Interview to Attilio Losito: my half-century life as a nephrologist in Perugia

Abstract

In this interview Attilio Losito tells us about his first nephrological experiences gained in the late sixties of the past century in the Institute of Patologia Medica in Perugia directed by Giovanni Gigli, and his subsequent experiences, which also included a period at Guy’s Hospital in London. The interview also describes the important contributions that the school of Perugia produced in the field of nephrology and its main protagonists. This nephrological life story highlights: the role that internal medicine, with its multidisciplinary approach, had in the development of nephrology in its beginnings; the importance of cooperation with foreign institutions; the contributions that specialised research laboratories attached to renal units have given to the improvement of the diagnosis and to the understanding of the pathogenesis of nephropathies.

Keywords: history of nephrology, history of Italian nephrology, history of Italian internal medicine

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Introduzione

di Giovanni B. Fogazzi

In questa intervista Attilio Losito racconta la sua storia di vita nefrologica iniziata alla fine degli anni sessanta del secolo scorso nell’Istituto di Patologia Medica di Perugia, diretto da Giovanni Gigli, e protrattasi per circa cinquanta anni. L’intervista descrive anche le figure principali che operarono nella scuola nefrologica di Perugia e i suoi importanti contributi in diversi settori della nostra specialità, dalla introduzione di nuove tecniche dialitiche all’uso di metodiche innovative per lo studio della patologia renale e della patogenesi delle nefropatie, alla nascita della cardionefrologia. Questi contributi furono favoriti da diversi fattori: che ai suoi albori la nefrologia di Perugia fosse parte della medicina interna, ciò che che ha favorito un approccio multidisciplinare al paziente nefropatico, che nel corso degli anni è andato via via scomparendo, in Italia e non solo; la collaborazione con centri clinici e di ricerca stranieri, tra cui il Guy’s Hospital di Londra, di cui Attilio Losito ha frequentato sia la nefrologia sia diversi laboratori; la possibilità di disporre di un laboratorio di ricerca clinica annesso alla nefrologia di Perugia. Su quest’ultimo aspetto mi permetto di affermare, con il pieno sostegno di Attilio Losito, che la progressiva scomparsa di questi piccoli e specializzati laboratori, a causa di una reclamata necessità di centralizzazione dei laboratori clinici, ha avuto un impatto negativo sulla ricerca nefrologica nel nostro Paese, con svantaggio anche per i nostri pazienti nefropatici.

 

Perché hai deciso di fare il medico? E perché hai deciso di dedicarti alla nefrologia?

Ambedue i miei genitori erano medici così come molti dei loro amici. Durante gli ultimi anni di liceo, ascoltando le loro conversazioni, rimasi colpito dalle prospettive che in quegli anni si aprivano per la medicina grazie alle nuove scoperte. Fu quindi una naturale conseguenza iscrivermi a medicina. La prima materia clinica che incontrai fu la Patologia Medica il cui docente, come vedremo, era uno dei primi cultori della Nefrologia in Italia. Le sue lezioni sul rene e gli altri argomenti erano affascinanti e questo mi spinse a far domanda di internato in quell’Istituto.

 

Come è nata la nefrologia a Perugia?

A Perugia la nefrologia è nata sotto l’impulso di Giovanni Gigli (1913-1991), che era stato chiamato alla cattedra di Patologia Medica dell’Università nel 1961.

La sua chiamata rientrava nel vasto progetto di sviluppo della facoltà promosso dal rettore Giuseppe Ermini (1900-1981), che aveva scelto la politica di attirare a Perugia giovani cattedratici con l’ambizione di successivi trasferimenti a sedi più prestigiose. Così in quegli anni passarono per Perugia, e vi crearono la loro scuola, Paride Stefanini (1904-1981), Adamo Grilli (1907-1989), Roberto Burgio (1919-2014), Paolo Larizza (1912-2000) ed altri luminari che in seguito lasciarono la loro impronta sulla medicina italiana.

Gigli, che era già noto in Italia per i suoi studi nefrologici svolti a Pisa sotto l’egida di Gabriele Monasterio (1903-1972), rientrava tra queste figure, e fu il primo clinico con cui io, studente, venni in contatto. Come era di norma a quei tempi, portò con sé un gruppo di giovani allievi [1,2], che furono poi i miei docenti.

Nell’Istituto di Patologia Medica, che comprendeva circa 70 letti, si ricoveravano pazienti con tutte le patologie internistiche, ma il nome di Gigli attirava soprattutto pazienti nefropatici da gran parte del centro-Italia, così che una buona parte delle degenze erano di tipo nefrologico. All’inizio, non c’era uno staff specificamente preposto a questi pazienti e quasi sempre era il direttore che sopraintendeva alla loro cura. Quando nel 1966 fui ammesso come studente interno, la terapia dell’insufficienza renale cronica era basata principalmente sulla già famosa “dieta di Pisa”, messa a punto da Sergio Giovannetti (1924-2000) e Quirino Maggiore (1932-2017) [3].

In quell’istituto preparai la mia tesi di laurea sulle alterazioni dell’equilibrio idro-elettrolitico ed acido-base.

L’istituto comprendeva anche diversi laboratori, uno per le analisi cliniche di routine e gli altri dedicati ai vari filoni di ricerca (compreso un centro di fisiopatologia respiratoria del CNR diretto da Carlo Augusto Sorbini) all’interno dei quali i giovani medici erano tenuti a svolgere delle attività. A me furono affidate, per i pazienti della mia corsia, l’esecuzione dell’esame emocromocitometrico e l’esame delle urine e, per tutti i richiedenti interni ed esterni, la misurazione dell’osmolarità plasmatica ed urinaria e della calcemia. Queste incombenze, ancorché modeste, aprivano la strada ad un approccio scientifico alle varie problematiche cliniche.

 

Come ebbe inizio la dialisi?

Nel 1967 la locale Cassa di Risparmio donò all’Istituto, su richiesta di Gigli, un rene artificiale tipo Kiil, che fu destinato al trattamento dell’insufficienza renale acuta. All’inizio le sedute dialitiche si svolgevano sotto la direzione diretta di Gigli (che aveva maturato esperienze con il rene artificiale dapprima in Svezia, a Lund, e poi a Pisa) e dell’aiuto Giulio Muiesan (1928-1989). In seguito, visto il successo dei trattamenti eseguiti, fu acquistato un secondo rene artificiale con lo scopo di creare una sezione specifica e iniziare il trattamento dei pazienti con insufficienza renale cronica. Questo tipo di attività non attraeva gli assistenti più anziani, che preferivano seguire il filone cardiologico o pneumologico, e l’incarico venne perciò affidato al giovane Umberto Buoncristiani (1939-2016), sotto la supervisione di Gigli.

Nel 1968, grazie anche alla presenza nella Clinica Chirurgica di un buon angiochirurgo che garantiva la qualità degli accessi vascolari, l’attività dialitica per l’insufficienza renale cronica potè decollare. Si rese subito necessario affiancare qualcuno a Buoncristiani per garantire la continuità assistenziale e venni indicato io, che ero il più giovane tra i volontari. I miei compiti erano di tipo ancillare: preparare le soluzioni dialitiche, controllare con il refrattometro ottico – che allora svolgeva le funzioni del conducimetro – la concentrazione dei soluti totali nel bagno di dialisi, e sovraintendere alla preparazione dei dializzatori. Buoncristiani e io ci alternavamo nei turni di guardia, che comprendevano anche quelli dell’intero Istituto. Le urgenze dialitiche più frequenti erano le occlusioni degli shunt artero-venosi, gli edemi polmonari e le iperpotassiemie, che erano di difficile gestione, dati i lunghi tempi di preparazione del dializzatore Kiil.

L’anno seguente, con l’aumento del numero dei pazienti, l’Ospedale decise di assumere stabilmente il personale medico dedicato alla dialisi e, dopo Buoncristiani, fummo assunti io e Mario Timio, che si era associato a noi. Il nostro servizio di dialisi era l’unico in un’area geografica molto vasta e rapidamente le richieste superarono le possibilità di trattamento. In questa situazione Buoncristiani ritenne che la dialisi peritoneale, che fino ad allora veniva utilizzata solo per i pazienti acuti, fosse un’alternativa praticabile e vi si dedicò con determinazione, anche contro lo scetticismo molto diffuso a livello nazionale [4]. Nel frattempo, il servizio di emodialisi era stato potenziato sino a disporre di 10 postazioni dialitiche ed erano stati assunti altri due colleghi della Patologia Medica, Loris Lorusso e Carmen Carobi (1941-2017). Grazie a questo incremento di risorse umane e materiali, e grazie alla dialisi peritoneale, riuscimmo a rispondere alle esigenze assistenziali.

Nel frattempo, nel 1968, quando le scuole di specializzazione di nefrologia ancora non esistevano, su consiglio di Gigli mi iscrissi alla scuola di medicina interna dell’università di Pisa, diretta da Gabriele Monasterio, nella quale lo studio delle malattie renali occupava un posto di rilievo. Poi, nel 1972, quando furono aperte le prime scuole di nefrologia, mi iscrissi alla scuola di Bologna, per la grande esperienza maturata in quella sede nella biopsia renale.

 

Quali erano le figure di riferimento nell’Istituto diretto da Gigli?

Il servizio di dialisi era parte dell’Istituto di Patologia Medica e di conseguenza lo sparuto gruppetto dei dializzatori poteva fruire del laboratorio interno e del supporto clinico dei colleghi più anziani, che avevano maturato le loro prime esperienze nella Clinica Medica di Pisa, sviluppando diverse competenze specifiche (Figura 1). Alcuni tra questi si dedicavano a tematiche molto affini alla nefrologia.

Il gruppo di Giovanni Gigli i
Fig. 1: Il gruppo di Giovanni Gigli in occasione del primo congresso di Cardionefrologia ad Assisi nel 1987

Camillo Valori (1932-2007), che poi divenne patologo medico a Terni, si era specializzato al Hammersmith Hospital di Londra nel campo del sistema nervoso simpatico e Timio si associò subito a lui per le ricerche in questo settore [5].

Vittorio Grassi (1934-2016) ci supportava nel disimpegno nei disordini più complessi dell’equilibrio idro-elettrolitico ed acido-base e nei primi rudimenti di statistica medica appresi alla scuola di Giulio Maccacaro (1924-1977) [6].

Giulio Muiesan, che era l’aiuto-primario, spiccava su tutti per le sue grandi capacità cliniche e carisma. I giovani medici si ispiravano a lui per il suo metodo clinico sfrondato dai molti orpelli ancora presenti nella medicina italiana, che aveva appreso nelle sue lunghe permanenze in ospedali anglosassoni. Copriva con queste sue caratteristiche le complessità delle varie problematiche internistiche che si presentavano nella nuova attività dialitica. Muiesan era anche interessato alla nefrologia e alla ricerca nefrologica. Infatti, aveva apposto la sua firma il 28 Aprile del 1957 a Parma all’assemblea di fondazione della Società Italiana di Nefrologia, ed era stato il trait d’union tra Monasterio e Jean Oliver (1889-1976) a New York per lo studio sulla glicosuria renale [7]. Grazie a Muiesan si era sviluppata anche una collaborazione con Stanley Peart (1922-2019) del Saint Mary’s Hospital di Londra, che per primo purificò l’angiotensina e ne individuò la struttura [8]. Mediante questa collaborazione Muiesan e Vincenzo Renzini, giovane ricercatore e uno dei fondatori del gruppo dell’ipertensione (1938-2005), produssero ricerche sul sistema renina angiotensina e sui rapporti tra ipertensione e sistema nervoso autonomo [9]. In questo contesto si sviluppò anche una collaborazione con Glenn Lubash della Cornell University, uno dei pionieri della emodialisi [10]. Presso di lui, trasferitosi a Baltimora, lavorò per più di un anno nel 1970-71 Carlo Alicandri (1940-2007), sempre in campo nefrologico. Nell’Istituto si era così creata un’atmosfera internazionale stimolante per tutti noi, arricchita dalle visite di figure nefrologiche di grande rilievo come il britannico Oliver Wrong (1925-2012), uno dei padri della nefrologia inglese [11]. Personalmente, ricordo ancora quando mi trovai ad accompagnare al laboratorio delle catecolamine Vincent DeQuattro (1933-2001), noto ipertensiologo della University of California, Los Angeles (UCLA). A tutto questo va aggiunto che diversi colleghi avevano fatto un’esperienza almeno semestrale nei maggiori ospedali londinesi.

Le ricerche sul sistema adrenergico in particolare ebbero una notevole risonanza nazionale ed internazionale [12]. Infatti, nel corso degli anni, diversi colleghi da centri nefrologici italiani e stranieri vennero a Perugia per apprendere da Valori e Renzini. In particolare, si sviluppò un notevole interesse sulle relazioni esistenti tra sistema cardiocircolatorio e rene, inizialmente studiate da Gigli e Muiesan a Pisa [13,14]. Questo fu il filone che seguì con perseveranza Mario Timio, che oggi viene considerato il fondatore della cardionefrologia [15].

Grazie a Muiesan si andò allargando sempre più anche lo spazio dedicato all’ipertensione arteriosa, e questo fatto portò alla nascita, a Perugia nel 1974, del Gruppo di Studio Italiano dell’Ipertensione Arteriosa. Nel 1983, questo si trasformò in Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa, di cui Muiesan divenne il secondo presidente, quando già si era trasferito a Brescia dove fondò la sua scuola. Nei primi incontri sull’ipertensione, tenutisi localmente, fummo coinvolti anche noi del gruppo della dialisi insieme a studiosi di tutta Italia (Figure 2 e 3).

Programma della Sezione sull’ipertensione arteriosa
Fig. 2: Trevi 1975. Programma della Sezione sull’ipertensione arteriosa del corso pratico di aggiornamento “Dibattiti in Cardiologia”. In basso a destra il titolo della relazione tenuta da Attilio Losito
Attilio Losito giovane relatore
Fig. 3: Trevi 1975. Attilio Losito giovane relatore nella Sezione sull’ipertensione arteriosa del corso pratico di aggiornamento “Dibattiti in Cardiologia”

Pertanto, se da un lato la presenza di professionalità diverse all’interno dell’istituto diluiva il ruolo di ciascuna di esse, dall’altro questa forniva un ventaglio di conoscenze che arricchivano ogni singola specialità. Ogni problema clinico, cardiologico, ematologico, pneumologico, trovava la risposta all’interno della clinica. Nella situazione attuale questo non è più possibile ma allora si verificava regolarmente nei grandi istituti internistici, con grande beneficio della completezza delle conoscenze. Di questo se ne giovò particolarmente la nascente attività dialitica, che in quella fase pionieristica presentava quasi sempre problematiche multidisciplinari.

 

Quali furono gli sviluppi successivi?

Nel campo della dialisi Buoncristiani proseguiva il suo impegno ed i suoi studi su nuovi sviluppi della dialisi peritoneale anche con apparecchi automatici di sua invenzione. In pochi anni si era affermato come leader italiano in questa tecnica dialitica [16].

Per quanto riguarda la diagnostica nefrologica, nel 1973 io introdussi la biopsia renale la cui tecnica avevo appreso da Vittorio Bonomini a Bologna, dove frequentavo la scuola specializzazione in Nefrologia. Il mio interesse per la biopsia renale era stato in parte guidato da Giorgio Menghini (1916-1988), caro amico di famiglia, che aveva introdotto una nuova tecnica di biopsia epatica che lo aveva reso famoso nel mondo [17]. Grazie a lui a Perugia arrivarono molti colleghi interessati ad apprendere tale metodica, e tra questi vi fu anche Bonomini, che voleva adattare l’ago Menghini, poco traumatico, alla biopsia renale.

Per i primi anni le biopsie vennero processate da noi nel nostro laboratorio, che era fornito di tutta l’attrezzattura necessaria per l’esame istologico e in immunofluorescenza. Quest’ultima la eseguivamo anche per gli altri centri della regione che cominciarono a loro volta a fare le biopsie. In seguito ci affidammo all’anatomo-patologo Emilio Bucciarelli, che aveva approfondito le sue conoscenze a Birmingham presso il laboratorio di Douglas Brewer (1919-2016), un’autorità nel campo della istopatologia renale. Con Bucciarelli si stabilì un’amichevole e fruttuosa collaborazione che produsse buoni risultati [18].

Nel corso degli anni, più volte Gigli aveva sostenuto che, una volta avviato il programma dialitico, si dovesse avviare un programma per lo studio dell’immunologia delle glomerulopatie, che nell’istituto non era coperto da nessuno. Per questo motivo mi aveva suggerito di recarmi presso un centro di Chicago, con cui lui aveva sviluppato una collaborazione. In previsione di questo programma avevo vinto una borsa di studio del Ministero della Pubblica Istruzione e, nel 1971, ottenuto il diploma americano dell’Educational Commission for Foreign Medical Graduates (ECFMG). Tuttavia, nel 1972 tale programma si arrestò per l’imprevisto trasferimento di Gigli a Pisa in sostituzione di Monasterio.

Alcuni anni dopo, la necessità di un salto qualitativo sull’argomento proposto da Gigli si ripresentò. Per studiare l’immunologia delle glomerulonefriti mi orientai verso la Renal Unit del Guy’s Hospital di Londra, diretta da Stewart Cameron, che era allora un centro di riferimento internazionale per lo studio delle glomerulopatie. Partii per Londra nel Febbraio 1976 e vi rimasi fino all’Aprile 1977 grazie ad una borsa di studio del British Council. Nella Renal Unit, oltre a Cameron, vi erano altre due figure di spicco: Chisholm Ogg e Gwyn Williams (Figura 4). Cameron era famoso per la qualità delle sue lezioni, gli interventi e le discussioni sui casi clinici. Piaceva agli studenti e attraeva colleghi da tutto il mondo, la sua cultura era enciclopedica e non limitata alla sola medicina. Ogg era il clinico per eccellenza: nell’approccio ai problemi clinici impersonava il pragmatismo britannico, scegliendo sempre la via diretta. Williams, cui ero stato affidato, era conosciuto per gli studi del sistema sul complemento nelle glomerulonefriti effettuati all’Hammersmith Hospital e si applicava alla ricerca con grande rigore scientifico. Con lui approfondimmo l’interazione tra farmaci immunosoppressivi e funzione leucocitaria [19].

Il gruppo della renal unit del Guy's hospital
Fig. 4: Il gruppo della renal unit del Guy’s hospital. In prima fila, da destra Gwyn Williams e Stewart Cameron; primo da sinistra Chisholm Ogg

Il Guy’s Hospital era un centro di eccellenza in vari settori della medicina e io cercai di approfittarne appieno. Infatti, collaborammo con l’immunologo Thomas Lehner, che al Guy’s aveva creato un centro di riferimento mondiale per la malattia di Behçet, sviluppando una ricerca sull’immunità umorale in questa malattia [20]. Il genetista Matteo Adinolfi (1929-2020) della Pediatric Research Unit, mi permise di approfondire alcuni aspetti tecnici che mi furono utili in seguito nelle ricerche di genetica clinica. In seguito Adinolfi mi mise in contatto con i genetisti del St George’s Hospital con cui sviluppai una proficua collaborazione [21]. Inoltre, dai colleghi del dipartimento di medicina interna, appresi il metodo di determinazione degli anticorpi anti-DNA basato sull’immunofluorescenza indiretta su Crithidia Luciliae, della quale mi diedero un inoculo che avevano ottenuto dalla Croce Rossa olandese. Rientrato a Perugia, introdussi questo test in Italia, dimostrandone la affidabilità e la riproducibilità [22], e distribuii culture di Crithidia Luciliae a colleghi di diverse parti di Italia. Con questo semplice metodo la determinazione degli anticorpi anti-DNA divenne alla portata di molti centri, sostituendo così la metodica basata su test radioimmunologici, che poteva essere utilizzata solo in pochissimi istituti di ricerca. Un altro aspetto interessante del mio soggiorno londinese fu la frequentazione con i colleghi italiani che si specializzavano in varie branche della medicina. Quasi tutti in seguito ottennero in Italia o in Inghilterra posizioni di prestigio. Londra allora offriva moltissimo anche dal punto di vista sociale. Durante il mio soggiorno londinese la Regina Elisabetta visitò i nostri laboratori. Qui mostrò interesse per vari esperimenti, compresi quelli invasivi (Figura 5). Ebbi anche occasione di incontrare Donna Vittoria Leone in visita all’Ospedale Italiano, centro di incontro di quasi tutti i medici italiani a Londra (Figura 6).

Pass nominale per “A. Lossito”
Fig. 5: Pass nominale per “A. Lossito” (sic) al 17° e 18° piano del Guy’s hospital durante la visita della Regina Elisabetta II
Visita di Donna Vittoria Leone
Fig. 6: Visita di Donna Vittoria Leone (moglie dell’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone) all’Ospedale Italiano di Londra. Attilio Losito primo da sinistra, indicato dalla freccia. Da: La Voce degli Italiani. Quindicinale degli Italiani in Gran Bretagna 1976; 29(5):2 

Come mettesti a frutto queste esperienze al tuo rientro in Italia?

Al mio rientro a Perugia il nostro servizio di dialisi si staccò dalla Patologia Medica e divenne autonomo in una nuova e più grande sede. Oltre all’aumento delle postazioni dialitiche ottenemmo 16 letti di degenza ed un laboratorio dedicato. Lo staff si arricchì dei validissimi colleghi Massimo Cozzari, Loretta Pittavini, Pino Quintaliani e Ivano Zampi. Potemmo così sviluppare al meglio le potenzialità del settore dialitico e nefrologico.

Nel campo della dialisi peritoneale Buoncristiani ideò e collaudò il suo pratico sistema di connessione per la CAPD (continuous ambulatory peritoneal dialysis) [23]. Questa tecnica impiegò un po’ di tempo per ottenere i meritati riconoscimenti ma alla fine li ottenne. Infatti, in un articolo del 2010, Dimitrios Oreopulos (1936-2012), la massima figura mondiale nel campo della dialisi peritoneale, affermava che “il sistema Y di Perugia ha ridotto l’incidenza delle peritoniti e oggi tutti i nefrologi sono d’accordo con i principi di questo sistema” [24]. Colleghi di tutta Italia frequentarono il nostro reparto per apprenderne la tecnica.

La creazione ex novo di un laboratorio dedicato alle esigenze nefrologiche fu molto impegnativa ma per noi fu un grande successo. Peraltro ci consentì di fornire risposte tempestive ai quesiti clinici urgenti e di allestire tecniche nuove e all’avanguardia per i tempi. Elettroliti e osmolarità erano a disposizione per le emergenze. Per l’esame delle biopsie renali, oltre a disporre di esame istologico e in immunofluorescenza, avevamo introdotto la metodica dell’immunoperossidasi. Ai fini di ricerca potevamo studiare la funzione leucocitaria, determinare le frazioni e l’attivazione del complemento, eseguire gel-filtrazione ed eseguire esami spettrofotometrici. La disponibilità di una camera fredda, una centrifuga refrigerata ed il grande lavoro di Zampi, ci consentirono di studiare le crioglobuline e di separare la componente C1q dal plasma per un suo successivo utilizzo [25]. Infatti, grazie a questo, potemmo misurare gli immuno-complessi circolanti con un metodo originale, in fase solida, di nostra ideazione basato sul C1q [26]. All’epoca, i complessi immuni circolanti erano un argomento “caldo” ed attualissimo [27]. Noi non ci fermammo alla loro semplice determinazione ma cercammo di individuarne le azioni flogogene [28]. Nel campo dell’immunopatologia renale, con uno studio abbastanza complesso di micro-eluizione, dimostrammo per primi il meccanismo immunologico della glomerulonefrite della lue congenita [29].

Grazie alla determinazione degli anticorpi anti-DNA, centralizzata nel nostro laboratorio, avevamo accesso a tutti i casi di LES ricoverati nel Policlinico. Questa larga base di pazienti ci consentì di effettuare diverse ricerche su questa malattia. In particolare studiammo il ruolo svolto dai complessi immuni circolanti e la funzione leucocitaria [30,31]. Sviluppammo anche, in questo settore dell’immunologia clinica, collaborazioni con ematologi e infettivologi che, allargando l’orizzonte degli interessi, portarono a risultati interessanti [32,33]. Grazie ad alcune tecniche da noi sviluppate potemmo anche effettuare diversi studi sulla biocompatibilità delle membrane dialitiche [34]. Per questi studi fummo tra i pochi italiani invitati ad un simposio sulla biocompatibilià ad Amsterdam, dove Buoncristiani presentò il suo sistema di dialisi (Figura 7). Gli studi sulla fluorescenza leucocitaria suscitarono interesse tra gli immunologi, e per questo io fui invitato a mostrare la nostra tecnica da Gianfranco Bottazzo (1946-2017) al Middlesex Hospital di Londra, dove lavorava. Localmente, il ruolo di questa attività di immunologia clinica ci venne riconosciuto quando mi venne affidato il corso di “tecniche immunologiche” per la specializzazione in igiene.

Amsterdam 1983. Programma del congresso sulla biocompatibilità in dialisi
Fig. 7: Amsterdam 1983. Programma del congresso sulla biocompatibilità in dialisi, con la relazione di Attilio Losito programmata dalle 14.45 alle 15.05

 

Quale fu il corso dell’attività del centro dopo queste importanti innovazioni?

Buoncristiani proseguì con grande impegno l’affinamento delle tecniche di dialisi peritoneale da lui ideate [35,36]. Inoltre all’inizio degli anni ’80 cominciò a studiare e sperimentare una metodica per l’emodialisi quotidiana che diversi anni dopo avrebbe applicato sistematicamente (Figura 8) [37].

Umberto Buoncristiani
Fig. 8: Umberto Buoncristiani. Dialisi quotidiana: un sensibile progresso… Da: Dialisi Oggi, n.d., pp. 7-11

Nell’altro settore, quello cardionefrologico, Timio portò a termine gli studi sul sistema adrenergico e sui rapporti tra apparato cardiocircolatorio e rene [38,39,40].

In quegli anni iniziò la frammentazione del gruppo originale. Nel 1983 avevo istituito il centro di dialisi dell’Ospedale di Marsciano (PG), dove rimasi come consulente responsabile sino al 2000. Timio si era trasferito a Foligno, dove istituì un servizio di dialisi autonomo e dopo pochi anni avviò ad Assisi la serie dei suoi congressi di Cardionefrologia che funsero da base per la creazione di questa branca specialistica in Italia (Figura 9). A Perugia si completò l’Ospedale Silvestrini, dove venne trasferito il servizio di nefrologia e dialisi. Qui si svilupparono ancor più le tecniche dialitiche innovative sotto l’impulso di Buoncristiani e prese corpo il programma di trapianto renale. Al Policlinico rimase un’unità operativa di nefrologia e dialisi di ridotte dimensioni, senza laboratorio, di cui nel 1990 mi fu affidata la responsabilità (Figura 10). Rivolsi così di nuovo i miei interessi all’ipertensione arteriosa in collaborazione con i colleghi degli altri Istituti Clinici [41].

Assisi 1987. Annuncio del primo convegno di Cardionefrologia
Fig. 9: Assisi 1987. Annuncio del primo convegno di Cardionefrologia
Il team dell’'unità di nefrologia e dialisi di Perugia nel 2008
Fig. 10: Il team dell’’unità di nefrologia e dialisi di Perugia nel 2008

La fase “storico-pioneristica” della nefrologia perugina era conclusa. Tuttavia, l’approccio metodologico originale, partito 50 anni prima con Gigli e trasmesso di collega in collega sino all’attuale gruppo nefrologico diretto da Riccardo Fagugli, è rimasto ed è ancora presente oggi. 

 

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