Aging e rene – Il trapianto renale con donatore deceduto anziano

Abstract

Con l’incremento dei pazienti in attesa di trapianto renale senza un concomitante aumento del numero di donatori disponibili si è reso necessario di allargare progressivamente in criteri di accettazione del donatore deceduto sia in termini di età che di caratteristiche cliniche con ovvie conseguenze in termini di qualità dei reni a disposizione. Infatti con l’età vi è una riduzione del filtrato glomerulare a cui si aggiungono ulteriori “danni” a carico dell’organo di varia natura sia pre-esistenti che al momento del trapianto. Il donatore anziano è pertanto da tempo definito come marginale o subottimale con criteri di allocazione ben definiti che si sono modificati nel corso del tempo a partire dalla prima definizione del 1999 (cosiddetti criteri di Crystal City) fino ai più recenti algoritmi (KDRI/KDPI).

Per ridurre il tasso di scarto di tali organi ed al tempo stesso assicurare buoni tassi di sopravvivenza per i riceventi sono state utilizzate differenti strategie a partire dalla valutazione del donatore (includendo l’analisi istologica pre-trapianto), alla gestione del prelievo e del trapianto e al follow up dei riceventi. Nel presente articolo si analizzano tali strategie nel dettaglio e per ognuna si pone l’accento su punti di forza e criticità nonché su come siano state utilizzate nelle differenti realtà trapiantologiche. Un capitolo peculiare è dedicato al doppio trapianto renale ed alla sua evoluzione nel tempo. Nella parte finale si mette in evidenza l’esperienza del centro Torinese nella gestione dell’allocazione dei reni marginali con riferimento anche all’andamento del ricevente nel lungo termine.

In conclusione gli autori confermano la tesi sostenuta da molti autori che propongono il trapianto di rene da donatore deceduto anziano come un’alternativa valida per utilizzare al meglio il pool di organi disponibili riducendo la “discard rate” e assicurando accettabili tassi di sopravvivenza per i riceventi (seppure come ovvio inferiori a quelli ottenibili con donatori standard). L’ottenimento di tali risultati non può prescindere da strategie dedicate e da un approccio multidisciplinare oltre che dal costante aggiornamento dei clinici coinvolti.

Parole chiave: trapianto renale, donatore deceduto anziano, criteri di allocazione, doppio trapianto.

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Introduzione

È un dato ben noto che si assiste nel mondo ad una crescita dei pazienti in lista per trapianto di rene, determinata dall’aumento di incidenza della malattia renale e dall’allargarsi delle indicazioni alla sostituzione naturale dell’organo in associazione al restringersi dei limiti dovuto al progresso della medicina in generale e della trapiantologia in particolare. 

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Waiting time on dialysis for active access to renal transplantation: a multicenter cross-sectional study in Lombardy

Abstract

Background: The amount of time spent in dialysis waiting for a renal transplantation significantly affects its outcome. Hence, the timely planning of patients’ transplant evaluation is crucial. According to data from the Nord Italia Transplant program (NITp), the average waiting time between the beginning of dialysis and the admission to the regional transplant waiting list in Lombardy is 20.2 months.

Methods: A multicenter cross-sectional study was conducted in order to identify the causes of these delays and find solutions. Two questionnaires were administered to the directors of 47 Nephrology Units and to 106 patients undergoing dialysis in Lombardy respectively, during their first visit for admission to the transplant waiting list.

Results: The comparative analysis of the results revealed that both patients (52%) and directors (75%) consider the time required for registering to the waiting list too long. Patients judge information about the transplant to be insufficient, especially regarding the pre-emptive option (63% of patients declare that they had not been informed about this opportunity). Patients report a significantly longer time for the completion of pre-transplantation tests (more than 1 year in 23% of the cases) compared to that indicated by the directors.

Conclusions: The study confirmed the necessity of providing better and more timely information to patients regarding the different kidney transplantation options and highlighted the importance of creating target-oriented and dedicated pathways in all hospitals.

 

Keywords: Renal transplantation, waiting list, active access to renal transplantation, questionnaire, Lombardy region

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Introduzione

Esiste un generale consenso sul fatto che il trapianto renale rappresenti, per i candidati idonei, la scelta migliore in termini di qualità di vita [13] e di sopravvivenza [45]. Il trapianto rappresenta un vantaggio anche in termini economici, in quanto i costi della dialisi sono superiori a quelli del follow-up dei pazienti portatori di trapianto [67]. Il tempo di attesa in dialisi influisce significativamente sia sui risultati del trapianto sia sullo sviluppo di comorbidità [811]. Data la scarsa disponibilità di organi da donatore deceduto, il trapianto da vivente è un’opzione valida. [12]. 

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Correction of secondary hyperparathyroidism with paricalcitol in renal transplant improves left ventricular hypertrophy

Abstract

Background – Left ventricular hypertrophy (LVH) is common in renal transplant recipients (RTRs), and persistent secondary hyperparathyroidism (SHPT) is considered to be one of the main causes of its pathogenesis. In this study we evaluated if the control of SHPT with paricalcitol is associated with a reduction of LVH in RTRs. Methods – For this purpose we selected 24 RTRs with LVH and SHPT . Secondary hyperparathyroidism was defined as PTH levels 1.5 times higher than the high normal limits, while LVH was defined as a left ventricular mass index (LVMi) >95g/m2 in females, and >115g/m2 in males. Treatment with paricalcitol started at mean dose of 1µg/day and lasted 18 months. The dose of paricalcitol was reduced to 1µg on the other day when serum calcium was >10.5mg/dl and/or fractional excretion of calcium was >0.020%; administration was temporarily stopped when serum calcium was >11 mg/dl. Results – At follow-up PTH levels decreased from 198 ± 155 to 105 ± 43pg/ml (P < .01), and LVMi decreased from 134 ± 21 to 113 ± 29g/m2 (P < .01); the presence of LVH decreased from 100% at baseline to 54% at F-U. Serum calcium levels showed a modest and not significant increase. Renal function was stable in all patients. Conclusions – Secondary hyperparathyroidism seems to play an important role in the development and maintenance of LVH and its correction with paricalcitol has a favorable impact on its progression.

Keywords: left ventricular hypertrophy; parathormone; paricalcitol; renal transplantation; secondary hyperparathyroidism

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INTRODUZIONE

La patologia cardiovascolare rimane una delle principali cause di morbilità e mortalità nel paziente portatore di trapianto renale (1). L’ipertrofia ventricolare sinistra (IVS) è uno dei principali reperti ecocardiografici nel trapianto renale riscontrandosi in circa il 50-70% di questi pazienti (2). L’evoluzione della IVS dopo trapianto renale rimane controversa.  

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Diagnosis of Biliary Hamartomatosis in Kidney Transplant Recipient affected by ADPKD

Abstract

Biliary hamartomas (BH) are rare benign lesions of the liver characterized by a dilation of a variable number of small biliary ducts, usually surrounded by abundant fibrotic tissue. These malformations are due to an aberrant remodelling of the ductal plate, that is the embryonic structure generating the normal biliary tree. BH are usually asymptomatic, but in rare cases they can be associated with jaundice, heartburn and fever. Evidences for a sharing of similar pathological pathways between BH and adult dominant polycystic kidney disease (ADPKD) are widely reported. These similarities induce an increased neoplastic risk transformation in both conditions. This risk is even greater in immunosuppressed patients. The diagnosis of BH by imaging is not easy, especially in the context of ADPKD. We present a clinical case of a 54-year-old kidney transplant recipient affected by ADPKD in which BH, previously undetected, was for the first time suspected on routine ultrasound scan and confirmed with MRI 4 years after renal transplantation. Demodulation of proliferative signals induced by immunosuppressive therapy, and particularly by calcineurin inhibitors, could cause an enlargement of AB and increase the risk of neoplastic transformation. Our case-report suggests a close imaging follow-up may be needed in ADPKD patients with BH, especially if transplanted. High sensitivity techniques, such as CEUS and MRI, should be preferred to conventional ultrasound.

Keywords: Biliary Hamartomatosis, Kidney Transplant, ADPKD

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Introduzione

Gli amartomi biliari (AB), anche conosciuti come complessi di von Meyenburg, sono rare malformazioni benigne dei dotti biliari di piccolo calibro che, senza predilezione di sesso, vengono riscontrati nel 5.6% delle autopsie e rappresentano un reperto ancor più raro nella analisi istologica delle biopsie epatiche (0.6%) (1). 

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Bardet-Biedl syndrome and Kidney failure: a case report

Abstract

Bardet-Biedl Syndrome (BBS) is a rare multi-systemic disease with autosomal recessive transmission. BBS was at first considered to be homogeneous as for its genetics, but subsequent studies have shown an extensive gene variability. Currently, 21 genes (BBS1-21) present on different chromosomes have been mapped: these genes are responsible for BBS phenotypes and they show a great heterogeneity of mutations.The most common genes are BBS1 (locus 11q13) and BBS10.We show here the case of a 50 year old patient with BBS. Medical History: retinitis pigmentosa at 4 years of age evolved to complete blindness, generalized epilepsy crises, poly-syndactyly, left-hand malformation. In April 1986 developed an epileptic episode: on that occasion Chronic Kidney Failure (CKF) diagnosis and starting of haemodialysis. In 1989, hospitalization for epileptic seizures. In 2009 the patient underwent kidney transplantation from deceased donor. Immunosuppressive initial protocol: Basiliximab, Azathioprine, Tacrolimus, Steroid, and Tacrolimus, Azathioprine, Steroid at hospital discharge. Post-operative care complicated by respiratory failure with mechanical ventilation assistance. During hospitalization, the neurological picture remained stable. At hospital discharge Creatinine 1.8 mg/dl. Subsequently, immunosuppressant were gradually tapered until monotherapy with Tacrolimus. At present the patient’s conditions appear to be good, renal function has remained substantially stable with Creatinine between 1.4-1.5 mg/dl and glomerular filtration rate (GFR) estimated at 39-42 mL/min/1.73 m2 according to MDRD study Equation. This case shows the possibility to successfully manage a BBS-affected uremic patient, despite the complexity of the pathology and the aggravating factor of extreme rarity in diagnostic pathway.

 

Keywords: Bardet-Biedl syndrome (BBS), renal failure, renal transplantation

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Premessa

La sindrome di Bardet-Biedl (BBS) è una rara malattia multi-sistemica a trasmissione autosomica recessiva, con incidenza sconosciuta e con prevalenza che varia da 1: 140000 a 1: 160000 nati vivi in Europa ed in Nord America (1), nel rapporto del Centro Nazionale malattie rare del 2012 (Rapporti Istisan 15/18) ne vengono segnalati 40 casi su tutto il territorio nazionale. Descritta per la prima volta da Georges Louis Bardet, e Arthur Biedl nel 1920 (2), veniva dapprima ritenuta omogenea dal punto di vista genico, mentre studi successivi hanno poi evidenziato un’estesa variabilità genica. Attualmente sono stati mappati 21 geni (BBS1-21) (3) presenti su diversi cromosomi responsabili di fenotipi della BBS, con grande eterogeneità di mutazioni (4, 5). Fra questi i più comuni sono il BBS1 (locus 11q13), infatti una sua mutazione missense è frequentemente associata a BBS ed il BBS10; ma possiamo citare fra gli altri il BBS2 (locus 16q21), il BBS3 (locus 3p13-p12), il BBS4 (locus 15q22.3-q23), il BBS5 (locus 2q31) ed il BBS6/MKKS (locus 20p12) (6, 7).

È stato recentemente suggerito che tre alleli mutati (due in un locus e un terzo in un altro) possano essere richiesti per la manifestazione di BBS (eredità triallelica o eredità recessiva con un gene modificatore di penetranza): tale ipotesi per quanto interessante, non trova però un unanime consenso in letteratura. Le mutazioni del BBS6/MKKS (codificante una proteina simile alla famiglia delle chaperonine) sono causa della sindrome di McKusick-Kaufman (MKKS), particolarmente diffusa fra la popolazione Amish degli USA (mutazioni H84Y e A242S), che viene considerata una variante della BBS, caratterizzata da idrometrocolpo, polidattilia postassiale ed occasionalmente cardiopatie congenite (8). Un recente studio riguardante venticinque pazienti italiani con BBS ha evidenziato che i principali geni causali della BBS nella nostra popolazione sono il BBS1, il BBS2 ed il BBS10. Il gene mutato più frequente, in linea con i dati internazionali, è il BBS1, ma il BBS10 presenta un’alta prevalenza per dismorfismo e disfunzione renale, correlante con una più grave compromissione della funzione renale (9). La BBS viene riconosciuta come appartenente al gruppo delle ciliopatie (10). Fra le varie forme di ciliopatia ricorre la Nefronoftisi (NPHP) che può essere associata alla retinite pigmentosa nella Senior-Løken Syndrome (SLS) (11), e la Sindrome di Mainzer-Saldino, facente parte di un gruppo di malattie denominate sindromi conorenali, caratterizzate da epifisi a forma di cono, insufficienza renale, retinite pigmentosa ed atassia cerebrale (12).

La BBS è una patologia sistemica caratterizzata da una serie di segni e sintomi spesso eterogenei, fra i principali ricordiamo il ritardo mentale, la retinite pigmentosa, la polidattilia e la sindattilia, l’ipogonadismo, l’obesità, il sovrappeso e l’insufficienza renale (13, 14). Si è giunti quindi a classificare queste espressioni della malattia in criteri diagnostici principali, secondari e manifestazioni ancillari come viene dettagliatamente descritto da Beales et al (15). Nello stesso lavoro venivano suggerite delle modifiche al numero dei criteri richiesti per porre diagnosi di BBS, passando dalla presenza di quattro su cinque principali (con l’IRC non compresa fra questi) precedentemente proposti da Schachat e Maumenee (16) a quattro principali su sei (con l’inserimento dell’IRC) oppure tre principali e due secondari (Tabella 1, Tabella 2).

Si rileva che le alterazioni strutturali renali sono molto frequenti e le anomalie funzionali più comuni sono il difetto di concentrazione delle urine e l’insufficienza renale cronica, mentre anomalie urinarie quali la proteinuria e l’ematuria sono infrequenti, come si evince fra l’altro dai recenti lavori di Zacchia e Zona.

Tali autori sottolineano che l’ipostenuria è di origine renale ed è desmopessina resistente. Essa si accompagna frequentemente ad un difetto nella capacità di diluire le urine. Tale doppio difetto di concentrazione e diluizione è correlato ad un’abolizione della regolazione dell’escrezione urinaria del canale dell’acqua Acquaporina 2 (AQP2) rispetto allo stato di idratazione, indicando che un difettoso traffico di AQP2 possa esserne la causa (17, 18).

Fra le varie manifestazioni della malattia, quelle a coinvolgimento renale presentano il maggior impatto in termini di morbilità e mortalità attraverso lo sviluppo di malattia renale cronica (CKD) (19). In uno studio su 350 pazienti con BBS effettuato nel Regno Unito si riscontrava che il 31% dei bambini ed il 42% degli adulti evolveva in CKD. In accordo con la classificazione KDOQI, il 6% dei bambini e l’8% degli adulti erano in stadio 4-5. Nei bambini la CKD è stata spesso diagnosticata entro il primo anno di vita; in generale poi si manifestava un danno strutturale renale evidenziabile ecograficamente nel 51% dei pazienti ed oltre il 35% degli adulti era iperteso. La presenza di anomalie strutturali renali associato ad ipertensione trattata farmacologicamente correla statisticamente con sviluppo di CKD in stadio 3b-5 (20). La classificazione delle manifestazioni cliniche della BBS è estremamente complessa ed ancora non completamente chiarita. Recentemente la sindrome è stata divisa in due varianti: la Laurence-Moon syndrome (LMS) e la BBS propriamente detta. L’assenza di obesità nella LMS e la presenza di polidattilia nella BBS permettono di distinguere le due malattie, anche se tali criteri classificativi sono in realtà considerati lacunosi ed ancora oggetto di studio.

 

Caso clinico

 Presentiamo il caso di una paziente di cinquant’anni, caucasica, con diagnosi di BBS effettuata nel 1986 a diciannove anni, il ritardo diagnostico (l’età media di identificazione della malattia è nove anni) riteniamo sia da attribuirsi alla scarsa conoscenza della BBS. In anamnesi familiare: una sorella con BBS deceduta, un fratello in buona salute, la cui mappatura cromosomica non evidenziava alcuna anomalia.

In anamnesi patologica remota: poli-sindattilia, malformazione alla mano sinistra con bifidità distale del terzo metacarpo (a due anni intervento chirurgico di riduzione della poli-sindattilia), a quattro anni retinite pigmentosa evoluta fino alla completa cecità, crisi comiziali generalizzate, a sedici anni episodio di paralisi del nervo facciale. Presenza di nistagmo pendolare da cause extraneurologiche, atassia del tronco e della marcia. Il quoziente intellettivo (Q.I.) valutato con il test Wechsler per adulti, relativo alle sole prove verbali, a causa del marcato deficit visivo della paziente (che impediva la raccolta delle prove non verbali), evidenziava un’intelligenza al limite della deficitarietà (Q.I: 74) (21). HCV positiva. Presenta inoltre una condizione di sovrappeso, con Body Mass Index (BMI) calcolato con il metodo di Du Bois di 27.11 kg/m2.

Sono riassunti nella Tabella 3 i criteri principali, secondari e manifestazioni ancillari presentati dalla paziente.

Nell’Aprile del 1986 veniva ricoverata presso un reparto di neurologia in seguito all’insorgenza di crisi comiziali generalizzate. In tale occasione si riscontrava per la prima volta uno stato di uremia terminale (Creatininemia 5.86 mg/dl, con GFR stimato con la formula MDRD di 9.8 mL/min/1.73 m2); tale condizione era confermata da un’ecografia addome dove i reni apparivano bilateralmente di volume ridotto con diffusa alterazione del disegno ecostrutturale e con netto addensamento della componente parenchimale. La paziente non veniva sottoposta a biopsia renale, tale scelta riteniamo sia stata condizionata dal livello avanzato di IRC, dal ridotto volume renale e dal complesso quadro clinico generale. Avviava pertanto il trattamento sostitutivo con metodica emodialitica previo confezionamento di fistola artero-venosa (FAV) prossimale sinistra. Dal 1987 al 1989 si segnalano frequenti episodi di anemizzazione trattati con terapia trasfusionale. Nel 1989 si rendeva necessario un nuovo ricovero per crisi comiziali, con avvio di terapia con Fenobarbital. Nel 2001 episodio di rettorragia con riscontro di fistola perianale alla commessura posteriore e diagnosi di colite ulcerosa. Nel Marzo del 2003 necessitava di una revisione chirurgica della FAV per trombosi, l’intervento non otteneva i risultati sperati, pertanto posizionava un catetere venoso centrale (CVC) in vena succlavia destra. Nel 2005 veniva sottoposta ad intervento di paratiroidectomia subtotale e timectomia parziale (all’esame istologico: iperplasia adenomatosa nodulare delle paratiroidi). A Gennaio 2007 creazione di FAV protesica con concomitante rimozione del CVC, complicatasi in sindrome da furto, con comparsa di lesioni ischemiche alla mano omolaterale e conseguente chiusura della FAV, si rendeva così necessario il posizionamento di un nuovo CVC tunnellizzato. Nel frattempo si procedeva all’immissione in lista attiva di trapianto renale.

Effettuava quindi un Trapianto renale da donatore cadavere il 31.01.2009. La terapia all’induzione prevedeva: Basiliximab, Azatioprina, Tacrolimus e Steroide. L’inserimento dell’Azatioprina in luogo del Micofenolato era motivato dall’anamnesi positiva per patologie gastroenteriche. Nel corso dell’intervento veniva eseguita un’endoarteriectomia con patch aortico per calcificazioni e reimpianto dell’arteria polare inferiore sull’arteria renale. Il Decorso post-operatorio era complicato da insufficienza respiratoria con necessità di ventilazione meccanica (cPAP); si segnala inoltre un episodio asintomatico di pancreatite acuta edematosa reattiva. Eseguiva una valutazione neurologica che esitava nella sostituzione del fenobarbital con sodio valproato; il quadro neurologico era comunque stabile con assenza di episodi epilettici. Veniva dimessa con indicazione a proseguire la terapia di mantenimento con Tacrolimus, Azatioprina e Steroide, la funzione renale stimata con la formula MDRD era di 32 mL/min/1.73 m2 con una creatinina di 1.8 mg/dl. A due mesi dal trapianto peggioramento funzionale renale con incremento della Creatininemia fino a 3.2 mg/dl con livelli di Tacrolimus tendenzialmente elevati (tacrolemia di 16 ng/ml con un level consigliato di 9-10 ng/ml). A Marzo 2009 riscontro di iperuricemia, pertanto per poter inserire l’allopurinolo in terapia si rendeva necessaria la sospensione dell’Azatioprina, e l’inserimento del Micofenolato sodico (al dosaggio di 360 mg x 2 die). La funzione renale continuava però a peggiorare nonostante la riduzione del dosaggio del Tacrolimus, con Creatinina incrementata fino a 3.6 mg/dl e GFR stimato con la formula MDRD di 14.7 mL/min/1.73 m2. Nel sospetto di tossicità da Tacrolimus si sospendeva la Ticlopidina in attesa di indagine bioptica e si riduceva il dosaggio del Micofenolato sodico a 360 mg/die per riscontro di leucopenia (Leucociti 2700/mm3). Al controllo successivo la Creatinina scendeva fino a 2.5 mg/dl e riavviava la Ticlopidina. Il decremento della creatinina non era però confermato negli esami dei dieci giorni successivi, infatti oscillava fra 3.1 e 3.6 mg/dl, si riprogrammava pertanto la biopsia renale. A quattro mesi dal trapianto effettuava un ricovero presso il nostro reparto di Nefrologia per un quadro di disidratazione secondaria a gastroenterite con peggioramento dei dati ritentivi renali: creatinina aumentata a 3.97 mg/dl; nel corso del ricovero non evidenza all’Ecodoppler di stenosi a carico del rene trapiantato, nulla di rilevante all’ecografia addome. Si riscontravano elevati livelli di tacrolimus (11.6 ng/ml, con un range di 8-10 ng/ml). Alle dimissioni comunque la creatininemia era scesa fino ad 1.4 mg/dl con risoluzione della sintomatologia gastroenterica. A Maggio del 2009 la paziente veniva comunque ricoverata presso il centro trapianti, ma vista la sostanziale stabilità della funzione renale (con Creatinina di 1.6 mg/dl) si decideva di non effettuare la biopsia, con l’indicazione di mantenere gli FK levels nell’intervallo compreso fra 8-10 ng/ml. Ad Ottobre del 2009 rimuoveva il CVC ad uso dialitico. Nel Novembre del 2012 insorgenza di focolaio broncopneumonico destro trattato con successo con chinolonico, con creatinina mantenutasi sempre stabile su livelli di 1.4-1.5 mg/dl. Ad Agosto del 2015 episodio di infezione delle vie urinarie da Proteus Mirabilis risolto con terapia antibiotica. Nel Gennaio del 2017 episodi di sanguinamento rettale, alvo alterno e calo ponderale, si richiedevano una visita proctologica e una colonscopia con diagnosi di recidiva di colite ulcerosa a localizzazione sinistra. Nel frattempo si è provveduto allo scalaggio degli immunosoppressori fino ad arrivare alla monoterapia con inibitore delle calcineurine. Attualmente le sue condizioni, compatibilmente con il quadro di base, appaiono buone, la funzione renale nell’ultimo anno si è mantenuta sostanzialmente stabile con creatinina oscillante fra 1.4-1.5 mg/dl ed un GFR stimato con la formula MDRD di 39-42 mL/min/1.73 m2.

 

Conclusioni

 Questo caso contribuisce a dimostrare la possibilità di gestire con successo il paziente uremico affetto da BBS e/o SLM, con particolare attenzione alla fattibilità del trapianto renale, nonostante la complessità della malattia nelle sue manifestazioni cliniche e l’ulteriore, potenziale, aggravante dell’estrema rarità, con le difficoltà diagnostiche intrinseche, con pochi casi descritti in letteratura.

La dialisi non pare porre particolari problemi, né per quanto riguarda l’allestimento di un accesso vascolare, né per la conduzione del trattamento in sé.

Anche la discreta durata del trapianto renale non sembra evidenziare problematiche peculiari nella gestione della terapia immunodepressiva, soprattutto per le interazioni con la terapia neurologica in corso.

 

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First case report of using Ofatumumab in kidney transplantation AB0 incompatible

Abstract

Modern methods for desensitization protocol rely heavily on combined apheresis therapy and Rituximab, a chimeric (murine and human) anti-CD20 antibody used in AB0 incompatible kidney transplants. Severe infusion related reactions due to the administration of Rituximab are reported in 10% of patients. These adverse reactions may hinder the completion of the desensitization protocol. Therefore, it’s useful to test alternative B cell depleting therapies. Our clinical case focuses on a 41-year-old male who developed an adverse infusion reaction following the administration of Rituximab and was given Ofatumumab as an alternative treatment.Ofatumumab is a fully humanized monoclonal anti-CD20 antibody. As a fully humanized antibody, Ofatumumab may avoid immunogenic reactions. The patient tolerated the administration of the drug showing no signs of adverse side effects and with good clinical efficacy. Our case report suggest that Ofatumumab is a valid alternative B cell depleting agent.

KEY WORDSOfatumumab, kidney transplant, AB0 incompatible

Introduction

Out of the millions of people who suffer from end stage renal failure worldwide every year, only a third are eligible for kidney transplants. The ability to perform transplants between donors and recipients with different blood types has increased the possibility of performing live donor transplants, made possible by effective new drugs being used during the desensitization process. Modern methods of desensitization are based on the application of apheretic techniques combined with immunosuppressive drugs such as Rituximab, a chimeric anti-CD20 antibody, which has a key role in B lymphocyte depletion. Severe infusion related reactions due to the administration of Rituximab are reported in approximately 10% of patients (1). Such reactions restrict the use of the drug. Therefore, it is common practice to test alternative B cell depleting therapies. We reported on the first clinical case of a patient undergoing desensitization protocol for kidney disease transplantation AB0 incompatible with Ofatumumab, a fully humanized monoclonal anti-CD20 antibody, given as an alternative B-cell depleting treatment.

 

Case report

A 41-year-old male diagnosed with end stage kidney disease due to nephroangiosclerosis was presented to our transplant center for live kidney donation accompanied by his mother: a potential, healthy, willing AB0 incompatible kidney donor. The patient was on regular, peritoneal dialysis for the last 18 months and also had ischemic heart disease treated with dual stent placement approximately one year before. Immunological tests [complement-dependent cytotoxicity lymphocytotoxicity crossmatches (CDC-LT, CDC LB), luminex DSA, Match-HLA], were performed in the recipients. Table 1 gives demographic and immunological data of the donor and recipient. After finding the donor and recipient eligible for transplantation, we proceeded with the desensitization protocol by using the Stockholm model (Tydel et al. AJ of Transplantation 2005; 5:145-148) (2) and the Johns Hopkins Hospital model (Montgomery et al. N Engl J Med 2011;365:318-326) (3) as a guideline. This protocol states that all AB0 incompatible recipients must have received the anti-CD20 antibody (Rituximab) for four weeks before the transplant. Then, two weeks before the patients must have received plasmapheresis to reduce the anti-ABO antibody. Most recipients received plasmapheresis 4 to 5 times (range, 2–9 times) until the isoagglutinin anti-ABO antibody ratio was ≤1:8.

The qualifying patient was admitted to our department and administered Rituximab (375 mg/m2 i.v.) as part of the desensitization protocol but despite the antihistamine, anti-inflammatory, and steroid i.v. premedication given prior (Methylprednisolone 250 mg, Chlorphenamine 10 mg and Paracetamol 1 g), he displayed an adverse infusion reaction: high fever, tremors, malaise and dyspnea.

Due to the impossibility of continuing the treatment with Rituximab, we decided to complete the procedure using another anti-CD20 antibody (Ofatumumab), after a period of clinical oversight. One month after the Rituximab reaction, the patient started a new desensitization therapy which consisted of Ofatumumab (300 mg i.v. 35 days before the transplant and 2000 mg i.v. 28 days before the transplant), six sessions of apheresis and a low dose intravenous immunoglobulin (0,5 g/Kg).

The intravenous dose of Ofatumumab was administered following doses of antihistamine, anti-inflammatory, and steroid i.v. premedication (Methylprednisolone 250 mg, Chlorphenamine 10 mg and Paracetamol 1 g). The patient tolerated the administration without reaction and it was possible to complete the cycle of desensitization without any side effects. The plasmapheresis sessions were performed on alternate days, up to the achievement of a sufficiently low antibody blood titer (≤1:8). In our clinical case six apheresis sessions (5 plasma-exchange and 1 cascade filtration) were necessary in order to achieve sufficiently low isoagglutinins levels and proceed to transplantation. The graphics 1 and 2 shows the pharmacological and apheresis procedural results: a progressive decrease in isoagglutinins levels.

The triple immunosuppressive therapy was started on the first day of the plasmapheresis through oral administration of Tacrolimus (0,15 mg/Kg/day), Mycophenolic Mophetil (1000 mg x 2/day) and Prednisone (25 mg/day). On the day of the renal transplantation Basiliximab, an anti-CD25 antibody, was administered at a dose of 20 mg i.v., and then readministered on the fourth post-operative day as induction therapy.

After the desensitization protocol the patient underwent a renal transplant from an incompatible living donor with no surgical complications. The target trough level for tacrolimus was 10-15 ng/mL during the early postoperative period, but this decreased to 6-10 ng/mL after 3 months. Trimethoprim-sulfamethoxazole was used for prophylaxis for Pneumocystis jiroveci pneumonia for 6 months. No prophylaxis for CMV was performed because the patient was CMV-IgG positive.

The clinical course was characterized by a good functional recovery with creatinine values that reached 1.6 mg/dl after 1 month. Levels of IgG isoagglutinin anti-B were rechecked periodically after transplantation, and were at 1:2. Six weeks after transplantation, the patient developed a symptomatic reactivation of the cytomegalovirus for which he is undergoing antiviral therapy.

 

Discussion

The percentage of severe infusion reactions following treatment with Rituximab is approximately 10%. Ultimately, this side effect restricts the use of the drug. Rituximab, a chimeric monoclonal antibody (murine and human), consisting of a glycosylated immunoglobulin with a constant region of human origin and a variable region sequence of murine origin (4). The study of anti CD20 alternative is important in order to find alternative treatment options. Currently, three fully humanized anti-CD20 antibodies are available: Ofatumumab, Obinutuzumab and Ocrelizumab (5). There is no experience in the use of these drugs in renal transplantation.

Ofatumumab is a human monoclonal antibody (IgG1) that binds specifically to an epitope encompassing both the small and large extracellular loops of the CD20 molecule. The binding of Ofatumumab to the membrane-proximal epitope of the CD20 molecule induces recruitment and activation of the complement pathway at the cell surface, leading to complement-dependent cytotoxicity and resultant lysis of cells (6, 7). It was also observed that Ofatumumab can induce lysis in cells Rituximab-resistant expressing CD20. As a fully humanized antibody, Ofatumumab may avoid immunogenic reactions (8).

Today Ofatumumab is approved and used in malignant hematological disorders with encouraging results especially in those patients resistant or intolerant to treatment with Rituximab (910111213). In immune-mediated pathologies, there are sporadic clinical cases in which Ofatumumab treatment was administered. These include studies on pediatric Rituximab resistant nephrotic syndrome (14), treatment of lupus nephritis (15) and vasculitis ANCA-associated (8). In all these trials the Ofatumumab had a good clinical efficacy and is tolerated well. This is the first use of Ofatumumab in kidney transplantation protocol and our case report suggests that is a valid alternative B cell depleting agent, especially in patients who are intolerant to Rituximab due to infusion related reactions. Further studies are needed to secure and define the role of Ofatumumab and other emerging anti-B cell therapies in kidney transplantation.

 

Reference

  1. Vogel WH, et al. Infusion reactions: Diagnosis, Assessment and Management. Clinical Journal of Oncology Nursing 2010, 10.1188/10.CJON.E10-E21
  2. Tyden G, et al. Implementation of a Protocol for ABO-Incompatible Kidney Transplantation – A Three-Center Experience With 60 Consecutive Transplantations. AJ of Trasplantation 2005; 5:145-148
  3. Montgomery RA, Lonze BE, King KE, et al. Desensitization in HLA-incompatible kidney recipients and survival. N Engl J Med 2011; 365:318-326
  4. Pescovitz MD. Rituximab an Anti-CD20 Monoclonal Antibody: History and Mechanism of Action Journal of Transplantation 2006; 6: 859–866
  5. Knepper TC, et al. Novel and expanded Oncology drug approvals of 2016-part 2: new options in the management of hematologic malignancies. Oncology, 2017, 15;31(2)
  6. Capuano C, Romanelli M, et al. Anti-CD20 therapy acts via Fc γRIIIA to diminish responsiveness of human natural killer cells. Cancer Reserch 2015, 75(19); 4097-108.
  7. Tomita A. Genetic and epigenetic modulation of CD20 expression in B-cell malignancies: molecular mechanisms and significance to rituximab resistance. J Clin Exp Hematop 2016, 56(2):89-99
  8. McAdoo SP, Bedi R, et al. Ofatumumab for B cell depletion therapy in ANCA-associated vasculitis: a single-centre series. Rheumatology 2016, 55:1437-1442
  9. Linden MA, Bachanova V, et al. Trasformed large B-cell lymphoma in rituximab-allergic patient with chronic lymphocytic leukemia after allogenic stem cell transplant: successful treatment with ofatumumab. Leuk Lymphoma 2013 January, 54(1): 174-176.
  10. Laurenti L, Innocenti I, et al. New developments in the management of chronic lymphocytic leukemia: role of ofatumumab. Onco Targets and Therapy 2016, 9 421-429
  11. Barth MJ, Mavis C, et al. Ofatumumab exhibits enhanced in vitro and in vivo activity compared to Rituximab in preclinical models of mantle cell lymphoma. Clinical Cancer Reserch 2015, 21(19) 4391-7
  12. Czuczman MS, Fayad L, et al. Ofatumumab monotherapy in rituximab refractory follicular lymphoma: results from a multicenter study. Blood 2012, 119(16):3698-3704
  13. Bologna L, Gotti E et al. Ofatumumab is more efficient than rituximab in lysing B chronic lymphocytic leukemia cells in whole blood and in combination with chemotherapy. The Journal of Immunology 2013, 190:231-239
  14. Biswanath Basu MD, et al. Ofatumumab for rituximab resistant nephrotic syndrome. The New England Journal of Medicine 2014, 370, 13.
  15. Loberg Haarhaus M, Svenungsson E, et al. Ofatumumab treatment in lupus nephritis patients. Clinical Kidney Journal 2016, vol.9, no. 4, 552-555

Novel antiviral agents for the treatment of HCV among renal transplant recipients

Abstract

The frequency of hepatitis C virus infection remains high in renal transplant recipients and plays a detrimental role on survival in this population. According to the latest evidence, the adjusted relative risk of mortality and graft loss for anti-HCV seropositive versus anti-HCV negative renal transplant recipients was 1.85 with a 95% confidence interval (CI) of 1.49; 2.31 (P < 0.0001) and 1.76 (95% CI, 1.46; 2.11) (P < 0.0001), respectively. Interferon-based regimens have been recommended for the treatment of hepatitis C after renal transplantation only in selected circumstances because of an increased risk of acute rejection due to the immuno-stimulatory properties of interferon. Limited data exist on the treatment of HCV with direct-acting antiviral agents among kidney transplant recipients. To date, the most important evidence comes from the European multicenter study where a large cohort (n=114) of patients with glomerular filtration rate of 40 mL/min/1.73m2 received an interferon-free, ribavirin-free combination of direct-acting antivirals (Ledipasvir/Sofosbuvir) for 12 or 24 weeks. A high efficacy [SVR12 rate, 100% (114/114)] was found even if three serious adverse were observed; all were determined to be treatment related, one patient interrupted permanently treatment. Also, single-center single-arm observational studies have reported high efficacy and safety of sofosbuvir-based combinations for the treatment of HCV after renal transplant. A decline in through levels of calcineurin inhibitors after completion of antiviral therapy has been found in many patients; an enhanced metabolism of calcineurin inhibitors associated with resolution of liver injury has been suggested. An effective and safe therapy for HCV in kidney transplant recipients might improve the current suboptimal utilization of HCV-positive kidney donors and provide many patients with end-stage renal disease access to HCV-infected donor kidneys.

Key-words Direct-acting antivirals; Hepatitis C; Renal transplantation; Sustained viral response

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Introduzione

L’infezione da virus dell’epatite C (HCV, hepatitis C virus) è una delle cause più importanti di malattia epatica; si calcola che circa il 3% della popolazione mondiale sia colpito da infezione cronica da HCV (185 milioni di persone nel mondo). L’infezione da HCV è attualmente la condizione più comune che porta al trapianto di fegato [1].

L’infezione acuta da HCV è frequentemente asintomatica ed è difficile da diagnosticare; essa può andare incontro a remissione spontanea, oppure progredire in una forma cronica di infezione (nel 50-90% dei casi). Tra i pazienti infettati da HCV che sviluppano un’infezione cronica, il 5-20% sviluppa cirrosi e l’1-5% muore di cirrosi o carcinoma epatocellulare.

L’obiettivo primario del trattamento dell’HCV è prevenire lo sviluppo della cirrosi e del carcinoma epatocellulare. Per molti anni, la combinazione di interferone pegilato (Peg-IFN) e ribavirina (RBV) è stata la terapia di scelta (terapia convenzionale) per i pazienti con infezione da HCV. Interferone e ribavirina sono entrambi farmaci con proprietà immunomodulante; interferone è stato raccomandato per la cura di HCV dopo il trapianto di rene solo in casi selezionati (epatite fibrosante colestatica e vasculite aggressiva) [2]. Infatti, l’uso di interferone dopo RT è frequentemente complicato da crisi di rigetto che sono spesso insensibili alla terapia steroidea e causano perdita completa di funzione dell’organo trapiantato. Inoltre, l’efficacia di IFN post-RT è limitata [2].
 

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Immunosuppression in kidney transplantation: a way between efficacy and toxicity

Abstract

Renal transplantation is the best treatment for patients with end-stage renal disease.

Over the last decades, the introduction of new immunosuppressive agents resulted into the reduction of the incidence of acute rejection and early graft loss. Despite this progress, there has been little improvement in the average life of the transplant.

The main reasons of late failure are patient’s death due to several complications (e.g. cancer, infectious or metabolic), and progressive deterioration of renal function caused by immunological and non-immunological factors.

The immunosuppressive therapy can be distinguished into two components: the induction therapy and the maintenance therapy. The former has the aim to implement intense and immediate immunosuppression. This therapy is mostly useful in transplant with high immunological risk, although it is correlated with an increased risk of cytopenias and viral infections.

The latter offers the rationale to prevent organ rejection and minimize drug toxicity. This is generally constituted by the association of two or three drugs with different mechanism of action.

The most common application of this scheme includes a calcineurin inhibitor in combination with an antimetabolite and a minimum dose of steroids.

Immunosuppressive therapy is also associated to an increased risk of infections and cancer development. For instance, each class of drugs is related to a different profile of toxicity.

The choice of treatment protocol should take into account the clinical characteristics of the donor and recipient. Furthermore, this treatment may change anytime when clinical conditions result into complications.

Key words: immunosuppressive protocols, immunosuppressive therapy, induction therapy, renal transplantation

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Introduzione

Il trapianto renale è la terapia che garantisce la maggior aspettativa di vita e la migliore qualità tra le terapie proponibili ai pazienti affetti da IRC terminale, con costi complessivamente ridotti rispetto alla dialisi [1234].

Nelle ultime due decadi, grazie alla progressiva conoscenza dei meccanismi alla base della risposta immune all’innesto nell’organismo di cellule e tessuti eterologhi (attivazione e proliferazione dei linfociti T e B, citochine e chemochine di segnale, attivazione del complemento), sono entrati nella pratica clinica agenti immunosoppressori in grado di bloccare a vari livelli la cascata della risposta immune e di ridurre più efficacemente l’incidenza di rigetto acuto e di perdita precoce del graft.

Nonostante la riduzione del tasso dei rigetti acuti e di fallimento precoce, vi sono stati solo limitati progressi nell’allungamento della vita media del trapianto. Le principali cause di fallimento tardivo sono la morte del paziente con rene funzionante per complicanze infettive, tumorali o metaboliche, eventi cardiovascolari ed il progressivo deterioramento della funzione renale causato sia da fattori immunologici (rigetto cellulare tardivo, rigetto anticorpo-mediato, recidiva di nefropatia autoimmune) che da fattori non immunologici (nefrotossicità da CNI o altri farmaci, diabete, ipertensione arteriosa, invecchiamento dell’organo).
 

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