New strategies for prevention and early diagnosis of iodinated contrast-induced nephropathy: a systematic review

Abstract

Iodinated contrast-induced nephropathy is one of the most feared complications of percutaneous coronary interventions and is associated with increased cardio-vascular mortality and a faster progression towards end stage renal disease. The effects of the iodinated contrast medium on intra-renal hemodynamics and its direct cytotoxic action on proximal tubular cells contribute synergistically to the pathophysiology of renal damage. Since the therapeutic options are extremely limited, the rapid identification of risk factors and the timely implementation of preventive strategies are mandatory to reduce the incidence of iodinated contrast-induced nephropathy. To date, the criteria for defining and staging contrast medium nephropathy are still based on the increase of serum creatinine and/or contraction of diuresis, which are lacking in specificity and therefore do not allow early diagnosis. The aim of this review is to report the latest evidence on the pathophysiological mechanisms that contribute to renal damage by iodinated contrast medium, on the risk stratification tools and on the new early biomarkers of contrast-induced nephropathy, while also focusing on the most validated prevention strategies.

 

Keywords: contrast medium, nephropathy, risk factors, early diagnosis, prevention

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

La nefropatia da mezzo di contrasto iodato (Contrast Induced Nephropathy – CIN) rappresenta la terza causa di danno renale acuto (Acute Kidney Injury – AKI) acquisita durante un ricovero ospedaliero. La CIN ha un impatto nettamente sfavorevole sull’outcome del paziente, in quanto si associa ad un’elevata incidenza di eventi cardio-vascolari, una ridotta sopravvivenza sia nel breve che nel medio-lungo termine e a un prolungamento dei tempi di ospedalizzazione, con importanti ripercussioni sulla spesa sanitaria. Un recente studio retrospettivo condotto su 11.249 pazienti sottoposti ad angiografia coronarica ha inoltre dimostrato che lo sviluppo di CIN correla con una progressione più rapida verso l’insufficienza renale cronica [1,2]. Questi dati dipendono non solo dal numero sempre più crescente di procedure radiologiche eseguite per fini diagnostici e/o terapeutici, ma soprattutto dalle caratteristiche demografiche dell’utenza che beneficia di tali procedure: nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di pazienti anziani affetti da una o più comorbilità, (ad es., scompenso cardiaco cronico, ipertensione arteriosa, diabete mellito, malattia renale cronica – MRC – preesistente, etc.,), che correlano con un aumentato rischio di CIN rispetto alla popolazione generale [3]. Sebbene l’associazione tra esposizione a mezzo di contrasto (MDC) e tossicità renale sia nota dagli anni ’60, ad oggi non vi è accordo in letteratura sulle modalità di definizione e stadiazione della CIN, che si basano ancora su parametri, quali la creatininemia e la diuresi, privi di specificità e che non consentono una diagnosi precoce. Negli ultimi anni il tema della tossicità renale da MDC è stato oggetto di nuovi studi in ambito nefrologico, cardiologico e radiologico, che hanno consentito di acquisire importanti conoscenze sulla fisiopatologia, i fattori di rischio e le strategie di prevenzione della CIN. Lo scopo della presente review è stato quello di riesaminare le ultime evidenze sui meccanismi fisiopatologici che concorrono al danno renale da MDC, sugli strumenti di stratificazione del rischio e sui nuovi biomarkers precoci di CIN, focalizzando altresì l’attenzione sulle strategie preventive maggiormente validate in letteratura. 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Nephrologists’ role in a changing climate

Abstract

Human-induced climate changes represent an increasing concern in recent years. Among the medical specialties, Nephrology is the most interested in the negative effects of climate changes on human health. Kidneys in fact play a crucial role in blood volume regulation as well as in the extra- and intracellular osmolality that allow normal metabolism. Furthermore, urinary concentration minimizes fluid losses, while also insuring the excretion of nitrogenous wastes. The harmful effects of heat can lead to both acute and chronic kidney diseases, electrolyte abnormalities, kidney stone formation and urinary tract infections. As global warming increases, major efforts are required worldwide to assure adequate hydration and prevent overheating in vulnerable populations. While our activities make us responsible agents, there are also several opportunities to change the game, both individually and as a scientific society. This call to action intends to raise awareness on environmentally sustainable practices and encourage the nephrology community in Italy to participate in this important discussion.

Keywords: kidney injury, kidney disease, nephropathy, climate change, global heating

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

Negli ultimi decenni il nostro pianeta ha subito importanti cambiamenti climatici, in gran parte dovuti alle attività umane che coprono ormai più dell’80% della sua superficie [1]. Gli elevati livelli di gas serra causati dall’uso dei combustibili fossili, il conseguente aumento delle temperature, l’innalzamento del livello dei mari e le condizioni climatiche estreme, stanno avendo un profondo impatto sulla salute dell’uomo [2]. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 2012 vi sono stati 12.6 milioni di morti riconducibili a rischi ambientali, molti dei quali influenzati da fattori climatici [3]. I mutamenti climatici globali, unitamente alle alterazioni degli ecosistemi, minacciano intere popolazioni e richiedono da parte della classe medica una nuova etica, che vada ben oltre quella strettamente basata sul rapporto medico, paziente e società [4]. Com’è noto, l’interesse della medicina per l’ambiente risale all’antichità. Già Ippocrate, nel V-IV secolo a.C., invitava i medici nel suo trattato “Arie Acque Luoghi” a considerare tutti i fattori ambientali, come la qualità del suolo, delle acque e dell’aria, che potessero causare l’insorgenza di malattie [4]. Il trattato è forse l’archetipo di quella investigazione medica che guarda l’ammalato nel suo contesto ambientale e ragiona sulle cause della malattia, stabilendo una relazione tra l’ambiente e la salute dell’uomo. Ancora, nel periodo delle grandi esplorazioni, numerosi erano i consigli medici rivolti a chi doveva navigare in climi tropicali caldo-umidi e doveva proteggersi dalle possibili fatali conseguenze di quei climi [5,6]. Dopo i numerosi allarmi lanciati da esperti del clima, l’accumularsi di evidenze e i dibattiti sulle maggiori riviste scientifiche, la classe medica ha finalmente sviluppato una nuova consapevolezza sui temi ambientali, oggi più che mai al centro di un ampio dibattito politico-economico. Nel 1992 la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo ha prodotto un accordo quadro, ulteriormente sviluppato poi nella conferenza di Kyoto e di Parigi, con lo scopo di impegnare i paesi firmatari ad adottare efficaci politiche di tutela ambientale ed evitare le conseguenze dei cambiamenti climatici [7]. Secondo una stima dell’OMS, più di 100 milioni di persone potrebbero ritrovarsi in condizioni di estrema povertà entro il 2030 a causa di questi fenomeni [8]. Se la temperatura globale è aumentata mediamente di 1° Centigrado, uno degli effetti più devastanti dei mutamenti climatici è tuttavia rappresentato dalle cosiddette ondate di calore associate ad aumento dell’umidità. Si definisce ondata di calore una variazione climatica con temperatura superiore di 5° rispetto alla media delle temperature massime in un dato giorno, della durata di almeno cinque giorni [9].

 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

The Fabry nephropathy: new insight in diagnosis, monitoring and treatment

Abstract

Fabry disease is a rare inborn error of the enzyme α-galactosidase (Α-Gal) and results in lysosomal substrate accumulation in tissues with a wide range of clinical presentations. The disease has attracted a lot of interest over the last years and several issues has been discovered up to now leading to increasing knowledge and awareness of the disease. However, several aspects are still unclear and under investigation. Thus, the new challenges that physicians encounter are the discovering of the pathogenic mechanisms, the neutralising antibodies to ERT, the long-term efficacy of therapies.

In this article, we summarise and review the latest developments in the science community regarding diagnosis, management and monitoring of Fabry disease concerning in particular its physiopathology, novel biomarkers, antibodies development and novel treatment options.

 

Keywords: Fabry disease, nephropathy, α-galattosidase A, agalsidase

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

La malattia di Fabry è una malattia genetica dovuta alla mutazione del gene GLA posto nel cromosoma X che causa la deficienza dell’enzima lisosomiale α-galattosidasi A. È caratterizzata dall’accumulo di glicolipidi (in particolare il globotriaosylceramide o Gb3 e la globotriaosylsfingosina o Lyso-Gb3), all’interno dei lisosomi di svariati elementi cellulari.  

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Ultrasonography in chronic lithium nephropathy: a case report

Abstract

Lithium has always been used as a first-choice therapy in bipolar disorders. However, its therapeutic index is restricted by placing patients at risk of potential nephrotoxic effects ranging from polyuria, to Insipid Nephrogenic Diabetes, to chronic kidney disease with a slow reduction of renal function over time. The Nephrologist has the role to diagnose chronic lithium nephropathy, monitoring its evolution and optimizing the management of risks associated with the treatment. In fact, the main objective, to be shared with the psychiatrist, is to encourage the maintenance of therapy even in the presence of nephropathy. Renal ultrasound, a safe, repeatable and low-cost technique, is essential to pursue this goal as it not only confirms the diagnosis of chronic lithium nephropathy hypothesized on the basis of the history and clinical picture, but is also helpful in monitoring its evolution. In this paper, we report a case of chronic lithium nephropathy in order to analyze the etiopathogenesis of renal damage, the clinical-laboratory and histological picture and, in particular, the fundamental role of ultrasound imaging.

 

KEYWORDS: lithium, Insipid Nephrogenic Diabetes, polyuria, nephropathy, renal ultrasound

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

Il litio, elemento-traccia essenziale per la vita umana, è utilizzato in farmacologia clinica da oltre 50 anni quale valido trattamento nei disturbi bipolari per la comprovata efficacia e il basso costo [1], nonostante i potenziali effetti nefrotossici nei pazienti in terapia cronica che vanno dalla poliuria, al Diabete Insipido Nefrogenico (DIN), sino alla malattia renale cronica (MRC) con riduzione progressiva del GFR [2, 3]. 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.