Extended release calcifediol and paricalcitol in the treatment of secondary hyperparathyroidism: a network meta-analysis of indirect comparison

Abstract

Introduction: Secondary hyperparathyroidism (SHPT) is a common and major complication of chronic kidney disease (CKD) among patients on dialysis and in patients with CKD stage G3 to G5. SHPT in CKD is caused by disturbances in metabolic parameters. Paricalcitol (PCT), other active vitamin D analogous (doxercalciferol and alfacalcidol), and active vitamin D (calcitriol) have been commonly used to treat SHPT in non-dialysis CKD (ND-CKD) for several years. However, recent studies indicate that these therapies adversely increase serum calcium, phosphate, and fibroblast growth factor 23 (FGF-23) levels. Extended release calcifediol (ERC) has been developed as an alternative treatment for SHPT in ND-CKD. The present meta-analysis compares the effect of ERC against PCT in the control of PTH and calcium levels.
Methods: A systematic literature review was conducted, according to Preferred Reporting Items for Systematic reviews and Meta-Analyses (PRISMA) guidelines to identify studies for inclusion in the Network Meta-Analysis (NMA).
Results: 18 publications were eligible for inclusion in the network meta-analysis and 9 articles were included in the final NMA. The estimated PTH reduction from PCT (-59.5 pg/ml) was larger than the PTH reduction from ERC (-45.3 pg/ml), but the difference in treatment effects did not show statistical significance. Treatment with PCT caused statistically significant increases in calcium vs. placebo (increase: 0.31 mg/dl), while the marginal increase in calcium from treatment with ERC (increase: 0.10 mg/dl) did not reach statistical significance.
Conclusions: The evidence suggests that both PCT and ERC are effective in reducing levels of PTH, whereas calcium levels tended to increase from treatment with PCT. Therefore, ERC may be an equally effective, but more tolerable treatment alternative to PCT.

Keywords: secondary hyperparathyroidism, PTH, calcium, vitamin D

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Introduzione

L’iperparatiroidismo secondario (IPS) è una complicanza grave e comune della malattia renale cronica (MRC) tra i pazienti sia in fase conservativa che in dialisi. L’IPS è caratterizzato da alterazioni di parametri metabolici, fra i quali livelli sierici di fosforo (P), calcio (Ca), fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF-23), e insufficienza/carenza di vitamina D. La diminuzione della capacità dei reni di convertire la vitamina D [25(OH)D] nel suo metabolita attivo [1,25(OH)2D] determina una secrezione eccessiva di paratormone (PTH). Valori elevati di PTH, se non controllati, possono causare malattia ossea e calcificazione extra-scheletrica con aumento del rischio di insorgenza di malattie cardiovascolari legate all’incremento delle calcificazioni vascolari stesse. Inoltre l’IPS prolungato può evolvere nella sua forma terziaria, resistente alla terapia con vitamina D e calciomimetici, con la necessità di ricorrere alla paratiroidectomia nei casi più severi o in previsione del trapianto renale [1]. Pertanto, è essenziale controllare contemporaneamente vari biomarcatori, fra cui PTH, Ca e P, per poter attuare un trattamento efficace dei problemi correlati all’IPS in corso di MRC [2]. 

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Cholecalciferol supplementation improves secondary hyperparathyroidism control in renal transplant recipient

Abstract

Introduction: Vitamin D deficiency (25(OH)D <30 ng/mL) in renal transplant recipients (RTRs) is a frequent finding and represents an important component in the pathogenesis of secondary hyperparathyroidism (SHPT). Therefore, its more systematic supplementation is recommended. We herein report our experience on the impact of cholecalciferol supplementation on PTH and 25(OH)D levels in a group of RTRs with 25(OH)D <30 ng/mL and SHPT. Patients and Methods: For this purpose, 52 RTRs with SHPT were treated with cholecalciferol at the fixed dose of 25,000 IU p.o. weekly for 12 months. For the control group we selected 23 RTRs with SHPT and 25(OH)D levels <30 ng/mL. Every 6 weeks eGFR, sCa and sPO4 levels were evaluated; PTH, 25(OH)D, FECa e TmPO4 were evaluated every 6 months. Results: At baseline, the two groups had similar clinical characteristics and biohumoral parameters. Parathormone was negatively correlated with 25(OH)D levels (r=-0.250; P <0.001) and TmPO4 values (r=-0.425; P<0.0001). At F-U there was a significant reduction in PTH levels in the supplemented group, from 131 ± 46 to 103 ± 42 pg/mL (P<0.001), while vitamin D levels, TmPO4 values, PO4 and sCa levels increased significantly, from 14.9 ± 6.5 to 37.9 ± 13.1 ng/mL (P<0.001), from 1.9 ± 0.7 to 2.6 ± 0.7 mg/dL (P<0.001), from 3.1 ± 0.5 to 3.5 ± 0.5 mg/dL (P<0.001), and from 9.3 ± 0.5 to 9.6 ± 0.4 (P<0.01), respectively. During the study there were no episodes of hypercalcaemia and/or hypercalciuria, while 25(OH)D levels always remained <100 ng/mL. In the control group, at F-U, PTH levels increased from 132 ± 49 to 169 ± 66 pg/ml (P <0.05), while 25(OH)D levels remained stable at <30 ng/mL. Conclusions: Vitamin D deficiency in RTRs is very frequent. Cholecalciferol supplementation is associated with a better control of SHPT and a correction of vitamin D deficiency in most patients, representing an effective, safe and inexpensive therapeutic approach to IPS.

Keywords: vitamin D, cholecalciferol, renal transplant, secondary hyperparathyroidism

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Introduzione

Il trapianto renale rappresenta il trattamento di scelta per molti pazienti con malattia renale cronica in stadio 5D (ESRD), in quanto ne migliora la sopravvivenza e la qualità di vita rispetto a coloro che rimangono in dialisi [1]. Tuttavia, i pazienti con trapianto renale (RTRs), pur beneficiando della migliore sopravvivenza del rene trapiantato, continuano ad essere gravati da alcune problematiche già presenti nella fase della terapia sostitutiva. Una di queste, che spesso non risolve con il trapianto, è l’iperparatiroidismo secondario (IPS). Questa condizione è più frequente in quei RTRs che durante la fase sostitutiva hanno richiesto il trattamento dell’IPS [26]. Sebbene i livelli di paratormone (PTH) tendono a ridursi nei primi 12 mesi del post-trapianto [26], si stima che in circa il 30%-50% dei casi questi rimangono elevati anche negli anni successivi [2, 3, 68]. La persistenza dell’IPS (IPSP) nel post-trapianto è stata associata a patologia ossea ad elevato turnover, responsabile di perdita della massa ossea e quindi maggior rischio di fratture [9, 10] e progressione delle calcificazioni vascolari [11]. L’importanza delle potenziali conseguenze dell’IPSP ha portato a prendere in considerazione un suo più precoce trattamento. Sebbene non vi sia ancora condivisione sulla definizione dell’IPSP, utile a tal fine sembrerebbe la definizione riportata nelle linee guida NKF-KDOQI (National Kidney Foundation–Kidney Disease Outcomes Quality Initiative), secondo le quali si parla di IPSP quando negli stadi 1-3 della malattia renale cronica (MRC) i livelli di PTH permangono nel tempo al disopra dei limiti alti della norma, mentre nello stadio 4 quando questi permangono a livelli di 1.5 volte maggiori i limiti alti della norma [12]. Nell’approccio terapeutico dell’IPSP nel trapianto renale spesso viene dimenticata, prima ancora di intraprendere qualsiasi terapia come suggerito dalle linee guida NKF/KDOQI, la valutazione dello stato nutrizionale della vitamina D attraverso la determinazione dei livelli sierici della 25-idrossi-vitamina D [25(OH)D] [12]. Infatti, bassi livelli sierici di 25(OH)D possono essere una delle cause responsabili dell’IPSP nei RTRs [13, 14]. Le concentrazioni sieriche di 25(OH)D sono il principale indice del patrimonio in vitamina D del nostro organismo e sono utilizzate per definire uno stato carenziale di vitamina D [15]. Nelle linee guida NKF/KDOQI livelli sierici di 25(OH)D <5 ng/mL sono utilizzati per indicare una grave deficienza di vitamina D, livelli tra 5 e 15 ng/mL indicano una lieve insufficienza, livelli tra 16 e 30 ng/mL indicano una insufficienza, mentre livelli ≥ 30 ng/mL vengono considerati ottimali, anche se non vi è consenso unanime su quelli che sono i livelli sierici di vitamina  D da considerarsi ottimali [12, 16]. Bassi livelli sierici di 25(OH)D si ritrovano frequentemente nei RTRs [17, 18]. Le cause possono essere diverse, sicuramente una delle principali è la ridotta disponibilità di vitamina D per la 25-idrossilazione a seguito della scarsa esposizione ai raggi solari per l’aumentato rischio di tumori della pelle che si ha a seguito alla terapia immunosoppressiva [1924]. Nella malattia renale cronica stadio 3-4 le linee guida NKF/KDOQI raccomandano la supplementazione con vitamina D quando i livelli sierici di 25(OH)D sono <30 ng/mL [12]. In accordo con queste linee guida i RTRs dovrebbero essere trattati come i pazienti con MRC non trapiantati e con analogo filtrato glomerulare [12]. Tuttavia, nonostante le indicazioni delle linee guida NKF/KDOQI, non vi è una univoca posizione su diversi punti quali: quando iniziare il trattamento con vitamina D; quale tipo di vitamina D impiegare; quale dosaggio; durata del periodo di supplementazione [2527]. Nei pazienti con trapianto renale le esperienze circa l’impatto della supplementazione di vitamina D sui livelli di PTH nell’IPSP e su quelli del 25(OH)D in pazienti con deficit di vitamina D sono estremamente carenti, a differenza di quanto riportato nei pazienti con MRC stadio 3-5D. Nei vari studi finora condotti la supplementazione di vitamina D è stata a volte giornaliera, altre settimanale ed altre ancora mensile. Anche i dosaggi della supplementazione con vitamina D rimangono un problema aperto come sottolineato da Levi e Silver [28]. Tangpricha e Wasse [29], confrontando una serie di studi condotti in pazienti in emodialisi con schemi posologici di supplementazione di vitamina D molto diversi tra loro, hanno concluso che un dosaggio di vitamina D insufficiente, stimato come <100,000 UI/mese, potrebbe non essere in grado di ristabilire i normali livelli di 25(OH)D e ridurre i livelli di PTH. I pochi studi condotti nei RTRs sulla supplementazione di vitamina D hanno dato risultati contrastanti. In uno studio di Courbebaisse et al [30] condotto su RTRs con bassi livelli di 25(OH)D, una dose di colecalciferolo (un precursore del 25(OH)D) <100,000 UI/mese non sembra in grado di mantenere i livelli di 25(OH)D ≥ 30 ng/mL in tutti i RTRs supplementati. In un altro studio condotto su RTRs nei pazienti con deficienza di vitamina D [25(OH)D <15 ng/ml] una dose mensile cumulativa di 64,000 UI di colecalciferolo è risultata sufficiente per normalizzare i livelli sierici di 25(OH)D, mentre nei pazienti con insufficienza di vitamina D [25(OH)D 15-30 ng/ml] questo risultato si otteneva impiegando 40,000 UI/mese [31]. Inoltre, come emerge dal confronto tra le varie esperienze di supplementazione con vitamina D nei pazienti con MRC, la diversità dei risultati riportati in letteratura è probabilmente da ricondurre alla diversa durata della supplementazione, in molte esperienze estremamente breve [2931]. Infatti, molte delle esperienze fin qui fatte hanno avuto una durata inferiore alle 36 settimane [29]. Nel nostro ambulatorio dedicato al F-U dei RTRs da oltre 10 anni determiniamo regolarmente e periodicamente i livelli sierici del 25(OH)D e da allora tutti quelli che presentano livelli di 25(OH)D <30 ng/mL vengono regolarmente supplementati con vitamina D, quando non vi sia concomitante ipercalcemia. In questo studio abbiamo valutato, retrospettivamente, in un gruppo di RTRs con livelli di 25(OH)D <30 ng/mL ed uno stato di IPSP, l’impatto della terapia con colecalciferolo sui livelli sierici del 25(OH)D, del PTH e del bilancio calcio-fosforico e abbiano raffrontato i risultati con quelli di un analogo gruppo che rifiutava la supplementazione con vitamina D e quindi di controllo.

  

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Cholecalciferol supplementation improves secondary hyperparathyroidism control in hemodialysis patients

Abstract

Introduction: Vitamin D deficiency is common among hemodialysis (HD) patients and is an important component in the pathogenesis of secondary hyperparathyroidism (SHPT). We herein report our experience on the impact of cholecalciferol supplementation on PTH levels in a group of HD patients.

Patients and methods: We selected 122 HD patients. The main selection criteria were 25-hydroxyvitamin D (25(OH)D) levels ≤30 ng/mL and SHPT defined as PTH levels >300 pg/mL or PTH levels between 150-300 pg/mL during therapy with cinacalcet or paricalcitol. 82 patients agreed to receive cholecalciferol at the fixed dose of 25,000 IU per week orally for 12 months, while the remaining 40 represented the control group. The main endopoints of the study were the reduction in PTH levels ≥30% compared to baseline values and the increase of 25(OH)D levels to values >30 ng/mL.

Results: At follow-up PTH levels decreased in the supplemented group from 476 ±293 to 296 ± 207 pg/mL (p<0.001), 25(OH)D levels increased from 10.3 ± 5.7 to 33.5 ± 11.2 ng/mL (p<0.001), serum calcium increased from 8.6 ± 0.5 to 8.8 ± 0.6 mg/dL (p<0.05) while serum phosphorus did not change. In this group the mean doses of paricalcitol were significantly reduced, from 8.7 ± 4.0 to 6.1 ± 3.9 µg/week (p<0.001). Moreover, in this group there were a significant increase of hemoglobin levels, from 11.6 ± 1.3 to 12.2 ± 1.1 g/dL (p <0.01) and a significant reduction of erythropoietin doses (p<0.05). In the control group the 25(OH)D and PTH levels did not change, while cinacalcet doses increased from 21 ±14 to 43 ± 17 mg/d (p<0.01).

Conclusions: Vitamin deficiency is very common in HD patients. Cholecalciferol treatment significantly increased serum 25(OH)D levels, significantly decreased PTH levels and paricalcitol doses, concurrently entailing a better control of anemia. 

Keywords: vitamin D, cholecalciferol, hemodialysis, secondary hyperparathyroidism, paricalcitol

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Introduzione

L’iperparatiroidismo secondario (IPS) inizia come un processo adattativo ma in ultimo, a seguito del ridursi della funzione renale, della ridotta escrezione di fosfati, della ridotta produzione di vitamina D e dell’ipocalcemia, si trasforma in un processo patologico [1]. È opinione comune che bassi livelli sierici di vitamina D siano la causa del bilancio negativo del calcio, dell’IPS e della patologia ossea. Le concentrazioni sieriche di 25-idrossivitamina D (25(OH)D) sono il principale indice del patrimonio di vitamina D del nostro organismo e sono utilizzate per definire uno stato carenziale di vitamina D [2]. Nelle linee guida National Kidney Foundation–Kidney Disease Outcomes Quality Initiative (NKF–KDOQI), livelli sierici di 25(OH)D <5 ng/mL sono utilizzati per indicare una grave deficienza di vitamina D, livelli tra 5 e 15 ng/mL indicano una lieve insufficienza, livelli tra 16 e 30 ng/mL indicano un’insufficienza, mentre livelli maggiori di 30 ng/mL vengono considerati ottimali, anche se non vi è unanime consenso su quali siano i livelli sierici di vitamina D da considerare ottimali [3, 4].

 

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Therapy of glucocorticoid induced osteoporosis

Abstract

Glucocorticoid-induced osteoporosis (GIO) is a major cause of secondary osteoporosis that starts early after the beginning of therapy even for low drug doses. Glucocorticoids are used for the treatment of immunologic nephropathies and in the setting of kidney transplant. In clinical practice, a number of algorithms are available; they allow us to estimate the long-term risk of major osteoporotic fracture; but none of them is specific for GIO. To date, the therapeutic approach comprises both general measures aimed at correcting calcium and vitamin D intake, and drugs (bisphosphonates, teriparatide, hormone replacement therapy, denosumab) that ameliorate bone mineral density and patient outcomes.

KEYWORDS: glucocorticoid-induced osteoporosis, bisphosphonates, denosumab, teriparatide, calcium, vitamin D

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INTRODUZIONE

L’utilizzo degli steroidi si associa ad una perdita precoce (entro 3-6 mesi dall’inizio della terapia) della densità ossea con conseguente incremento del rischio di fratture, per dosaggi di prednisolone (o suo equivalente) > 2.5-7.5 mg/die (1). In ambito nefrologico, la terapia steroidea viene utilizzata nel trattamento delle nefropatie a genesi immunologica, che colpiscono pazienti sia giovani che anziani, nonché nell’ambito del trapianto renale. In letteratura vi sono pochi lavori che abbiano valutato l’efficacia della prevenzione e della terapia dell’osteoporosi nel contesto delle nefropatie glomerulari (2). Lo scopo di questa review è delineare quali siano le attuali terapie e le indicazioni ad iniziare un trattamento per l’osteoporosi indotta da glucocorticoidi (GIO, glucocorticoid induced osteoporosis).

 

PATOGENESI

I glucocorticoidi, agendo mediante i recettori citoplasmatici tipo 2 presenti negli osteoblasti e nelle cellule stromali, aumentano il riassorbimento del tessuto osseo e ne riducono la formazione. Tale effetto è mediato, almeno in parte, dalla soppressione della produzione di osteoprotegerina (OPG) e dalla sovraproduzione del receptor activator of nuclear factor kappa-B ligand (RANKL): la prima inibisce la differenziazione osteoclastica a partire dalle cellule emopoietiche agendo come “decoy” per il recettore RANK; il secondo rappresenta un fattore fondamentale per la differenziazione osteoclastica legandosi al precedente (3). L’uso di glucocorticoidi a lungo termine riduce prevalentemente la formazione di osso, mediante l’inibizione diretta della proliferazione degli osteoblasti e l’aumento della velocità di apoptosi di osteociti ed osteoblasti maturi: ciò spiegherebbe il motivo per cui i glucocorticoidi possono causare osteonecrosi (4).

I glucocorticoidi, inoltre (56), riducono l’assorbimento intestinale di calcio interferendo con l’azione della vitamina D e riducendo l’espressione dei canali del calcio nel duodeno; incrementano la calciuria; inibiscono la produzione di insulin-like growth factor 1 (IGF-1) e di testosterone; aumentano il catabolismo proteico con conseguente sarcopenia ed aumento del rischio di caduta (Figura 1).

 

DIAGNOSI

In generale, si pone diagnosi di osteoporosi quando:

  • si verifica una frattura di fragilità
  • e/o la densità minerale ossea (BMD), usando la dual-energy x-ray absorptiometry (DXA), mostri un T-score < – 2.5 DS.

Nella valutazione del paziente che deve intraprendere terapia steroidea con una durata prevista di almeno 3 mesi, è necessario stimare il rischio di frattura. Nella popolazione generale, sono stati validati algoritmi di valutazione (FRAX, DeFRA) che consentono di stimare la probabilità di frattura del paziente nel lungo periodo.

Il Fracture Risk Assessment Tool (FRAX), patrocinato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, stima la probabilità a 10 anni di frattura nelle donne non trattate in post-menopausa e negli uomini con età pari o maggiore a 50 anni (7).

Esso considera quali fattori di rischio: età (40-90 anni), sesso (M/F), indice di massa corporea, fratture pregresse, genitori con anamnesi positiva per frattura di femore; fumo; consumo >3 unità alcoliche/die, terapia steroidea, presenza di artrite reumatoide; bone mineral density (BMD) misurata al collo femorale (g/cm3).

 

Combinando i vari parametri richiesti, i pazienti vengono stratificati in 3 classi di rischio per frattura osteoporotica maggiore a 10 anni:

  • Basso rischio: FRAX <10%;
  • Medio rischio: FRAX 11-20%;
  • Alto rischio: FRAX >20% o T score < -2.5 DS.

 

I principali limiti all’uso del FRAX nella GIO sono rappresentati dal fatto che tale punteggio non considera la BMD vertebrale, principale sede di frattura nella GIO; dall’impossibilità di inserire dosaggio, durata ed eventuale uso di boli steroidei nel calcolo del rischio; dalla non applicabilità a pazienti con età inferiore a 40 anni.

Un’evoluzione recente del FRAX adattata alla realtà italiana e recentemente validata, è il DeFRA (FRAX-derived) che sembra migliorare la previsione della probabilità del rischio di frattura a 10 anni. Il principale obiettivo del DeFRA è definire meglio il rischio assoluto di frattura introducendo nell’algoritmo variabili non più dicotomiche ma semiquantitative (fumo, dose di glucocorticoide, unità alcoliche), numero e sede di precedenti fratture di fragilità, altre cause di osteoporosi secondaria (ad es. connettivi) ed infine la BMD sia del femore che della colonna vertebrale (8).

 

MISURE GENERALI E FARMACOLOGICHE PER LA PREVENZIONE ED IL TRATTAMENTO DELLA GIO

Misure generali

Secondo le linee guida dell’American College of Rheumatology del 2010 (9), nel paziente che inizia una terapia steroidea con durata prevista del trattamento > 3 mesi, si raccomanda di intraprendere il seguente stile di vita e di effettuare le seguenti valutazioni al fine di prevenire la perdita di densità ossea (livello di evidenza C):

  • Sospensione del fumo;
  • Evitare l’assunzione eccessiva di alcol (> 2 bicchieri/die);
  • Effettuare attività fisica con carico;
  • Valutazione dell’apporto di calcio e vitamina D nutrizionale;
  • Valutazione del rischio di caduta ed altezza;
  • DXA al basale;
  • Livelli circolanti di 25-OH vitamina D;
  • Considerare un Rx della colonna vertebrale o un vertebral fracture assessment (VFA).

Calcio e vitamina D. Calcio e vitamina D rappresentano la prima linea terapeutica e preventiva della GIO. Le linee guida dell’ACR 2010 raccomandano nel paziente che deve assumere steroidi per una durata prevista pari o maggiore a 3 mesi, di mantenere un apporto totale di calcio di 1200 mg/die ed un introito di vitamina D pari a 800 UI/die mediante dieta e/o supplementi (livello di evidenza A) (9). Tale raccomandazione deriva dal fatto che i glucocorticoidi riducono l’assorbimento intestinale di calcio ed aumentano la calciuria, generando un bilancio negativo del calcio.

I metaboliti attivi della vitamina D (alfa-calcidiolo, calcitriolo) si sono dimostrati parimenti efficaci nel mantenimento della densità ossea vertebrale nei pazienti che assumono terapia steroidea [effect size (ES) = 0.43, p< 0.001] senza preferenza dell’uno rispetto all’altro (p>0.13) (10). Tuttavia, sono poco utilizzati alla luce dei rischi potenziali di ipercalcemia ed ipercalciuria e per la presenza di terapie ritenute più efficaci, come i bifosfonati (11, 12).

 

Bifosfonati. I bifosfonati rappresentano, dopo calcio e vitamina D, i farmaci di prima linea per la prevenzione ed il trattamento della GIO, dimostrandosi in ciò superiori ai supplementi di vitamina D e calcio (7, 8). I bifosfonati sono analoghi del pirofosfato (PPi): si differenziano per la sostituzione dell’atomo di ossigeno (P-O-P) con un atomo di carbonio (P-C-P) (13). Le cellule di rivestimento dell’osso impediscono al PPi di entrare nella struttura ossea grazie all’azione della fosfatasi alcalina, mentre i bifosfonati sono resistenti all’azione di tale enzima e penetrano nell’osso legandosi alla superficie mineralizzata. Il meccanismo d’azione dei bifosfonati è principalmente dovuto all’inibizione dell’attività osteoclastica mediante il blocco dell’attività di enzimi ATP-dipendenti, della farnesil pirofosfato sintasi e tramite l’interferenza con la via del mevalonato; tutti pathways essenziali per la funzione e la sopravvivenza degli osteoclasti. Dal punto di vista farmacocinetico, i bifosfonati hanno una bassa biodisponibilità orale [alendronato, ibandronato, risedronato (1%), etidronato (3-7%)] e vanno assunti a stomaco vuoto con un bicchiere d’acqua. Una volta assorbiti, circa il 40-60% entra nell’osso mentre il restante viene eliminato immodificato per filtrazione glomerulare e secrezione tubulare prossimale. L’emivita di eliminazione dei bifosfonati è pari a circa 10 anni (13). Si consiglia, da scheda tecnica, l’uso di alendronato, risedronato, ibandronato in pazienti con clearance della creatinina (ClCr) >30 ml/min e di zoledronato in pazienti con ClCr > 35 ml/min. La Tabella 1 riporta la posologia dei principali bifosfonati per la prevenzione ed il trattamento della GIO.

Teriparatide. Teriparatide (PTH 1-34) è indicato come terapia di seconda linea per il trattamento e la prevenzione della GIO per costo, necessità di somministrazione sottocutanea e disponibilità di altri farmaci (9). La somministrazione intermittente di PTH stimola la formazione ossea ed aumenta l’assorbimento intestinale ed il riassorbimento renale di calcio. Nel lavoro di Saag et al. si evidenzia come teriparatide sia più efficace dell’alendronato nell’aumentare la BMD e nel ridurre il numero di fratture della colonna vertebrale, mentre non vi è differenza significativa nell’incidenza di fratture non vertebrali (p=0.36) (14). Tale farmaco viene somministrato per via sottocutanea al dosaggio di 20 mcg/die e non richiede alcun aggiustamento posologico in caso di insufficienza renale; tuttavia, da scheda tecnica, ne viene controindicato l’uso in caso di insufficienza renale grave. Tale terapia non va protratta oltre i due anni per un aumentato rischio di osteosarcoma osservato con trattamenti di durata maggiore in studi preclinici (15).

Denosumab. Denosumab è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro il fattore di differenziazione osteoclastica RANKL: inibisce pertanto la formazione di osteoclasti, riduce il riassorbimento osseo ed il rischio di frattura ed aumenta la BMD (16). Dal punto di vista farmacocinetico, denosumab non è eliminato dal rene; pertanto non vi è attualmente controindicazione all’uso in pazienti con ClCr < 30-35 ml/min. Tuttavia, come per altri farmaci anti-riassorbitivi, nei pazienti con malattia renale cronica vi è un maggior rischio di ipocalcemia: è indicato pertanto fornire vitamina D e calcio al paziente prima di intraprendere denosumab (17). La scheda tecnica del farmaco attualmente non ne prevede una specifica indicazione nel trattamento della GIO; tuttavia in Italia la nota AIFA n.79 contempla l’uso del farmaco come seconda linea in prevenzione primaria e secondaria nei pazienti in terapia steroidea, al dosaggio di 60 mg sc ogni 6 mesi (18).

 

INDICAZIONI ALL’USO DEI FARMACI ANTI-OSTEOPOROTICI PER LA PREVENZIONE ED IL TRATTAMENTO DELLA GIO

Di seguito sono riportate le raccomandazioni dell’ACR 2010 (9). Tali raccomandazioni suddividono i pazienti in relazione all’età (superiore o inferiore ai 50 anni) e, nelle donne, allo stato menopausale.

Le indicazioni ad iniziare in prevenzione primaria la terapia farmacologica nei pazienti con età >50 anni e nelle donne in postmenopausa sono le seguenti:

  • Soggetti che iniziano o assumono terapia steroidea a qualunque dosaggio per qualsiasi durata, con T score compreso fra -1.0 e -2.5 (osteopenia);
  • Probabilità di alto rischio calcolata mediante FRAX;
  • Punteggio di rischio basso-medio calcolato mediante FRAX ma in soggetti in terapia con >5 mg/die di prednisone o suo equivalente per una durata prevista > 3 mesi.

In pazienti con diagnosi di osteoporosi, è indicato iniziare la terapia in uomini d’età >50 anni e nelle donne in post-menopausa che iniziano o sono già in terapia steroidea indipendentemente da dosaggio e durata del trattamento alla valutazione iniziale.

Circa l’impiego farmacologico, le linee guida dell’ACR suggeriscono:

  • Per i pazienti a basso rischio, l’uso dei bifosfonati (alendronato, risedronato e acido zoledronico) se la dose di prednisone è >5 mg/die.
  • Per i pazienti a medio rischio, l’uso di alendronato e risedronato per qualsiasi dose di steroide; l’acido zoledronico rappresenta una possibilità per i pazienti che ricevono >5 mg/die di prednisone.
  • Per i pazienti ad alto rischio, l’uso dei bifosfonati per qualsiasi dosaggio e durata di terapia steroidea. La teriparatide rappresenta una possibilità nei pazienti ad alto rischio che assumono > 5 mg/die di prednisone per una durata nota < 1 mese e per qualsiasi dosaggio di steroide di durata > 1 mese.
  • Nelle donne in pre-menopausa e nei pazienti maschi d’età inferiore ai 50 anni, è necessario valutare la funzione gonadica: laddove questa sia deficitaria vi è indicazione alla terapia ormonale sostitutiva, rispettivamente estro progestinica o con testosterone. Vista la lunga emivita e la capacità dei bifosfonati di superare la placenta, è necessario considerare i potenziali danni al feto nelle donne in età fertile.

Le linee guida suggeriscono di iniziare la terapia farmacologica in:

  • Donne con precedente frattura di fragilità in terapia con prednisone o suo equivalente pari a 7.5 mg/die per > 3 mesi, che non richiedano terapia estrogenica sostitutiva (funzione ovarica nella norma).
  • Donne senza frattura di fragilità con perdita ossea accelerata (> 4%/anno) in trattamento steroideo.
  • Uomini con precedente frattura di fragilità in terapia con prednisone o suo equivalente pari a 7.5 mg/die per > 3 mesi che non richiede terapia ormonale sostitutiva (testosterone).
  • Uomini senza frattura di fragilità con perdita ossea accelerata (> 4%/anno) in trattamento steroideo.

 

NOTA AIFA n° 79

La prescrivibilità a carico del Sistema Sanitario Nazionale di bifosfonati, teriparatide e denosumab è vincolata dalla nota n°79 dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Tale nota, riguardo la GIO, può essere così riassunta:

  • Nei pazienti in prevenzione primaria in donne in menopausa o in uomini d’età > 50 anni a rischio elevato di frattura per un trattamento in atto o previsto per > 3 mesi con prednisone > 5 mg/die, è possibile prescrivere in ordine di scelta:
    • 1° scelta: alendronato (± vit.D), risedronato, zoledronato
    • 2° scelta: denosumab
  • Nei pazienti in prevenzione secondaria con pregresse fatture osteoporotiche vertebrali o di femore, se è presente > 1 frattura ed un trattamento con prednisone o equivalenti > 5 mg/die, è possibile prescrivere in ordine di scelta:
    • 1° scelta: teriparatide
    • 2° scelta: denosumab, zoledronato
    • 3° scelta: alendronato (± vit.D), risedronato, ibandronato, stronzio ranelato

Il passaggio dalla prima scelta di trattamento alle successive richiede la presenza di intolleranza, incapacità di assunzione corretta, effetti collaterali o controindicazioni al farmaco della classe precedente o, nel caso del teriparatide, alla fine del periodo di trattamento massimo consentito. Si considera altresì la modifica della scelta terapeutica anche in caso di frattura osteoporotica vertebrale o di femore nonostante trattamenti praticati per almeno un anno con i farmaci della classe precedente (19).

 

CONCLUSIONI

Rimane, ad oggi, controverso quale sia l’approccio migliore per la prevenzione ed il trattamento della GIO, soprattutto nei pazienti giovani senza evidenti fattori di rischio clinici e/o laboratoristici per osteoporosi. In ambito nefrologico, è stata recentemente condotta dal Gruppo di Nefrologia Clinica Piemontese un’indagine retrospettiva volta a valutare l’approccio alla prevenzione del danno osseo nei pazienti in terapia steroidea in Piemonte e Valle D’Aosta. Tale articolo mette in luce l’ampia variabilità nell’aderenza alle linee guida (ACR 2010 ed altre) e nella prescrizione dei farmaci per l’osteoporosi nonché nel monitoraggio e nella valutazione laboratoristico-radiologica del problema (20). Alla luce del notevole utilizzo in ambito nefrologico della terapia steroidea, sono necessari ulteriori studi che valutino l’impatto di tale problematica nell’ambito delle nefropatie a genesi immunologica.

 

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