The Cannulation of the Arteriovenous Fistula in the Presence of a Stent: Precautions, Risks, and Possibilities

Abstract

A proper management and tailored interventions represented two fundamental steps to ensure a long-term use of the arteriovenous fistula (AVF). AVF failure can be attributed to various factors, with stenosis being the most common cause. Different techniques are employed for treating complications, but percutaneous endovascular procedures are the most widely used. In addition to angioplasty (PTA), the possibility of utilizing stents, particularly stent grafts (SG), has further improved outcomes. However, the insertion of these devices involves commitment to a segment of the vessel, which may vary in length, making the indication necessitate a careful evaluation. The positioning of a stent graft indeed limits the space for needle insertion, and on the other hand, the cannulation of the device is considered off-label according to technical specification.

This work addresses the issue of puncturing these devices. Alongside a rapid overview, we describe a clinical case of continuous cannulation of a multiply stented AVF, for over 9 years, which opens up the discussion about the possibility of long-term cannulation through proper planning.

Keywords: stent, stentgraft, cannulation, arteriovenous fistula

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Introduzione

A distanza di quasi 60 anni dalla sua ideazione, l’accesso vascolare di prima scelta per la dialisi resta la fistola arterovenosa nativa (FAV), nonostante vi siano oggi indicazioni a una maggiore personalizzazione. Accanto ai noti vantaggi rispetto ai cateteri venosi centrali (CVC), le FAV richiedono tuttavia non raramente interventi di revisione per il mantenimento della pervietà.  La causa di queste problematiche, nella maggior parte dei casi è da ricondurre alla presenza di una stenosi significativa sul decorso della vena arterializzata, che determina una progressiva riduzione del flusso e una possibile evoluzione verso la trombosi. Le tecniche che, a discrezione dell’operatore, possono essere utilizzate per il mantenimento o il recupero della pervietà possono essere quelle chirurgiche “open” o quelle percutanee endovascolari [13]. Negli ultimi anni, per la minore invasività e i buoni risultati, il ricorso a queste ultime è aumentato, con un ruolo anche dei nefrologi interventisti [4]. L’angioplastica transluminale (PTA) è diventata ormai il trattamento di prima linea con cui, a seconda della sede e delle caratteristiche della stenosi, è possibile ottenere subito un buon risultato e continuare ad usare l’accesso: tuttavia le recidive sono frequenti in tempi variabili [5] e la risposta alla PTA non è sempre soddisfacente. È noto, inoltre, che la PTA esercita un barotrauma sul vaso e un danno endoteliale che favorisce ulteriormente l’iperplasia neointimale che sottende la stenosi. L’utilizzo della PTA con palloni medicati, che rilasciano farmaci antiproliferativi nella parete vascolare sede di stenosi (DEB), ha mostrato alcuni vantaggi sul rischio di restenosi [6]. Senza dubbio però gli stent, introdotti a partire dagli anni ‘90, hanno rappresentato una svolta nel trattamento della stenosi e di altre lesioni come gli pseudoaneurismi. 

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