Marzo Aprile 2019 - In depth review

The new frontier in endovascular treatment of arteriovenous fistula stenosis: the role of ultrasound-guided percutaneous transluminal angioplasty

Abstract

Native arteriovenous fistula is the preferred vascular access because of it does not usually cause infections and seems to be closely related with prolonged patient survival, compared to prosthetic grafts and central venous catheters; it also is cost effective. Venous stenosis is one of the main causes of AVF failure. It is caused by a number of upstream and downstream events. The former group comprises hemodynamic and surgical stressors, inflammatory stimuli and uraemia, while downstream events involve the proliferation of smooth muscle cells and myofibroblasts and the development of neo-intimal hyperplasia. Percutaneous transluminal angioplasty is the gold standard for arteriovenous fistula stenosis. It allows the visualization of the whole vascular circuit and the immediate use of the vascular access for the next dialysis session. Ultrasound-guided percutaneous endovascular angioplasty is a feasible and safe alternative to conventional fluoroscopic technique: it is equally effective in treating arteriovenous fistula stenosis, but it presents the advantage of not using contrast media or ionizing radiation. The aim of this review is to report the latest evidence on cellular and molecular mechanisms that contribute to the development of neo-intimal hyperplasia, as well as the current and future therapeutic perspectives, especially concerning the use of anti-proliferative drugs, and the efficacy of the ultrasound-guided angioplasty in restoring and maintaining the vascular access patency over time.

Key words: Percutaneous angioplasty, ultrasound, arteriovenous fistula, hemodialysis, stenosis.

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Introduzione

La prevalenza della malattia renale cronica terminale aumenta di anno in anno. Nel 2010, il numero dei pazienti sottoposti a terapia emodialitica in tutto il mondo era pari a 2,618 milioni e, secondo alcune recenti stime, è destinato a crescere fino a 5,439 milioni entro il 2030 [1]. A livello nazionale, i dati estrapolati dal Report 2015 del Registro Italiano di Dialisi e Trapianto evidenziano un’incidenza e una prevalenza di 154 pazienti/pmp e di 770/pmp rispettivamente [2]. Indipendentemente dalla metodica utilizzata, il buon funzionamento dell’accesso vascolare (AV) rappresenta un requisito irrinunciabile per una ottimale adeguatezza dialitica. La fistola artero-venosa (FAV) allestita con vasi nativi è considerata l’AV di prima scelta. Se paragonata alle fistole protesiche ed ai cateteri venosi centrali, essa porta con sé un prolungamento della sopravvivenza dei pazienti, un minor tasso di infezioni e una riduzione dei costi legati all’ospedalizzazione [3]. Le turbolenze del flusso ematico indotte dallo shunt artero-venoso a livello dell’anastomosi sono alla base del rimodellamento vascolare che sottende la maturazione della FAV. La ridondanza di questi fenomeni comporta la migrazione delle cellule muscolari lisce e dei fibroblasti dalla tonaca avventizia all’intima, dove vanno incontro ad una intensa proliferazione sotto lo stimolo di vari mediatori [4]. L’iperplasia neo-intimale che ne deriva costituisce il substrato isto-patologico della stenosi, che rappresenta una delle più frequenti complicanze della FAV per emodialisi, nonché la causa più frequente di failure dell’AV. Lo studio eco-color Doppler (ECD) svolge un ruolo chiave nelle strategie di sorveglianza dell’AV grazie alla sua elevata sensibilità e specificità nell’identificare l’iperplasia intimale e nel definire la severità della stenosi [5]. In accordo con le linee guida internazionali [6, 7], il calcolo della portata della FAV (eseguito preferenzialmente a livello dell’arteria brachiale) e la valutazione degli indici ecografici e Doppler (misurazione del diametro, velocità di picco sistolico, gradiente trans-stenotico, etc.) costituiscono parametri fondamentali per la diagnosi precoce e il monitoraggio nel tempo delle stenosi emodinamicamente significative in virtù del loro elevato valore predittivo sull’esito dell’AV [5, 8]. L’angioplastica percutanea transluminale (PTA) rappresenta il gold standard per il trattamento delle stenosi emodinamicamente significative delle FAV per emodialisi [9], per le quali fino a non molti anni fa la chirurgia rappresentava l’unica opzione terapeutica. Sebbene la maggior parte degli studi dimostri che la PTA riduce il rischio di trombosi dell’AV riportando i valori di pervietà primaria a sei mesi e ad un anno sopra al 50% [10, 11], altri autori sostengono che essa non diminuisca il rischio globale di perdita dell’AV [12]. Considerato inoltre che circa il 50% delle FAV necessita di revisioni aggiuntive nel primo anno post-confezionamento [13] con notevoli ripercussioni sul benessere psichico e sociale del paziente, la decisione di eseguire la PTA non può non tener conto delle preferenze del paziente stesso, dell’eventuale presenza di condizioni che possano pregiudicare la buona riuscita della procedura (diabete mellito, età avanzata) nonché dei costi legati all’ospedalizzazione [14]. Negli ultimi anni, numerosi centri hanno iniziato a trattare le stenosi delle FAV mediante PTA eco-guidata. Rispetto alla metodica fluoroscopica tradizionale, l’utilizzo degli ultrasuoni offre la possibilità di avere una visione tridimensionale della lesione e di riconoscere le strutture extra-vascolari. Poiché i vasi sanguigni da sottoporre a trattamento percutaneo decorrono in posizione superficiale, la procedura non richiede l’iniezione di mezzo di contrasto iodato né l’utilizzo di radiazioni ionizzanti, garantendo un miglior profilo di sicurezza sia per il paziente che per l’operatore, a parità di efficacia in termini di incidenza di complicanze intra-procedurali e di successo nel ristabilire la pervietà dei vasi stenotici [15]. Obiettivo di questa review è quello di esaminare gli ultimi dati sui meccanismi cellulari e molecolari che concorrono allo sviluppo dell’iperplasia neo-intimale, le prospettive terapeutiche attuali e future, con particolare riguardo all’utilizzo dei farmaci anti-proliferativi, e infine l’efficacia della PTA eco-guidata nel ristabilire e mantenere nel tempo la pervietà della FAV.

 

La Stenosi della FAV Nativa per Emodialisi

La stenosi rappresenta una delle più frequenti complicanze sia precoci che tardive della FAV per emodialisi. La tipica localizzazione delle stenosi delle FAV radio-cefaliche distali è il versante venoso della regione peri-anastomotica, mentre per le FAV brachio-cefaliche e brachio-basiliche le sedi preferenziali sono la giunzione tra le vene cefalica e succlavia (arco cefalico) e la giunzione tra vena basilica e vena ascellare (stenosi giunzionale). In accordo con le linee guida internazionali [6, 7], la diagnosi di stenosi emodinamicamente significativa viene formulata sulla base della combinazione di parametri tecnici (Tabella I) e clinici. Il monitoraggio clinico dell’AV è indispensabile per la diagnosi precoce della stenosi. Il riscontro di anomalie all’esame obiettivo della FAV (fremito apprezzabile in sede di stenosi; polso poco comprimibile a monte della stenosi; soffio aspro, discontinuo, solo sistolico; prolungamento del tempo di sanguinamento dopo la rimozione degli aghi fistola) e/o di alterazioni di alcuni parametri dialitici (impossibilità a mantenere elevati flussi di sangue, aumento delle pressioni arteriose e della pressione trans-membrana, peggioramento degli indici di adeguatezza dialitica) è fortemente indicativo della presenza di una stenosi [16].

 

Patogenesi: aspetti cellulari e molecolari

L’eziopatogenesi delle stenosi delle FAV per emodialisi appare complessa e multifattoriale. I fattori che contribuiscono alla loro formazione sono analoghi sia nelle FAV native che in quelle protesiche e consistono in una serie di eventi a cascata, in cui la presenza concomitante di molteplici fattori causativi provoca un danno a carico dell’endotelio e delle cellule muscolari lisce della parete vasale. La risposta infiammatoria a tali insulti innesca una fitta interazione tra cellule, citochine e altri mediatori che infine conduce all’iperplasia neo-intimale [4]. Tra i fattori predisponenti, la scorretta venipuntura contribuisce in modo significativo all’insorgenza di una stenosi emodinamicamente significativa attraverso vari fenomeni biologici, che includono il reclutamento di un infiltrato leucocitario, lo sviluppo di trombosi e la proliferazione delle cellule endoteliali e fibro-muscolari [17]. Tale predisposizione è ancor più accentuata se si adottano strategie di incannulamento errate, ad esempio posizionando gli aghi fistola sempre nella stessa sede anatomica (la cosiddetta “venipuntura per aria” o “zonale”) anziché ricorrere alla venipuntura “a scala di corda” o alla tecnica “buttonhole” [6, 18]. Negli ultimi anni sono stati immessi in commercio nuovi dispositivi per la venipuntura della FAV, costituiti da una cannula in materiale plastico e da un introduttore metallico. A differenza degli aghi fistola tradizionali, l’introduttore metallico viene rimosso dopo l’incannulamento, lasciando all’interno del lume vasale solo la cannula di plastica. L’utilizzo delle cannule di plastica sembrerebbe ridurre sensibilmente l’incidenza di complicanze quali lo stravaso ematico, l’infiltrazione della parete posteriore del vaso e la formazione di ematomi [19, 20]. Ad oggi, tuttavia, i costi elevati limitano il loro utilizzo alla venipuntura di FAV di recente allestimento o ad elevato rischio steno-trombotico.

L’incannulamento delle vene dell’avambraccio è una procedura comune nella pratica clinica quotidiana per il prelievo di campioni ematici o per la somministrazione di farmaci per via endovenosa. Sebbene non siamo a conoscenza di dati pubblicati in letteratura sulla relazione tra puntura venosa e stenosi vascolare in epoca pre-dialitica, è verosimile che il posizionamento di aghi a farfalla o di aghi-cannula nelle vene dell’avambraccio possa predisporre a stenosi venosa traumatica attraverso meccanismi simili a quelli sopra menzionati. Per tale motivo, nei pazienti con malattia renale cronica candidati al confezionamento di una FAV è preferibile evitare l’incannulamento delle vene dell’avambraccio nell’arto prescelto, prediligendo in alternativa la rete venosa dorsale della mano o le vene dell’arto controlaterale.

A seguito della creazione di una FAV, l’emodinamica dei vasi coinvolti viene alterata in modo drastico. Tra le diverse sollecitazioni emodinamiche esercitate sulla parete vascolare, lo sforzo di taglio (wall shear stress o WSS) sembra avere il maggiore impatto. Indipendentemente dal tipo di anastomosi confezionata (latero-laterale o latero-terminale), l’unione tra arteria e vena genera un aumento del flusso ematico e dei livelli di WSS in sede iuxta-anastomotica, trasformando il fisiologico moto del sangue da laminare a vorticoso. Se, da un lato, alti livelli di WSS promuovono l’ipertrofia eccentrica della vena, livelli bassi e oscillatori di WSS attivano una cascata di eventi molecolari che promuovono la disfunzione endoteliale, la riduzione della produzione di ossido nitrico e di altri vasodilatatori e l’aumento dello stress ossidativo con conseguente sviluppo di iperplasia neo-intimale [21]. Alcuni Autori [22] hanno riscontrato una correlazione tra WSS e angolo di anastomosi, dimostrando che un angolo acuto (non superiore a 30°) minimizza le turbolenze di flusso, ripristina il WSS su valori considerati normali per il sistema venoso e riduce il rischio di iperplasia neo-intimale in sede iuxta-anastomotica. In caso di FAV protesiche, il materiale sintetico di cui sono composte rappresenta esso stesso uno stimolo al reclutamento di macrofagi e alla sintesi di citochine pro-infiammatorie [23].

Occorre infine ricordare che lo stato uremico del paziente emodializzato costituisce di per sé un indice di danno vascolare. Alcuni autori [24] hanno dimostrato che le tossine uremiche esacerbano la disfunzione endoteliale e predispongono all’iperplasia neo-intimale prima ancora dell’allestimento dell’AV. In aggiunta al restringimento del calibro vasale secondario all’iperplasia neo-intimale, un rimodellamento vascolare sfavorevole orientato verso la vasocostrizione e uno sbilanciamento tra progenitori midollari fibro-muscolari e progenitori endoteliali concorrono ad una maggiore severità della stenosi [2529]. Il mantenimento di un corretto equilibrio tra progenitori endoteliali e fibro-muscolari costituisce una prospettiva terapeutica innovativa. Numerose molecole (dipiridamolo, olio di pesce, ACE-inibitori, sirolimus, rosiglitazone, terapia radiante) hanno mostrato una capacità di inibire la proliferazione cellulare e di modulare il rapporto tra progenitori midollari e fibro-muscolari su modelli sperimentali di FAV sia native che protesiche [3037]. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, si tratta di casi aneddotici con una modesta numerosità campionaria, pertanto tali molecole al momento non trovano utilizzo nella pratica clinica per la profilassi primaria e secondaria della stenosi. Dati contrastanti derivano dall’utilizzo dei farmaci antitrombotici. Sebbene vari studi non abbiano riscontrato alcun beneficio nell’uso della terapia antiaggregante e anticoagulante nel prolungare la longevità dell’AV [38, 39], i dati recentemente pubblicati da Locham et al [40] hanno dimostrato che l’uso di ASA e di P2Y12-inibitori si collega ad una riduzione della mortalità intraospedaliera e con un aumento della pervietà primaria dell’AV, soprattutto nei pazienti portatori di FAV protesica. Data la mancanza di univocità nei dati attualmente riportati in letteratura, l’utilizzo dei farmaci antitrombotici nei pazienti portatori di FAV andrebbe valutato caso per caso, tenendo in considerazione le comorbidità e il rischio emorragico del paziente. Ulteriori trials sono necessari al fine di dimostrare la reale utilità di tali molecole nel trattamento delle stenosi dell’AV per emodialisi.

 

L’Angioplastica Percutanea Transluminale

L’angioplastica percutanea transluminale (PTA) consiste nella dilatazione di un vaso stenotico mediante l’utilizzo di un catetere a palloncino. La PTA prevede una sequenza di passaggi standardizzati. Dopo aver incannulato il vaso da trattare, un filo-guida metallico viene introdotto all’interno del lume e fatto progredire sotto guida fluoroscopica fino a raggiungere e oltrepassare il tratto stenotico. Una volta posizionato il catetere a palloncino, il passo successivo è la dilatazione della stenosi. Il pallone è connesso a un manometro manuale che indica la pressione generata all’interno del pallone stesso. Il rigonfiamento che ne scaturisce imprime una forza radiale incrementale rivolta contro il segmento stenotico, in grado di rimuoverne il tessuto fibro-muscolare e di ripristinare il normale calibro del vaso. I dati in letteratura dimostrano che circa il 50% delle stenosi venose va incontro a risoluzione completa con pressioni di insufflazione di 15 Atm, che qualsiasi pallone convenzionale è in grado di tollerare. D’altro canto, nel 20% delle stenosi su FAV native e nel 10% delle stenosi su FAV protesiche è necessario ricorrere a pressioni >20 Atm [41]. Dal 2012 sono in commercio palloni, denominati “ultrahigh pressure balloons” (UHPB), capaci di tollerare pressioni di insufflazione fino a 25-30 Atm. L’opzione di ricorrere agli UHPB come prima scelta o solo dopo la dilatazione con palloni convenzionali è attualmente a discrezione dell’operatore. Per quanto gli UHPB consentano di risparmiare tempo, sono molto costosi, poco compliant, richiedono introduttori di calibro maggiore e, sulla base delle attuali prove scientifiche, non garantiscono necessariamente un risultato migliore rispetto ai palloni convenzionali [42]. Al termine della PTA, il catetere a palloncino e il filo-guida metallico vengono rimossi e si acquisisce un angiogramma post-dilatazione. È da considerarsi un successo terapeutico se si riscontra una stenosi residua assente, o comunque <30%, per FAV sottoposte alla prima procedura endovascolare.

L’avvento della PTA negli ultimi anni ha radicalmente rivoluzionato l’approccio terapeutico alle stenosi emodinamicamente significative delle FAV per emodialisi, al punto che il numero di procedure endovascolari supera quello degli interventi di chirurgia vascolare [10]. I dati in letteratura circa la superiorità della PTA rispetto alla chirurgia sono contrastanti [9, 10, 4345]. Le tecniche percutanee offrono tuttavia degli indubbi vantaggi: permettono di visualizzare tutto il circuito vascolare (arteria, anastomosi, outflow), consentono un immediato ripristino della funzionalità della FAV, che può essere subito utilizzata per il trattamento dialitico, ed evitano il posizionamento di un CVC, preservando il già limitato patrimonio vascolare con un successo procedurale dell’82-94%, secondo quanto riportato in letteratura [4648]. La ripetizione della PTA in caso di recidiva di stenosi garantisce inoltre percentuali di pervietà assistita dell’AV paragonabili alla chirurgia [10, 11]. In accordo con le linee guida internazionali [6, 7], la PTA costituisce la metodica di prima scelta per il trattamento delle stenosi delle FAV.

 

I cutting balloons

Il “cutting balloon” è un dispositivo che unisce i principi dell’angioplastica convenzionale con quelli delle tecniche microchirurgiche. Consiste in un pallone non convenzionale semi-compliant dotato di microlame longitudinali sulla superficie esterna, denominate aterotomi. Quando il pallone viene insufflato, le microlame vengono esposte in superficie, provocando un’incisione controllata della tonaca intima. Ciò permette la dilatazione del vaso evitando le lacerazioni irregolari dell’intima stessa causate dai palloni convenzionali [49]. L’applicabilità dell’angioplastica percutanea mediante cutting balloon (PCBA) al trattamento delle stenosi delle fistole è stata dimostrata per la prima volta nel 1996 da Vorwerk et al [50]: i risultati, riguardanti 15 fistole di Cimino-Brescia e 4 shunts emodialitici, mostrarono una pervietà primaria del 100% alla fine della procedura, del 94% a distanza di 6 mesi e del 64% dopo 6-9 mesi. Negli anni successivi molti altri autori hanno indagato sull’utilità della PCBA nel trattamento delle stenosi degli AV per emodialisi. Singer-Jordan et al hanno pubblicato interessanti risultati di uno studio prospettico di 29 pazienti con fistola artero-venosa, per un totale di 42 stenosi, riportando un successo tecnico immediato del 100%, una pervietà primaria del 76% a distanza di 6 mesi e una pervietà secondaria del 93% [51]. In questo e in altri studi analoghi, tuttavia, i pazienti arruolati venivano prima sottoposti a PTA convenzionale, falsificando i risultati ottenuti. Più di recente, Saleh et al [52] hanno dimostrato che la PCBA è sovrapponibile alla PTA convenzionale per ciò che riguarda il successo terapeutico immediato (89% vs 86%), mentre la superiorità in termini di pervietà primaria a 6 mesi (86% vs 56%) e a 12 mesi (63% vs 37%) è stata riscontrata in modo significativo solamente nel sottogruppo di pazienti portatori di FAV protesica con stenosi in sede di anastomosi tra vena e graft. Per ciò che riguarda il confronto con gli UHPB, nello studio di Kundu et al [53] i tassi di successo terapeutico immediato sono apparsi sovrapponibili nei due bracci; Aftab et al [54] hanno invece riportato un tasso superiore di pervietà dell’AV nel gruppo dei pazienti trattati con PCBA (66,4% vs 39,9%), sebbene lo studio abbia reclutato solo i pazienti già sottoposti a PTA convenzionale in cui la procedura non era stata risolutiva. Sulla base dei dati scientifici ad oggi disponibili, la PCBA è da considerarsi una procedura sicura ed efficace nel trattamento delle stenosi degli accessi vascolari per emodialisi, in quanto consente di ottenere ottimi risultati anche nelle stenosi focali serrate e resistenti alla dilatazione con palloni ad alta pressione, e causa bassi tassi di restenosi a breve e medio termine. I costi elevati (superiori di circa 4 volte a quelli dei palloni convenzionali) ne limitano ad oggi l’utilizzo nella pratica clinica. Nuovi trials che includano un’analisi accurata del rapporto costo/beneficio saranno necessari al fine di promuovere la diffusione a livello mondiale di questi dispositivi.

 

Gli stents

Lo stent è una struttura metallica cilindrica a maglie che, una volta introdotta nel lume vascolare, viene fatta espandere al fine di ripristinare la pervietà del vaso stenotico. Il vantaggio della procedura di stenting consiste nel fornire un’impalcatura di sostegno ai vasi, che solitamente tendono a collassare dopo l’angioplastica. La gran parte degli stents utilizzati in ambito di accessi vascolari per emodialisi sono auto-espandibili (self-expanding). Il materiale più utilizzato per la loro produzione, il Nitinol (una lega di nichel e titanio), appartiene al gruppo delle cosiddette “leghe a memoria di forma”, termine con cui si indica un’ampia classe di leghe metalliche in grado di recuperare una forma macroscopica preimpostata per effetto del semplice cambiamento della temperatura o dello stato di sollecitazione applicato. Poiché i vasi sanguigni utilizzati per il confezionamento della FAV decorrono in posizione superficiale lungo l’avambraccio e in stretta vicinanza anatomica alle strutture articolari, il Nitinol consente agli stents auto-espandibili di riacquisire la loro forma originaria a seguito di un trauma o di un brusco movimento articolare, a differenza degli stent espandibili su palloncino che rimangono invece schiacciati compromettendo la pervietà dell’AV. Gli stents possono anche essere distinti in ricoperti (covered stents) e non ricoperti (bare stents). A differenza di questi ultimi, gli stents ricoperti possiedono un rivestimento di politetrafluoroetilene (PTFE) che, grazie alla sua struttura molecolare rigida e chimicamente stabile, garantisce una più bassa trombogenicità e una modesta reazione tissutale. Lo stent auto-espandibile viene introdotto in forma compressa per via endovascolare mediante un apposito catetere. Una volta raggiunta la lesione stenotica, la lenta retrazione di una membrana ruotante consente allo stent di dilatarsi e di penetrare all’interno della parete del vaso (embedding).

I primi lavori sull’utilizzo degli stents per il trattamento delle FAV non funzionanti risale agli inizi degli anni ’90 [55, 56]. Gli studi pubblicati negli anni successivi hanno tuttavia fallito nel dimostrarne la superiorità nel preservare la pervietà dell’AV rispetto all’angioplastica. Per tale motivo, l’indicazione al loro utilizzo è rimasta circoscritta alla “rescue therapy” di particolari emergenze cliniche (rottura del vaso, restenosi precoci e/o recidivanti, stenosi residua post-PTA >30% secondaria a dissecazione o ad elastic recoil), oppure in caso di fallimento delle procedure endovascolari convenzionali [57]. L’avvento del Nitinol e delle altre leghe a memoria di forma ha dato nuovo slancio all’utilizzo degli stents come soluzione di prima scelta per il trattamento delle stenosi dell’AV. Nello studio di Haskal et al [58] l’impianto degli stents per il trattamento delle stenosi delle FAV protesiche in sede di anastomosi venosa ha garantito percentuali di pervietà dell’AV a 6 mesi superiori alla sola PTA (38% vs 20%) a fronte di un tasso di complicanze equivalente. Nello studio RENOVA [59] le alte percentuali di pervietà primaria dell’AV sono state confermate su un periodo di follow-up di 12 e 24 mesi. I risultati degli studi di Vogel e Yevzlin et al [60, 61] hanno riportato una riduzione significativa dell’incidenza di restenosi nel gruppo dei pazienti trattati con stents rispetto a quelli trattati con PTA (7% vs 16%) e percentuali di pervietà primaria e secondaria più alte. Una recente metanalisi ha raggruppato 6 studi sperimentali e 4 studi osservazionali allo scopo di confrontare i valori di pervietà primaria dell’AV nei pazienti trattati con stents, con quelli dei pazienti trattati con PTA. Lo studio ha messo in evidenza un tasso di pervietà primaria globale più alto nei pazienti trattati con stents; tuttavia, la significatività statistica è stata raggiunta solo nei pazienti trattati con stents in Nitinol, mentre non si sono notate differenze significative tra PTA e stents non ricoperti [62].

Anche se i dati ad oggi disponibili supportano il ruolo degli stents come trattamento di prima linea delle stenosi delle FAV per emodialisi, il loro utilizzo comporta alcuni svantaggi (riduzione del tratto di vena accessibile alla venipuntura, impossibilità di confezionare una nuova FAV nello stesso arto in caso di fallimento dell’AV) di cui bisogna tener conto, soprattutto in relazione alle comorbidità e al patrimonio vascolare residuo del paziente [63]. La dimostrazione della utilità nel mantenimento della pervietà dell’AV richiede ulteriori trials che includano tra gli outcomes primari parametri quali il tasso di infezioni, il numero di re-interventi e l’analisi dei costi.

 

Un’arma terapeutica promettente: i “drug coated balloons”

Nell’ottica di una strategia di “local drug delivery”, i palloni medicati (drug coated balloons, DCBs) rappresentano una soluzione terapeutica innovativa per il trattamento percutaneo delle stenosi vascolari. La superficie esterna di questi dispositivi è in grado di veicolare una certa dose di farmaco anti-proliferativo per mezzo di un eccipiente di ancoraggio. In questo modo, il farmaco viene rilasciato in modo diretto e uniforme sulla parete del vaso. I DBCs non vanno intesi come alternativa ai palloni convenzionali, ma il loro ruolo è quello di rilasciare il farmaco in modo rapido e uniforme al termine di un’angioplastica ottimale, limitandone gli effetti sistemici. Il farmaco anti-proliferativo più studiato, il paclitaxel, è da tempo utilizzato in ambito oncologico in numerosi protocolli di chemioterapia ma nei DCBs è utilizzato in concentrazioni nettamente inferiori (2-3.5 μg/mm2) [64].

L’uso dei DCBs nell’ambito degli accessi vascolari per emodialisi resta un campo ancora poco battuto in letteratura. Il primo trial randomizzato, pubblicato nel 2010 da Katsanos et al, ha arruolato 40 pazienti in emodialisi con stenosi emodinamicamente significativa dell’outflow allo scopo di mettere a confronto DCBs e UHPB: i risultati, sia dopo 6 mesi che dopo 1 anno, hanno dimostrato la superiorità dei DCBs in termini di pervietà primaria dell’accesso (70% vs 25%) [65]. Il lavoro presentava tuttavia numerosi limiti tra cui il disegno dello studio, non in cieco, e la numerosità campionaria modesta; infine, non è stata fatta alcuna distinzione tra FAV native e protesiche. Negli anni successivi numerosi altri studi hanno dimostrato l’efficacia dei DCBs nell’aumentare la longevità dell’AV. Lai et al [66] hanno trattato 20 stenosi con PTA convenzionale in prima battuta, mentre la seconda procedura è stata eseguita tramite DCBs o nuovamente tramite pallone convenzionale, selezionando i pazienti in modo randomizzato. Il confronto del tempo di rivascolarizzazione della lesione target libera da restenosi (TLR) nei due bracci ha evidenziato una longevità dell’AV significativamente superiore nel gruppo dei pazienti trattati con DCBs invece che con PTA convenzionale. Il tasso di pervietà della lesione target dopo 6 mesi è risultato significativamente superiore nel braccio DCBs, mentre non è stata raggiunta la significatività statistica al follow-up dopo 12 mesi. Nel 2016 è stata pubblicata una review sistematica sull’impego dei DCBs per il trattamento delle stenosi degli accessi vascolari per emodialisi, che ha incluso 2 trials randomizzati controllati e 4 studi di coorte per un totale di 254 PTA analizzate su 162 pazienti arruolati. I risultati hanno mostrato che i DCBs si associano ad una percentuale di successo terapeutico immediato del 100% e ad un’incidenza di complicanze maggiori pressoché nullo, garantendo inoltre una maggiore longevità della FAV a 6 e a 12 mesi rispetto ai palloni convenzionali [67]. In epoca ancor più recente, Irani et al [68] hanno arruolato 119 pazienti portatori di FAV stenotiche sia native che protesiche, assegnandoli in modo randomizzato al braccio DCBs o al braccio PTA convenzionale. Gli autori hanno quindi riportato una percentuale superiore di pervietà primaria della FAV nel caso dei DCBs, sia dopo 6 mesi (81% vs 61%) che dopo 12 (51% vs 34%). Sebbene i risultati finora ottenuti siano promettenti, ulteriori trial randomizzati volti a superare i limiti dei lavori precedenti sono necessari per stabilire la vera efficacia dei DBCs nell’affrontare le complicanze legate agli accessi vascolari per emodialisi.

 

La PTA eco-guidata

La PTA eco-guidata rappresenta un’alternativa valida e sicura alla PTA fluoroscopica convenzionale per i seguenti motivi:

  • lo strumentario necessario per la sua realizzazione è relativamente poco costoso e facilmente reperibile;
  • poiché la procedura non richiede la disponibilità di una sala angiografica e non prevede l’utilizzo di radiazioni ionizzanti, può essere eseguita in sala operatoria entro poche ore dalla diagnosi di malfunzionamento dell’AV;
  • non è previsto l’utilizzo del mezzo di contrasto, un aspetto particolarmente rilevante per la preservazione della diuresi residua sia nei pazienti in terapia conservativa che in quelli già avviati al trattamento sostitutivo [6971]. In caso di necessità, si può fare ricorso all’ecocontrastografia (CEUS) che non è nefrotossica [72];
  • Sebbene il trattamento percutaneo della stenosi dei vasi intra-toracici sia ancora una prerogativa dei radiologi interventisti, alla luce dei ben noti limiti degli ultrasuoni, la PTA delle stenosi iuxta-anastomotiche e/o dell’outflow delle FAV può essere eseguita da un nefrologo. Questo aspetto rappresenta un vantaggio importante in quanto i nefrologi sono in grado di stabilire con maggior accuratezza la strategia di trattamento ottimale al fine di facilitare la futura venipuntura della FAV e migliorarne le prestazioni durante la dialisi. I criteri per definire il raggiungimento del successo terapeutico immediato sono analoghi a quelli della PTA fluoroscopica convenzionale.

I primi dati sull’utilità della PTA eco-guidata delle FAV derivano da studi effettuati su un numero esiguo di pazienti. Nel 2000 Bacchini et al [73] hanno eseguito 12 PTA eco-guidate su 9 pazienti in emodialisi, le cui FAV protesiche presentavano una riduzione del flusso di sangue del 40% e una riduzione del lume vasale ≥50%, documentata ecograficamente. Tutte le protesi hanno mantenuto la loro pervietà al controllo ecografico dopo 4 settimane e solo due pazienti sono andati incontro a recidiva di stenosi con necessità di posizionamento di uno stent. Il valore medio di flusso sanguigno è significativamente aumentato dopo la PTA e non si sono registrate complicanze intra-procedurali degne di nota. Nel 2007 Marks et al [74] hanno arruolato10 pazienti, riportando una percentuale di successo terapeutico precoce e di pervietà primaria ad un mese uguale al 100%. Due anni dopo, lo stesso gruppo ha pubblicato risultati analoghi, su una casistica più ampia di 32 PTA su 25 pazienti arruolati, senza riportare complicanze cliniche rilevanti. Nel periodo compreso tra gennaio 2008 e giugno 2009, Fox et al [75] hanno trattato 223 FAV mediante PTA eco-guidata: l’uso dei palloni medicati si è reso necessario in 3 casi; in un caso è stato necessario posizionare uno stent non medicato per recoil elastico; in 4 casi è stato posizionato uno stent medicato per rottura di FAV o formazione di pseudo-aneurisma. In epoca più recente, nei lavori di Bacchini, Cho, Leskovar e Gorin et al [7678], in cui sono state trattate FAV sia native che protesiche, la ricanalizzazione immediata dell’accesso è stata ottenuta in più del 90% dei pazienti arruolati, con una bassa incidenza di complicanze intra-procedurali e di ricorso alla fluoroscopia o alla chirurgia. I risultati sono stati confermati anche da studi con elevata numerosità campionaria come quello di Wakabayashi et al, che ha reclutato 1011 pazienti per un totale di 4869 PTA. Qui gli autori hanno riportato una percentuale di pervietà precoce dell’accesso pari al 97,1% e un’incidenza di complicazioni gravi dello 0.2% [79].

Nel Gennaio 2019 il nostro gruppo di lavoro ha pubblicato i risultati di uno studio in cui 162 pazienti portatori di FAV native sono stati sottoposti a 201 PTA eco-guidate a seguito della diagnosi di stenosi emodinamicamente significativa dell’outflow. Il successo terapeutico ottenuto è stato del 95,6%, con un’incidenza di complicanze intraprocedurali del 13,5% e una pervietà primaria dell’AV dell’84% a 6 mesi e del 69.8% a 12 mesi [80] (Tabella II). Per quanto riguarda il mantenimento della pervietà dell’AV nel tempo, i dati in letteratura riportano percentuali di pervietà primaria comprese tra 50 e 80% dopo 6 mesi e tra 26 e 64% dopo 12 mesi, e percentuali di pervietà secondaria comprese tra 85 e 90% dopo 6 mesi e 80-85% dopo 12 [81, 82].

 

Conclusioni

Le recenti scoperte scientifiche sui fattori che contribuiscono allo sviluppo della stenosi e sui meccanismi molecolari e cellulari attraverso cui essi agiscono hanno dato nuovo slancio alla ricerca di soluzioni terapeutiche alternative alla chirurgia. Le tecniche endovascolari rappresentano la nuova frontiera per il trattamento delle stenosi emodinamicamente significative della FAV per emodialisi. Sebbene la superiorità dei cutting balloons, dei DCBs e degli stents rispetto alla metodica convenzionale sia ancora da dimostrare, la PTA rappresenta una procedura mini-invasiva che consente il ripristino immediato della pervietà della FAV, da subito disponibile per le sedute emodialitiche successive.

La PTA eco-guidata costituisce poi una valida alternativa alla metodica fluoroscopica tradizionale. Poiché non richiede l’uso di mezzo di contrasto né di radiazioni ionizzanti, la PTA eco-guidata può essere eseguita dai nefrologi, che sono in grado di gestire meglio di qualunque altra figura specialistica tutti gli aspetti e le criticità dell’AV. Inoltre, può rappresentare una valida alternativa alla PTA convenzionale per i pazienti con allergia ai mezzi di contrasto. Sono infine necessari ulteriori trials randomizzati controllati per dimostrare il ruolo potenziale della PTA eco-guidata nel preservare la funzione renale residua in pazienti con diuresi valida.

 

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