The Management of Patients with Adult Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease (ADPKD) Requires a Multidisciplinary Approach

Abstract

Autosomal dominant polycystic kidney disease (ADPKD) is the most common genetic kidney disease. Its main feature is the progressive enlargement of both kidneys with progressive loss of kidney function. ADPKD is the fourth leading cause of terminal renal failure in the world. Even today there are still uncertainties and poor information. Patients too often have a renunciatory and passive attitude toward the disease. However, there are currently no internationally accepted clinical practice guidelines, and there are significant regional variations in approaches to the diagnosis, clinical evaluation, prevention, and treatment of ADPKD. Therefore, we believe it is important to point out the conduct of our specialist outpatient clinic for ADPKD, which from the beginning has developed a multidisciplinary approach (nephrologists, geneticists, psychologists, radiologists, nutritionists) to face the disease at 360° and therefore not only from a purely nephrological point of view. Such a strategy not only enables patients to receive a timely and accurate diagnosis of the disease, but also ensures that they will receive a thorough and focused follow-up over time, that can prevent or at least slow down the disease in its evolution providing patients with a serene awareness of their condition as much as possible.

Keywords: ADPKD, genetics, clinical psychology, clinical nutrition, multidisciplinary approach

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Introduzione

La malattia del rene policistico autosomico dominante dell’adulto (ADPKD) è la malattia renale ereditaria più frequente; rappresenta la quarta causa di insufficienza renale terminale (ESRD) che rende necessaria la terapia dialitica [1].
Le mutazioni in uno dei due geni causali, PKD1 o PKD2, possono dare inizio alla cistogenesi a causa di una mutazione germinale in un allele e di una mutazione somatica nel secondo allele (second hit mutation). I rispettivi prodotti proteici, la policistina-1 (PC1) e la policistina-2 (PC2), formano un complesso recettore-canale che viene espresso in modo variabile nella membrana delle cellule plasmatiche e nella membrana del ciglio primario.
Nelle sue fasi iniziali, per la maggior parte dei casi la malattia decorre in maniera del tutto asintomatica e in assenza di storia familiare il paziente può essere del tutto ignaro di esserne affetto. Il progressivo sviluppo e ingrandimento delle cisti renali determina però un aumento del volume renale in toto che si associa al declino della funzione renale. Il volume renale infatti è a tutt’oggi considerato il principale marker predittivo di outcome di malattia [2, 3].

La malattia del rene policistico pertanto prende il suo nome dal fatto che i reni sono gli organi principalmente colpiti e pressoché gli unici a farne le spese in termini funzionali, ma va comunque ricordato che è una patologia sistemica secondaria a precisi difetti genetici e che conta numerose manifestazioni extra-renali soprattutto a livello cardiovascolare che richiedono particolare attenzione [4].
Sino a qualche anno fa non esistevano interventi farmacologici mirati, ma solo l’adesione a un adeguato stile di vita, un attento controllo della pressione arteriosa e la gestione e la cura delle complicanze con trattamenti tradizionali di protezione renale. Solo più recentemente, con una più approfondita comprensione della cistogenesi e del substrato genetico sottostante, si sono delineate terapie specifiche. Attualmente per i pazienti con volume renale aumentato in presenza di rapido declino del GFR è in utilizzo il Tolvaptan, farmaco inibitore dei recettori per la vasopressina a livello renale. Altre molecole molto promettenti sono comunque in fase di studio e di sperimentazione, alcune delle quali già in fase 3.
Sino all’avvento del Tolvaptan il cui utilizzo per ADPKD è stato approvato da AIFA nel novembre 2016 [5], l’atteggiamento dei pazienti senza chiara storia familiare, asintomatici o con fenotipo incerto troppo spesso era maggiormente volto al “non sapere” e quindi al non volere sottoporsi a indagini specifiche per una diagnosi precoce. Le motivazioni erano molteplici e potevano variare anche in base al paese di origine a causa dei differenti sistemi sanitari, delle implicazioni economiche degli esami stessi e delle ragioni etiche e sociali. I motivi più frequenti erano però sicuramente legati all’incertezza e all’imprevedibilità della malattia, al non volersi sentire malati o comunque condizionati, alla paura di potere essere responsabili di trasmettere o avere trasmesso la malattia alla prole. Spesso prevaleva quindi la presa di posizione del “tanto vale non sapere, visto che non ci si può fare nulla”.
Questo atteggiamento, talora sostenuto anche da alcuni nefrologi, sta lentamente cambiando seppure sia ancora molto radicato come recentemente riportato da uno esaustivo studio di Logeman et al. in cui credenze, convinzioni e prospettive dei pazienti e degli operatori sanitari a riguardo dei test pre-sintomatici per la malattia sono stati documentati grazie a un questionario somministrato a pazienti ADPKD in Corea, Australia e Francia [6].
Nel complesso, le prospettive dei pazienti e degli operatori sanitari spesso risultano simili e sottendono inadeguatezza nel prendere decisioni; ciò è sicuramente riferibile a una mancanza di sostegno, anche di ordine psicologico e di informazione. Inoltre i pazienti che hanno assistito a intense sofferenze nei loro familiari con ADPKD sono frequentemente inclini a rifiutare i test diagnostici sviluppando un atteggiamento di negazione nei confronti della malattia, e non si aspettano che la diagnosi possa aumentarne il senso di controllo o tantomeno mitigarne l’ansia correlata.
Anche in Italia, sul territorio e talora anche presso gli ambulatori di nefrologia generale, esiste spesso scarsa informazione su come inquadrare correttamente la patologia nelle fasi precoci e soprattutto sulla possibilità di essere sottoposti a test genetico, specialmente in caso di fenotipo incerto o di pazienti ancora del tutto asintomatici. D’altro canto l’atteggiamento da parte dei pazienti è ancora troppo spesso rinunciatario e passivo nei confronti della malattia, dettato dalla scarsa conoscenza di eventuali prospettive terapeutiche o semplicemente dell’importanza di un corretto stile di vita.
A questo proposito riteniamo importante segnalare la condotta del nostro ambulatorio specialistico per ADPKD. Sin dal principio abbiamo cercato di sviluppare un approccio più articolato con competenza e multidisciplinarietà per una risposta efficace al bisogno del paziente. ADPKD dal nostro punto di vista richiede infatti un approccio che metta il paziente al centro del lavoro congiunto di più specialisti con percorsi diagnostici e terapeutici integrati. L’ambulatorio dedicato ad ADPKD presente nell’Ospedale San Raffaele è attivo da 15 anni, con 300 pazienti in follow-up provenienti da tutta Italia e conta circa 5 prime nuove diagnosi al mese. Attualmente si avvale di alcune importanti collaborazioni, come esemplificato in Figura 1.

Figura 1. Algoritmo di presa in carico del paziente ADPKD
Figura 1. Algoritmo di presa in carico del paziente ADPKD nell’ambulatorio presente all’Ospedale San Raffaele. NGS: next generation sequencing; TKV: total kidney volume; TC: tomografia computerizzata; RM: risonanza magnetica.

 

Servizio di genetica

Il test genetico consiste in un’analisi mutazionale NGS volta a identificare la mutazione responsabile della malattia a livello dei geni PKD1 e PKD2. Va premesso che nella maggior parte dei pazienti con ADPKD il test non è necessario per stabilire la diagnosi di malattia. La valutazione della storia personale e dei familiari può essere assolutamente sufficiente. Il test genetico, che sino a una decina di anni fa era molto poco utilizzato, è di estrema utilità in assenza di familiarità o in caso di manifestazioni incerte o anomale di malattia.
Il test è di sicuro ausilio nel definire il tipo di mutazione genetica sottostante, estremamente variabile tra i pazienti ADPKD e con diverso significato prognostico. È infatti ben noto come per esempio le mutazioni troncanti relative al gene PKD1 si associno alle forme più severe di malattia con prognosi renale sfavorevole.
Negli ultimi anni abbiamo pertanto voluto sempre più spesso essere confortati dall’esame genetico, soprattutto da quando in Italia è divenuto accessibile tramite SSN e a titolo gratuito per i pazienti ADPKD aventi diritto a invalidità del 70%.
La caratterizzazione genetica è finalizzata sia a una diagnosi, quando incerta, ma anche a un percorso personalizzato in termini di cure, in base al valore prognostico della mutazione osservata. Negli ultimi dieci anni è notevolmente cresciuto presso il nostro Centro il numero di diagnosi genetiche, permettendo di ampliare ulteriormente l’approccio da puramente ‘genetico’ a una visione più ampia in senso ‘genomico’ con la possibilità di individuare altri geni potenzialmente associati alla malattia o comunque modulanti le espressioni fenotipiche.
Le linee guida per il miglioramento dei risultati globali delle malattie renali e il Forum europeo dell’ADPKD suggeriscono inoltre che i pazienti con ADPKD dovrebbero avere accesso alla consulenza riproduttiva e questo sottolinea ancora una volta l’importanza di una caratterizzazione genetica adeguata [7].

 

Servizio di psicologia clinica e della salute

L’offerta di un supporto psicologico quando necessario ha condotto progressivamente a una migliore comprensione e accettazione del problema da parte dei pazienti.
Nella nostra esperienza un aiuto in questo senso è stato fondamentale per molti pazienti e ha rafforzato la nostra convinzione che un adeguato supporto psicologico sia assolutamente utile anche in fase diagnostica e non solo nel follow con l’aggravarsi della malattia. A caratterizzare la patologia fin dalle fasi iniziali sono vissuti di preoccupazione, paura e incertezza che si protraggono poi per tutto l’iter della malattia. Molte persone affette da ADPKD, infatti, oltre ai sintomi fisici, presentano anche molti sintomi psichici. Tra questi ultimi ritroviamo sicuramente l’ansia e la depressione che vanno a incidere inevitabilmente sulla qualità della vita del soggetto. Molte persone riportano a tal proposito differenti conseguenze, tra cui disturbi del sonno, affaticamento, difficoltà sul lavoro e nello svolgimento di attività fisiche. Tutte queste condizioni descritte, oltre a un grave malessere psicologico e fisico, possono portare ad atteggiamenti del paziente che riducono l’efficacia del trattamento [8].
La diagnosi di malattia cronica ha quindi molteplici effetti simultanei e a diversi livelli: personale, interpersonale, familiare, sociale e occupazionale. I pazienti ADPKD subiscono continui adattamenti psicologici e comportamentali in relazione ai vari cambiamenti imposti dalla loro patologia nonché alla percezione dell’immagine corporea. Il fallimento o l’incapacità di accettare o adattarsi ai cambiamenti del corpo può portare a difficoltà nelle funzioni sessuali, nell’autostima e nelle relazioni interpersonali. A ciò si aggiungono inoltre le difficoltà legate alla pianificazione familiare; infatti, oltre al timore di trasmissione genetica della patologia, possono presentarsi delle complicanze nel corso della gravidanza [9].
Le malattie croniche, come l’ADPKD, sono patologie ereditarie e permanenti, che incidono sul concetto e sulla conoscenza dell’individuo rispetto a sé stesso e lo costringono a confrontarsi con situazioni di rischio, incertezza e ambiguità. Un programma di educazione terapeutica è di fondamentale importanza in una condizione cronica e deve accompagnare il paziente alla piena consapevolezza della sua malattia.
Attualmente purtroppo questi aspetti sono ancora spesso sottovalutati o non compresi. Pertanto, riteniamo importante nella pratica clinica del nostro ambulatorio offrire ai pazienti ADPKD colloqui psicologici con personale specializzato che permetta loro di veder riconosciuto il loro disagio e al tempo stesso offra una strategia adeguata per affrontarlo. Uno studio condotto nel 2019 presso il nostro Ospedale permette di evidenziare l’importanza di quanto appena descritto. Questa ricerca mostra infatti che i pazienti affetti da ADPKD possono sperimentare un malessere psichico per il quale risulta importante offrire un supporto psicologico o psicoterapeutico come strumento di intervento volto a favorire l’elaborazione dei cambiamenti e delle conseguenze fisiche e mentali associate alla malattia [10].

 

Servizio di medicina trapianti

La collaborazione con l’unità operativa di medicina trapianti è molto preziosa. Qualora la malattia renale sia in progressivo peggioramento è molto importante rendere edotto il paziente delle prospettive future, nello specifico per la sua patologia che per molti aspetti si differenzia da altre nefropatie. Il paziente deve essere messo a conoscenza della possibilità di un trapianto pre-emptive, se le condizioni di ingombro addominale lo permettono.
Inoltre, a quei pazienti in cui l’ingombro addominale e le sue complicanze divengono causa di enorme sofferenza e che vedono nel trapianto un tramite per un miglioramento della loro qualità di vita, andrebbe spiegato che i reni non dovrebbero essere rimossi di routine prima del trapianto poiché la nefrectomia nei pazienti ADPKD è associata a elevata morbilità e mortalità. Va anche segnalato loro che non infrequentemente le dimensioni dei reni nativi possono diminuire a seguito del trapianto [11].
D’altro canto, ci sono elementi a favore di una nefrectomia pre-trapianto che comprendono infezioni gravi e/o ricorrenti, dolore persistente e scarsamente responsivo alla terapia antalgica, sanguinamenti gravi e recidivanti. La necessità di sottoporsi all’intervento di nefrectomia pre-trapianto va quindi attentamente discussa e valutata da una équipe specializzata di nefrologi e chirurghi trapiantologi per ogni singolo paziente.
Infine va ricordato che esiste una piccola percentuale di pazienti, soprattutto donne, che presentano una marcata epatomegalia che impatta profondamente sulla qualità della vita. I sintomi più comuni sono sicuramente quelli gastrointestinali come dispepsia, senso sazietà precoce, eruttazione e reflusso gastroesofageo; senza dimenticare il risvolto psicologico causato dalla distorsione della propria immagine corporea. Nei casi molto severi è possibile il ricorso alla chirurgia e in ultimo anche al trapianto di fegato o fegato-rene combinato in caso di associata malattia renale terminale [12].

 

Servizio di radiologia

Il contributo del servizio di radiologia nell’approccio multidisciplinare ad ADPKD è fondamentale sia per quanto riguarda la diagnosi della malattia, che per la gestione delle sue possibili complicanze mediche (dolore addominale/lombare, ematuria), e per il monitoraggio della progressione della malattia renale.
Il volume renale totale (Total Kidney Volume ‒ TKV) è il principale marker predittivo di outcome di questa malattia e può essere misurato mediante l’ultrasonografia (US), la tomografia computerizzata (TC) o risonanza magnetica (RMN). Il TKV è aumentato in tutti i pazienti affetti da malattia policistica; tuttavia, la velocità con cui esso aumenta è altamente variabile tra i diversi pazienti. Un rapido incremento del TKV, soprattutto negli stadi precoci della malattia con GFR ancora conservato, correla con una prognosi renale peggiore a lungo termine e un più alto rischio di progredire verso stadi avanzati di malattia renale cronica fino all’ESRD [13].
Il nostro ambulatorio ADPKD è dotato inoltre di un ecografo dedicato che rende possibile una prima valutazione ecografica della morfologia e dei diametri renali già durante le visite ambulatoriali e per eventuale avvio di terapia specifica con Tolvaptan che prevede tra i criteri di eleggibilità la valutazione dei diametri/volumi renali.

 

Servizio di dietetica e nutrizione clinica

La possibilità di offrire un servizio di dietetica e nutrizione clinica si è dimostrata sempre più utile per i nostri pazienti. È risaputo che una terapia dietetica nutrizionale (TDN) mirata, risulta essere fondamentale nel rallentare la progressione della malattia renale cronica (CKD) e limitare le sue possibili complicanze per le persone colpite.
Diversamente dagli altri pazienti affetti da CKD, nei pazienti ADPKD ci troviamo spesso a dover affrontare il problema dell’ingombro addominale derivante dall’organomegalia. La nefromegalia insieme all’epatomegalia, determinate dalla presenza delle cisti, sono spesso causa di disturbi gastrointestinali come il senso di sazietà precoce, la dispepsia e il discomfort addominale. Tali condizioni possono talvolta condurre i pazienti a ipo-alimentarsi, aumentando perciò il rischio di malnutrizione. Per questo motivo è necessario intervenire con una TDN già nella fase precoce.
Ad oggi, oltre a un corretto bilanciamento idrico, le evidenze scientifiche consigliano una dieta a basso contenuto di sodio e di proteine di origine animale. Ad ogni modo, molti sono gli aspetti controversi che necessitano di future conferme.
Infatti, studi preclinici hanno recentemente avanzato l’ipotesi che una dieta ipocalorica e chetogenica possa rallentare lo sviluppo delle cisti renali, interferendo con il metabolismo glucidico. Le cellule delle cisti sembrano mostrare un metabolismo alterato, caratterizzato da un aumento della glicolisi e da un’ossidazione incompleta degli acidi grassi.
Gli studi sperimentali preclinici mostrano che la dieta chetogenica o la sola integrazione di 3-β-idrossibutirrato (chetone sintetizzato dal metabolismo degli acidi grassi) possono replicare i benefici di una restrizione calorica, con conseguente inibizione della cistogenesi e dell’espansione delle cisti [14, 15].
Essendo studi condotti su animali, tale ipotesi rimane tuttavia ad oggi ancora da convalidare mediante futuri studi clinici sull’uomo.

 

Conclusione

Il nostro gruppo è fermamente convinto che i pazienti ADPKD andrebbero quindi seguiti in un ambulatorio dedicato alla loro patologia in toto, ove la malattia possa essere affrontata a 360° e non solo da un punto di vista squisitamente nefrologico, come troppo spesso accade. La multidisciplinarietà (nefrologi, genetisti, psicologi, radiologi, nutrizionisti) del nostro ambulatorio ha condotto quindi nel corso degli anni a un netto miglioramento nella compliance da parte dei pazienti e della adesione terapeutica.
Vogliamo rendere noti i nostri sforzi affinché i nostri risultati possano illustrare eventuali modi per informare e comunicare meglio con i pazienti e le loro famiglie. La conoscenza dei test disponibili, la prevenzione e la gestione possono certamente supportare al meglio il processo decisionale. I nostri risultati in campo ambulatoriale evidenziano il valore di tutti gli specialisti in affiancamento ai nefrologi per aiutare ad affrontare tutte le potenziali conseguenze, non ultimo quelle psicologiche e anche sociali.
Per i pazienti ADPKD una tempestiva e precisa diagnosi e un approccio congiunto nel follow-up consente loro di prendersi cura al meglio della propria salute, di prevenire o quanto meno rallentare la malattia nella sua evoluzione e di averne una consapevolezza quanto più serena possibile.

 

Bibliografia

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