Luglio Agosto 2019 - Nefrologo in corsia

Peritoneal dialysis catheter infection with abscess of the abdominal wall in a ADPKD patient

Abstract

Infections to the peritoneal catheter are common in Peritoneal Dialysis (PD). We report the clinical case of a 49-year-old male patient in PD, who showed an atypical manifestation of tunnel infection caused by Staphylococcus aureus. The infection was characterized by a little abscess, on the left pararectal abdominal line, 6 cm far from exit-site of the peritoneal catheter. The diagnosis was made using ultrasonography (US), which showed a fistulous communication from subcutaneous cuff to the skin. We treated the infection conservatively by performing cuff-shaving and drainage of the abscess, associated to antibiotic therapy (teicoplanin). Due to the persistence of the infection, we added oral and topical rifampicin, and advanced medication with freez-dried collagen plant impregnated with extended-release gentamicin. The complete resolution of the infection allowed us to avoid removing the catheter.

 

KEY WORDS: Peritoneal Dialysis, peritoneal catheter infection, cuff-shaving

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Introduzione

Le infezioni correlate al catetere in dialisi peritoneale (DP), dell’exit-site (ES) e del tunnel, sono complicanze che predispongono all’insorgenza di peritoniti recidivanti e ricorrenti, che rappresentano importanti cause di fallimento della DP [1]. I germi più frequentemente coinvolti nella patogenesi delle infezioni del catetere sono Staphylococcus aureus e Pseudomonas aeruginosa che, spesso, evolvono verso la peritonite e possono condurre alla rimozione del catetere [24]. L’esame ecografico è utile per la diagnosi ed il monitoraggio di queste infezioni, data la sua facilità d’esecuzione e la capacità individuare anche piccole aree di raccolta liquida lungo tutto il decorso sottocutaneo. Il follow-up ecografico consente inoltre di valutare foci persistenti di infezione, come aree ipo-anecogene peri-catetere, permettendo di verificare la risposta alla terapia antibiotica e di determinare l’eventuale risoluzione della raccolta fluida dopo 2 settimane di terapia [5].

Riportiamo il caso clinico di un paziente che ha presentato una manifestazione atipica di infezione del tunnel trattata con intervento chirurgico di “cuff-shaving” associata a terapia con teicoplanina sistemica, a cui è stata integrata successivamente terapia con rifampicina e con medicazioni avanzate a base di collagene e gentamicina. Tale trattamento ha consentito di evitare la rimozione del catetere.

 

Caso clinico

Il paziente, maschio di 49 anni affetto da Rene Policistico dell’Adulto (ADPKD), ha praticato intervento di posizionamento del catetere di Tenckhoff (tipo retto) nel mese di novembre 2017 e ha iniziato il trattamento sostitutivo mediante CAPD (continous ambulatory peritoneal dialysis) nel mese di gennaio 2018. Alla visita di controllo mensile di settembre 2018 si osservava la presenza di “proud flesh” associato ad eritema e secrezione dall’ES; si effettuava perciò un tampone cutaneo, un’applicazione di matita caustica al nitrato d’argento al 50%, e si prescriveva l’uso topico giornaliero di gentamicina crema 30 g 0,1%. All’ecografia del tunnel sottocutaneo si evidenziava la presenza di un’area ipoecogena di dimensioni <1 mm. Gli esami ematochimici non evidenziavano un quadro infettivo sistemico in atto. Dopo 5 giorni, data la positività del tampone per Staphylococcus aureus, si prescriveva in base all’antibiogramma levofloxacina 250 mg 1 cp/die; la totale risoluzione del proud flesh e l’assenza di secrezione in corrispondenza dell’ES ci portavano a concludere il ciclo di antibioticoterapia dopo 14 giorni.

A distanza di tre settimane dal termine della terapia antibiotica, si evidenziava la presenza di una piccola lesione ascessuale di circa un centimetro a distanza di 6 cm dall’ES in sede pararettale sinistra (Figura 1-A), potenzialmente secondaria, secondo quanto riferiva il paziente, ad una ferita da evento traumatico. Si praticava pertanto l’incisione della lesione e la medicazione a zaffo con iodio povidone, secondo prescrizione chirurgica. Dopo una remissione iniziale, il riformarsi della lesione ci portava a sospettare che un tramite fistoloso a partenza dalla cuffia esterna del catetere fosse la causa del continuo rifornimento cutaneo dell’ascesso. Si praticava pertanto ecografia del tunnel sottocutaneo che evidenziava l’interessamento della cuffia esterna del catetere (ipoecogenicità diffusa lungo la cuffia di Dacron con uno spessore uniforme di circa 2 mm dell’area ipoecogena) e la presenza di un tramite fistoloso con apertura a livello della lesione ascessualizzata (Figura 2). L’ecografia non evidenziava un coinvolgimento apparente della cuffia profonda. Il paziente non riferiva alcuna sintomatologia e il quadro ematochimico risultava sempre negativo per quanto riguarda gli indici di infezione tali da escludere la presenza di una peritonite (nella data di esecuzione dell’indagine ecografica, GB: 5000/mm3 in assenza di neutrofilia, PCR: 3 mg/L, VN: <5). Si praticava pertanto intervento di cuff-shaving con contestuale bonifica del tramite fistoloso (Figura 1-B). Per esperienza diretta dei colleghi chirurghi, si decideva di suturare la ferita invece di praticare zaffatura con garza allo iodoformio. Dalla data di esecuzione dell’intervento si prescriveva una terapia antibiotica basata sull’antibiogramma ottenuto dalla secrezione presente in corrispondenza della lesione ascessuale, sempre positiva a Staphilococcus aureus, secondo il seguente schema: teicoplanina 200 mg ev. 1fl ogni 48h. Dopo 14 giorni dall’inizio della terapia antibiotica, si evidenziava la comparsa di tessuto di granulazione con secrezione di materiale purulento lungo la cicatrice chirurgica (Figura 1-C). Si eseguiva una nuova indagine ultrasonografica che rilevava la presenza di aree ipoecogene nel tessuto sottocutaneo; al tampone cutaneo si diagnosticava nuovamente la presenza di infezione da Staphylococcus aureus, senza comparsa di resistenze rispetto all’antibiogramma precedente. Si decideva pertanto di integrare la terapia con: teicoplanina, iniezione topica nelle sedi di lesione di rifampicina, assunzione per os di rifampicina da 600 mg/die, e medicazione avanzata con collagene liofilizzato impregnato con gentamicina a rilascio prolungato, a cui il germe risultava sensibile e che era disponibile presso la nostra farmacia.

Nei 7 giorni successivi si registrava la progressiva risoluzione delle lesioni cutanee unitamente ad un normale processo di cicatrizzazione della ferita chirurgica; l’ecografia confermava una completa risoluzione del quadro clinico. A distanza di due mesi l’ES appariva indenne da lesioni, così come la cute circostante (Figura 1-D).

 

Diagnosi dell’infezione dell’exit site

Le raccomandazioni sulla prevenzione e il trattamento delle infezioni correlate al catetere sono state pubblicate, insieme alle raccomandazioni sulle peritoniti in dialisi peritoneale, dalla International Society for Peritoneal Dialysis (ISPD) nel 1983 e riviste negli anni successivi fino all’ultima versione del 2017 [612]. Un ES sano si presenta asciutto, senza alcuna secrezione ematica o purulenta e senza rossore, infiammazione o croste (sebbene una leggera crosta causata da siero può essere un riscontro normale e non è in genere un’indicazione di infezione) [13]. La diagnosi di infezione dell’ES (ESI) è data dalla presenza di secrezione purulenta, con o senza eritema della cute in corrispondenza dell’ES [14, 15]. L’eritema peri-catetere senza secrezione purulenta è, talvolta, una precoce indicazione di infezione ma può essere anche una reazione cutanea allergica, oppure verificarsi dopo un trauma del catetere o nel periodo direttamente successivo al posizionamento dello stesso [16]. Una valutazione clinica è necessaria per decidere se iniziare la terapia o stabilire un attento monitoraggio. Una coltura positiva con aspetto normale dell’ES è indicativa di una colonizzazione piuttosto che di una infezione [12]. Le più recenti linee guida ISPD [12] confermano l’importanza di un esame colturale per la definizione diagnostica definitiva delle infezioni dell’ES e del tunnel correlate al catetere, anche per guidare la successiva terapia. L’esame colturale deve essere effettuato su una secrezione dell’ES o su eventuale secreto causato dalla fistolizzazione di un ascesso del tunnel (quando non c’è secrezione dall’ES) e prima che sia iniziata una terapia antibiotica topica o sistemica. Lo screening deve includere microrganismi aerobi ed anaerobi.

 

Diagnosi dell’infezione del tunnel

L’infezione del tunnel si può presentare con eritema, edema ed indurimento della cute sovrastante il decorso sottocutaneo del tunnel, ma è spesso clinicamente occulta, rendendo quindi necessaria una valutazione ultrasonografica per la rilevazione [17]. La significatività diagnostica dipende dal diametro massimo dell’area ipoecogena che non deve essere inferiore a 2 mm [18] lungo ogni segmento del corso del catetere. Secondo alcuni autori, la persistenza di un’area ipoecogena con uno spessore >1 mm, specialmente alla fine del ciclo di antibioticoterapia, è associato ad uno sfavorevole outcome clinico, come nel caso di coinvolgimento della cuffia profonda [19]. In uno studio non controllato, pazienti con un’infezione del tunnel causata da Staphylococcus aureus, e una significativa diminuzione dell’area ipoecogena (>30%) dopo 2 settimane di terapia antibiotica, non hanno richiesto rimozione del catetere [3]. Un’infezione del tunnel generalmente si verifica in presenza di ESI ma può verificarsi anche da sola; frequentemente infezioni dell’ES causate da Staphylococcus aureus o Pseudomonas aeruginosa sono associate a concomitanti infezioni del tunnel [20].

 

Terapia dell’infezione dell’exit site e del tunnel

Il trattamento deve essere guidato dai risultati dell’esame colturale e dell’antibiogramma; tuttavia, il solo esame colturale positivo, in assenza di segni di infiammazione, indica una colonizzazione e non richiede terapia ma solo stretto monitoraggio. In queste condizioni è consigliabile intensificare la pulizia dell’ES con agenti antisettici.

La medicazione dell’ES deve essere effettuata quotidianamente in corso di infezione. È utile cauterizzare l’eventuale eccesso di tessuto di granulazione, non secernente, utilizzando una matita al nitrato d’argento. L’applicazione deve essere localizzata e breve per evitare il rischio di piaghe o danni ai tessuti sani circostanti [21]. L’inizio di una terapia antibiotica empirica orale è raccomandato e la sua efficacia è supportata da considerazioni di natura epidemiologica: la terapia empirica dovrebbe coprire primariamente Staphylococcus aureus ma, se il paziente ha una storia di ESI da Pseudomonas aeruginosa, dovrebbe anche includere un antibiotico efficace contro questo microrganismo [12]. L’esame colturale sul secreto dell’ES potrà aiutare l’ottimizzazione dello schema di antibioticoterapia.

Gli antibiotici per uso orale comunemente usati nelle infezioni correlate al catetere associate a Staphylococcus aureus e il loro dosaggio sono riassunti in Tabella I [12]. I pazienti dovrebbero essere trattati, secondo antibiogramma, con penicilline penicillinasi-resistenti, o con cefalosporine di prima generazione, o con levofloxacina. La vancomicina dovrebbe essere presa in considerazione solo in caso di infezioni da Staphylococcus aureus Meticillino-Resistente (MRSA). Sulfametossazolo-trimethoprim, linezolid, daptomicina, clindamicina, doxiciclina e minociclina sono possibili alternative per il trattamento delle infezioni MRSA.

Nel caso di severe infezioni da Staphylococcus aureus o nei casi di infezioni persistenti o recidivanti, come nel caso clinico riportato, la rifampicina può essere considerata in aggiunta allo schema di antibioticoterapia (ma non dovrebbe mai essere data in regime di monoterapia). Le potenziali interazioni della rifampicina con altri farmaci in terapia (es. farmaci antipertensivi) devono naturalmente essere prese in considerazione.

Le infezioni dell’ES causate da Pseudomonas aeruginosa sono particolarmente difficili da trattare e spesso richiedono una terapia prolungata con 2 antibiotici. Fluorochinolonici orali sono raccomandati come prima scelta, valutando l’eventuale assunzione concomitante di cationi multivalenti (es. calcio, ferro), sevelamer, sucralfato, antiacidi a base di magnesio-alluminio, latte; in tal caso la somministrazione di fluorochinoloni deve essere separata di almeno 2 ore rispetto all’assunzione di queste sostanze per evitare un ridotto assorbimento dell’antibiotico. Se la risoluzione dell’infezione è lenta o se l’infezione è ricorrente, si rende necessario un secondo antibiotico efficace su Pseudomonas aeruginosa, come la ceftazidime o un aminoglicoside intraperitoneale.

L’antibioticoterapia dovrebbe continuare per almeno 2 settimane, e comunque finché l’exit site non appare completamente normale. Un periodo prolungato di 3 settimane è necessario per le infezioni causate da Pseudomonas aeruginosa [12].

La memoria fotografica seriale è oggi sempre più utilizzata per il monitoraggio clinico dell’ES e del tunnel, ma la ripetizione dell’indagine ultrasonografica è dirimente nel caso di infezioni del tunnel, per stabilire la risoluzione del quadro infettivo o suggerire una diversa gestione [5, 12]. Nelle infezioni correlate al catetere, le indicazioni per la rimozione sono riassunte nella Tabella II [12]. Nei pazienti con ESI che progredisce o si verifica simultaneamente alla peritonite generalmente si richiede la rimozione del catetere. Quest’ultima deve essere considerata anche per le infezioni isolate (quindi anche senza peritonite) se la terapia prolungata con antibiotici appropriati non risolve l’infezione. Diversi studi portano a ritenere che l’intervento di cuff-shaving sia una ragionevole alternativa per il trattamento di infezioni croniche o refrattarie [22, 23].

 

Prognosi delle infezioni dell’exit site e del tunnel

Le infezioni correlate al catetere rappresentano una delle principali cause di drop-out dalla DP. Come dimostrato da uno studio condotto da Piraino et al [1] su 137 pazienti in DP manuale per un periodo di osservazione di più di 5 anni, coloro che avevano sviluppato ESI non solo erano più suscettibili ad infezioni del tunnel ed a peritoniti ma, in una larga percentuale, venivano trasferiti in emodialisi dopo la rimozione del catetere. Le linee guida ISPD sono molto chiare nel definire un algoritmo diagnostico-terapeutico adeguato per i pazienti che sviluppano ESI [12] ma esistono poche informazioni sulla gestione di quelle infezioni correlate al catetere che si associano ad ascesso della parete addominale, come nel caso clinico riportato. Vychytil et al [3] ritenevano che la presenza di infezione del tunnel con ascesso della parete addominale o peritonite simultanea costituisse un criterio di rimozione del catetere; essa è stata infatti necessaria in 10 episodi di infezione del tunnel da Staphylococcus aureus (senza peritonite) su 18 totali, anche per la comparsa di grandi ascessi della parete addominale in 3 di questi 10 casi. Tuttavia, gli autori prendono in considerazione nel loro studio solo pazienti con catetere a singola cuffia e suggeriscono essi stessi la necessità di ulteriori studi per dimostrare la validità di queste linee guida anche nei casi di coinvolgimento di catetere a doppia cuffia [24].

 

Conclusioni

Il caso clinico riportato descrive per la prima volta un approccio terapeutico alternativo in un caso di infezioni del tunnel da Staphylococcus aureus, con coinvolgimento della parte addominale.

In presenza di infezione dell’ES con coinvolgimento della cuffia esterna, unitamente alla presenza di ascesso della parete addominale, abbiamo scelto di effettuare intervento di cuff-shaving con bonifica del tratto ascessualizzato. Successivamente il paziente è stato gestito con antibioticoterapia adeguata: teicoplanina 200 mg ev. 1fl ogni 48h e rifampicina orale (1 cp da 600 mg/die), oltre ad instillazione locale di rifampicina e medicazione avanzata con collagene e gentamicina. Il monitoraggio ecografico è risultato indispensabile nel follow-up di questa infezione. Questo tipo di approccio terapeutico ha permesso la risoluzione del quadro senza rendere necessaria la rimozione del catetere. Sulla base della revisione della letteratura, proponiamo in Figura 3 un possibile algoritmo diagnostico-terapeutico per le infezioni correlate al catetere in DP da Staphylococcus aureus.

 

 

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