Methods for calculating the number of nephrons from ultrasound scans and kidney biopsies for nephrologists’ use

Abstract

The interest in determining the number of nephrons in the kidney dates back to the 1960s, when an influential laboratory method for determining ex vivo the number of nephrons in the kidneys was described by Bricker. Over the years, various methods have been developed to estimate the number of nephrons in living beings as accurately as possible. These modern methods combine data such as the glomerular density, the percentage of glomeruli in sclerosis calculated from biopsy samples, and the kidney volume, which can be precisely estimated from magnetic resonance, CT scan, or specific ultrasound methods. As the reduction in the number of functioning nephrons is closely connected with an increased risk of progression of renal disease (especially in patients with nephrotic syndrome) and hypertension, its introduction into clinical practice could allow a precise stratification of progression risk in patients with kidney disease and a better understanding of the mechanisms that contribute to the loss of functioning nephrons.

Keywords: nephrons number, kidney biopsy, CKD

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

L’interesse nella determinazione del numero di nefroni del rene risale agli anni ’60, quando Damadian, Shawayri e Bricker misero a punto il primo metodo di laboratorio per la determinazione del numero di nefroni nei reni [1]. L’unità funzionale del rene, il nefrone, varia in numerosità fra varie specie, con caratteristiche che sono determinate da un adeguato sviluppo fetale [2]. Nell’uomo il numero complessivo di nefroni varia a seconda della stima: da 850.000 nefroni [3] a 1.429.000 [4], con variazioni in base all’etnia [5]. L’effetto del genere (maschile/femminile) sul numero di nefroni è meno evidente: in alcuni modelli murini (topi B6) le femmine hanno più nefroni dei maschi, mentre in altri ceppi (C3H) non vi sono differenze fra i due sessi [6]. Inoltre, variazioni nel numero di nefroni sono state associate a diverse condizioni cliniche come l’ipertensione: gli adulti ipertesi hanno infatti una media di 702.000 nefroni, inferiore a quella di soggetti normotesi con una media di 1.429.000 [4].

In corso di malattia renale cronica si verifica una perdita della funzione renale dovuta al danno di singoli nefroni e una ipertrofia ed iperfiltrazione dei nefroni residui. Quest’ultimo fenomeno può causare danno ai nefroni superstiti. Un possibile meccanismo dovuto all’iperfiltrazione consiste in un maggior fabbisogno energetico dei nefroni superstiti, una inadeguatezza dell’apporto vascolare con ipossia, ischemia, acidosi [7] (Figura 1).

malattia renale cronica
Figura 1: Nella malattia renale cronica, l’insufficienza continua dei singoli nefroni porta alla progressiva perdita della funzione renale. Questo processo risulta in parte da una risposta cellulare e molecolare alla lesione che rappresenta un tentativo di mantenere l’omeostasi ma avvia invece un programma che danneggia il nefrone. Man mano che i nefroni vengono persi, la compensazione da parte dei nefroni rimanenti esacerba la fisiopatologia glomerulare. Il fabbisogno energetico dei nefroni iperfunzionanti supera il substrato metabolico a disposizione del tubulo renale e l’inadeguatezza dell’apporto vascolare locale promuove l’ipossia/ischemia e la conseguente acidosi. In questo modo, i meccanismi attivati per mantenere l’equilibrio biologico portano alla fine alla scomparsa del nefrone.

Conoscere il numero di nefroni di un soggetto è rilevante alla luce della correlazione tra basso numero di nefroni alla nascita e un aumentato rischio di malattia renale cronica e ipertensione [7, 8], aggravato da uno stile di vita sedentario [9]. Inoltre, l’obesità, insieme ad altre condizioni alla base di lesioni renali acute o croniche, provoca una riduzione del numero di nefroni funzionanti e di conseguenza progressione della malattia renale [10]. Anche il diabete determina un deterioramento progressivo della massa nefronica [11].

Con l’età il numero di nefroni diminuisce e questo è uno dei meccanismi che determina la diminuzione della funzione renale età-dipendente [12]. Sulla base di una serie di autopsie, il tasso di perdita di nefroni per rene è stato stimato a circa 6.800 nefroni per rene all’anno [13]. Da un ulteriore studio effettuato su donatori viventi di rene, il tasso di perdita di nefroni risulta essere di circa 6.200 nefroni per rene all’anno con una velocità di perdita che aumenta con l’età [14].

Numerose condizioni, oltre all’obesità, portano ad un ridotto numero di nefroni. Forme congenite di basso numero di nefroni sono causate da basso peso alla nascita, sesso femminile (anche se, come discusso, questo dato non è replicato in modelli animali), bassa statura da adulti, reni ipoplasici, nascita pretermine, ridotta crescita intrauterina [15, 16]. Tutte le forme di malattia renale cronica (inclusa quella diabetica) si associano a una perdita di nefroni. Altri aspetti, invece, come l’ipertensione hanno una relazione causa-effetto meno chiara, poiché se l’ipertensione causa danno glomerulare, è anche noto che un ridotto numero di nefroni può causare ipertensione.

Numerosi sono stati i progressi, fino ad oggi, sulla determinazione del numero di nefroni. La micro-TAC con mezzo di contrasto permette, ad esempio, di visualizzare i singoli glomeruli (e quindi contare i nefroni) [17]. Tuttavia, è possibile avere un’adeguata stima del numero di nefroni conoscendo la densità di glomeruli da biopsie renali e il volume della corticale renale. Questa ultima è conoscibile tramite risonanza magnetica [18], ecografia e tomografia computerizzata [19].

Con la risonanza magnetica, il volume renale viene calcolato misurando i tre assi del rene, la cui forma viene approssimata a quella di un ellissoide; per impostazione predefinita vengono misurati i diametri longitudinale e trasversale del rene, e il volume renale è calcolato applicando la formula di approssimazione: volume = lunghezza × larghezza × profondità media × 0,5 [18]. Per quanto riguarda le tecniche ecografiche di calcolo del volume renale, una delle formule utilizzate è l’equazione dell’ellissoide (lunghezza × larghezza × spessore × π/6) e un’equazione aggiustata (lunghezza × larghezza × spessore × 0,674). Tale calcolo è stato validato dal confronto con tecniche di misurazione del volume renale che si servono della tomografia assiale computerizzata (TC) tramite il conteggio dei voxel, che è considerato il criterio standard [19].

Partendo dal volume renale che quindi può essere calcolato anche semplicemente tramite l’ecografia renale, si può facilmente ricavare il numero di nefroni, integrando i dati acquisiti con parametri bioptici quali la densità glomerulare e la percentuale di glomeruli sclerotici [20]. Il nostro scopo, infatti, è quello di chiarire l’importanza della determinazione di questo parametro e di proporne l’introduzione nella pratica clinica con il fine di avere un determinante in più, oltre al filtrato renale (eGFR) e ai marcatori di danno renale (proteinuria), per una più precisa stratificazione del rischio di pazienti affetti da malattia renale.

 

Storia del calcolo del numero di nefroni

Uno dei più antichi metodi per la conta dei nefroni fu messo a punto nel 1965 da Damadian, Shawayri e Bricker tramite un esperimento condotto su cani, allo scopo di quantificare i nefroni con glomeruli perfusi che non contribuiscono con il loro filtrato all’urina finale. Questi sfruttarono una tecnica a doppio marcatore per il rilevamento simultaneo in vivo della perfusione glomerulare e della filtrazione glomerulare. Come marcatore di perfusione è stato utilizzato l’inchiostro di china mentre l’emoglobina è stata usata come marcatore di filtrazione. I risultati con il metodo dell’inchiostro di china in vivo su reni normali sono stati confrontati strettamente con i valori ottenuti nei reni controlaterali con la tecnica standard di perfusione di ferrocianuro in vitro [1]. Nel 1972, Jean-Piere Bonvalet, Monique Champion, Frida Wanstok e Gu Berjal ripresero il metodo di Damadian: ratti sottoposti a un dosaggio letale di anestetico venivano nefrectomizzati, i reni venivano privati della capsula e successivamente macerati in una soluzione di acido cloridrico (HCl) al 50% a 37˚ C per 105 minuti, poi mantenuti in 250 ml di acqua distillata a 4˚ C per un giorno, prima di effettuare la conta. Il giorno seguente, ogni rene veniva posto in una fiala che veniva leggermente agitata a mano per ottenere una sospensione omogenea di glomeruli e frammenti di vasi e tubuli. Aliquote da 1 ml della sospensione venivano poi riposte in celle di plexiglas, e infine i glomeruli venivano contati con un microscopio a un ingrandimento di 40x.

Tale metodo è stato utilizzato con lo scopo di valutare se l’aumento del numero di nefroni fosse responsabile dell’ipertrofia compensatoria che si verificava in ratti nefrectomizzati. I risultati mostrano che l’aumento del numero di nefroni si verificava solo nei ratti nefrectomizzati nei primi 50 giorni di vita, suggerendo che la nefrogenesi sia conservata nei ratti più giovani ma non risulta più presente nei topi di maggiore età [21].

Il metodo di Damadian [1] per la conta del numero di nefroni è stato rivisitato con un protocollo sperimentale proposto da un gruppo dell’Università del Mississippi [22]. Entrambi i metodi si basano sulla tecnica di macerazione in acidi del tessuto renale. In breve, il rene viene sminuzzato e degradato mediante una soluzione di acido cloridrico. Questo porterà all’isolamento dei glomeruli che possono così essere diluiti in un volume noto, contati in un microscopio capovolto, così da poterne stimare infine il numero totale [22].

Con gli anni sono stati elaborati vari metodi per stimare nel modo più preciso possibile il numero di nefroni anche nei viventi [20]. Tali metodi moderni si servono di dati quali la densità glomerulare e la percentuale di glomeruli in sclerosi, calcolate da campioni bioptici [23], e del volume renale che può essere stimato a partire dalla risonanza magnetica con la formula dell’ellissoide che si serve delle misure dei tre assi dell’organo. Si tratta solo di una delle metodiche effettuate per calcolare il volume renale e tale formula, anche se molto utilizzata, tende a sottostimare sistematicamente il volume renale [18]. Un’altra formula che si usa per calcolare il volume renale partendo da risonanza magnetica è l’ellissoide KV-3, messa a punto da Higashihara nel 2015 con l’intento di avere una precisa stima del volume di reni policistici: ellissoide-KV3 = 84 + 1,01 x π/24 × Lunghezza × (somma di due misurazioni di larghezza) [24]. Tale calcolo è stato validato dal confronto con tecniche di misurazione del volume renale che si servono della tomografia assiale computerizzata (TC) ed il principio di Cavalieri. In pratica, conoscendo la distanza (d) fra le scansioni assiali, si calcola su ciascuna scansione (i) l’area del rene (Ai), ed il volume viene stimato tramite la seguente formula (principio di Cavalieri):

V = d * Σi Ai

Si sommano quindi le aree nelle varie scansioni e si moltiplica il tutto per la distanza fra una sezione e la successiva [19]. La limitazione di questa metodologia è che richiede l’uso di raggi X, è più costosa, e richiede tempo per l’analisi perché è necessario delimitare manualmente il profilo del rene su ogni immagine. Normalmente almeno dieci immagini sono necessarie per avere una stima valida del volume renale usando questa tecnica. Inoltre è possibile stimare il volume del rene con l’ecografia [25], anche se si tratta di una metodica operatore-dipendente e quindi più difficilmente riproducibile, ma sicuramente meno dispendiosa per il paziente.

 

Calcolo del numero di nefroni

L’interesse per il calcolo del numero di nefroni deriva principalmente dall’ evidenza che esistono diverse condizioni patologiche renali, come la sindrome nefrosica, nell’ambito delle quali il decadimento della funzione renale è spiegato in larga parte dalla riduzione del numero di nefroni funzionanti [20].

Per effettuare tale calcolo bisogna conoscere il volume della corticale renale (VRC). È possibile calcolare questo parametro partendo dal volume renale totale (VRT) misurato tramite ecografia usando la formula dell’ellissoide KV-3 proposta da Higashihara nel 2015: ellissoide-KV3 = 84 + 1,01 x π/24 × Lunghezza × (somma di due misurazioni di larghezza) [25]. Oltre al VRC è necessario ricavare dalle biopsie prima il volume dei glomeruli non sclerotici (Vnsg), quindi la densità del volume di glomeruli non sclerotici (DglomNSG) servendosi del modello stereologico proposto da Weibel-Gomez nel 1962 [26]. In questo modo è possibile avere una stima di informazioni tridimensionali partendo dalle immagini istologiche in due dimensioni. Una volta che si è in possesso del VRC e della DglomNSG, è possibile calcolare il numero totale di nefroni (TNN) con la formula seguente:

TNN = DglomNSG (n/mm3) x VRC (mm3) /1.81 (Figura 2)

dove il denominatore 1.81 rappresenta un fattore di correzione del restringimento subito dal tessuto istologico per la perdita della perfusione sanguigna [20].

calcolo del numero di nefroni
Figura 2: Per effettuare il calcolo del numero di nefroni bisogna conoscere il volume della corticale renale (VRC), calcolato con l’ecografia renale. Oltre al VRC è necessario ricavare dalle biopsie prima il volume dei glomeruli non sclerotici (Vnsg), quindi la densità del volume di glomeruli non sclerotici (DglomNSG) con il modello stereologico proposto da Weibel-Gomez nel 1962 che permette di stimare informazioni tridimensionali partendo dalle immagini delle biopsie in due dimensioni. Una volta che si è in possesso del VRC e della DglomNSG, è possibile calcolare il numero totale di nefroni (TNN) con la formula seguente: TNN = DglomNSG (n/mm3) x VRC (mm3) /1.81.

 

Numero di nefroni in differenti patologie del glomerulo

La formula descritta è stata utilizzata in una ricerca svolta dal nostro team e pubblicata [20] per stimare il numero di nefroni in diverse glomerulopatie mediante uno studio pilota trasversale retrospettivo su un campione di 107 pazienti che hanno effettuato una biopsia renale. I criteri di inclusione erano: (i) diagnosi istologica di glomerulosclerosi focale e segmentale (GSFS), nefropatia membranosa (MN), nefropatia diabetica (DN), nefropatia a lesioni minime (MCD), nefropatia da IgM (IgMN), nefropatia da IgA (IgAN), nefrite lupica; (ii) età compresa tra 20 e 60 anni. Tramite esame ecografico dei reni è stato calcolato il VRC sfruttando la formula ellissoide KV-3 e, successivamente, applicando la formula per il calcolo del numero totale di nefroni riportata di seguito: TNN = DglomNSG (n/mm3) x VRC (mm3) /1.81. Dalle biopsie renali sono stati calcolati il Vnsg e la DglomNSG con la formula di Weibel-Gomez. I risultati mostrano che (i) il numero totale di nefroni è inversamente correlato alla pressione sistolica, (ii) nelle malattie caratterizzate da proteinuria, come la GSFS, MN e la DN, la variazione dell’eGFR è direttamente correlata al numero totale di glomeruli non sclerotici (NSG); (iii) di contro, nella sindrome nefritica, non abbiamo osservato una correlazione significativa tra il numero di nefroni e la diminuzione dell’eGFR. Ciò lascia quindi ipotizzare che le alterazioni dell’eGFR che si verificano nelle sindromi nefritiche come la nefropatia da IgA (IgAN) non possono essere spiegate sulla base del numero di NSG.

Probabilmente, la velocità di filtrazione glomerulare non è modificata in maniera significativa dal processo di fusione dei pedicelli dei podociti che si verifica tipicamente nelle malattie con proteinuria: quindi, nella sindrome nefrosica la variazione dell’eGFR dipende principalmente dal numero di nefroni funzionanti. D’altra parte, la riduzione della funzione renale che si verifica nelle sindromi nefritiche non può essere spiegata semplicemente sulla base del numero di NSG e probabilmente dipende soprattutto dal coinvolgimento dell’asse mesangiale.

 

Conclusioni

La riduzione del numero di nefroni funzionanti, che può essere connessa ad una nefrogenesi incompleta o a fattori ambientali, è strettamente connessa con un aumento del rischio di progressione di malattia renale (soprattutto nei pazienti con sindrome nefrosica) e di ipertensione [27]. Generalmente, quando i nefroni vanno incontro a perdita di funzione, i glomeruli dei nefroni residui subiscono una serie di modifiche disadattative diventando ipertrofici, un processo che può portare a un transitorio aumento dell’eGFR ma che, con il tempo, aumenta il rischio di progressione della malattia renale [8]. Il basso numero di nefroni alla nascita rappresenta quindi un chiaro fattore di rischio cardiovascolare nella vita adulta, e soprattutto di ipertensione. Tra i fattori che, durante la vita intrauterina, influenzano la nefrogenesi, ritroviamo fattori genetici e fattori ambientali, tra cui anche la dieta materna svolgerebbe un ruolo importante [28]. Anche la denutrizione materna, l’ipossia fetale e il basso peso alla nascita svolgono un ruolo importante nel determinare una nefrogenesi insufficiente e quindi basso numero di nefroni con aumentato rischio di sviluppare malattia renale cronica in età adulta [29].

Dal momento in cui il calcolo del numero di nefroni risulta essere poco dispendioso nei pazienti che vengono sottoposti a una biopsia renale e a un’ecografia renale, suggeriamo di introdurre nella pratica clinica il calcolo sistematico in questa popolazione con il fine di avere una più precisa stima del rischio di progressione della malattia renale in questi pazienti ed eventualmente mettere in atto strategie terapeutiche e/o preventive con tempistiche più adatte in modo di rallentare la progressione della malattia renale. Una strategia efficace potrebbe essere l’ottimizzazione della dieta e la riduzione al minimo dei fattori di stress ipossico/tossico nelle donne in gravidanza e nei bambini all’inizio dello sviluppo postnatale [29].

Le evidenze sulla popolazione adulta affetta da malattia renale cronica e/o ipertensione risultano, invece, ancora scarse. Sono necessari ulteriori studi per confermare l’efficacia del numero di nefroni come parametro utile per stratificare il rischio evolutivo in queste popolazioni e per elaborare scelte terapeutiche adeguate. Infine, sarebbe utile confermare con ulteriori trial clinici che la riduzione del numero di nefroni è un evento correlato soprattutto al danno podocitario, mentre sembra meno in relazione con le patologie renali non caratterizzate da sindrome nefrosica, come dimostrato da dati preliminari sull’argomento [20].

 

Bibliografia

  1. Damadian R. V., Shwayri E. & Bricker N. S. On the existence of non-urine forming nephrons in the diseased kidney of the dog. The Journal of laboratory and clinical medicine, 1965, 65, 26–39.
  2. Oxburgh L. Kidney Nephron Determination. Annual review of cell and developmental biology, 2018, 34, 427–450. https://doi.org/10.1146/annurev-cellbio-100616-060647.
  3. Puddu M., Fanos V., Podda F. & Zaffanello M. The kidney from prenatal to adult life: perinatal programming and reduction of number of nephrons during development. American journal of nephrology, 2009, 30(2), 162–170. https://doi.org/10.1159/000211324.
  4. Keller G., Zimmer G., Mall G., Ritz E. & Amann K. Nephron number in patients with primary hypertension. The New England journal of medicine, 2003, 348(2), 101–108. https://doi.org/10.1056/NEJMoa020549.
  5. Hoy W. E., Hughson M. D., Diouf B., Zimanyi M., Samuel T., McNamara B. J., Douglas-Denton R. N., Holden L., Mott S. A. & Bertram J. F. Distribution of volumes of individual glomeruli in kidneys at autopsy: association with physical and clinical characteristics and with ethnic group. American journal of nephrology, 2011, 33 Suppl 1, 15–20. https://doi.org/10.1159/000327044.
  6. Murawski I. J., Maina R. W. & Gupta I. R. The relationship between nephron number, kidney size and body weight in two inbred mouse strains. Organogenesis, 2010, 6(3), 189–194. https://doi.org/10.4161/org.6.3.12125.
  7. Schnaper H. W. Remnant nephron physiology and the progression of chronic kidney disease. Pediatric nephrology (Berlin, Germany), 29(2), 193–202, 2014, https://doi.org/10.1007/s00467-013-2494-8.
  8. Romagnani P., Remuzzi G., Glassock R., Levin A., Jager K. J., Tonelli M., Massy Z., Wanner C. & Anders H. J. Chronic kidney disease. Nature reviews. Disease primers, 3, 17088, 2017, https://doi.org/10.1038/nrdp.2017.88.
  9. Kosaki K., Takahashi K., Matsui M., Yoshioka M. et al. Sedentary behavior and estimated nephron number in middle-aged and older adults with or without chronic kidney disease. Experimental gerontology, 2021, 154, 111531. https://doi.org/10.1016/j.exger.2021.111531.
  10. Amann K. & Benz K. Structural renal changes in obesity and diabetes. Seminars in nephrology, 2013, 33(1), 23–33. https://doi.org/10.1016/j.semnephrol.2012.12.003.
  11. Gross M. L., Amann K. & Ritz E. Nephron number and renal risk in hypertension and diabetes. Journal of the American Society of Nephrology, 2005, 16 Suppl 1, S27–S29. https://doi.org/10.1681/asn.2004110967.
  12. Hommos M. S., Glassock R. J. & Rule A. D. Structural and Functional Changes in Human Kidneys with Healthy Aging. Journal of the American Society of Nephrology, 2017, 28(10), 2838–2844. https://doi.org/10.1681/ASN.2017040421.
  13. Hoy W. E., Douglas-Denton R. N., Hughson M. D., Cass A., Johnson K. & Bertram J. F. A stereological study of glomerular number and volume: preliminary findings in a multiracial study of kidneys at autopsy. Kidney international, 2003, Supplement, (83), S31–S37. https://doi.org/10.1046/j.1523-1755.63.s83.8.x.
  14. Denic A., Lieske J. C., Chakkera H. A., Poggio E. D., Alexander M. P., Singh P., Kremers W. K., Lerman L. O. & Rule A. D. The Substantial Loss of Nephrons in Healthy Human Kidneys with Aging. Journal of the American Society of Nephrology, 2017, 28(1), 313–320. https://doi.org/10.1681/ASN.2016020154.
  15. Luyckx V. A. & Brenner B. M. Clinical consequences of developmental programming of low nephron number. Anatomical record (Hoboken, N.J. : 2007), 2020, 303(10), 2613–2631. https://doi.org/10.1002/ar.24270.
  16. Luyckx V. A., Shukha K. & Brenner B. M. (2011). Low nephron number and its clinical consequences. Rambam Maimonides medical journal, 2(4), e0061. https://doi.org/10.5041/RMMJ.10061.
  17. Xie L., Koukos G., Barck K., Foreman O., Lee W. P., Brendza R., Eastham-Anderson J., McKenzie B. S., Peterson A. & Carano R. Micro-CT imaging and structural analysis of glomeruli in a model of Adriamycin-induced nephropathy. American journal of physiology. Renal physiology, 2019, 316(1), F76–F89. https://doi.org/10.1152/ajprenal.00331.2018.
  18. Müller A. & Meier M. Assessment of Renal Volume with MRI: Experimental Protocol. Methods in molecular biology (Clifton, N.J.), 2021, 2216, 369–382. https://doi.org/10.1007/978-1-0716-0978-1_21.
  19. Janki S., Kimenai H., Dijkshoorn M. L., Looman C., Dwarkasing R. S. & IJzermans J. Validation of Ultrasonographic Kidney Volume Measurements: A Reliable Imaging Modality. Experimental and clinical transplantation: official journal of the Middle East Society for Organ Transplantation, 2018, 16(1), 16–22. https://doi.org/10.6002/ect.2016.0272.
  20. Viggiano D., Nigro M., Sessa F., Vignolini G., Campi R., Serni S., Pollastro R. M., Vallone G., Gigliotti G. & Capasso G. The number of nephrons in different glomerular diseases. PeerJ, 2019, 7, e7640. https://doi.org/10.7717/peerj.7640.
  21. Bonvalet J. P., Champion M., Wanstok F. & Berjal G. Compensatory renal hypertrophy in young rats: Increase in the number of nephrons. Kidney international, 1972, 1(6), 391–396. https://doi.org/10.1038/ki.1972.51.
  22. Peterson S. M., Wang X., Johnson A. C., Coate I. D., Garrett M. R. & Didion S. P. Estimation of Nephron Number in Whole Kidney using the Acid Maceration Method. Journal of visualized experiments, 2019, (147). https://doi.org/10.3791/58599.
  23. Kanzaki G., Tsuboi N., Utsunomiya Y., Ikegami M., Shimizu A. & Hosoya T. Distribution of glomerular density in different cortical zones of the human kidney. Pathology international, 2013, 63(3), 169–175. https://doi.org/10.1111/pin.12044.
  24. Higashihara E., Nutahara K., Okegawa T., Tanbo M., Hara H., Miyazaki I., Kobayasi K. & Nitatori T. Kidney volume estimations with ellipsoid equations by magnetic resonance imaging in autosomal dominant polycystic kidney disease. Nephron, 2015, 129(4), 253–262. https://doi.org/10.1159/000381476.
  25. Benjamin A. Chen M., Li Q., Chen L., Dong Y., Carrascal C. A., Xie H., Samir A. E. & Anthony B. W. Renal Volume Estimation Using Freehand Ultrasound Scans: An Ex Vivo Demonstration. Ultrasound in medicine & biology, 2020, 46(7), 1769–1782. https://doi.org/10.1016/j.ultrasmedbio.2020.03.006.
  26. Weibel E. R. & Gomez D. M. A principle for counting tissue structures on random sections. Journal of applied physiology, 1962, 17, 343–348. https://doi.org/10.1152/jappl.1962.17.2.343.
  27. Douglas-Denton R. N., McNamara B. J., Hoy W. E., Hughson M. D. & Bertram J. F. Does nephron number matter in the development of kidney disease? Ethnicity & disease, 2006, 16(2 Suppl 2), S2–45. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/16774009/.
  28. Benz, K., & Amann, K. Maternal nutrition, low nephron number and arterial hypertension in later life. Biochimica et biophysica acta, 2010, 1802(12), 1309–1317. https://doi.org/10.1016/j.bbadis.2010.03.002.
  29. Chevalier R. L. Bioenergetic Evolution Explains Prevalence of Low Nephron Number at Birth: Risk Factor for CKD. Kidney360, 2020, 1(8), 863–879. https://doi.org/10.34067/KID.0002012020.

La glomerulopatia da C3

Abstract

In recent years, the complement system, which plays a crucial role in the innate immunity, fostered renewed scientific interest. This process has brought a rare kidney disorder, named C3 glomerulopathy, in the center of a real revolution, highlighting the complex interactions between genotype, triggers and kidney microenvironment, which together contribute to the final phenotype of the disease. At the same time, experimental studies and clinical trials testing new complement inhibitors have multiplied enormously. It’s a very promising time for patients affected by C3 glomerulopathy, which didn’t have so far effective therapies in preventing the progression to the end-stage kidney disease.

Keywords: Membranoproliferative glomerulonephritis, C3 glomerulopathy, complement system, alternative pathway, kidney biopsy

Sorry, this entry is only available in Italian.

La glomerulopatia da C3 (C3G) è una rara malattia che si manifesta tipicamente in età pediatrica o nel giovane adulto, caratterizzata da intensi depositi di C3 alla biopsia renale. Essa è considerata un sottotipo di glomerulonefrite membranoproliferativa (MPGN) [1].

La classificazione storica della MPGN, basata sull’osservazione al microscopio elettronico (EM), prevedeva la seguente suddivisione in MPGN: di tipo I, caratterizzata da depositi elettrondensi subendoteliali; di tipo II, anche chiamata malattia a depositi densi (DDD), con depositi intensamente elettrondensi, in sede intramembranosa; di tipo III, con depositi sia sottoendoteliali che subepiteliali. Tuttavia questa classificazione della MPGN si è dimostrata essere limitata per l’assenza di una chiara connessione con la patogenesi della malattia, con scarsi risvolti clinici per il paziente.

Recentemente, in base al reperto alla immunofluorescenza (IF), Sethi S. e collaboratori hanno proposto un nuovo sistema classificativo della MPGN, che ha portato alla distinzione di due sottotipi [2]. Il primo, nel quale sono evidenziabili alla IF depositi glomerulari di immunoglobuline e complemento, è quello della MPGN mediata da immunocomplessi (IC-MPGN), causata dalla deposizione glomerulare di immunocomplessi o immunoglobuline nel contesto di malattie sistemiche o infettive, con prevalente attivazione della via classica del complemento. Il 20-30% di queste forme non riconosce una causa specifica ed è pertanto idiopatica. Il secondo sottotipo comprende la forma di MPGN mediata dalla disfunzione della via alterna del complemento, chiamata anche C3G, caratterizzata da deposizione glomerulare dominante di C3 (intensità del C3 all’IF di almeno due ordini di grandezza superiore alle altre immunoglobuline). Infine, sulla base dei reperti all’esame EM, la C3G è stata ulteriormente suddivisa in DDD e C3 glomerulonefrite (C3GN).

La presenza di depositi osmiofilici, intensamente elettrondensi e localizzati tipicamente all’interno della membrana basale glomerulare, caratterizza la DDD. Gli esperti di complemento hanno specificato che la C3G è molto eterogenea in quanto oltre ad un “pattern” di tipo membranoproliferativo può mostrare altri fenotipi glomerulari (ad esempio: proliferativo endocapillare, proliferativo mesangiale, necrotizzante ed extracapillare) [3]. Gli studi nell’animale e nell’uomo hanno permesso di identificare le anomalie biochimiche (es. consumo selettivo C3), genetiche (mutazioni nei geni che codificano per le proteine del sistema del complemento: C3, fattore B, fattore H, fattore I, MCP/CD46 e THBD, varianti di suscettibilità etc.) e i fattori acquisiti (C3Nef, C5Nef, anticorpi contro i fattori regolatori del complemento) che caratterizzano la malattia [4].

Va tuttavia sottolineato che alcuni gruppi di ricerca hanno dimostrato che anomalie genetiche a carico dei fattori regolatori della via alterna del complemento e peculiari anomalie biochimiche, quali ad esempio bassi livelli di C3 ed elevati livelli di sC5b9, sono presenti nella stessa proporzione di pazienti affetti da C3G e IC-MPGN idiopatica [5, 6]. Questa osservazione potrebbe mettere in discussione l’attuale classificazione della MPGN e ci induce a considerare queste patologie all’interno di uno spettro di condizioni cliniche, per le quali la via alterna del complemento è il principale meccanismo patogenetico.

Ma come funziona la cascata del complemento? Esistono tre vie di attivazione del sistema del complemento: classica, lectinica ed alterna [7]. La via classica è attivata dall’interazione fra C1q e gli immunocomplessi, mentre la via lectinica necessita di lectine e ficoline leganti gruppi mannosio, per poter identificare molecole di carboidrati che si trovano sulla superficie di una vasta gamma di microrganismi. Il trigger iniziale delle vie classica e lectinica porta alla conseguente attivazione delle componenti C2 e C4 e alla formazione di C3 convertasi, C4bC2a. Al contrario, la via alterna è continuamente attivata dall’idrolisi spontanea del C3 (meccanismo “tickover”), che risulta in un cambio conformazionale tale da consentire il legame del fattore B (CFB). Una volta legato, il fattore B diventa un substrato per una serino proteasi, detta fattore D (CFD). Il clivaggio del fattore B da parte del fattore D promuove la formazione della C3 convertasi propria della via alterna C3(H2O)Bb, che, in modo simile alla C3 convertasi della via classica, può clivare C3 in C3a e C3b. La generazione di C3b permette alla via alterna di essere pienamente attivata con la formazione del “loop” di amplificazione e del complesso C3bBb. Tutte e tre le vie convergono nel momento in cui C3 viene clivato dalla C3 convertasi per produrre il frammento C5a, un importante agente infiammatorio, e C5b, il componente iniziale della via terminale del complemento. Il legame in sequenza di C5b con C6, C7, C8 ed infine C9 risulta nell’assemblaggio di C5b-9 o complesso di attacco di membrana (MAC). La via alterna è fortemente controllata grazie all’esistenza di diversi regolatori che operano ancorati alla membrana oppure in fase fluida. Fra questi ultimi riconosciamo, ad esempio, il fattore I (CFI) ed il fattore H (CFH). Ci si può facilmente rendere conto che se i regolatori non funzionano correttamente, la conseguenza diretta è l’iperattivazione della via alterna. Era noto già dagli anni ’70 che esistessero glomerulonefriti ipocomplementemiche con pattern membranoproliferativo. Purtroppo, non abbiamo mai avuto a disposizione farmaci specifici per il trattamento di queste malattie. I comuni immunosoppressori si rivelano spesso scarsamente efficaci, ne consegue che la maggior parte dei pazienti progredisce verso l’uremia.

L’immunosoppressore che sembra consentire migliori risultati è il micofenolato, come mostrato da un’analisi retrospettiva del GLOSEN group spagnolo [8]. Si tratta di dati limitati. Il primo inibitore specifico del complemento ad essere utilizzato nelle C3G è l’eculizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato in grado di bloccare il C5 e prevenire la formazione di C5a e del complesso di attacco di membrana. Il razionale per utilizzare il farmaco nell’uomo deriva da studi nel modello animale, topi incapaci di produrre fattore H che sviluppano la glomerulonefrite in modo spontaneo [9]. Provocando la delezione genica del C5 lo stesso animale sviluppa una malattia molto più lieve.

Nel 2012, vengono pubblicati i primi casi aneddotici di giovani pazienti con C3G trattati con eculizumab, che hanno risposte convincenti in termini di riduzione della proteinuria e stabilizzazione della funzionalità renale [10, 11]. Nello stesso anno viene pubblicata la prima “case series” del gruppo di nefrologi della Columbia University [12]. Lo studio sembra suggerire che i pazienti con alti livelli di sC5b9 sono quelli che rispondono meglio all’anticorpo monoclonale. È sulla base di questi risultati che l’Istituto Mario Negri di Bergamo ha disegnato uno studio clinico che ha incluso 10 pazienti con C3G e IC-MPGN [13]. Il protocollo di trattamento prevedeva uno schema on-off-on-off. Nel primo anno di studio i livelli di sC5b9 si sono ridotti rapidamente e si è assistito ad un iniziale miglioramento della proteinuria. Tuttavia, durante il periodo di wash out, è stata osservata un’esacerbazione della malattia con peggioramento dei parametri laboratoristici, che non miglioravano in modo significativo nel successivo anno di trattamento. L’eculizumab è un farmaco molto costoso e che richiede ai pazienti di recarsi in ospedale ogni due settimane per la somministrazione. Inoltre, è un trattamento cronico che non può essere interrotto. Un’osservazione interessante è stata fatta a livello istologico. Nelle biopsie renali dopo due anni di terapia gli infiltrati di leucociti intracapillari sono drasticamente ridotti. A supporto del potente effetto anti infiammatorio dell’eculizumab esiste anche uno studio retrospettivo, che mostra come i pazienti con C3G che ottengono una risposta migliore dalla terapia sono quelli con una presentazione clinica rapidamente progressiva e con una maggior percentuale di semilune floride all’esordio [14].

Negli ultimi anni si è assistito ad un vertiginoso impulso nella ricerca e sperimentazione nel campo dei nuovi inibitori selettivi del complemento. Un caso esemplare riguarda l’inibitore orale del fattore D, danicopan, che blocca l’azione della C3 convertasi e che è stato oggetto di ricerca presso l’Istituto Maro Negri di Bergamo. I dati di questo studio non sono ancora stati pubblicati. Sono state osservate risposte molto variabili con questo farmaco nei pazienti affetti da C3G. In parte, la variabilità delle risposte è dipesa da un problema di tipo farmacocinetico/farmacodinamico. Infatti, il fattore D è molto difficile da inibire. Si pensi che sono sufficienti l’1,8% dei livelli di fattore D per mantenere attiva la via alterna del complemento. La company in oggetto sta cercando di produrre un inibitore più potente del fattore D, che speriamo essere disponibile a breve. Tuttavia, non sono mancate le sorprese incoraggianti. Vale la pena citare il caso di un giovane di 18 anni affetto da DDD, che all’esordio aveva una sindrome nefrosica con peggioramento della funzione renale. Ebbene, dopo poche settimane di trattamento con danicopan, il C3 plasmatico si è normalizzato, così come la proteinuria e la funzione renale. Dal punto di vista istologico si è assistito ad una regressione delle lesioni infiammatorie.

In conclusione, gli studi con questi nuove molecole sono molto difficili da condurre poiché si tratta di malattie rare, molto eterogenee, con un’importante variabilità nei meccanismi patogenetici tra un soggetto e l’altro. Queste malattie complesse ci insegnano che oggi è sempre più necessario adottare una medicina di precisione. L’analisi di cluster è un metodo biostatistico che potrebbe essere molto utile in tal senso. Questo metodo è stato applicato con successo al registro delle MPGN e C3G del Centro di Ricerca per le Malattie Rare dell’Istituto Mario Negri di Bergamo [15]. Utilizzando i dati di 173 pazienti del registro, è stato possibile identificare 4 clusters di malattia con caratteristiche comuni. Suddividendo i pazienti in clusters si sono ottenuti dei sottogruppi di pazienti omogenei dal punto di vista degli aspetti patogenetici. Rispetto alle curve di sopravvivenza dei pazienti suddivisi per gruppo istologico (IC-MPGN, C3GN, DDD), quelle dei pazienti suddivisi nei 4 clusters hanno una maggior rilevanza e significatività in termini prognostici. L’intento è quello di identificare sottogruppi di soggetti che possano beneficiare di specifiche terapie.

Questo è un momento storico molto promettente per i pazienti affetti da C3G. La comprensione dei meccanismi che generano la malattia e la disponibilità di nuovi farmaci capaci di inibire il sistema complemento a diversi livelli della cascata sta rivoluzionando il panorama di questa condizione. Tuttavia, le sfide aperte sono ancora molteplici. In particolare, tenuto conto dell’estrema variabilità genetica e biochimica della malattia, risulta difficile prevedere quale paziente potrà maggiormente beneficiare di un determinato farmaco. Le nuove tecnologie e i metodi biostatistici, come ad esempio l’analisi di cluster, potranno consentire di addentrarci nel campo di una medicina di precisione, che tenga in conto delle variabilità inter individuale dei pazienti.

 

Bibliografia

  1. Smith KD, Alpers CE. Pathogenic mechanisms in membranoproliferative glomerulonephritis. Curr Opin Nephrol Hypertens 2005;14(4):396-403. https://doi.org/1097/01.mnh.0000172729.60122.f9.
  2. Sethi S, Fervenza FC. Membranoproliferative glomerulonephritis a new look at an old entity. N Engl J Med 2012;366(12):1119-31, https://doi.org/1056/NEJMra1108178.
  3. Pickering MC, D’Agati VD, Nester CM, et al. C3 glomerulopathy: consensus report. Kidney Int 2013;84(6):1079-89. https://doi.org/1038/ki.2013.377.
  4. Zhang Y, Nester CM, Martin B, et al. Defining the complement biomarker profile of C3 glomerulopathy. Clin J Am Soc Nephrol 2014;9(11):1876-82. https://doi.org/2215/CJN.01820214.
  5. Servais A, Noël LH, Roumenina LT, et al. Acquired and genetic complement abnormalities play a critical role in dense deposit disease and other C3 glomerulopathies. Kidney Int 2012;82(4):454-64. https://doi.org/1038/ki.2012.63.
  6. Iatropoulos P, Noris M, Mele C, et al. Complement gene variants determine the risk of immunoglobulin-associated MPGN and C3 glomerulopathy and predict long-term renal outcome. Mol Immunol 2016;71:131-42. https://doi.org/1016/j.molimm.2016.01.010.
  7. Fakhouri F, Frémeaux-Bacchi V, Noël LH, et al. C3 glomerulopathy: a new classification. Nat Rev Nephrol 2010;6(8):494-9. https://doi.org/1038/nrneph.2010.85.
  8. Caravaca-Fontán F, Díaz-Encarnación Montserrat M, Lucientes L, et al. Mycophenolate mophetil in C3 glomerulopathy and pathogenic drivers of the disease. Clin J Am Soc Nephrol. 2020 Sep 7;15(9):1287-1298. https://doi.org/2215/CJN.15241219.
  9. Pickering MC, Cook HT. Translational mini-review series on complement factor H: renal diseases associated with complement factor H: novel insights from humans and animals. Clin Exp Immunol 2008;151(2):210-30. https://doi.org/1111/j.1365-2249.2007.03574.x.
  10. Daina E, Noris M, Remuzzi G. Eculizumab in a patient with dense-deposit disease. N Engl J Med 2012;366(12):1161-3. https://doi.org/1056/NEJMc1112273.
  11. Radhakrishnan S, Lunn A, Kirschfink M, et al. Eculizumab and refractory membranoproliferative glomerulonephritis. N Engl J Med 2012;366(12):1165-6. https://doi.org/1056/NEJMc1106619.
  12. Bomback AS, Smith RJ, Barile GR, et al. Eculizumab for dense deposit disease and C3 glomerulonephritis. Clin J Am Soc Nephrol. 2012 7:748–756. https://doi.org/2215/CJN.12901211.
  13. Ruggenenti P, Daina E, Gennarini A, et al. C5 Convertase Blockade in Membranoproliferative Glomerulonephritis: A Single-Arm Clinical Trial. AJKD. 2019 Aug;74(2):224-238. https://doi.org/1053/j.ajkd.2018.12.046.
  14. Le Quintrec M, Lapeyraque AL, Lionet A, et al. Patterns of Clinical Response to Eculizumab in Patients With C3 Glomerulopathy. 2018 Jul;72(1):84-92. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2017.11.019.
  15. Iatropoulos P, Daina E, Curreri M, et al. Cluster Analysis Identifies Distinct Pathogenetic Patterns in C3 Glomerulopathies/Immune Complex-Mediated Membranoproliferative GN. J Am Soc Nephrol. 2018 Jan;29(1):283-94. https://doi.org/1681/ASN.2017030258.