Gennaio Febbraio 2019 - Articoli originali

Correction of secondary hyperparathyroidism with paricalcitol in renal transplant improves left ventricular hypertrophy

Abstract

Background – Left ventricular hypertrophy (LVH) is common in renal transplant recipients (RTRs), and persistent secondary hyperparathyroidism (SHPT) is considered to be one of the main causes of its pathogenesis. In this study we evaluated if the control of SHPT with paricalcitol is associated with a reduction of LVH in RTRs. Methods – For this purpose we selected 24 RTRs with LVH and SHPT . Secondary hyperparathyroidism was defined as PTH levels 1.5 times higher than the high normal limits, while LVH was defined as a left ventricular mass index (LVMi) >95g/m2 in females, and >115g/m2 in males. Treatment with paricalcitol started at mean dose of 1µg/day and lasted 18 months. The dose of paricalcitol was reduced to 1µg on the other day when serum calcium was >10.5mg/dl and/or fractional excretion of calcium was >0.020%; administration was temporarily stopped when serum calcium was >11 mg/dl. Results – At follow-up PTH levels decreased from 198 ± 155 to 105 ± 43pg/ml (P < .01), and LVMi decreased from 134 ± 21 to 113 ± 29g/m2 (P < .01); the presence of LVH decreased from 100% at baseline to 54% at F-U. Serum calcium levels showed a modest and not significant increase. Renal function was stable in all patients. Conclusions – Secondary hyperparathyroidism seems to play an important role in the development and maintenance of LVH and its correction with paricalcitol has a favorable impact on its progression.

Keywords: left ventricular hypertrophy; parathormone; paricalcitol; renal transplantation; secondary hyperparathyroidism

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INTRODUZIONE

La patologia cardiovascolare rimane una delle principali cause di morbilità e mortalità nel paziente portatore di trapianto renale (1). L’ipertrofia ventricolare sinistra (IVS) è uno dei principali reperti ecocardiografici nel trapianto renale riscontrandosi in circa il 50-70% di questi pazienti (2). L’evoluzione della IVS dopo trapianto renale rimane controversa. Alcuni studi riportano una significativa riduzione della IVS dopo trapianto renale, mentre altri non confermano questi risultati (34). La eziopatogenesi della IVS è multifattoriale ed include fattori di rischio tradizionali e non-tradizionali (5). Studi clinici e sperimentali ipotizzano un ruolo del paratormone (PTH) nello sviluppo e progressione della IVS. Nel ratto sono stati isolati recettori per il PTH in vari tessuti compreso quello miocardico (6). Il paratormone eserciterebbe un effetto trofico diretto sul miocardio dove giocherebbe un ruolo permissivo nella attivazione dei fibroblasti e nella genesi della fibrosi miocardica uremica (78). Studi sperimentali hanno chiaramente dimostrato una azione diretta degli attivatori dei recettori della vitamina D (VDRAs) sul miocardio dove ridurrebbero il processo ipertrofico (9). Studi clinici hanno mostrato che la paratiroidectomia, tanto nelle forme primitive quanto in quelle secondarie, così come il trattamento farmacologico con VDRAs dell’iperparatiroidismo secondario (IPS) sono in grado di ridurre l’IVS (1012). Tuttavia recenti studi clinici condotti in pazienti con malattia renale cronica stadio 3-5 non hanno dimostrato un miglioramento della IVS dopo adeguato controllo dell’IPS con l’impiego del paracalcitolo (1314). Nonostante questi risultati contraddittori numerosi studi epidemiologici hanno mostrato una forte correlazione tra elevati livelli di PTH, morbilità e mortalità cardiovascolare (15). Nel trapianto renale il paracalcitolo si è dimostrato efficace e sicuro nel controllo dell’IPS, tuttavia non ne è mai stato valutato l’impatto sulla IVS (16). Alla luce di questi dati contraddittori e della mancanza di esperienze nel trapianto renale, abbiamo volute valutare l’impatto della terapia dell’IPS con paracalcitolo sulla IVS nel paziente con trapianto renale.

 

PAZIENTI E METODI

Nel periodo tra gennaio 2011 e dicembre 2014 abbiamo selezionato consecutivamente 24 pazienti con trapianto renale che presentavano un IPS ed una IVS. Si parlava di IPS quando i livelli di PTH erano >1,5 volte i limiti alti della norma (v.n. 9-63pg/ml). L’ipertrofia ventricolare sinistra era diagnosticata secondo i criteri di Lang RM et al. (17), ossia un indice di massa cardiaca (iMCVS) >95gr/mnelle donne e >115 gr/m2 negli uomini. Altri criteri di inclusione nello studio erano: età del trapianto >12 mesi; la presenza di IPS da almeno 6 mesi prima l’inizio del trattamento; assenza in anamnesi di pregressa paratiroidectomia; calcemia <10.2mg/dl; fosforemia <4.5mg/dl; funzione renale, valutata con la formule CKD-EPI (Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration) (18), stabilmente >15 ml/min/1.73m2; nessuna concomitante terapia con vitamina D, VDRAs, cinacalcet, bifosfonati o qualsiasi tipo di chelante dei fosfati; pressione arteriosa <140/90mmHg; nessuna variazione della terapia con inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA) nel corso dello studio; frazione d’eiezione del VS >50%. Tutti i pazienti venivano sottoposti a due controlli ecocardiografici, basalmente e dopo circa 18 mesi di terapia con paracalcitolo. La massa cardiaca del VS veniva indicizzata per la superficie corporea, i valori normali di iMCVS sono ≤95g/m2 nella donna e ≤115g/m2 nell’uomo. Gli obiettivi principali del nostro studio erano la  riduzione dei livelli di PTH >30% e la riduzione dell’iMCVS dopo 18 mesi di terapia con paracalcitolo. Il principale obiettivo secondario era valutare la stabilità del eGFR al follow-up. Il paracalcitolo veniva somministrato ad un dosaggio fisso di 1μg die. Nel corso dello studio il suo dosaggio veniva modificato sulla base dei livelli di calcemia, calciuria, fosforemia e PTH. Quando la calcemia era >10.5 mg/dl o la frazione di escrezione urinaria del calcio (FECa) era >0.020% o la fosforemia era >4.5mg/dl o i livelli di PTH si normalizzava, il dosaggio del paracalcitolo veniva dimezzato. Quando la calcemia era >11mg/dl la sua somministrazione veniva temporaneamente sospesa e ripresa allorché la calcemia si normalizzava. Ogni 6 mesi circa i pazienti venivano valutati ambulatorialmente per la misurazione della pressione arteriosa, la registrazione di eventuali eventi avversi e per verificare la terapia in corso. Ogni 2 mesi circa venivano valutati i seguenti esami di laboratorio: creatininemia, eGFR, calcemia, fosforemia, PTH, ciclosporinemia, tacrolemia, creatininuria, calciuria e fosfaturia delle 24 ore e proteinuria. La fosfatasi alcalina totale veniva misurata ogni 3 mesi circa. Il calcio urinario veniva espresso come calciuria delle 24 ore e come FECa calcolata con la formula: (calciuria 24 ore/calcemia)/ (creatininuria 24 ore/creatininemia) × 100. Il fosforo urinario veniva espresso come fosfaturia delle 24 ore e come frazione di escrezione urinaria del fosforo (FEPO4%) calcolata con la formula: (fosfaturia 24 ore × creatininemia)/(fosforemia x creatininuria 24 ore) × 100. La proteinuria veniva espressa con il rapporto proteinuria/creatininuria (mg/gr creatinina urinaria). L’analisi statistica è stata eseguita con SPSS (Statistical Package of Social Science, 11.0, 2003; SPSS Inc., Chicago, IL, USA). Tutti i dati sono espressi come media ± deviazione standard. Il t-test per dati appaiati è stato eseguito quando appropriato.

 

RISULTATI

Nella Tabella I sono riportat le principali caratteristiche demografiche del gruppo. In particolare l’età media del trapianto era superiore ai 3 anni, in 5 pazienti si registravano in anamnesi eventi cardiovascolari, ed in 10 pazienti vi era una fistola artero-venosa (FAV) per emodialisi funzionante.  Tra i pazienti con FAV funzionante e non portatori di FAV non vi erano differenze significative per l’iMCVS tra il basale ed il follow-up, dati non riportati. La funzione renale era buona. La fosfatasi alcalina totale era tendenzialmente ai limiti alti della norma. La frazione di escrezione urinaria del calcio era nella norma, mentre la FEPO4  era tendenzialmente elevata. La pressione arteriosa era ben controllata e meno del 50% dei pazienti era in terapia con inibitori del SRAA. Nessuno dei pazienti era in terapia con agenti stimolanti l’eritropoiesi. Il regime immunosoppressivo era nella maggior parte dei casi rappresentato dalla associazione tra steroidi ed inibitori delle calcineurine. Nella Tabella II è riportato l’andamento dei principali parametri clinici e di laboratorio; dopo 18 mesi di terapia con paracalcitolo il PTH si riduceva significativamente (P <0.01) e questa riduzione dei livelli di PTH si registrava già nei primi 6 mesi di terapia (Figura 1). La riduzione dei livelli di PTH al follow-up era pari a -49% rispetto ai valori basali. La fosfatasi alcalina totale si riduceva significativamente (P <0.01). Nel corso dei primi 6 mesi di terapia la calcemia mostrava un progressivo incremento che tuttavia non risultava significativo, successivamente i livelli di calcemia si stabilizzavano (Figura 2). Nel corso dello studio si registravano 5 episodi di calcemia >10.5mg/dl che comportavano la riduzione del dosaggio del paracalcitolo e soltanto 2 episodi di calcemia >11.0mg/dl che richiedevano soltanto la temporanea sospensione della somministrazione del paracalcitolo. Nel corso dei primi 3 mesi la FECa mostrava un incremento che tuttavia non raggiungeva la significatività statistica, non riportato in tabella, successivamente i suoi valori ritornavano ad essere quelli basali (Tabella II). In 18 occasioni si registrava un incremento significativo della FECa tale da richiedere la temporanea riduzione del dosaggio del paracalcitolo; soltanto in 5 occasioni il suo incremento si associava al contemporaneo incremento della calcemia. Dopo 18 mesi si registrava una riduzione della FEPO4 ed un modesto incremento della fosforemia, entrambi non significativi (Tabella II). Al follow-up l’iMCVS mostrava una significativa riduzione, pari a -17% rispetto al basale, mentre la percentuale dei pazienti con IVS, che era del 100% al basale, si riduceva al 54% nel post-terapia, con conseguente normalizzazione dell’iMCVS nel 46% dei pazienti (Tabella III). Al follow-up l’iMCVS non presentava significative differenze tra i pazienti trattati con inibitori del SRAA e non. La funzione renale rimaneva stabile per tutta la durata dello studio (Tabella II). La proteinuria, che tuttavia risultava modesta, non mostrava significative variazioni (Tabella II). La pressione arteriosa rimaneva stabile per tutta la durata dello studio e non si rendevano necessarie significative variazioni della terapia con inibitori del SRAA (Tabella III). Nel corso dello studio non si registravano variazioni significative dei livelli sierici di ciclosporina e tacrolimus tali da richiederne aggiustamenti posologici, dati non riportati. Non si registrarono effetti collaterali da ricondurre al paracalcitolo, se non i pochi episodi di ipercalcemia. In ultimo, nell’arco di tutto lo studio non si registravano ospedalizzazioni per tutte le cause e per cause cardiovascolari, episodi di rigetto acuto o peggioramento della funzione renale.

 

DISCUSSIONE

La correzione farmacologica dell’IPS non ha sempre prodotto risultati univoci circa il suo impatto sulla progressione dell’IVS nella malattia renale cronica stadio 3-5D (1214). Tuttavia diversi studi sperimentali sottolineano il ruolo chiave degli elevati livelli di PTH nella eziopatogenesi dell’IVS. Il paratormone si è dimostrato in grado di favorire a livello cardiaco l’attivazione dei fibroblasti e la fibrosi miocardica, mentre la paratiroidectomia si è dimostrata in grado di farla regredire (781920). Il paratormone può determinare direttamente l’IVS attraverso il suo effetto cronotropo, inotropo ed ipertrofico sul miocardiocita (21). Inoltre l’IPS può favorire lo sviluppo e la progressione della IVS anche indirettamente attraverso un danno vascolare e l’incremento della pressione arteriosa (19). La presenza di recettori per l’1,25 (OH)2D3 a livello del miocardiocita suggerisce una possibile azione diretta della vitamina D sul miocardio (22). Ratti knockout per i recettori della vitamina D sviluppano IVS (23). Studi sperimentali hanno dimostrato che la terapia con VDRAs è in grado di ridurre l’IVS e migliorare la funzione cardiaca (2425). Nel paziente uremico la correzione dell’IPS con l’impiego dei VDRAs si associa ad una riduzione dell’IVS, tale dato non è stato confermato nei pazienti con malattia renale cronica stadio 3-5 dove la correzione dell’IPS con paracalcitolo non è stata seguita da un miglioramento dell’IVS (1214). Gli obiettivi principali del nostro studio erano dimostrare l’efficacia del paracalcitolo nel controllo dell’IPS ed il possibile effetto favorevole sull’IVS. Dai nostri risultati emerge che, in un arco di tempo sufficientemente lungo di 18 mesi, il paracalcitolo si è dimostrato efficace nel controllo dell’IPS e nel ridurre l’IVS. Al follow-up la riduzione dei livelli di PTH è risultata >30% rispetto al basale. Questo risultato è stato ottenuto in assenza di significative variazioni della calcemia e della calciuria ed utilizzando dosaggi di paracalcitolo relativamente bassi. Sebbene improbabile, visto che la maggior parte dei nostri pazienti aveva un età del trapianto >2 anni, non possiamo escludere che parte della riduzione dei livelli di PTH possa essere ricondotta ad una riduzione spontanea dell’attività paratiroidea che normalmente avviene nei primi 12 mesi del post-trapianto (16). Infatti nello studio di Amer et al. nei primi 12 mesi dal trapianto si registrava una significativa riduzione dei livelli di PTH nei pazienti trattati con paracalcitolo, ma una analoga riduzione, sebbene non significativa, veniva registrata anche nei pazienti non trattati (16). Nel nostro studio la correzione dell’IPS si associava ad una significativa riduzione dell’iMCVS e del numero di pazienti con IVS a differenza di quanto riportato negli studi PRIMO ed OPERA, dove in pazienti con malattia renale cronica stadio 3-5 il controllo dell’IPS con paracalcitolo non aveva avuto effetti positivi sull’IVS (1314). Il mancato risultato di questi due studi probabilmente è da ricondurre alle modalità con cui sono stati arruolati i pazienti. Nello studio PRIMO la definizione di IVS si basava sul solo incremento dello spessore del setto interventricolare, ciò comportava che la maggior parte dei pazienti arruolati avevano un iMCVS nella norma o lievemente aumentato, inoltre la quasi totalità dei pazienti trattati con paracalcitolo (90%) erano in terapia con inibitori del SRAA (13).  Sempre nello studio PRIMO, inoltre, il trattamento con paracalcitolo veniva iniziato al dosaggio fisso di 2μg die, indipendentemente dai livelli di PTH, ciò ha comportato che anche pazienti con livelli di PTH quasi nella norma venissero trattati con dosaggi iniziali così elevati. Un atteggiamento terapeutico di questo tipo può comportare una eccessiva soppressione del PTH con conseguente rischio di sviluppare una patologia ossea a basso turnover, una condizione tra l’altro frequente nel trapianto renale, e quindi un aumentato rischio di ipercalcemia (26). Probabilmente questa fu una delle ragioni per cui il principale evento avverso dello studio fu l’ipercalcemia che comportò l’interruzione definitiva della terapia in circa il 10% dei pazienti. Nello studio OPERA, come ammesso dagli stessi Autori, e nello studio PRIMO, la mancata riduzione della IVS dopo adeguato controllo dell’IPS con paracalcitolo potrebbe essere stata condizionata dall’elevato numero di pazienti in terapia con inibitori del SRAA, circa l’ 80% (14). L’impiego degli inibitori del SRAA può avere attenuato l’effetto positivo del paracalcitolo sul miocardio, infatti parte dell’azione positiva dei VDRAs sul miocardio è legata alla loro capacità di modulare l’azione locale del SRAA (27). Anche nello studio OPERA, come nello studio PRIMO, nel gruppo trattato con paracalcitolo vi fu un elevato numero di episodi ipercalcemici, ma in questo caso la causa era da ricondurre probabilmente al fatto che molti di questi pazienti, seppur trattati con dosaggi non elevati di paracalcitolo, erano in terapia combinata con chelanti del fosforo a base di calcio (14). Sappiamo infatti che l’impiego dei chelanti del fosforo a base di calcio si associa ad un elevato rischio di ipercalcemia che aumenta ulteriormente quando vengono impiegati in concomitanza con i VDRAs (28). L’ipercalcemia può interagire con il SRAA aumentando l’ipertrofia e la fibrosi dei miocardiociti inoltre, quando protratta nel tempo, può essere causa di un aumento della deposizione di calcio a livello miocardico (29). Quindi non si può escludere che parte del mancato risultato registrato nei due studi sia proprio da ricondurre all’elevato numero di episodi ipercalcemici ed al loro protrarsi nel tempo. Al contrario nel nostro studio gli episodi di ipercalcemia furono pochi e limitati nel tempo, probabilmente grazie ai bassi dosaggi di paracalcitolo da noi impiegati ma soprattutto perché non vi è stato il contemporaneo impiego di chelanti del fosforo a base di calcio. Inoltre nel nostro studio, a differenza dagli studi PRIMO ed OPERA, la percentuale di pazienti in terapia con inibitori del SRAA non era elevata, mediamente meno del 50%, aspetto questo che potrebbe aver contribuito al risultato da noi ottenuto. Un’altra importante differenza tra il nostro studio e i due citati che potrebbe almeno in parte giustificare i diversi risultati è la durata degli periodo di osservazione. Il nostro studio ha avuto una durata di 18 mesi mentre gli studi PRIMO ed OPERA hanno avuto una durata di 48 e 52 settimane rispettivamente, periodi di osservazione questi che potrebbero essere insufficienti per apprezzare l’effetto sulla IVS di alcuni trattamenti. Infatti l’effetto sulla IVS del trapianto renale riuscito normalmente si apprezza non prima dei 12 mesi dal trapianto con una stabilizzazione dell’iMCVS che avviene intorno ai 2 anni (3). Questo particolare potrebbe avere in qualche modo influenzato i nostri risultati. Infatti non possiamo escludere che il miglioramento della IVS registrato nel nostro studio possa essere, seppur parzialmente, ricondotto alla correzione dello stato uremico. Tuttavia ciò sembra poco probabile poiché la quasi totalità dei nostri pazienti aveva un’età del trapianto superiore ai 2 anni, un tempo questo dal post-trapianto in cui il rimodellamento cardiaco non sembra più risentire della correzione dello stato uremico. L’obiettivo secondario che ci eravamo prefissi era quello di valutare se la terapia con paracalcitolo poteva avere ripercussioni sulla funzione renale. Infatti in alcuni studi condotti in pazienti con malattia renale cronica stadio 3-5 con IPS trattati con paracalcitolo è stata segnalata una riduzione della funzione renale valutata con l’eGFR (1314). Tuttavia questo dato non sembrerebbe essere confermato da studi in cui la funzione renale è stata valutata impiegando tecniche quali la clearance dell’inulina e dello iotalamato (16). Nel nostro studio la funzione renale, valutata mediante eGFR, rimaneva stabile per tutta la durata dell’osservazione. Il calcolo del eGFR non è sicuramente il metodo più accurato per la valutazione della funzione renale rispetto a quanto avviene con la misurazione della clearance di sostanze esogene quali l’inulina o l’iotalamato. Tuttavia di recente è stato dimostrato che la valutazione del eGFR impiegando la formula CKD-EPI è molto prossima alla misurazione del filtrato glomerulare col 125I-iotalamato (30). Il nostro studio ha diversi limiti. I più importanti sono la mancanza di un gruppo di controllo e l’esiguità numerica del campione. Tuttavia, sebbene il numero di pazienti studiato fosse piccolo, questo era di poco inferiore al campione valutato nello studio OPERA. L’esiguità numerica del campione studiato è derivata principalmente dai rigidi criteri di selezione da noi adottati, cosa che non è stata effettuata in studi analoghi. Un altro limite del nostro studio è rappresentato dalla valutazione dell’iMCVS con l’ecocardiografia convenzionale M-mode che non ha la stessa accuratezza di misurazione della risonanza magnetica cardiaca, che rappresenta il ‘gold standard‘ nella valutazione delle dimensioni ventricolari, soprattutto nei pazienti con malattia renale cronica. Un ultimo limite, sebbene parziale, è il fatto di non avere impiegato un accurato metodo per la valutazione del filtrato glomerulare.

Nonostante i limiti suddetti, il nostro studio ha il pregio di essere il primo di questo tipo ad essere stato condotto in pazienti con trapianto renale. Lo studio è stato di tipo prospettico e condotto per un periodo sufficientemente lungo per valutare l’impatto della correzione dell’IPS con paracalcitolo sulla IVS. Il monitoraggio della terapia con paracalcitolo è avvenuto attraverso l’impiego di diversi parametri di laboratorio, come in pochissimi altri studi. La durata dell’osservazione ci consente di affermare che la terapia con paracalcitolo è stata ben tollerata, è efficace e non sembra influenzare negativamente la funzione renale. In conclusione il trattamento a lungo termine dell’IPS con basse dosi di paracalcitolo nel trapianto renale si è dimostrato efficace nel ridurre i livelli di PTH e nel migliorare l’IVS, con pochissimi episodi di ipercalciuria e/o ipercalcemia che non hanno comportato l’interruzione definitiva del trattamento. Il paracalcitolo non sembra condizionare negativamente la funzione renale. Rimane da valutare se in questi pazienti il miglioramento della IVS è seguita da una riduzione degli eventi cardiovascolari e della mortalità.

 

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