Transplant Candidate with Cancer: Should We Proceed?

Abstract

Individuals who suffer from end-stage renal disease are at a higher risk of developing certain types of tumors. This risk increases as kidney function deteriorates further. Dialysis patients often witness a surge in the incidence of such malignancies. Interestingly, after the initial period following a kidney transplant, there is a dip in the number of deaths related to neoplasms. However, a long-term view reveals a progressive increase in the risk of developing tumors. The evaluation process for transplant candidacy is thorough, taking into account several factors, including the individual’s history of neoplasms and the implications of immunosuppressive therapy. Immunosuppressive therapy is a double-edged tool in managing post-transplant complications, as it can foster environments conducive to neoplasm growth. It is essential to reevaluate, with the aid of an oncological opinion, the waiting time between cancer recovery and the listing for kidney transplantation, based on clinical data and follow-up. Independent of the type of tumor, the requirement to treat and achieve remission delays the listing process, consequently extending the time spent with end-stage renal disease and undergoing dialysis. These factors correlate with increased mortality, heightened risk of cardiovascular disease, and graft loss.

Keywords: Kidney transplant, cancer, immunosuppressant agents

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Rischio oncologico nel paziente con malattia renale

I pazienti che soffrono di malattia renale terminale si trovano di fronte ad un incremento significativo del rischio di sviluppare neoplasie, in confronto a individui con una funzione renale normale, trovandosi più esposti ad alcuni specifici tipi di tumori.

Un contributo significativo a questa area di studio proviene da un’analisi condotta da William T. Lowrance e collaboratori, basata su un ampio campione retrospettivo di oltre un milione di adulti seguiti dal 2000 al 2008. In questa ricerca, emerge chiaramente come il rischio associato ad alcune neoplasie cresca parallelamente al progredire della malattia renale cronica, evidenziando come una diminuzione del tasso di filtrazione glomerulare (eGFR) sia correlata ad un aumento del rischio di neoplasia renale e, a valori inferiore di 30 ml/min per 1,73 m², anche ad un rischio maggiore di cancro uroteliale. D’altro canto, non è stata riscontrata una correlazione significativa con altri tipi di tumori, tra cui quelli della prostata, del seno e del polmone [1].

Rivolgendo lo sguardo alla popolazione in dialisi, notiamo come diversi registri nazionali abbiano contribuito a delineare lo scenario attuale. Un dato interessante emerge da uno studio taiwanese pubblicato su “PLOS ONE”, dove la popolazione in dialisi mostra un’incidenza di neoplasie significativamente superiore rispetto a un gruppo di controllo abbinato per età e sesso, con un hazard ratio di 3,43. Questo rischio si concentra principalmente sul rene e sull’apparato urinario [2].

Focalizzandoci sul contesto italiano, grazie ad uno studio recente condotto da Taborelli e collaboratori, possiamo confermare una tendenza simile, con un incremento del rischio neoplastico tra i pazienti in dialisi. Tra questi, si osserva una presenza più marcata di tumori della pelle, delle mucose e del rene. Inoltre, non sono rare neoplasie tipiche dei pazienti trapiantati, come il sarcoma di Kaposi e il mieloma multiplo [3].

In una ricerca pubblicata su JASN da Eric H. Au e collaboratori, viene messa in luce una dinamica interessante: se nei primi anni dall’inizio della dialisi si riscontra un aumento dell’incidenza di morte per neoplasia, questo trend si inverte nel post-trapianto. Con il passare degli anni, infatti, il rischio di morte per tumore cresce progressivamente. È interessante notare come il panorama delle neoplasie mortali muti sensibilmente: mentre nel paziente in dialisi predominano il mieloma multiplo, il tumore del polmone e il tumore renale, nel paziente trapiantato si riscontrano più frequentemente linfoma non-Hodgkin, tumore del polmone e tumore del colon-retto [4].

Il confronto con la popolazione generale svela un rapporto di mortalità standardizzato (SMR) pari a 2,6 per tutti i tipi di tumori nei pazienti in dialisi, un dato che cresce ulteriormente nei casi correlati direttamente alla malattia renale terminale. In modo simile, anche i pazienti trapiantati mostrano un SMR elevato, legato soprattutto ai tumori indotti dalla terapia immunosoppressiva.

Una riflessione attenta richiede anche l’analisi delle cause di morte post-trapianto: i tumori rappresentano la seconda causa di morte, paragonabile alle infezioni, e seguono gli eventi cardiovascolari, manifestandosi mediamente dopo circa 8,2 anni dal trapianto. È importante sottolineare che, con il passare del tempo, tanto l’incidenza di diagnosi di neoplasia quanto la mortalità per tale causa aumentano, in linea con la crescita della mortalità per tutte le altre cause [5, 6].

Guardando alla popolazione di pazienti anziani trapiantati, un gruppo in crescita costante, notiamo come le neoplasie si attestino come seconda causa di morte, superando le malattie cardiovascolari e posizionandosi subito dopo le infezioni [7].

 

Valutazione candidato a trapianto renale con storia di neoplasia

Nella valutazione per l’inserimento in lista per trapianto renale di un paziente con anamnesi positiva per neoplasia, sono da considerare alcuni aspetti, divisibili in 4 gruppi [8]. Per quanto riguarda la priorità, a differenza di altri trapianti quali ad esempio il cuore o fegato, è difficile che si presenti un’urgenza che richieda il trapianto di rene che prescinda una valutazione dello stadio del tumore o del follow-up libero da malattia neoplastica, quale la mancanza totale di accesso per dialisi.

Il secondo gruppo di fattori riguarda quelli legati alla neoplasia. È importante valutare la risposta al trattamento, l’andamento del follow-up, eventuali recidive, lo stadio e l’aggressività del tumore, il tempo trascorso dalla completa remissione.
Il terzo gruppo riguarda invece i fattori legati al paziente, al suo stile di vita, fattori modificabili o non modificabili nel post trapianto e l’aspettativa di vita in termini anche etici di ottimizzazione e gestione delle risorse disponibili oltre all’obiettivo di apporre un beneficio concreto rispetto alla permanenza in dialisi.

L’ultimo gruppo di aspetti da considerare è quello legato alla terapia immunosoppressiva. Infatti bisogna ragionare sugli effetti che la terapia può esercitare nel determinare una recidiva, se ci sono delle differenze organo-specifiche dell’immunosoppressione e anche in questo caso il tempo che passa dal momento del completamento del trattamento antineoplastico che il paziente potrebbe aver eseguito.

La terapia immunosoppressiva determina un’alterazione della funzionalità e del fenotipo del sistema immunitario, con relativa riduzione dell’efficienza nel monitoraggio e prevenzione dell’evoluzione in senso tumorale delle cellule. Le cellule dendritiche e le natural killer si riducono di numero e aumenta il numero delle cellule T senescenti e dei Treg.

In particolare, l’utilizzo degli inibitori della calcineurina, ampiamente utilizzati per l’apporto significativo che hanno dato in termini di riduzione del rigetto e il conseguente aumento della sopravvivenza del graft, determina una riduzione della capacità di riparazione del DNA, oltre a un ambiente citochinico che favorisce lo sviluppo del tumore.
Si verifica un aumento del VEGF, del TGFbeta, del segnale RAS-RAF, dell’IL-6.

Questi portano rispettivamente ad un aumento della neoangiogenesi tumorale, della crescita del tumore, dello sviluppo del carcinoma a cellule renali e dei disordini linfoproliferativi post-trapianto mediante proliferazione delle cellule B.

Lo stato di immunosoppressione porta inoltre all’aumento della replicazione di virus intracellulari o comunque associati ad alterazioni del DNA come l’epstein Barr, l’Herpes virus 8, il Papilloma virus, i virus dell’epatite B e C, il polioma virus delle cellule di Merkel  che determinano un aumento dell’incidenza di alcune neoplasie quali, rispettivamente, le malattie linfoproliferative post-trapianto, il sarcoma di Kaposi e il linfoma primitivo effusivo, tumori di testa e collo, della pelle e dell’apparato genitale, il carcinoma epatocellulare e il carcinoma a cellule di Merkel [9].

 

Outcome post-trapianto dei pazienti con storia di neoplasia

Dagli anni ’90 a oggi il numero di pazienti con storia di neoplasia sottoposti a trapianto di rene è cresciuto costantemente, fino a decuplicare, costituendo nel 2016 l’8,3% della popolazione trapiantata negli Stati Uniti  rispetto allo 0,9% del 1994 [10].
Questo riguardava in particolare i pazienti con storia di tumore solido o tumore cutaneo non-melanoma.
In un lavoro di Acuna S. e colleghi del 2016, analizzati più studi in merito, si considera quanto la storia pregressa di neoplasia sia un fattore di rischio di mortalità  post trapianto non solo per quanto riguarda il rischio di morte per neoplasia, con un rapporto di rischio (hazard ratio, HR) pari a 3,13 rispetto a trapiantati senza storia pre-trapianto di neoplasia, ma anche per tutte le cause di morte (HR 1,51) [11].

Due anni più tardi, nel 2018, sempre Acuna approfondisce questo tema, analizzando i pazienti sottoposti a trapianto di organo solido nel ventennio dal 1991 al 2010 in Ontario: i pazienti con storia pregressa di neoplasia presentavano un rischio dell’85% per la mortalità cancro-specifica e del 29% della mortalità per tutte le cause rispetto a chi non aveva storia di neoplasia.

Ma se si approfondisce dal punto di vista clinico, si evince che il rischio si stratifica a seconda del grado di malignità della neoplasia. I pazienti con storia di neoplasia considerata ad alto rischio presentavano un rischio di mortalità maggiore. Il divario si appiana se si pongono a confronto pazienti senza storia pre-trapianto di neoplasia e pazienti con storia di neoplasie considerate a basso rischio (ad esempio il tumore mammario e renale).

Questo risulta fondamentale nella valutazione pre-trapianto dei pazienti, richiedendo inoltre un confronto multidisciplinare con la figura dell’oncologo al fine di meglio valutare il tempo propizio per l’inserimento in lista.

Fino ad ora le Linee Guida, seppur non mandatorie ma indicative, hanno posto uno spartiacque di attesa per l’inserimento in lista di almeno 5 anni dalla diagnosi di neoplasie considerate a più alto rischio nei pazienti in remissione dal tumore.
Questo atteggiamento, corretto o meno, ha portato ad una aumentata mortalità per neoplasia o per tutte le cause post trapianto (HR 2,32 e 1,53 rispettivamente) rispetto ai pazienti senza storia di neoplasia e comunque maggiore rispetto ai pazienti con storia di neoplasia considerata a basso rischio come già analizzato in precedenza.

Ciò pone l’interrogativo se l’aumentata mortalità sia condizionata dal tempo di permanenza con un quadro di malattia terminale in attesa di trapianto piuttosto che dalla malignità della neoplasia.

Da questo quesito risulta critico il tempo di inserimento in lista trapianto, soppesando il rischio di recidiva e la gestione chemioterapica in concomitanza con la terapia immunosoppressiva dagli effetti di una insufficienza d’organo sull’outcome.
Analizzando poi gli outcome dei pazienti trapiantati dopo cinque anni dalla diagnosi di neoplasia, emerge che poco meno di 1 paziente su 6 è deceduto senza presentare recidiva. L’incidenza cumulativa della recidiva è stata del 14,4% che stratificata per neoplasia ad alto e basso rischio è rispettivamente del 21,1% e del 9,2% [12].

Prendendo in considerazione la popolazione dialitica, come si evince da lavori italiani, anche in dialisi vi è un rischio neoplastico. In particolare, l’incidenza cumulativa di sviluppare una neoplasia dall’inizio della dialisi è del 9,8% a 5 anni e del 13,9% a 10 anni. Tale rischio si riscontra maggiormente nella popolazione dialitica più giovane, soprattutto rispetto alla controparte della popolazione generale [13].

 

Timing di inserimento in lista trapianto renale

Considerando le linee guida KDIGO per il candidato a trapianto renale, si pone l’accento e si ribadisce quanto già analizzato: l’inserimento in lista d’attesa e quindi il trapianto dopo remissione della neoplasia dopo terapia dipende dal tipo di tumore e lo stadio.

Questa valutazione necessita del supporto dello specialista oncologo, oltre ad altre figure professionali che accompagnano il follow-up e la gestione nefrologica. Test molecolari, studi sulla genomica possono essere di aiuto nel paziente oncologico ai fini prognostici. Per alcuni tumori, sulla base dello stadio, il trapianto risulta controindicato (ad esempio il melanoma invasivo, il tumore anaplastico della tiroide).

Considerando piuttosto che anche il paziente dializzato presenta un rischio neoplastico superiore alla popolazione generale, così come di mortalità per tutte le cause, sarebbe opportuno, nella valutazione per inserimento in lista, valutare quelli che sono i benefici del trapianto a seguito del recupero della funzione renale in termini non solo di qualità di vita, ma anche di aspettativa di vita, indipendentemente dalla eventuale storia pregressa di neoplasia.

Infatti, la mortalità per infezione in dialisi è pari a 30,5 persone per mille/anno rispetto alle 6,8 in trapianto mentre, il tasso di mortalità per neoplasia del paziente dializzato è di 14 persone per mille/anno rispetto al 4,6 dopo il trapianto renale [13].

Un tempo di attesa di 2 anni tra il trattamento del tumore e il trapianto di rene è consigliato per la maggior parte delle neoplasie.  Nessun tempo di attesa è richiesto per: riscontro incidentale di carcinoma renale, carcinomi in situ, neoplasie focali e isolate, tumore vescicale di basso grado, carcinoma a cellule basali della cute. Per neoplasie quali la maggior parte dei melanomi, carcinomi mammari e colorettali è richiesto un tempo di attesa maggiore di 2 anni [12].

 

Conclusioni

L’outcome di pazienti con storia di neoplasia pre-trapianto considerata a basso rischio risulta sovrapponibile a quello di pazienti senza precedente storia di tumore. D’altro canto, i pazienti con storia precedente di neoplasia considerata ad alto rischio hanno presentato un outcome peggiore, indipendentemente dal tempo intercorso dalla diagnosi di tumore e il trapianto. Il rischio di recidiva neoplastica pare dunque essere condizionato dal tipo di tumore piuttosto che dal tempo che intercorre dalla guarigione. È opportuno riconsiderare sulla base dei dati clinici e del follow-up, con l’ausilio di un parere oncologico, il tempo di attesa tra la guarigione dal tumore e l’inserimento in lista per trapianto renale. Prescindendo dal tipo di tumore, la necessità di trattare e portare a remissione la neoplasia determina un ritardo nell’inserimento in lista attiva e dunque a un aumento del tempo trascorso con una malattia renale terminale e in dialisi. Questi aspetti sono associati, tra i fattori che determinano un’aumentata mortalità, ad un aumentato rischio di malattia cardiovascolare e perdita del graft.

 

Bibliografia

  1. Lowrance, W. T., Ordoñez, J., Udaltsova, N., Russo, P., & Go, A. S. (2014). CKD and the risk of incident cancer. Journal of the American Society of Nephrology, 25(10), 2327–2334. https://doi.org/10.1681/ASN.2013060604
  2. Lin, M. Y., Kuo, M. C., Hung, C. C., Wu, W. J., Chen, L. T., Yu, M. L., Hsu, C. C., Lee, C. H., Chen, H. C., & Hwang, S. J. (2015). Association of dialysis with the risks of cancers. PLoS ONE, 10(4). https://doi.org/10.1371/journal.pone.0122856
  3. Taborelli, M., Toffolutti, F., del Zotto, S., Clagnan, E., Furian, L., Piselli, P., Citterio, F., Zanier, L., Boscutti, G., Serraino, D., Shalaby, S., Petrara, R., Burra, P., Zanus, G., Zanini, S., Rigotti, P., Rendina, M., di Leo, A., Schena, F. P., di Cicco, M. (2019). Increased cancer risk in patients undergoing dialysis: A population-based cohort study in North-Eastern Italy. BMC Nephrology, 20(1). https://doi.org/10.1186/s12882-019-1283-4
  4. Au, E. H., Chapman, J. R., Craig, J. C., Lim, W. H., Teixeira-Pinto, A., Ullah, S., McDonald, S., & Wong, G. (2019). Overall and site-specific cancer mortality in patients on dialysis and after kidney transplant. Journal of the American Society of Nephrology, 30(3), 471–480. https://doi.org/10.1681/ASN.2018090906
  5. Van de Wetering, J., Roodnat, J. I., Hemke, A. C., Hoitsma, A. J., & Weimar, W. (2010). Patient survival after the diagnosis of cancer in renal transplant recipients: A nested case-control study. Transplantation, 90(12), 1542–1546. https://doi.org/10.1097/TP.0b013e3181ff1458
  6. Villeneuve, P. J., Schaubel, D. E., Fenton, S. S., Shepherd, F. A., Jiang, Y., & Mao, Y. (2007). Cancer incidence among Canadian kidney transplant recipients. American Journal of Transplantation, 7(4), 941–948. https://doi.org/10.1111/j.1600-6143.2007.01736.x
  7. S So et al. Kidney International Reports (2021) 6, 727-736
  8. Al-Adra, D. P., Hammel, L., Roberts, J., Woodle, E. S., Levine, D., Mandelbrot, D., Verna, E., Locke, J., D’Cunha, J., Farr, M., Sawinski, D., Agarwal, P. K., Plichta, J., Pruthi, S., Farr, D., Carvajal, R., Walker, J., Zwald, F., Habermann, T., … Watt, K. D. (2021). Pretransplant solid organ malignancy and organ transplant candidacy: A consensus expert opinion statement. In American Journal of Transplantation (Vol. 21, Issue 2, pp. 460–474). Blackwell Publishing Ltd. https://doi.org/10.1111/ajt.16318
  9. Livingston-Rosanoff, D., Foley, D. P., Leverson, G., & Wilke, L. G. (2019). Impact of Pre-Transplant Malignancy on Outcomes After Kidney Transplantation: United Network for Organ Sharing Database Analysis. Journal of the American College of Surgeons, 229(6), 568–579. https://doi.org/10.1016/j.jamcollsurg.2019.06.001
  10. Acuna, S. A., Fernandes, K. A., Daly, C., Hicks, L. K., Sutradhar, R., Kim, S. J., & Baxter, N. N. (2016). Cancer mortality among recipients of solid-organ transplantation in Ontario, Canada. JAMA Oncology, 2(4), 463–469. https://doi.org/10.1001/jamaoncol.2015.5137
  11. Acuna, S. A., Sutradhar, R., Kim, S. J., & Baxter, N. N. (2018). Solid Organ Transplantation in Patients with Preexisting Malignancies in Remission: A Propensity Score Matched Cohort Study. Transplantation, 102(7), 1156–1164. https://doi.org/10.1097/TP.0000000000002178
  12. Chadban SJ, Ahn C, Axelrod DA, Foster BJ, Kasiske BL, Kher V, Kumar D, Oberbauer R, Pascual J, Pilmore HL, Rodrigue JR, Segev DL, Sheerin NS, Tinckam KJ, Wong G, Knoll GA. KDIGO Clinical Practice Guideline on the Evaluation and Management of Candidates for Kidney Transplantation. Transplantation. 2020 Apr;104(4S1 Suppl 1):S11-S103. https://doi.org/10.1097/TP.0000000000003136.
  13. Vogelzang, J. L., van Stralen, K. J., Noordzij, M., Diez, J. A., Carrero, J. J., Couchoud, C., Dekker, F. W., Finne, P., Fouque, D., Heaf, J. G., Hoitsma, A., Leivestad, T., de Meester, J., Metcalfe, W., Palsson, R., Postorino, M., Ravani, P., Vanholder, R., Wallner, M. Jager, K. J. (2015). Mortality from infections and malignancies in patients treated with renal replacement therapy: Data from the ERA-EDTA registry. Nephrology Dialysis Transplantation, 30(6), 1028–1037. https://doi.org/10.1093/ndt/gfv007

The treatment of lupus nephritis, between consolidated strategies and new therapeutic options: a narrative review

Abstract

Over a half of patients with Systemic Lupus Erythematosus will develop lupus nephritis (LN). The diagnosis of LN, suspected based on clinical data (proteinuria, active urinary sediment, renal dysfunction), is confirmed with renal biopsy. The immunosuppressive treatment of proliferative classes of LN is based on an induction phase, where high-dose steroids are used in conjunction with mycophenolate mofetil (MMF) or cyclophosphamide, and a subsequent maintenance phase, that combines low-dose steroids with MMF or azathioprine. Different classes of drugs (calcineurin inhibitors, anti-CD20) can be used as an alternative, or in resistant forms of LN, although their role is less well-established. Recently published (or nearing completion) studies have opened up the possibility of using new drugs in LN. In particular, depletion (Obinutuzumab, anti-CD20 monoclonal antibody) or neutralization (Belimumab, anti-“B-cell activating factor” monoclonal antibody) of B lymphocytes, and the use of a calcineurin inhibitor with a low profile of renal and systemic toxicity (Voclosporin) demonstrated an improvement in renal response in addition to standard therapy.

Keywords: lupus nephritis, immunosuppressive treatment, systemic lupus erythematosus

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Introduzione

Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) è una malattia cronica autoimmune ad eziologia ignota che comporta la perdita di tolleranza immunologica a materiale nucleare endogeno, con scatenamento di una risposta immune multi-sistemica che porta a danno di differenti organi e tessuti [1,2]. Il LES è maggiormente prevalente in giovani donne in età fertile, ed il coinvolgimento renale (nefrite lupica, NL), è frequente. Circa il 25-50% di pazienti con LES possono presentare segni o sintomi di malattia renale all’esordio, e fino al 60% di pazienti adulti con LES sviluppano coinvolgimento renale durante la loro storia di malattia [1]. Nella NL, immunocomplessi prodotti nei linfonodi, nella milza o in altre sedi di tessuto linfatico si depositano nei glomeruli; inoltre, auto-anticorpi prodotti nel LES possono cross-reagire in situ con antigeni glomerulari (DNA, istoni, nucleosomi), in particolare della membrana basale [3]. La sede di deposizione degli immunocomplessi a livello glomerulare giustifica il fenotipo istopatologico e clinico. Depositi sub-endoteliali favoriscono disfunzione endoteliale ed influsso intra- ed extra-capillare di cellule infiammatorie (classi “proliferative” III e IV secondo la classificazione della International Society of Nephrology/Renal Pathology Society, ISN/RPS, del 2003 [4], attualmente vigente), espressi dal punto di vista clinico in danno renale acuto, proteinuria, ematuria. Al contrario, la deposizione sub-epiteliale causa danno podocitario e minor grado di infiammazione (la membrana basale glomerulare previene il contatto con lo spazio intra-vascolare), corrispondendo a lesioni istologiche di glomerulonefrite membranosa (classe V ISN/RPS) e a fenotipo clinico di proteinuria, spesso nefrosica [3]. Fattori di rischio riconosciuti per lo sviluppo di NL includono sesso maschile, giovane età ed etnia (più frequente in quelle afro-americana, asiatica ed ispanica rispetto a quella caucasica) [1,2]. Inoltre, è descritta una peggiore prognosi renale in pazienti di etnia africana/afroamericana ed ispanica, con più frequente progressione a malattia renale cronica terminale (End-Stage Kidney Disease, ESKD) [2].

 

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Immunosuppression in kidney transplantation: a way between efficacy and toxicity

Abstract

Renal transplantation is the best treatment for patients with end-stage renal disease.

Over the last decades, the introduction of new immunosuppressive agents resulted into the reduction of the incidence of acute rejection and early graft loss. Despite this progress, there has been little improvement in the average life of the transplant.

The main reasons of late failure are patient’s death due to several complications (e.g. cancer, infectious or metabolic), and progressive deterioration of renal function caused by immunological and non-immunological factors.

The immunosuppressive therapy can be distinguished into two components: the induction therapy and the maintenance therapy. The former has the aim to implement intense and immediate immunosuppression. This therapy is mostly useful in transplant with high immunological risk, although it is correlated with an increased risk of cytopenias and viral infections.

The latter offers the rationale to prevent organ rejection and minimize drug toxicity. This is generally constituted by the association of two or three drugs with different mechanism of action.

The most common application of this scheme includes a calcineurin inhibitor in combination with an antimetabolite and a minimum dose of steroids.

Immunosuppressive therapy is also associated to an increased risk of infections and cancer development. For instance, each class of drugs is related to a different profile of toxicity.

The choice of treatment protocol should take into account the clinical characteristics of the donor and recipient. Furthermore, this treatment may change anytime when clinical conditions result into complications.

Key words: immunosuppressive protocols, immunosuppressive therapy, induction therapy, renal transplantation

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Introduzione

Il trapianto renale è la terapia che garantisce la maggior aspettativa di vita e la migliore qualità tra le terapie proponibili ai pazienti affetti da IRC terminale, con costi complessivamente ridotti rispetto alla dialisi [1234].

Nelle ultime due decadi, grazie alla progressiva conoscenza dei meccanismi alla base della risposta immune all’innesto nell’organismo di cellule e tessuti eterologhi (attivazione e proliferazione dei linfociti T e B, citochine e chemochine di segnale, attivazione del complemento), sono entrati nella pratica clinica agenti immunosoppressori in grado di bloccare a vari livelli la cascata della risposta immune e di ridurre più efficacemente l’incidenza di rigetto acuto e di perdita precoce del graft.

Nonostante la riduzione del tasso dei rigetti acuti e di fallimento precoce, vi sono stati solo limitati progressi nell’allungamento della vita media del trapianto. Le principali cause di fallimento tardivo sono la morte del paziente con rene funzionante per complicanze infettive, tumorali o metaboliche, eventi cardiovascolari ed il progressivo deterioramento della funzione renale causato sia da fattori immunologici (rigetto cellulare tardivo, rigetto anticorpo-mediato, recidiva di nefropatia autoimmune) che da fattori non immunologici (nefrotossicità da CNI o altri farmaci, diabete, ipertensione arteriosa, invecchiamento dell’organo).
 

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