Prognostic Factors of Peritonitis in Patients on Peritoneal Dialysis: a Retrospective Observational Study

Abstract

Background/Objectives. Peritoneal dialysis stands as an established form of renal replacement therapy; yet peritonitis remains a major complication associated with it. This study, analyzing two decades of data from the Nephrology, Dialysis, and Hypertension Division of the University-Hospital IRCCS in Bologna, aimed to identify prognostic factors linked to peritonitis events. It also sought to evaluate the suitability of different peritoneal dialysis techniques, with a focus on Automated Peritoneal Dialysis (APD) and Continuous Ambulatory Peritoneal Dialysis (CAPD). Additionally, the study assessed the impact of an educational program introduced in 2005 on peritonitis frequency.
Methods. Conducting an observational, retrospective, single-center study, 323 patients were included in the analysis, categorized based on their use of APD or CAPD.
Results. Despite widespread APD usage, no significant correlation was found between the dialysis technique (APD or CAPD) and peritonitis onset. The analysis of the educational program’s impact revealed no significant differences in peritonitis occurrence. However, a clear relationship emerged between regular patient monitoring at the reference center and the duration of peritoneal dialysis.
Conclusions. Despite the absence of a distinct association between peritonitis onset and dialysis technique, regular patient monitoring at the reference center significantly correlated with prolonged peritoneal dialysis duration.

Keywords: end-stage renal disease, peritoneal dialysis, peritonitis, peritoneal catheter

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduction

Peritoneal dialysis (PD) is an effective treatment option for patients with end-stage renal disease, particularly for populations such as elderly individuals, diabetics, and those with concomitant pathologies [1, 2]. This technique involves the exchange of solutes and fluids between the patient’s peritoneal capillary blood and the introduced dialysis solution, a process made feasible by the Tenckhoff catheter [3]. This catheter has multiple benefits, including effective fluid exchange, a barrier against infections, and cost-effectiveness [4].

Since 2001, there has been a significant rise in the number of patients opting for dialysis treatments, witnessing an annual growth of approximately seven per cent [5, 6]. This surge can be attributed to an aging population, improved life expectancy for those with end-stage renal disease, and increased access to dialysis for younger patients [7]. The decision between PD and hemodialysis (HD) depends largely on regional and individual circumstances. In developed countries, the choice might be driven by patient preference or accessibility constraints to HD units. In contrast, economic challenges in less affluent regions might render PD as the primary choice [6]. 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Il paziente in dialisi peritoneale: terapie tipiche, modalità somministrative, farmacocinetica e farmacodinamica

Abstract

Le aree specifiche di trattamento farmacologico in dialisi peritoneale (DP) sono riassumibili in trattamento delle peritoniti e delle infezioni dell’exit-site e tunnel del catetere, la prevenzione del degrado sclerotico del peritoneo e la cura della peritonite sclerosante incapsulante.

La peritonite batterica è una comune complicanza della DP e il tasso di episodi viene considerato un indicatore di qualità. Tutti i programmi di DP hanno un protocollo terapeutico empirico che prevede gli antibiotici direttamente nel liquido peritoneale e l’utilizzo di almeno due antibiotici in associazione ad ampio spettro in attesa dei risultati delle colture. Vengono indicati: vancomicina o cefalosporine di prima generazione per i germi Gram positivi associate a cefalosporine di terza generazione o aminoglicosidi per i germi Gram negativi. Successivamente all’isolamento si procede con terapia mirata.

Le infezioni legate all’exit-site e al tunnel sottocutaneo del catetere peritoneale costituiscono un fattore di rischio di peritonite. La ricerca microbiologica tramite tampone e coltura deve essere mirata agli episodi di infezione con evidenza di secrezione. La terapia antibiotica empirica utilizza cefalosporine di prima generazione o penicilline protette per via orale. Il trattamento successivo è mirato. L’isolamento di stafilococco aureo e di pseudomonas aeruginosa richiede due antibiotici mirati in associazione e un trattamento di almeno tre settimane.

La sclerosi peritoneale semplice è un processo di fibrosi diffusa della membrana legato alla DP nel tempo. La prevenzione prevede l’utilizzo di soluzioni per DP biocompatibili, la riduzione dell’esposizione a elevate concentrazioni di glucosio e l’eliminazione dei betabloccanti, infine è opportuno valutare attentamente i pazienti con peritoniti ripetute e quelli con un tempo in DP lungo. Risulta dimostrato che inibire il SRAA contrasta la sclerosi per cui ACEI e ARB sono i farmaci antipertensivi di prima scelta nei pazienti in DP.

La peritonite sclerosante incapsulante (EPS) è una complicanza della DP molto rara ma temibile. Gli aspetti infiammatori e immunologici delle biopsie peritoneali supportano l’approccio immunosoppressivo con steroidi, ciclofosfamide e/o micofenolato. Importanti evidenze mostrano che il trattamento tamoxifene riserva una maggiore sopravvivenza indipendentemente da altri farmaci associati. Per l’EPS post-trapianto nei pazienti in DP vi sono evidenze che gli inibitori della calcineurina (ciclosporina e tacrolimus), svolgano un ruolo pro-fibrotico, per cui potrebbe essere indicato un protocollo immunosoppressivo personalizzato per il trapianto nei pazienti in DP basato su mTOR-I, steroidi e micofenolato.

Parole chiave: Dialisi peritoneale, trattamenti farmacologici, peritonite, infezione dell’exit-site, antibioticoterapia, sclerosi peritoneale semplice, peritonite sclerosante incapsulante.

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

In dialisi peritoneale (DP), escludendo la prescrizione della terapia depurativa, le terapie farmacologiche dedicate al controllo dell’anemia, dell’ipertensione arteriosa e dell’iperparatiroidismo secondario sono in generale analoghe alle terapie prescritte nei pazienti in emodialisi e con insufficienza renale cronica avanzata. Esistono però delle aree di terapia specifiche della metodica che sono oggetto della seguente revisione.

Le aree specifiche della DP sono principalmente il trattamento degli episodi di peritonite con analisi dei protocolli terapeutici e della farmacocinetica e farmacodinamica dei principali antibiotici utilizzati. In seconda istanza anche le infezioni relative dell’exit-site e del tunnel del catetere sono importanti per i protocolli terapeutici. Da non dimenticare infine la profilassi antibiotica delle principali manovre diagnostiche invasive cui i pazienti in DP sono sottoposti.

Un’altra rilevante complicanza della DP, per fortuna rara, è la peritonite sclerosante comunemente associata ma sostanzialmente diversa dalla sclerosi peritoneale semplice. La sclerosi peritoneale semplice si giova di alcune misure preventive in cui vi sono anche possibili terapie farmacologiche. Per la più temibile peritonite sclerosante, in quanto processo severo e talvolta di rapida insorgenza, richiede invece un trattamento pronto ed energico con farmaci specifici.

Per ciascuna delle situazioni patologiche descritte le fonti primarie di schemi terapeutici, dati informativi, protocolli sono ricavate dalle linee guida internazionali integrate dall’analisi di alcuni articoli recenti per nuove opzioni terapeutiche.

 

Terapia della peritonite in DP

La peritonite batterica è la più comune complicanza della DP, la sua evenienza viene messa in relazione a contaminazioni esterne o endogene e il tasso di episodi di un centro viene spesso considerato un indicatore di qualità. Il suo valore attuale nei centri italiani viene mediamente riportato come un episodio ogni 30-40 mesi di trattamento per paziente. Oltre al tasso sono consigliati la valutazione della percentuale di pazienti liberi da peritoniti, la tipologia dei germi isolati e le loro resistenze antibiotiche e la percentuale di colture negative [1].

Tutti i programmi di DP hanno comunemente un protocollo dedicato alla peritonite a garanzia della accuratezza e uniformità delle più importanti procedure diagnostiche e terapeutiche sin dall’esordio della complicanza [1].

In prima istanza vengono indicati generalmente i criteri diagnostici: dolore addominale, spontaneo o indotto dalla palpazione, corredato spesso da resistenza di parete e segno di Blumberg; liquido di dialisi macroscopicamente torbido e conta dei globuli bianchi nel liquido di dialisi peritoneale superiore a 100 per mmc dopo almeno 2 ore di stasi; coltura del liquido positiva per isolamento di patogeni. A corredo, non sempre presenti ma indicatori di un interessamento sistemico la febbre, la nausea e il vomito.

Poiché il dolore addominale risulta spesso sfumato e le colture del liquido impiegano alcuni giorni per dare un referto, la conta dei globuli bianchi diventa il criterio diagnostico principale e quindi richiede un approfondimento. Il valore soglia di 100 cellule deve essere riferito a un liquido che ha stazionato in addome almeno 2 ore, devono essere valutati solamente ai globuli bianchi con una percentuale di neutrofili superiore al 50%, questi criteri quindi implicano un sistema di conteggio adeguatamente accurato [1].

Analogamente alla conta cellulare anche i liquidi raccolti per l’esame colturale devono provenire da uno stazionamento in addome di almeno 2 ore.

Successivamente alla conta cellulare e all’esecuzione delle colture deve iniziare il trattamento dell’episodio infettivo con antibiotici. Il protocollo terapeutico generale indicato dalle linee guida internazionali prevede l’introduzione degli antibiotici direttamente nel liquido peritoneale, la continuazione della DP e l’utilizzo di almeno due antibiotici in associazione per assicurare una copertura ad ampio spettro in attesa dei risultati delle colture.

La terapia antibiotica intraperitoneale (che deve essere iniziata al più presto possibile) assicura elevate concentrazioni nella sede dell’infezione e registra un elevato assorbimento sistemico tramite i capillari e i linfatici addominali. Lo schema terapeutico prevede generalmente una dose di carico con una stasi almeno 6 ore e successivamente dosi frazionate secondo le caratteristiche della molecola e lo schema dialitico.

La scelta delle molecole deve innanzitutto tenere conto delle caratteristiche della flora patogena locale considerando le resistenze ma viene generalizzata nelle linee guida internazionali come: vancomicina o cefalosporine di prima generazione per i germi Gram positivi associate a cefalosporine di terza generazione o aminoglicosidi per i germi Gram negativi. La disponibilità del dosaggio ematico degli aminoglicosidi e della vancomicina consente di adeguare le dosi e i tempi seguendo il livello ematico “trough” e il livello di funzione renale residua [1].

Gli antibiotici summenzionati, e molti altri, risultano compatibili (cioè efficaci) anche con l’icodestrina. Infine associata alla terapia antibiotica ad ampio spettro viene sempre consigliata una profilassi antifungina.

Viene infine consigliata la profilassi antibiotica generalmente con cefalosporine di prima generazione per tutte le manovre invasive diagnostiche quali colonscopia, cistoscopia, gastroscopia e manovre ginecologiche eseguire nei pazienti in DP.

Nelle linee guida internazionali si trovano tabelle e indicazioni praticamente per tutti gli antibiotici utilizzabili per via intraperitoneale con dosaggio e modalità di somministrazione [1].

La terapia antibiotica della dialisi peritoneale automatizzata (APD) può essere affrontata efficacemente inserendo gli antibiotici in una stasi lunga diurna senza modificare sostanzialmente la prescrizione [1].

Una recente review [2] mette a punto l’utilizzo dei principali antibiotici presenti nei protocolli per il trattamento delle peritoniti in APD. Il problema dei dosaggi degli antibiotici in APD in corso di peritonite è ancora aperto e gli studi disponibili sono limitati. Risulta molto importante evitare il sottodosaggio in queste situazioni e bisogna sempre tenere conto della funzione renale residua per gli antibiotici escreti per via renale. Di seguito sono schematicamente riassunte le indicazioni:

  • cefazolina: 4 studi disponibili, 78% di risoluzione delle peritoniti, dose 15-20 mg/kg intra peritoneale, dosaggio plasmatico ottimale > 8 mg/L, stasi lunghe diurne o tutti gli scambi APD;
  • vancomicina: 6 studi disponibili, dose 15-30 mg/kg intraperitoneale, aumento dose 25% se con diuresi, “trough” plasma a 5 giorni con dosaggio non inferiore a 12 mg/L.;
  • ceftazidima: 4 studi disponibili, in APD “dry day” 20 mg/kg per ogni ciclo adeguati, 15 mg/kg non adeguati, livello plasma adeguato 6 mg/L;
  • gentamicina e tobramicina: 3 studi disponibili, in associazione con cefazolina a 0.6 mg/kg/die sia IP che EV, 78% risoluzione.

I dati sulla farmacocinetica dei principali antibiotici per via intraperitoneale, sulla terapia continua e intermittente e sulle dosi non sono molti. Il trasporto peritoneale e lo stato infiammatorio della membrana possono influenzare l’assorbimento e di conseguenza vanno attentamente monitorati i livelli degli antibiotici ove possibile. In alcuni casi convertire la terapia da APD a CAPD per assicurare una maggiore continuità di copertura antibiotica può essere un’alternativa.

Per alcuni antibiotici la via intraperitoneale non è praticabile e quindi per via sistemica dosi e prescrizioni possono essere diverse da quelle intraperitoneali e comunque va posta attenzione alle quantità di principio attivo realmente presente in peritoneo. Per uno schema accurato si consiglia di fare riferimento alle linee guida internazionali [1]. Nell’elenco troviamo: ciprofloxacina, levofloxacina, moxifloxacina, colistina, ertapenem, linezolid, rifampicina, cotrimossazolo e tutti gli antifungini.

Nel caso di utilizzo della ciprofloxacina per via orale le dosi indicate dalla letteratura sono 750 mg due volte al giorno per raggiungere concentrazioni efficaci in APD [3].

La vancomicina per via endovenosa anche a dosi elevate (1-2 grammi/24-48 ore) con concentrazioni ematiche trough medie >20 mg/L, non ha mai raggiunto concentrazioni efficaci nella cavità peritoneale, quindi la vancomicina endovenosa è una buona opzione per infezioni sistemiche ma non per la cura della peritonite in DP [4].

Nel caso si utilizzi la colistina per via sistemica, antibiotico non di utilizzo comune e riservato alle infezioni severe da Gram negativi multi resistenti,  si deve considerare che la sua clearance in DP è modesta mentre la funzione renale residua è un fattore dal considerare. Di conseguenza schemi nei pazienti in DP con prima dose di 300 mg e dosi giornaliere successive di 150 mg possono essere efficaci ma non sono un trattamento da considerare per le peritoniti in DP [5].

Con la colorazione di Gram, se disponibile, o successivamente all’isolamento dei germi e alla valutazione delle resistenze, delle MIC e dei breakpoint viene naturalmente consigliato di restringere e mirare la terapia antibiotica.

Se vengono isolati patogeni Gram positivi, tra i quali consideriamo in generale stafilococchi coagulasi-negativi, stafilococco aureo, enterococchi e streptococchi, la terapia con cefalosporine di prima generazione o con vancomicina generalmente dovrebbe essere efficace e proseguita per due o tre settimane.

Per la terapia mirata allo stafilococco aureo e agli enterococchi resistenti alla vancomicina si può considerare l’utilizzo della daptomicina, la letteratura indica che la via intraperitoneale alla dose di 300 mg al giorno risulta efficace e sicura sia per le peritoniti che per altre infezioni sistemiche [6].

Per i germi Gram negativi, tra i quali possiamo considerare la famiglia delle psedomonadacee e i bacilli Gram negativi, la terapia con cefalosporine di terza generazione o con aminoglicosidi dovrebbe essere efficace e proseguita fino a tre settimane.

Per le peritoniti polimicrobiche oltre alla terapia ad ampio spettro bisogna considerare l’aggiunta del metronidazolo per un periodo minimo di tre settimane. Le peritoniti polimicrobiche possono essere legate a diverticolosi intestinale ed essere di difficile trattamento. Può essere considerato il trattamento intraperitoneale con meropenem 125 mg/L in CAPD in tutte le sacche con terapia prolungata fino a 3 settimane. Anche in APD si ottengono concentrazioni efficaci con 500 mg/die in singola dose intraperitoneale mentre con terapia endovenosa non si raggiungono mai concentrazioni efficaci in peritoneo [7, 8].

Le peritoniti fungine secondo le linee guida internazionali richiedono l’immediata rimozione del catetere e in trattamento antifungino deve essere di almeno 2 settimane. Da considerare questa evenienza soprattutto in caso di peritoniti polimicrobiche e trattamenti antibiotici prolungati [1].

Per le peritoniti con colture negative se tendono clinicamente a migliorare entro 3 giorni si consiglia di proseguire solo con copertura dei germi Gram positivi. Se invece la clinica non mostra miglioramento è necessario ripetere le colture con tecniche dedicate alla ricerca di germi inusuali. Le peritoniti refrattarie o ricorrenti con colture negative vanno anche considerate per l’eziologia tubercolare e adeguatamente indagate preferibilmente con metodi rapidi di identificazione (DNA PCR). Il trattamento si basa sui comuni protocolli antitubercolari e la rimozione del catetere è indicata secondo l’andamento clinico [1].

 

Terapia delle infezioni dell’exit-site e tunnel del catetere

Le infezioni legate all’exit-site e al tunnel sottocutaneo del catetere peritoneale costituiscono un importante fattore di rischio di peritonite. La sua definizione è: presenza di secrezione purulenta con o senza arrossamento cutaneo e l’interessamento del tunnel viene testimoniato dai segni dell’infiammazione locale o dall’evidenza ecografica di film o raccolte liquide. È opportuno monitorare l’evenienza degli episodi in un programma di DP con il metodo del tasso, cioè il numero di episodi per paziente per anno [9].

La prevenzione degli episodi secondo le linee guida internazionali è legata innanzitutto alla profilassi antibiotica prima dell’intervento di inserimento, utilizzando vari antibiotici di prima linea per via parenterale: cefazolina, gentamicina o vancomicina. Diversi contributi scientifici hanno indagato questo specifico aspetto preventivo e l’insieme mostra un effetto positivo sulle infezioni precoci del catetere e del peritoneo. Nessun tipo di catetere o di tecnica di inserimento si è dimostrata migliore. La profilassi del carriage nasale dello stafilococco aureo, raccomandata per la riduzione delle peritoniti, viene indicata anche per la prevenzione delle infezioni legate al catetere. Le linee guida internazionali consigliano poi l’utilizzo profilattico nelle medicazioni di pomate antibiotiche sull’exit-site mentre nessun agente detergente o disinfettante ha mostrato evidenza di superiorità. Le medicazioni sono indicate almeno due volte la settimana e ogni volta che si fa la doccia [9].

La ricerca microbiologica tramite tampone e coltura deve essere mirata agli episodi di infezione con evidenza di secrezione. Infatti, eseguire tamponi su exit-site sani evidenzierà senz’altro una crescita microbica legata a saprofiti cutanei che non significano alcuna patologia dell’exit-site.

I germi più pericolosi sono lo stafilococco aureo e la pseudomonas aeruginosa ma sono molti i germi che possono provocare infezioni dell’exit-site. Per prima cosa la frequenza delle medicazioni deve essere intensificata, anche se non è efficacemente terapeutica da sola. La terapia antibiotica in attesa delle colture è empirica utilizzando cefalosporine di prima generazione o penicilline protette principalmente per via orale.  Nelle linee guida internazionali si possono trovare tabelle sinottiche per vie e modalità di somministrazione e dosi di vari antibiotici per il trattamento mirato successivo [9]. L’isolamento di stafilococco aureo e di pseudomonas aeruginosa richiede generalmente due antibiotici mirati in associazione e un trattamento di almeno 3 settimane.

La persistenza oltre le 3 settimane o la ricaduta dell’infezione dell’exit-site e l’associazione di peritonite richiede la rimozione e il reinserimento di un nuovo catetere. Sono riportate alcune tecniche alternative di salvataggio del catetere con la rasatura della cuffia esterna, l’apertura e la pulizia del tunnel, la sostituzione di una porzione del catetere e la diversione dell’exit-site ma nessuna di queste ha un supporto di evidenza tale da essere consigliata [9].

 

Terapia preventiva della sclerosi peritoneale semplice

La sclerosi peritoneale semplice è un processo di ispessimento diffuso della membrana legato alla DP nel tempo in cui il peritoneo viene utilizzato. La sua esistenza, pur non essendo pericolosa per la vita, può essere legata all’attivazione della fibrosi e della neoangiogenesi (TGFbeta e VEGF) e messa in relazione alle modificazioni del trasporto peritoneale nel tempo in termini di deficit di depurazione e ultrafiltrazione nonché al deficit specifico della funzione dell’acquaporina [10, 11].

Dal punto di vista preventivo oltre all’utilizzo di soluzioni per DP biocompatibili, alla riduzione l’esposizione a elevate concentrazioni di glucosio e all’eliminazione dei betabloccanti, è opportuno valutare attentamente i pazienti con peritoniti ripetute e quelli con un tempo in DP lungo [12].

Da tempo e da molti studi si conosce l’importanza fondamentale di inibire l’asse renina-angiotensina-aldosterone per inibire i processi fibrotici della membrana peritoneale. La riduzione della sclerosi semplice è importante per la patogenesi dell’EPS. Quindi ACEI e ARB sono i farmaci antipertensivi di prima scelta nei pazienti in DP [10, 13-19].

 

Terapia della peritonite sclerosante incapsulante

La peritonite sclerosante incapsulante (EPS) è una complicanza della dialisi peritoneale molto nota e discussa. È molto rara ma temibile perché presenta un elevato tasso di complicanze e mortalità. Vi sono incertezze sulla diagnosi, sui meccanismi che ne governano l’inizio e lo sviluppo, sulla terapia e sull’opportunità di sospendere la DP, e non sono disponibili profili di rischio individuali [12].

La sua prevalenza varia secondo i report dallo 0.4 sino all’8.9% dei pazienti in DP, la sua incidenza varia dallo 0.7 al 13.6 per mille pazienti-anno. Sono stati imputati fattori genetici, esposizione al glucosio, fluidi dialitici non biocompatibili, peritoniti pregresse e tempo in DP. In generale sembra che sia in riduzione in tutto il mondo [12].

La diagnosi si basa su esame TC con evidenza di ispessimento delle pareti intestinali, impacchettamento delle anse, livelli idroaerei, dilatazioni, calcificazioni. Clinicamente si presenta con episodi di ostruzione intestinale intermittente, anoressia, nausea e vomito, ascite ematica, malnutrizione e dolore addominale. Spesso ma non sempre, viene osservato un cambiamento delle caratteristiche di trasporto peritoneale e la perdita dell’ultrafiltrazione [12].

L’ipotesi patogenetica più accreditata è la “two-hit hypothesis” che prevede lo sviluppo prima della sclerosi peritoneale semplice collegata alla bioincompatibilità generale della DP e in un secondo tempo, in una piccola percentuale di pazienti, della EPS sulla base di un secondo stimolo spesso indipendente dalla DP e necessario per il suo sviluppo [10].

Dal punto di vista preventivo oltre all’utilizzo di soluzioni per DP biocompatibili, all’inibizione dell’asse RAA, alla riduzione l’esposizione a elevate concentrazioni di glucosio e l’abolizione dei betabloccanti, è opportuno valutare attentamente i pazienti con peritoniti ripetute e quelli con un tempo in DP lungo [12-21].

L’osservazione di aspetti infiammatori importanti nelle biopsie peritoneali di pazienti con EPS unita al sospetto di un coinvolgimento immunologico nella patogenesi dell’EPS forniscono un supporto razionale all’approccio immunosoppressivo con steroidi e ciclofosfamide o azatioprina [10].

Sulla base delle evidenze disponibili, gli schemi che hanno dimostrato una reale efficacia risultano l’impiego di steroidi da soli ad alte dosi oppure l’impiego di steroidi associati. In queste esperienze gli steroidi vengono generalmente impiegati ad alto dosaggio: boli di metilprednisolone 500 mg oppure prednisone 0.5-1 mg/kg/die orale con lunghezza del trattamento decisa caso per caso sulla base della risposta clinica e laboratoristica. Generalmente i migliori risultati sono stati ottenuti con un inizio precoce della terapia steroidea.

Buoni risultati sono riportati anche per quanto riguarda l’impiego associato di steroidi e ciclofosfamide oppure steroidi e azatioprina Generalmente in questi casi gli schemi impiegati più comunemente sono stati prednisone 0.5 mg/kg orale associato a ciclofosfamide 1 mg/kg orale oppure prednisone 0.5 mg/kg associato ad azatioprina 1 mg/kg, sempre con durata della terapia personalizzata sulla risposta clinica e laboratoristica. Esiste anche un report sulla utilità di associare prednisone 50 mg/die e micofenolato mofetile 500 mg x 2/die. In tutti questi casi il giudizio sulla reale efficacia della terapia per quanto riguarda ciclofosfamide, azatioprina e micofenolato è condizionato anche dal fatto che questi farmaci sono stati sempre utilizzati in associazione allo steroide. Esiste inoltre il fatto che nei modelli animali di fibrosi peritoneale indotta da clorexidina l’azatioprina non ha dimostrato un effetto protettivo [10].

Il trattamento con tamoxifene risulta molto importante per l’EPS. Le evidenze mostrano che questo trattamento riserva una maggiore sopravvivenza indipendentemente da altri farmaci associati. Il trattamento è proposto alla dose giornaliera di 10-20 mg orale: a tali dosaggi le complicanze di ordine trombotico o neoplastico a carico dell’endometrio risultano praticamente assenti, anche se viene comunque raccomandato un controllo dell’assetto coagulativo in tutti i pazienti e una valutazione dello striscio ginecologico nelle pazienti di sesso femminile. La terapia con tamoxifene è associabile a terapia medica con steroidi e/o immunosoppressori. Un trattamento a basso dosaggio con tamoxifene è stato proposto anche come possibile trattamento profilattico contro lo sviluppo di EPS in pazienti a rischio, per esempio soggetti in DP da più di 5 anni o che sviluppano deficit di ultrafiltrazione [10, 22-31].

L’EPS post-trapianto nei pazienti in DP che è divenuta una patologia meno rara da quando la terapia immunosoppressiva è stata basata sugli inibitori della calcineurina (CNI: ciclosporina e tacrolimus), associati a dosi sempre più ridotte di cortisonici. La maggiore responsabilità sembra legata al ruolo pro-fibrotico dei CNI. Le evidenze in questo senso sono molto significative. In tutti i casi in cui viene riportata la terapia immunosoppressiva effettuata in pazienti con EPS post-trapianto questa risulta invariabilmente basata sui CNI. Inoltre la progressiva riduzione dei cortisonici può costituire un ulteriore fattore di rischio per EPS post-trapianto [32-36]. Sulla base di queste evidenze sul legame tra immunosoppressione e sviluppo di EPS post-trapianto, nel 2009 Garosi e Oreopoulos hanno proposto di valutare un protocollo immunosoppressivo personalizzato per i pazienti in DP che ricevono trapianto di rene basato su mTOR-I, steroidi e micofenolato mofetile, con minimizzazione o abolizione dei CNI [10, 20]. Sulla scorta di quanto esposto si propone l’utilizzo degli mTOR-I nella terapia della EPS anche in pazienti non sottoposti a trapianto [22].

La terapia chirurgica rappresenta infine un’arma importante nel management dell’EPS anche in casi non marcatamente occlusivi così come la nutrizione parenterale per combattere la malnutrizione e preparare un eventuale intervento chirurgico. Le esperienze giapponesi, inglesi e tedesche indicano preferibilmente di creare un centro di riferimento nazionale [10, 37].

 

Bibliografia

  1. Li PKT, Szeto CC, Piraino B, de Arteaga J, Fan S, Figueiredo AE, Fish DN, Goffin E, Kim YL, Salzer W, Struijk DG, Teitelbaum I, and Johnson DW. ISPD Peritonitis Recommendations: 2016 Update on Prevention and Treatment. Perit Dial Int 2016; 36: 481–508.
  2. Mancini A and Piraino B. Review of Antibiotic Dosing with Peritonitis in APD. Perit Dial Int 2019; 39: 299–305.
  3. Lee C, Walker SAN, Palmay L, et al. Steady-State Pharmacokinetics of Oral Ciprofloxacin in Continuous Cycling Peritoneal Dialysis Patients: Brief Report. Perit Dial Int 2018; 38 :73-6.
  4. Cardone KE, Chen WZ, Grabe DW, et al. Evaluation of the pharmacodynamic profile of commonly used intravenous vancomycin dosing schemes in patients on automated peritoneal dialysis. J Antimicrob Chemother 2014; 69: 1873-6.
  5. Koomanachai P, Landersdorfer CB, Chen G, et al. Pharmacokinetics of colistin methanesulfonate and formed colistin in end-stage renal disease patients receiving continuous ambulatory peritoneal dialysis. Antimicrob Agents Chemother 2014; 58: 440-6.
  6. Saint Paul LP, Ficheux M, Debruyne D, et al. Pharmacokinetics of 300 mg/d Intraperitoneal Daptomycin: New Insight from the DaptoDP Study. Perit Dial Int 2018; 38: 463-6.
  7. de Fijter CW, Jakulj L, Amiri F, et al. Intraperitoneal Meropenem for Polymicrobial Peritoneal Dialysis-Related Peritonitis. Perit Dial Int 2016; 36: 572-3.
  8. Wiesholzer M, Pichler P, Reznicek G, et al. An Open, Randomized, Single-Center, Crossover Pharmacokinetic Study of Meropenem after Intraperitoneal and Intravenous Administration in Patients Receiving Automated Peritoneal Dialysis. Antimicrob Agents Chemother 2016; 60: 2790-7.
  9. Szeto CC, Li PKT, Johnson DW, Bernardini J, Dong J, Figueiredo AE, Ito Y, Kazancioglu R, Moraes T, Van Esch S, and Brown EA. ISPD Catheter-Related Infection Recommendations: 2017 Update. Perit Dial Int 2017; 37: 141-54.
  10. Garosi G. Peritonite Sclerosante Incapsulante (EPS). Best Practice Nephromeet SIN 00074. https://bestpractice.sinitaly.org/2013/04/21/peritonite-sclerosante-incapsulante-eps/.
  11. Morelle J, Sow A, Hautem N, Bouzin C, Crott R, Devuyst O and Goffin E. Interstitial Fibrosis Restricts Osmotic Water Transport in Encapsulating Peritoneal Sclerosis J Am Soc Nephrol 2015; 26: 2521-33.
  12. Brown EA, Bargman J, van Biesen W, Chang MY, Finkelstein FO, Hurst H, Johnson DW, Kawanishi H, Lambie M, de Moraes TP, Morelle J, Woodrow G. Length of Time on Peritoneal Dialysis and Encapsulating Peritoneal Sclerosis – Position Paper for ISPD: 2017 Update. Perit Dial Int 2017; 37: 362-74.
  13. Wontanatawatot W, Eiam-Ong S, Leelahavanichkul A, Kanjanabuch T. An update on RAAS blockade and peritoneal membrane preservation: the ace of art. J Med Assoc Thai 2011; 94 (Suppl 4): S175-83.
  14. Nessim SJPerl JBargman JM. The renin-angiotensin-aldosterone system in peritoneal dialysis: is what is good for the kidney also good for the peritoneum? Kidney Int 2010; 78: 23-8.
  15. Kyuden YIto TMasaki TYorioka NKohno N. Tgf-beta1 induced by high glucose is controlled by angiotensin-converting enzyme inhibitor and angiotensin II receptor blocker on cultured human peritoneal mesothelial cells. Perit Dial Int 2005; 25: 483-91.
  16. Duman SGünal AISen SAsçi GOzkahya MTerzioglu EAkçiçek FAtabay G. Does enalapril prevent peritoneal fibrosis induced by hypertonic (3.86%) peritoneal dialysis solution? Perit Dial Int 2001; 21: 219-24.
  17. Lee CJSubeq YMLee RPKe CYLin NTHsu BG. Beneficial effects of enalapril on chlorhexidine digluconate-induced liver peritoneal fibrosis in rats. Chin J Physiol 2011; 54: 225-34.
  18. [18] Koçak G, Azak A, Astarcı HM, Huddam B, Karaca G, Ceri M, Can M, Sert M, Duranay M. Effects of renin-angiotensin-aldosterone system blockade on chlorhexidine gluconate-induced sclerosing encapsulated peritonitis in rats. Ther Apher Dial 2012; 16: 75-80.
  19. Witowski J, Jörres A. Preventing peritoneal fibrosis – an ace up our sleeve? Perit Dial Int 2005; 25: 25-9.
  20. Garosi G, Oreopoulos DG. No need for an “expiry date” in chronic peritoneal dialysis to prevent encapsulating peritoneal sclerosis. Int Urol Nephrol 2009; 41: 903-7.
  21. Garosi G. [Peritoneal dialysis: a time-limited therapy because of encapsulating peritoneal sclerosis? No, but better approaches are available]. G Ital Nefrol 2010; 27: 456-63.
  22. Huddam B, Azak A, Koçak G, Başaran M, Voyvoda N, Duranay M. Additive effectiveness of everolimus plus tamoxifen therapy in treatment of encapsulating peritoneal sclerosis. Ren Fail 2012; 34: 387-9.
  23.  Allaria PM, Giangrande A, Gandini E, Pisoni IB. Continuous ambulatory peritoneal dialysis and sclerosing encapsulating peritonitis: tamoxifen as a new therapeutic agent? J Nephrol 1999; 12: 395-7.
  24. del Peso G, Bajo MA, Gil F, Aguilera A, Ros S, Costero O, Castro MJ, Selgas R. Clinical experience with tamoxifen in peritoneal fibrosing syndromes. Adv Perit Dial 2003; 19: 32-5.
  25. Evrenkaya TR, Atasoyu EM, Unver S, Basekim C, Baloglu H, Tulbek MY. Corticosteroid and tamoxifen therapy in sclerosing encapsulating peritonitis in a patient on continuous ambulatory peritoneal dialysis. Nephrol Dial Transplant 2004; 19: 2423-4.
  26. Moustafellos P, Hadjianastassiou V, Roy D, Velzeboer NE, Maniakyn N, Vaidya A, Friend PJ. Tamoxifen therapy in encapsulating sclerosing peritonitis in patients after kidney transplantation. Transplant Proc 2006; 38: 2913-4.
  27. Eltoum MA, Wright S, Atchley J, Mason JC. Four consecutive cases of peritoneal dialysis-related encapsulating peritoneal sclerosis treated successfully with tamoxifen. Perit Dial Int 2006; 26: 203-6.
  28. Thirunavukarasu T, Saxena R, Anijeet H, Pai P, Wong CF. Encapsulating peritoneal sclerosis presenting with recurrent ascites and tamoxifen: case reports and review of the literature. Ren Fail 2007; 29: 775-6
  29. Gupta S, Woodrow G. Successful treatment of fulminant encapsulating peritoneal sclerosis following fungal peritonitis with tamoxifen. Clin Nephrol 2007; 68:125-9.
  30. Braun N, Fritz P, Biegger D, Kimmel M, Reimold F, Ulmer C, Alscher MD. Difference in the expression of hormone receptors and fibrotic markers in the human peritoneum–implications for therapeutic targets to prevent encapsulating peritoneal sclerosis. Perit Dial Int 2011; 31: 291-300.
  31. Korte MR, Fieren MW, Sampimon DE, Lingsma HF, Weimar W, Betjes MG. Investigators of the Dutch Multicentre EPS Study. Tamoxifen is associated with lower mortality of encapsulating peritoneal sclerosis: results of the Dutch Multicentre EPS Study. Nephrol Dial Transplant 2011; 26: 691-7.
  32. Fieren MW, Betjes MG, Korte MR et al. Posttransplant encapsulating peritoneal sclerosis: a worrying new trend? Perit Dial Int 2007; 27: 619-24.
  33. Korte MR, Yo M, Betjes MG et al. Increasing incidence of severe encapsulating peritoneal sclerosis after kidney transplantation. Nephrol Dial Transplant 2007; 22: 2412-4.
  34. Korte MR, Sampimon DE, Lingsma HF et al. Risk factors associated with encapsulating peritoneal sclerosis in Dutch EPS study. Perit Dial Int 2011; 31: 269-78.
  35. Dejagere T, Evenepoel P, Claes K et al. Acute-onset, steroid-sensitive, encapsulating peritoneal sclerosis in a renal transplant recipient. Am J Kidney Dis 2005; 45: e33-7.
  36. De Freitas DG, Hurst H, Jordaan A, Tavakoli A, Brenchley PEC, Hutchison AJ, Summers AM. Encapsulating peritoneal sclerosis (EPS) following renal transplantation. Perit Dial Int 2006; 26 (S2): S116.
  37. Kawanishi H, Shintaku S, Moriishi M et al. Seventeen years’ experience of surgical options for encapsulating peritoneal sclerosis. Adv Perit Dial Annual Conference on Peritoneal Dialysis 2011; 27: 53-8.

Mini-invasive surgical techniques for rescuing the peritoneal catheter in refractory tunnel infections

Abstract

Infections continue to be a major cause of morbidity and mortality in patients on renal replacement therapy with peritoneal dialysis (PD). Despite great efforts in the prevention and treatment of infective complications over the two past decades, catheter-related infections represent the most relevant cause of technical failure. Recent studies support the idea that exit-site/tunnel infections (ESI/TI) have a direct role in causing peritonitis. Since the episodes of peritonitis secondary to TI lead to catheter loss in up to 86% of cases, it is advised to remove the catheter when the ESI/TI does not respond to medical therapy. This approach necessarily entails the interruption of PD and, after the placement of a central venous catheter, the shift to haemodialysis (HD). In order to avoid the change of dialytic method, the simultaneous removal and replacement (SCR) of the PD catheter has also been proposed. Although SCR avoids temporary HD, it requires the removal/reinsertion of the catheter and the immediate initiation of PD, with the risk of mechanical complications such as leakage and malfunction. Several mini-invasive surgical techniques have been employed as rescue procedures: curettage, cuff-shaving, the partial reimplantation of the catheter and the removal of the superficial cuff with the creation of a new exit-site. These procedures allow to save the catheter and have a success rate of 70-100%. Therefore, in case of ESI/TI refractory to antibiotic therapy, a mini-invasive surgical revision must always be considered before removing the catheter.

 

Keywords: peritoneal dialysis, exit-site infection, tunnel infection, peritonitis, cuff-shaving, ultrasounds.

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

Le complicanze infettive rappresentano la causa più significativa di morbilità e mortalità per i pazienti in dialisi peritoneale (DP) [1,2]. Negli ultimi vent’anni nonostante siano stati compiuti enormi sforzi finalizzati alla prevenzione e al trattamento degli episodi infettivi [36], le infezioni correlate al trattamento dialitico peritoneale costituiscono ancora oggi la causa principale di cessazione della DP [79].

Lavori recenti sembrano confermare la teoria che attribuisce alle infezioni dell’emergenza (ESI) un ruolo diretto nel causare la peritonite [10,11]. In particolare, è stata avanzata l’ipotesi che i microrganismi siano in grado di trasmigrare dall’emergenza cutanea lungo il tunnel fino alla cavità peritoneale [12]. Durante questo avanzamento i microrganismi possono depositarsi a livello della cuffia superficiale colonizzandola, e formare, in tale sede, un biofilm che ne facilita la proliferazione [13,14]. Inoltre, la creazione di tale strato, permettendo la protezione dei microbi da eventuali sostanze battericide, rende queste infezioni poco responsive alla terapia medica richiedendo nella maggior parte dei casi la rimozione del catetere [15]. Una volta colonizzata la cuffia, i microrganismi allo stato sessile sono in grado di passare dalla condizione di quiescenza a quella planctonica con la possibilità di migrare sia verso l’emergenza che verso la cuffia profonda determinando, nel primo caso infezioni ricorrenti dell’exit-site, e nel secondo peritoniti [16,17]. Gli episodi di peritonite secondari a infezione del tunnel (TI) sono responsabili nell’ 86% dei casi della perdita del catetere [18].

 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Use of ultrasounds in PD catheter-related infections: indications and clinical implications

Abstract

Peritoneal dialysis (PD) related infections continue to be a major cause of morbidity and mortality in patients undertaking renal replacement therapy with PD. Nevertheless, despite the great effort invested in the prevention of PD infective episodes, almost one third of technical failures are still caused by peritonitis. Recent studies support the idea that there is a direct role of exit-site (ESIs) and tunnel infections (TIs) in causing peritonitis. Hence, both the prompt ESI/TI diagnosis and correct prognostic hypothesis would allow the timely start of an appropriate antibiotic therapy decreasing the associated complications and preserving the PD technique.

The ultrasound exam (US) is a simple, rapid, non-invasive and widely available procedure for the tunnel evaluation in PD catheter-related infections.

In case of ESI, the US possesses a greater sensibility in diagnosing a simultaneous TI compared to the clinical criterions. This peculiarity allows to distinguish the ESI episodes which will be healed with antibiotic therapy from those refractories to medical therapy. In case of TI, the US permits to localize the catheter portion involved in the infectious process obtaining significant prognostic information; while the US repetition after two weeks of antibiotic allows to monitor the patient responsiveness to the therapy.

There is no evidence of the US usefulness as screening tool aimed to the precocious diagnosis of TI in asymptomatic PD patients.

 

Keywords: peritoneal dialysis, exit-site infection, tunnel infection, peritonitis, ultrasounds, Tenckhoff catheter.

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

Gli episodi infettivi continuano a rappresentare la causa principale di morbilità e mortalità nei pazienti sottoposti a terapia sostitutiva mediante dialisi peritoneale (DP) [13]. Nelle ultime tre decadi considerevoli sforzi sono stati compiuti nella prevenzione delle infezioni correlate alla DP: il miglioramento dei metodi di connessione [4], l’ottimizzazione della cura dell’exit-site (ES) [5], e la creazione di specifici percorsi per l’addestramento dei pazienti [6]. Nonostante l’adozione di queste misure circa un terzo dei fallimenti della DP sono secondari a peritoniti [7].
 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.