneo ed un segmento esterno o extra-addominale; il diametro interno è di 2,6 mm; due cuffie di poliestere (Dacron), una profonda intramurale ed una superficiale sottocutanea, lo ancorano ai tessuti; una striscia radiopaca ne permette infine una facile identificazione radiologica in caso di dislocazioni o rotture accidentali. Nel corso degli anni sono state proposte numerose varianti tanto da avere attualmente a disposizione sul mercato diverse combinazioni per quanto riguarda il numero delle cuffie (1 o 2), la configurazione dell’estremità intraperitoneale diritta (straight) o a spirale (coiled), la conformazione del tratto sottocutaneo del catetere diritta o precurvata a “collo di cigno” (swan-neck), la presenza infine di dispositivi atti a impedire la dislocazione del tratto intraperitoneale. Una variante ampiamente usata è, appunto, il catetere Swan-Neck, ovvero un Tenckhoff classico caratterizzato tuttavia da una precurvatura del tratto sottocutaneo compreso fra le due cuffie con un angolatura di 170°-180°, tale da ricordare la sinuosità del collo di cigno che consente di direzionare verso il basso l’uscita del catetere agevolando il drenaggio verso l’esterno di eventuali secrezioni, riducendo così le complicanze infettive dell’exit site ed annullando la memoria elastica del catetere riducendo la dislocazione. Un’altra variante è il catetere Toronto Western Hospital (TWH), un Tenckhoff caratterizzato dalla presenza di due dischi di silicone posizionati perpendicolarmente nell’ultima porzione del tratto intraperitoneale del catetere con il duplice scopo di tenere lontani l’omento e le anse intestinali dai forellini di deflusso e di minimizzare la migrazione del tip; gli svantaggi includono una maggiore difficoltà nell’impianto e nella rimozione del catetere dell’estremità intraperitoneale e l’estrusione della cuffia superficiale. Altra variante il catetere a T di Ash e Janlel, con una porzione intraperitoneale, posizionata a contatto con il peritoneo parietale e che presenta, anziché i forellini laterali, 8 ampie scanalature a becco di flauto; le scanalature e la forma a T garantirebbero rispettivamente un miglior flusso e minori problemi di dislocazione. Altra variante è il catetere autolocante di Di Paolo, un Tenckhoff diritto caratterizzato da un piccolo cilindro di tungsteno dal peso di 12 grammi incorporato nell’estremità intraperitoneale del catetere; un tale “appesantimento” ne impedirebbe la dislocazione al di fuori della pelvi ma protrebbe provocare decubito. Un aspetto che sicuramente incide sulla scelta del tipo di catetere è la sua lunghezza che può variare in funzione della conformazione fisica del paziente: il catetere Swan-Neck, indicato nei pazienti obesi, con uscita presternale è una variante con estremità a spirale, composto da due cateteri in silicone collegati fra di loro in modo termino-terminale da un raccordo di titanio: la parte inferiore costituisce il segmento intra-addominale e parte del segmento intramurale, quello superiore o toracico costituisce la rimanente parte del segmento intramurale e tutto il tunnel sottocutaneo dotato di 2 cuffie di Dacron. Altra variante è il Vicenza cath, un catetere di Tenckhoff diritto a doppia cuffia caratterizzato da una minor lunghezza del tratto intraperitoneale (8 cm vs 15 cm) rispetto al modello originale, ideato dal gruppo di Vicenza ed indicato per l’infissione in sede sovrapubica nell’intento di limitare il rischio di intrappolamento omentale e sua dislocazione.
Oltre alla sede dell’exit-site e al tipo di catetere, è l’omento che gioca un ruolo fondamentale sia per la dialisi peritoneale che per l’equilibrio della cavità addominale e dei suoi visceri. Esso è una formazione sierosa che avvolge gli organi addominali e si distingue in “grande omento” (o grande epiploon o epiploon gastro-colico), plicatura del peritoneo viscerale ed infiltrato di adipe estesa dallo stomaco al colon trasverso che ricopre la massa intestinale a guisa di grembiule, e “piccolo omento” che unisce lo stomaco al fegato.
Il piccolo omento stabilizza i vari organi e veicola alcuni vasi (arteria epatica, dotto coledoco, vena porta). Il grande omento costituisce, invece, una sorta di lamina ventrale che protegge tutti o buona parte degli organi della cavità addominale. Un’anamnesi attenta può essere importante per identificare cause di malfunzionamento come la presenza di costipazione, di frustoli di fibrina e di liquido peritoneale ematico durante lo scarico. Inoltre, la stessa posizione che il paziente deve assumere per evitare problemi di drenaggio può essere indicativa della posizione del catetere all’interno della cavità addominale. Una radiografia dell’addome in proiezioni antero-posteriore e laterale ed, eventualmente, anche in posizione supina, è necessaria per verificare la posizione del catetere e per confermare il sospetto di una sua dislocazione o angolazione e per evidenziare un intasamento fecale del colon. In generale, le metodiche di salvataggio del catetere peritoneale malfunzionante possono essere distinte in tecniche non invasive, o conservative, e tecniche invasive che necessitano di un intervento chirurgico. Tra quelle non invasive, l’uso di lassativi (polietilenglicole, macrogol, etc.), favorendo la motilità intestinale, può aiutare a riportare alla posizione ideale il catetere peritoneale. Sempre tra quelle non invasive, nel caso in cui ci siano problemi di carico/scarico legati ad ostruzione intraluminale certa o sospetta, talvolta sono efficaci le manipolazioni intraluminali come l’introduzione di liquido di dialisi a pressione positiva, l’introduzione di eparina o di urochinasi [14] o di spazzolini endoscopici, cateteri ureterali o del catetere di Fogarty. In quelle invasive, la videolaparoscopia rappresenta l’unica vera metodica che rileva in modo diretto le cause di malfunzionamento del catetere peritoneale e permette inoltre una precoce ripresa della dialisi rispetto alla procedura laparotomica in relazione alla sua mininvasività. Quelle riscontrate sono, con frequenza decrescente, l’avvolgimento del catetere tra le anse intestinali e l’omento (omental wrapping) [1518], la dislocazione del catetere, la combinazione di wrapping e dislocazione, l’occlusione del catetere da tappo di fibrina, le aderenze tra l’intestino e la parete addominale, l’occlusione del catetere da appendici epiploiche o da tessuto annessiale. Una neoformazione tissutale endoperitoneale che avvolge ed ostruisce il catetere peritoneale viene riscontrata solo occasionalmente. Una recente revisione sistematica, attraverso una ricerca bibliografica su Medline, EMBASE, Scopus e Cochrane Library ed in accordo con la Cochrane Collaboration, nel febbraio 2021 ha posto l’attenzione su pazienti sottoposti ad inserimento del catetere peritoneale con e senza manipolazione omentale. I risultati, comunque correlati da bassa a moderata qualità dei dati, hanno messo in evidenza che la manipolazione omentale eseguita al momento dell’inserimento del catetere peritoneale, attarverso tecniche di videolaparoscopia, conferisce benefici in termini di ridotta ostruzione e fallimento che ne richiedano successivamente la rimozione [19].

 

Caso clinico

Riportiamo il caso clinico di un paziente di sesso maschile, di etnia africana, di 48 anni, lavoratore metalmeccanico con una storia anamnestica di gozzo multinodulare tossico dall’età di 36 anni ed ipertensione arteriosa nota dall’età di 43 anni. Nel maggio 2021 aveva riscontrato un quadro di malattia renale cronica IV, sino ad allora misconosciuta, da causa ignota (reni ecograficamente piccoli) ma probabilmente ad etiologia nefroangiosclerotica. Ad inizio 2022 aveva rifiutato di iniziare il trattamento emodialitico presso altro centro per poi essere costretto, dopo pochi mesi, ad iniziare l’emodialisi attraverso un catetere venoso centrale temporaneo, sostituito dopo sole 48h dal suo posizionamento per infezione da S. aureus. Il paziente veniva trasferito per competenza territoriale presso il nostro centro per proseguire l’emodialisi e lo stesso, nel corso di un nostro colloquio predialisi, aveva accettato di intraprendere la strada della dialisi peritoneale, data la giovane età ed il tipo di lavoro. Contemporaneamente alla decisione di essere valutato per la dialisi peritoneale, il paziente accettava di iniziare tutti gli esami strumentali ed ematochimici valevoli per il potenziale inserimento in lista d’attesa per trapianto di rene da donatore cadavere (non erano disponibili potenziali donatori viventi). A seguito di riscontro di tampone cutaneo e nasale positivi allo S. aureus, veniva preventivamente sottoposto a terapia antibiotica (vancomicina ev in centro dialisi), anche propedeutica al successivo posizionamento del catetere peritoneale. Dopo un paio di settimane di emodialisi nel nostro centro, veniva sottoposto ad intervento, in anestesia spinale ed in laparotomia, di posizionamento di catetere di Tenckhoff in fossa iliaca destra, con controllo, post procedura chirurgica, radiografico dell’addome che certificava il buon posizionamento dello stesso, in presenza di qualche piccolo frustolo di fibrina ai primi lavaggi successivi all’intervento. Dopo appena 5 giorni dall’intervento, si manifestavano i primi problemi nello scarico del liquido; un radiogramma dell’addome mostrava un corretto posizionamento del catetere in Douglas senza segni di coprostasi. Il lavaggio del cavo peritoneale con l’eparina prima e lo stazionamento dell’urochinasi poi, non sortivano alcun effetto positivo sulla ripresa del drenaggio peritoneale. La successiva radiografia con mezzo di contrasto (gastrografin) dimostrava, invece, l’ostruzione pressoché completa dei fori del catetere di Tenckhoff per cui si programmava un’intervento, in videolaparoscopia, nel corso del quale si provvedeva alla disostruzione del catetere con sbrigliamento omentale e rimozione di alcuni piccoli frammenti di omento all’interno del lume del catetere stesso. Il successivo lavaggio con soluzione eparinata, nei giorni successivi all’intervento, certificava il ritrovato funzionamento del catetere con l’inizio della APD dopo un paio di settimane. A distanza di poco meno di un mese dall’inizio della APD, si presentava un nuovo problema nello scarico del liquido; anche in questo caso la radiografia dell’addome non mostrava dislocamento del catetere né segni evidenti di coprostasi. Ripetuta radiografia addome con mezzo di contrasto, si dimostrava nuovo impaccamento del catetere con fuoriuscita di liquido solo dai primi fori prossimali del catetere. A questo punto il paziente veniva riportato in sala operatoria e sottoposto, sempre in videolaparoscopia, ad intervento di omentopessi (Fig. 1), con la fissazione, attraverso punti di sutura staccati, dell’omento alla parete anteriore del corpo e dell’antro dello stomaco (Fig. 2). Successivamente al secondo intervento, il paziente non ha mostrato ulteriori problemi di drenaggio del liquido peritoneale, potendo riprendere regolarmente la sua attività lavorativa da un lato e quella dialitica peritoneale con APD dall’altro.

Figura 1: Omento rovesciato su corpo gastrico.
Figura 1: Omento rovesciato su corpo gastrico.
Figura 2: Fissazione omento a corpo gastrico.
Figura 2: Fissazione omento a corpo gastrico.

 

Discussione

È indubbio il ruolo del nefrologo nella scelta del tipo di catetere peritoneale con le varianti disponibili in silicone, considerando che nessuna variante del catetere prevalga sull’altra; è altrettanto noto che il posizionamento e la revisione di un catetere peritoneale, o la pura presenza dello stesso, può comportare uno stimolo attivante la proliferazione fibrobastica con neovascolarizzazione, in qualche caso anche di tipo reazione da corpo estraneo [2021]. Il fenomeno può essere recidivante entro breve tempo. Nella gestione del malfunzionamento del catetere peritoneale l’intervento, molto spesso risolutivo (nel 90% circa dei casi), di una procedura invasiva quale è la videolaparoscopia, deve essere considerata dopo aver seguito una sequenza ben definita di procedure non invasive standardizzate. Probabilmente in pazienti selezionati giovani, l’approccio laparoscopico al posizionamento del catetere peritoneale, utilizzando manovre laparoscopiche standardizzate, può essere eseguito con successo con complicanze perioperatorie a breve e medio termine trascurabili e trascurabili tassi di mortalità [22]. In questo caso clinico, l’omento si è comportato come una calamita sul catetere peritoneale, avvolgendolo nella sua interezza ed invaginandosi al suo interno, attraverso i fori della parte finale del catetere, compromettendo la funzionalità della metodica. Sicuramente la giovane età del paziente e la presenza di fibrina, associati al malfunzionamento precoce della funzionalità del catetere potevano essere segnali premonitori su quanto stesse accadendo, sebbene il soggetto non rientrasse in ulteriori categorie a rischio, caratterizzate dalla presenza di diabete mellito pluricomplicato, presenza di epatite, anamnesi di malfunzionamento di accessi vascolari, forte abitudine tabagica o cardiopatia infartuale recente. Il primo sbrigliamento non è bastato a risolvere il problema e solo l’omentopessi, attraverso un secondo intervento in videolaparoscopia, con fissaggio dell’omento al corpo ed antro dello stomaco, ha potuto risolvere definitivamente la natura del malfunzionamento e far riprendere la dialisi peritoneale al giovane paziente, in attesa del trapianto di rene da donatore cadavere. Il caso clinico in questione fa riflettere sulla scelta della tipologia dell’intervento di posizionamento del catetere peritoneale in quei pazienti giovani con bassi fattori di rischio di malfunzionamento; un’iniziale approccio chirurgico laparoscopico, in anestesia generale, avrebbe consentito di evitare quella trafila chiurgica laparotomica mininvasiva resasi necessaria dopo gli episodi recidivanti, a breve distanza fra loro, di malfunzionamento, garantendo una visione più completa dell’anatomia addominale del paziente ed un più preciso posizionamento del catetere nello scavo del Douglas.

 

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Double purse-string craft around the inner cuff: a new technique for an immediate start of CAPD

Abstract

Background: In order to minimize the risk of leakage and displacement, international guidelines recommend that catheter insertion should be performed at least 2 weeks before beginning CAPD. However, the optimal duration of the break-in period is not defined yet. 

Methods: From January 2011 to December 2018, 135 PD catheter insertions in 125 patients (90 men and 35 women, mean age 62,02 ± 16,7) were performed in our centre with the double purse-string technique. Seventy-seven straight double-cuffed Tenckhoff catheter were implanted semi-surgically on midline under umbilicus by a trocar and 58 were surgically implanted through rectus muscle. In all patients CAPD was started within 24 hours from catheter placement, without a break-in procedure. We recorded all mechanical and infective catheter-related complications during the 3 first months after initiation of CAPD and the catheter survival rates.

Results: During the first 3 months the overall incidence of peri-catheter leakages, catheter dislocations, peritonitis and exit-site infections was 2,96% (4/135), 1,48% (2/135), 10.3% (14/135) and 2.96% (4/135), respectively. No bleeding events, bowel perforations or hernia formations were reported. The catheter survival censored for deaths, kidney transplant, loss of ultrafiltration and inability was 74,7% at 48 months. There was no difference in the incidence of any mechanical or infectious complications and catheter survival between the semi-surgical and the surgical groups. 

Conclusions: Double purse-string technique allows an immediate start of CAPD both with semi-surgical and surgical catheter implantation. This technique is a safe and feasible approach in all patients who refer to peritoneal dialysis. 

 

Keywords: continuous ambulatory peritoneal dialysis, CAPD, peritoneal catheter, break-in time, infective catheter-related complications, double purse-string technique

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Introduzione

Sebbene la dialisi peritoneale ambulatoriale continua (CAPD) possieda diversi benefici rispetto all’emodialisi (HD), quali una maggiore adattabilità agli stili di vita individuali, una più lunga conservazione della diuresi residua [1,2], una maggiore sopravvivenza nei primi anni di terapia [3,4] e un minore costo economico [5,6], in Italia solo il 13% circa dei pazienti incidenti sono trattati mediante dialisi peritoneale (PD), mentre la prevalenza si attesta intorno al 9.5% [7]. I più recenti dati USA riportano un’incidenza e una prevalenza perfino minori, 9.7% e 7%, rispettivamente [8]. Le ragioni di questo sottoutilizzo sono molteplici: la poca dimestichezza ed esperienza con la metodica da parte dei professionisti, l’errata credenza di inferiorità della CAPD in termini di morbilità e mortalità (elevato timore delle complicanze infettive e convinzione della ridotta sopravvivenza del paziente), la percezione dell’inadeguatezza depurativa delle piccole molecole e infine, in termini economici, un minor rimborso per le strutture sanitarie se confrontato con l’emodialisi.  

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Pragmatic study on the role of ultrasounds in the management infectious complications of peritoneal catheter

Abstract

The role of ultrasound (US) is extremely important in the early detection (diagnosis) of peritoneal catheter tunnel infection (TI) in subjects with catheter exit-site infection (ESI), also for the therapeutic follow up of tunnel infection and in particular to evaluate (assess) the prognosis in cases of deep infection. ESI is the major cause of peritonitis because it is associated to bacterial migration and overgrowth which involve deep cuff and then the tunnel. The use of US is now widely recognized, it allows the identification of persistent foci as hypoechoic pericatheter areas and specially to evaluate response to antibiotic therapy.  Between January 2012 and Dicember 2015 eight patients with infectious complication (ESI-PERITONITIS) underwent to US- Color Doppler examination of peritoneal catheter.

This study describes how peritoneal catheter follow up associated to color Doppler can prevent peritonitis ESI correlated, because the use of color Doppler allows to differenziate exudative areas from those areas of intense vascular proliferation, suggesting timing for cuff shaving surgery and external cuff removal, to prevent infectious propagation, potential peritonitis, as well as to save catheter.

Key words: COLOUR DOPPLER ULTRASOUND, EXIT SITE INFECTIONS, ULTRASOUND IN PERITONEAL DIALYSIS

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Introduzione

L’utilizzo degli US è di importanza essenziale per la diagnosi precoce di coinvolgimento del tunnel nei pazienti portatori di catetere peritoneale con infezione dell’Exit Site (ESI), per il follow up terapeutico dell’infezione del tunnel (TI) e soprattutto per valutare la prognosi nei casi di infezione profonda(10). L’infezione dell’Exit Site è tra le principali cause di peritonite, in quanto è frequente l’invasione dei batteri della cuffia profonda per la propagazione attraverso il tunnel sottocutaneo.   L’ecografia del tunnel rappresenta oggi un esame insostituibile per scoprire la sorgente d’infezione nei pazienti con peritonite (1,3,4).  In questo studio i pazienti in dialisi peritoneale, in corso di ESI o di peritonite venivano sottoposti ad una valutazione ecografica del catetere peritoneale dall’emergenza fino alla cuffia profonda(8).  La presenza di eritema e secrezione purulenta intorno all’emergenza fa porre diagnosi clinica di infezione dell’exit site (Fig 1), la presenza di eritema e edema cutaneo lungo il decorso del catetere fa diagnosticare l’infezione del tunnel. L’esame ecografico, in caso di infezione del tunnel consente di scoprire con facilità di esecuzione e con alta sensibilità anche piccole aree di raccolta liquida, lungo tutto il decorso sottocutaneo: l’ES, la regione della cuffia esterna, il tratto intercuffie, fino alla cuffia profonda (Fig 2, Fig 5).  Il controllo ecografico ed eco color Doppler del catetere peritoneale è oggi ampiamente riconosciuto, in corso di ESI e consente di identificare i foci persistenti d’infezione come aree ipoecogene pericatetere e soprattutto permette di verificare la risposta alla terapia antibiotica (5, 6). Infatti in corso di terapia, la persistenza o la non riduzione delle aree ipoecogene depone per una cattiva prognosi, cronicizzazione dell’infezione dell’ES e alto rischio di peritonite (1, 4, 6).
 

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