Novembre Dicembre 2019 - In depth review

Nephrologists’ role in a changing climate

Abstract

Human-induced climate changes represent an increasing concern in recent years. Among the medical specialties, Nephrology is the most interested in the negative effects of climate changes on human health. Kidneys in fact play a crucial role in blood volume regulation as well as in the extra- and intracellular osmolality that allow normal metabolism. Furthermore, urinary concentration minimizes fluid losses, while also insuring the excretion of nitrogenous wastes. The harmful effects of heat can lead to both acute and chronic kidney diseases, electrolyte abnormalities, kidney stone formation and urinary tract infections. As global warming increases, major efforts are required worldwide to assure adequate hydration and prevent overheating in vulnerable populations. While our activities make us responsible agents, there are also several opportunities to change the game, both individually and as a scientific society. This call to action intends to raise awareness on environmentally sustainable practices and encourage the nephrology community in Italy to participate in this important discussion.

Keywords: kidney injury, kidney disease, nephropathy, climate change, global heating

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Introduzione

Negli ultimi decenni il nostro pianeta ha subito importanti cambiamenti climatici, in gran parte dovuti alle attività umane che coprono ormai più dell’80% della sua superficie [1]. Gli elevati livelli di gas serra causati dall’uso dei combustibili fossili, il conseguente aumento delle temperature, l’innalzamento del livello dei mari e le condizioni climatiche estreme, stanno avendo un profondo impatto sulla salute dell’uomo [2]. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel 2012 vi sono stati 12.6 milioni di morti riconducibili a rischi ambientali, molti dei quali influenzati da fattori climatici [3]. I mutamenti climatici globali, unitamente alle alterazioni degli ecosistemi, minacciano intere popolazioni e richiedono da parte della classe medica una nuova etica, che vada ben oltre quella strettamente basata sul rapporto medico, paziente e società [4]. Com’è noto, l’interesse della medicina per l’ambiente risale all’antichità. Già Ippocrate, nel V-IV secolo a.C., invitava i medici nel suo trattato “Arie Acque Luoghi” a considerare tutti i fattori ambientali, come la qualità del suolo, delle acque e dell’aria, che potessero causare l’insorgenza di malattie [4]. Il trattato è forse l’archetipo di quella investigazione medica che guarda l’ammalato nel suo contesto ambientale e ragiona sulle cause della malattia, stabilendo una relazione tra l’ambiente e la salute dell’uomo. Ancora, nel periodo delle grandi esplorazioni, numerosi erano i consigli medici rivolti a chi doveva navigare in climi tropicali caldo-umidi e doveva proteggersi dalle possibili fatali conseguenze di quei climi [5,6]. Dopo i numerosi allarmi lanciati da esperti del clima, l’accumularsi di evidenze e i dibattiti sulle maggiori riviste scientifiche, la classe medica ha finalmente sviluppato una nuova consapevolezza sui temi ambientali, oggi più che mai al centro di un ampio dibattito politico-economico. Nel 1992 la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente e lo Sviluppo ha prodotto un accordo quadro, ulteriormente sviluppato poi nella conferenza di Kyoto e di Parigi, con lo scopo di impegnare i paesi firmatari ad adottare efficaci politiche di tutela ambientale ed evitare le conseguenze dei cambiamenti climatici [7]. Secondo una stima dell’OMS, più di 100 milioni di persone potrebbero ritrovarsi in condizioni di estrema povertà entro il 2030 a causa di questi fenomeni [8]. Se la temperatura globale è aumentata mediamente di 1° Centigrado, uno degli effetti più devastanti dei mutamenti climatici è tuttavia rappresentato dalle cosiddette ondate di calore associate ad aumento dell’umidità. Si definisce ondata di calore una variazione climatica con temperatura superiore di 5° rispetto alla media delle temperature massime in un dato giorno, della durata di almeno cinque giorni [9].

 

Il rene e i cambiamenti climatici

Studi epidemiologici hanno documentato l’associazione tra esposizione al clima caldo-umido e incremento della mortalità, ospedalizzazioni e accessi al dipartimento di emergenza per malattie collegate all’eccessivo aumento delle temperature [10,11].

La nefrologia è tra le specialità più interessate agli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute. Il rene ha un ruolo centrale nella regolazione dei volumi, della pressione arteriosa, dell’equilibrio acido-base e dell’osmolalità intra- ed extracellulare. Il meccanismo di concentrazione delle urine è essenziale per limitare la perdita di fluidi ed assicurare l’eliminazione dei cataboliti azotati. Il rene svolge una funzione essenziale per la protezione dell’organismo rispetto ai danni provocati dal calore e dalla disidratazione [12]. Mantenere una corretta idratazione è importante soprattutto  per le persone più vulnerabili, come anziani, bambini, persone malnutrite, quelle con malattie croniche e multiple comorbidità. Un’ulteriore fonte di preoccupazione è la scarsa disponibilità di acqua, che riguarda attualmente circa il 10% della popolazione mondiale [13]. Vi sono prove crescenti che le ripetute esposizioni al calore possono causare quotidianamente lesioni renali acute subcliniche. L’aumento della temperatura ambientale si associa ad un ampio range di disordini renali, quali l’insufficienza renale acuta (AKI), la malattia renale cronica (CKD), la calcolosi renale e le infezioni delle vie urinarie [14]. Disturbi elettrolitici e quadri di AKI sono stati descritti in lavoratori esposti ad elevate temperature o in soggetti con colpo di calore e ipertermia. Si tratta di forme secondarie a danno tubulare acuto da rabdomiolisi o di patologie tubulointerstiziali secondarie a condizioni di ischemia e stress ossidativo [12,15,16]. Sperimentalmente è stato dimostrato che la disidratazione e lo stress da calore inducono nei topi una infiammazione cronica e un danno tubulare [15]. Ancora, lo stress da calore e disidratazione producono una riduzione del volume urinario e l’aumento della concentrazione di soluti, predisponendo così alla calcolosi urinaria. I calcoli sono in prevalenza formati da acido urico liberato in seguito al danno muscolare e la cui precipitazione è favorita dall’acidificazione urinaria [17]. Negli ultimi anni, specie nelle comunità agricole di regioni caldo-umide del pianeta, si è registrato un aumento di mortalità per una nuova forma di malattia renale cronica di origine sconosciuta (CKDu). Individuata prima in Centro America, e in particolare a El Salvador negli anni ’90, la CKDu ha tuttavia una diffusione potenzialmente globale; quadri simili sono stati infatti osservati in Nord America, Sud America, Africa e India. In America Centrale la CKD, costituita prevalentemente da CKDu, rappresenta la prima causa di ospedalizzazione e di morte ma l’esatta entità del fenomeno è sconosciuta, in quanto la malattia colpisce aree in via di sviluppo, con scarse infrastrutture sanitarie e difficoltà nella segnalazione dei casi di malattia [10]. Dopo quasi tre decadi, la causa della CKDu rimane enigmatica. Quello che sappiamo è che essa si associa all’esposizione al calore, all’umidità e alla disidratazione, sebbene possano contribuire anche l’esposizione a fitofarmaci, metalli pesanti, agenti infettivi, fattori genetici e fattori di rischio legati alla povertà e alla malnutrizione. Biopsie renali in lavoratori del Centro America affetti da CKDu hanno messo in evidenza un danno interstiziale cronico, atrofia tubulare, infiammazione e fibrosi interstiziale [18]. Alcuni dati evidenziano come lo sviluppo della CKD risulti dai ripetuti episodi subclinici di AKI richiamati in precedenza. In alcuni casi si tratta di fenomeni asintomatici, mentre in altri può essere presente febbre, leucocitosi e leucocituria. L’eccessiva esposizione al calore e la disidratazione determinano anche la produzione di urine acide e concentrate, che possono portare alla cristallizzazione dell’acido urico con conseguente danno tubulare [19,20] e, con frequenza maggiore, alla formazione di calcoli renali [21].

Come già proposto da alcuni autori, si potrebbe dunque delineare una nuova entità nosologica, un tipo di Nefropatia da Stress Termico (Heat Stress Nephropathy), accelerata dal surriscaldamento ambientale [15].

I temi ambientali e la necessità di una transizione verso un modello più ecosostenibile ha coinvolto anche il mondo della dialisi. Numerose sono le iniziative che le società scientifiche e i diversi stakeholders hanno messo in campo per incoraggiare l’uso di pratiche più sostenibili nell’ambito dei trattamenti dialitici. Tali iniziative, che rientrano in quella che oggi definiamo green dialysis, hanno individuato tre aree tematiche di intervento: a) l’uso di energia da fonti rinnovabili, evitando il consumo di combustibili fossili e limitando le emissioni di gas serra; b) strategie per limitare il consumo di acqua; c) nuovi sistemi di gestione dei rifiuti con programmi di riciclaggio, minimizzando così l’impatto ambientale [22,23]. Un Global meeting sulla Green Nephrology è stato organizzato nell’ambito del congresso della Società Americana di Nefrologia del 2018, con il supporto della Società Internazionale di Nefrologia. Il meeting ha avuto lo scopo di impegnare la nefrologia mondiale su questi argomenti e di formulare una proposta per inserire la Green Nephrology tra i principali argomenti di discussione del Congresso Mondiale di Nefrologia del 2020 [24].

 

A call to action

Son passati quasi 30 anni dalla convocazione della conferenza internazionale ‘Earth Summit’ in cui, per la prima volta, c’è stata una presa di coscienza dell’impatto dei cambiamenti climatici sul nostro futuro [25]. Tuttavia, i propositi di programmazione, di intesa e di azione hanno ceduto il passo a egoismi nazionali ed a interessi economici. Così, dopo varie iniziative quali l’Enciclica di Papa Francesco ‘Laudato si’ [26], esponenti di diverse religioni hanno dato vita nel 2016 al forum ‘Interfaith Climate Change Statement’ per tentare di mantenere viva l’attenzione sul problema e rivolgere ai leader politici mondiali proposte concrete [27], affermando così un principio fondamentale: proteggere il creato per proteggere l’uomo stesso [26].

La Scienza oggi afferma che i mutamenti climatici rappresentano la più grande minaccia per la salute dell’uomo in questo secolo e che i danni provocati dal clima, senza adeguati e tempestivi interventi, sono destinati a peggiorare nei prossimi anni. I cambiamenti climatici e il riscaldamento globale hanno già prodotto effetti devastanti sui sistemi sociali, economici e distributivi nei paesi in via di sviluppo; la ridotta disponibilità di cibo e acqua, l’aumento della denutrizione, la recrudescenza di malattie infettive e i conflitti politici hanno aumentato i fenomeni migratori di popolazioni alla ricerca di migliori condizioni di vita. Per cercare possibili soluzioni a questo complesso scenario, The Lancet ha lanciato un’importante iniziativa, The Lancet Countdown. Si tratta di una ricerca internazionale e multidisciplinare che coinvolge istituzioni accademiche e professionisti di tutto il mondo con lo scopo di monitorare le conseguenze dei cambiamenti climatici, fornire una valutazione indipendente dell’impatto sulla salute e indicare le azioni da intraprendere per mitigarne gli effetti. Nell’articolo si afferma tra l’altro che “La professione sanitaria ha non solo la capacità, ma la responsabilità di agire come difensore della salute pubblica, comunicando pericoli e opportunità alla popolazione, ai responsabili politici e garantendo che i cambiamenti climatici siano considerati centrali nel benessere dell’uomo” [28].

Una maggiore consapevolezza culturale rispetto a questi argomenti è auspicabile anche da parte dei nefrologi. Le tematiche ambientali e gli effetti sulla salute dei reni dovranno essere oggetto di ricerche e approfondimento, per entrare successivamente nei nuovi programmi di formazione e preparare le future generazioni a fronteggiare nuove sfide, anche con l’uso delle nuove tecnologie. In questo contesto, la CKDu può essere considerata come un esempio paradigmatico, una malattia sentinella, nell’era dei cambiamenti climatici.

I nefrologi devono assumersi questa responsabilità e contribuire attivamente alla trasformazione verso sistemi più ecosostenibili e, làddove possibile, adoperarsi per sostenere campagne di risanamento ambientale, promuovere e divulgare l’uso di stili di vita più sani e contribuire così a prevenire, o almeno a mitigare, i danni renali e ridurre l’insorgenza di nefropatie. Questi aspetti esulano solo in apparenza dal campo della pratica clinica quotidiana e rimandano ad un concetto più alto di medicina come scienza sociale, di cui la nefrologia è parte integrante.

 

 

 

Bibliografia

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