Omentopexy in Peritoneal Catheter Malfunction

Abstract

Among the various problems associated with peritoneal dialysis, besides infectious causes, the risk of catheter malfunction plays a significant role in conditioning the continuation of the method, accounting for up to 15-18% of the total causes of dialysis drop-out. When non-invasive maneuvers, such as the use of laxatives to stimulate intestinal peristalsis or heparin and/or urokinase have no effect, videolaparoscopy is the only method that directly detects the precise causes of peritoneal catheter malfunction. Those found are, with decreasing frequency, the winding of the catheter between the intestinal loops and the omentum (wrapping), the dislocation of the catheter, the combination of wrapping and dislocation, the occlusion of the catheter by a fibrin plug, the adhesions between the intestine and abdominal wall, the occlusion of the catheter by epiploic appendages or adnexal tissue and, occasionally, the presence of a new formation of endoperitoneal tissue enveloping and obstructing the peritoneal catheter. We report the case of a young patient of African ethnicity who, only five days after catheter placement, experienced malfunction. A videolaparoscopy revealed wrapping with invagination of omental tissue inside the catheter. After omental debridement, a proper peritoneal cavity washout with heparin was resumed, and after a couple of weeks, APD was initiated. About a month later, a new malfunction without signs of coprostasis or problems with the abdominal radiogram was observed. However, a subsequent catheterography confirmed the blockage of drainage. This was followed by another catheterography and omentopexy, with definitive solution of the Tenckhoff malfunction.

Keywords: peritoneal dialysis, peritoneal catheter, omentopexy

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Introduzione

La dialisi peritoneale rappresenta un’opzione dialitica in cui l’accesso alla cavità addominale rimane uno dei punti più importanti sia per la sopravvivenza della tecnica [1] che per la dislocazione o l’infezione del catetere, quali principali cause di fallimento della metodica. Un problema collegato all’accesso suddetto è rappresentato sicuramente dal malfunzionamento del catetere che, se si verifica, comporta l’impossibilità di eseguire in maniera adeguata la dialisi peritoneale, condizionando la sopravvivenza tecnica del catetere e spesso anche il proseguimento della metodica dialitica stessa [24]. Il rischio di malfunzionamento del catetere peritoneale è di circa il 15-18% l’anno [5, 6]. Le tecniche di posizionamento che prevedono l’esecuzione di procedure quali l’omentectomia, l’omentopessi [711], la tunnellizzazione nel retto o la fissazione intra-addominale, sembrano presentare una ridotta insorgenza di malfunzionamento [12, 13]. È opinione condivisa che il catetere peritoneale “ideale” dovrebbe quantomeno assicurare un rapido flusso bidirezionale senza comparsa di complicanze (leakage o infezioni) e che non esista in realtà una variante di catetere superiore all’altra, conferendo al nefrologo la scelta decisiva del tipo di catetere; queste caratteristiche sono sempre state tipiche del catetere originale di Tenckhoff e le sue varianti, proposte successivamente nel tentativo di ridurne le comunque possibili complicanze.

Accanto al classico catetere di Tenckhoff, ideato nel 1968, oggi troviamo tutta una serie di varianti che possono personalizzare la scelta del nefrologo. Il materiale usato è il silicone dotato di minor azione irritante rispetto al polivinile o altri materiali in precedenza utilizzati, atraumatico per i tessuti circostanti, morbido, flessibile e privo di plasticizzanti rilasciabili clinicamente dannosi. Nella forma per l’adulto la lunghezza complessiva è di circa 40 cm, strutturata in un segmento intraperitoneale diritto munito di multipli forellini, un segmento transparietale o intramurale, un segmento sottocutaneo ed un segmento esterno o extra-addominale; il diametro interno è di 2,6 mm; due cuffie di poliestere (Dacron), una profonda intramurale ed una superficiale sottocutanea, lo ancorano ai tessuti; una striscia radiopaca ne permette infine una facile identificazione radiologica in caso di dislocazioni o rotture accidentali. Nel corso degli anni sono state proposte numerose varianti tanto da avere attualmente a disposizione sul mercato diverse combinazioni per quanto riguarda il numero delle cuffie (1 o 2), la configurazione dell’estremità intraperitoneale diritta (straight) o a spirale (coiled), la conformazione del tratto sottocutaneo del catetere diritta o precurvata a “collo di cigno” (swan-neck), la presenza infine di dispositivi atti a impedire la dislocazione del tratto intraperitoneale. Una variante ampiamente usata è, appunto, il catetere Swan-Neck, ovvero un Tenckhoff classico caratterizzato tuttavia da una precurvatura del tratto sottocutaneo compreso fra le due cuffie con un angolatura di 170°-180°, tale da ricordare la sinuosità del collo di cigno che consente di direzionare verso il basso l’uscita del catetere agevolando il drenaggio verso l’esterno di eventuali secrezioni, riducendo così le complicanze infettive dell’exit site ed annullando la memoria elastica del catetere riducendo la dislocazione. Un’altra variante è il catetere Toronto Western Hospital (TWH), un Tenckhoff caratterizzato dalla presenza di due dischi di silicone posizionati perpendicolarmente nell’ultima porzione del tratto intraperitoneale del catetere con il duplice scopo di tenere lontani l’omento e le anse intestinali dai forellini di deflusso e di minimizzare la migrazione del tip; gli svantaggi includono una maggiore difficoltà nell’impianto e nella rimozione del catetere dell’estremità intraperitoneale e l’estrusione della cuffia superficiale. Altra variante il catetere a T di Ash e Janlel, con una porzione intraperitoneale, posizionata a contatto con il peritoneo parietale e che presenta, anziché i forellini laterali, 8 ampie scanalature a becco di flauto; le scanalature e la forma a T garantirebbero rispettivamente un miglior flusso e minori problemi di dislocazione. Altra variante è il catetere autolocante di Di Paolo, un Tenckhoff diritto caratterizzato da un piccolo cilindro di tungsteno dal peso di 12 grammi incorporato nell’estremità intraperitoneale del catetere; un tale “appesantimento” ne impedirebbe la dislocazione al di fuori della pelvi ma protrebbe provocare decubito. Un aspetto che sicuramente incide sulla scelta del tipo di catetere è la sua lunghezza che può variare in funzione della conformazione fisica del paziente: il catetere Swan-Neck, indicato nei pazienti obesi, con uscita presternale è una variante con estremità a spirale, composto da due cateteri in silicone collegati fra di loro in modo termino-terminale da un raccordo di titanio: la parte inferiore costituisce il segmento intra-addominale e parte del segmento intramurale, quello superiore o toracico costituisce la rimanente parte del segmento intramurale e tutto il tunnel sottocutaneo dotato di 2 cuffie di Dacron. Altra variante è il Vicenza cath, un catetere di Tenckhoff diritto a doppia cuffia caratterizzato da una minor lunghezza del tratto intraperitoneale (8 cm vs 15 cm) rispetto al modello originale, ideato dal gruppo di Vicenza ed indicato per l’infissione in sede sovrapubica nell’intento di limitare il rischio di intrappolamento omentale e sua dislocazione.
Oltre alla sede dell’exit-site e al tipo di catetere, è l’omento che gioca un ruolo fondamentale sia per la dialisi peritoneale che per l’equilibrio della cavità addominale e dei suoi visceri. Esso è una formazione sierosa che avvolge gli organi addominali e si distingue in “grande omento” (o grande epiploon o epiploon gastro-colico), plicatura del peritoneo viscerale ed infiltrato di adipe estesa dallo stomaco al colon trasverso che ricopre la massa intestinale a guisa di grembiule, e “piccolo omento” che unisce lo stomaco al fegato.
Il piccolo omento stabilizza i vari organi e veicola alcuni vasi (arteria epatica, dotto coledoco, vena porta). Il grande omento costituisce, invece, una sorta di lamina ventrale che protegge tutti o buona parte degli organi della cavità addominale. Un’anamnesi attenta può essere importante per identificare cause di malfunzionamento come la presenza di costipazione, di frustoli di fibrina e di liquido peritoneale ematico durante lo scarico. Inoltre, la stessa posizione che il paziente deve assumere per evitare problemi di drenaggio può essere indicativa della posizione del catetere all’interno della cavità addominale. Una radiografia dell’addome in proiezioni antero-posteriore e laterale ed, eventualmente, anche in posizione supina, è necessaria per verificare la posizione del catetere e per confermare il sospetto di una sua dislocazione o angolazione e per evidenziare un intasamento fecale del colon. In generale, le metodiche di salvataggio del catetere peritoneale malfunzionante possono essere distinte in tecniche non invasive, o conservative, e tecniche invasive che necessitano di un intervento chirurgico. Tra quelle non invasive, l’uso di lassativi (polietilenglicole, macrogol, etc.), favorendo la motilità intestinale, può aiutare a riportare alla posizione ideale il catetere peritoneale. Sempre tra quelle non invasive, nel caso in cui ci siano problemi di carico/scarico legati ad ostruzione intraluminale certa o sospetta, talvolta sono efficaci le manipolazioni intraluminali come l’introduzione di liquido di dialisi a pressione positiva, l’introduzione di eparina o di urochinasi [14] o di spazzolini endoscopici, cateteri ureterali o del catetere di Fogarty. In quelle invasive, la videolaparoscopia rappresenta l’unica vera metodica che rileva in modo diretto le cause di malfunzionamento del catetere peritoneale e permette inoltre una precoce ripresa della dialisi rispetto alla procedura laparotomica in relazione alla sua mininvasività. Quelle riscontrate sono, con frequenza decrescente, l’avvolgimento del catetere tra le anse intestinali e l’omento (omental wrapping) [1518], la dislocazione del catetere, la combinazione di wrapping e dislocazione, l’occlusione del catetere da tappo di fibrina, le aderenze tra l’intestino e la parete addominale, l’occlusione del catetere da appendici epiploiche o da tessuto annessiale. Una neoformazione tissutale endoperitoneale che avvolge ed ostruisce il catetere peritoneale viene riscontrata solo occasionalmente. Una recente revisione sistematica, attraverso una ricerca bibliografica su Medline, EMBASE, Scopus e Cochrane Library ed in accordo con la Cochrane Collaboration, nel febbraio 2021 ha posto l’attenzione su pazienti sottoposti ad inserimento del catetere peritoneale con e senza manipolazione omentale. I risultati, comunque correlati da bassa a moderata qualità dei dati, hanno messo in evidenza che la manipolazione omentale eseguita al momento dell’inserimento del catetere peritoneale, attarverso tecniche di videolaparoscopia, conferisce benefici in termini di ridotta ostruzione e fallimento che ne richiedano successivamente la rimozione [19].

 

Caso clinico

Riportiamo il caso clinico di un paziente di sesso maschile, di etnia africana, di 48 anni, lavoratore metalmeccanico con una storia anamnestica di gozzo multinodulare tossico dall’età di 36 anni ed ipertensione arteriosa nota dall’età di 43 anni. Nel maggio 2021 aveva riscontrato un quadro di malattia renale cronica IV, sino ad allora misconosciuta, da causa ignota (reni ecograficamente piccoli) ma probabilmente ad etiologia nefroangiosclerotica. Ad inizio 2022 aveva rifiutato di iniziare il trattamento emodialitico presso altro centro per poi essere costretto, dopo pochi mesi, ad iniziare l’emodialisi attraverso un catetere venoso centrale temporaneo, sostituito dopo sole 48h dal suo posizionamento per infezione da S. aureus. Il paziente veniva trasferito per competenza territoriale presso il nostro centro per proseguire l’emodialisi e lo stesso, nel corso di un nostro colloquio predialisi, aveva accettato di intraprendere la strada della dialisi peritoneale, data la giovane età ed il tipo di lavoro. Contemporaneamente alla decisione di essere valutato per la dialisi peritoneale, il paziente accettava di iniziare tutti gli esami strumentali ed ematochimici valevoli per il potenziale inserimento in lista d’attesa per trapianto di rene da donatore cadavere (non erano disponibili potenziali donatori viventi). A seguito di riscontro di tampone cutaneo e nasale positivi allo S. aureus, veniva preventivamente sottoposto a terapia antibiotica (vancomicina ev in centro dialisi), anche propedeutica al successivo posizionamento del catetere peritoneale. Dopo un paio di settimane di emodialisi nel nostro centro, veniva sottoposto ad intervento, in anestesia spinale ed in laparotomia, di posizionamento di catetere di Tenckhoff in fossa iliaca destra, con controllo, post procedura chirurgica, radiografico dell’addome che certificava il buon posizionamento dello stesso, in presenza di qualche piccolo frustolo di fibrina ai primi lavaggi successivi all’intervento. Dopo appena 5 giorni dall’intervento, si manifestavano i primi problemi nello scarico del liquido; un radiogramma dell’addome mostrava un corretto posizionamento del catetere in Douglas senza segni di coprostasi. Il lavaggio del cavo peritoneale con l’eparina prima e lo stazionamento dell’urochinasi poi, non sortivano alcun effetto positivo sulla ripresa del drenaggio peritoneale. La successiva radiografia con mezzo di contrasto (gastrografin) dimostrava, invece, l’ostruzione pressoché completa dei fori del catetere di Tenckhoff per cui si programmava un’intervento, in videolaparoscopia, nel corso del quale si provvedeva alla disostruzione del catetere con sbrigliamento omentale e rimozione di alcuni piccoli frammenti di omento all’interno del lume del catetere stesso. Il successivo lavaggio con soluzione eparinata, nei giorni successivi all’intervento, certificava il ritrovato funzionamento del catetere con l’inizio della APD dopo un paio di settimane. A distanza di poco meno di un mese dall’inizio della APD, si presentava un nuovo problema nello scarico del liquido; anche in questo caso la radiografia dell’addome non mostrava dislocamento del catetere né segni evidenti di coprostasi. Ripetuta radiografia addome con mezzo di contrasto, si dimostrava nuovo impaccamento del catetere con fuoriuscita di liquido solo dai primi fori prossimali del catetere. A questo punto il paziente veniva riportato in sala operatoria e sottoposto, sempre in videolaparoscopia, ad intervento di omentopessi (Fig. 1), con la fissazione, attraverso punti di sutura staccati, dell’omento alla parete anteriore del corpo e dell’antro dello stomaco (Fig. 2). Successivamente al secondo intervento, il paziente non ha mostrato ulteriori problemi di drenaggio del liquido peritoneale, potendo riprendere regolarmente la sua attività lavorativa da un lato e quella dialitica peritoneale con APD dall’altro.

Figura 1: Omento rovesciato su corpo gastrico.
Figura 1: Omento rovesciato su corpo gastrico.
Figura 2: Fissazione omento a corpo gastrico.
Figura 2: Fissazione omento a corpo gastrico.

 

Discussione

È indubbio il ruolo del nefrologo nella scelta del tipo di catetere peritoneale con le varianti disponibili in silicone, considerando che nessuna variante del catetere prevalga sull’altra; è altrettanto noto che il posizionamento e la revisione di un catetere peritoneale, o la pura presenza dello stesso, può comportare uno stimolo attivante la proliferazione fibrobastica con neovascolarizzazione, in qualche caso anche di tipo reazione da corpo estraneo [2021]. Il fenomeno può essere recidivante entro breve tempo. Nella gestione del malfunzionamento del catetere peritoneale l’intervento, molto spesso risolutivo (nel 90% circa dei casi), di una procedura invasiva quale è la videolaparoscopia, deve essere considerata dopo aver seguito una sequenza ben definita di procedure non invasive standardizzate. Probabilmente in pazienti selezionati giovani, l’approccio laparoscopico al posizionamento del catetere peritoneale, utilizzando manovre laparoscopiche standardizzate, può essere eseguito con successo con complicanze perioperatorie a breve e medio termine trascurabili e trascurabili tassi di mortalità [22]. In questo caso clinico, l’omento si è comportato come una calamita sul catetere peritoneale, avvolgendolo nella sua interezza ed invaginandosi al suo interno, attraverso i fori della parte finale del catetere, compromettendo la funzionalità della metodica. Sicuramente la giovane età del paziente e la presenza di fibrina, associati al malfunzionamento precoce della funzionalità del catetere potevano essere segnali premonitori su quanto stesse accadendo, sebbene il soggetto non rientrasse in ulteriori categorie a rischio, caratterizzate dalla presenza di diabete mellito pluricomplicato, presenza di epatite, anamnesi di malfunzionamento di accessi vascolari, forte abitudine tabagica o cardiopatia infartuale recente. Il primo sbrigliamento non è bastato a risolvere il problema e solo l’omentopessi, attraverso un secondo intervento in videolaparoscopia, con fissaggio dell’omento al corpo ed antro dello stomaco, ha potuto risolvere definitivamente la natura del malfunzionamento e far riprendere la dialisi peritoneale al giovane paziente, in attesa del trapianto di rene da donatore cadavere. Il caso clinico in questione fa riflettere sulla scelta della tipologia dell’intervento di posizionamento del catetere peritoneale in quei pazienti giovani con bassi fattori di rischio di malfunzionamento; un’iniziale approccio chirurgico laparoscopico, in anestesia generale, avrebbe consentito di evitare quella trafila chiurgica laparotomica mininvasiva resasi necessaria dopo gli episodi recidivanti, a breve distanza fra loro, di malfunzionamento, garantendo una visione più completa dell’anatomia addominale del paziente ed un più preciso posizionamento del catetere nello scavo del Douglas.

 

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Malnutrition and dialytic adequacy in patients on peritoneal dialysis: two sides of the same coin?

Abstract

Dialysis adequacy and a state of “eunutrition” are two essential elements to consider in the evaluation of patient undergoing dialysis treatment.

Dialysis inadequacy is often associated with malnutrition, and the combination of these two factors significantly worsens the prognosis.

In the following monocentric and prospective study, the correlation between nutritional markers and dialytic adequacy was tested in a cohort of patients permanently followed by the peritoneal dialysis clinic, followed consistently for two years.

It was therefore evaluated if modification of dialysis therapy, aimed to reach adequacy parameters, could simultaneously improve metabolic parameters.

Although there were no frankly malnourished patients, the group of “inadequate” patients had a significantly lower nPCR value.

In this same group, after about 6 months, therapeutic measures adopted allowed an overall improvement in Kt/V and nPCR, with other nutritional parameters (such as body weight, albumin, pre-albumin, total cholesterolemia) remaining stable.

At the end of the follow-up period the Kt/V of the “inadequate” (<1.7) was higher ​​than the baseline, reaching statistical significance at the 12th and 24th months. Early identification of a dialysis inadequacy, therefore, allowed the execution of therapeutic changes necessary to achieve a lasting improvement in “adequate” replacement therapy, and a temporary improvement in the patient's nutritional status. Suddenly, despite the persistent improvement of the Kt/V there was a new reduction of the nPCR. Keywords: Peritoneal Dialysis, Malnutrition, Dialytic Adequacy

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Introduzione

La malnutrizione è un’importante problematica nei pazienti con malattia renale cronica. Può insorgere già dai primi stadi, peggiorare con il progredire della malattia e influire sull’efficienza della metodica dialitica. Sin dagli stadi iniziali di CKD si verifica in una percentuale elevata di pazienti (35-70%) un inadeguato apporto di nutrienti causato da una progressiva perdita di appetito [1]. Uno stato pro-infiammatorio [2] e la riduzione dell’attività fisica, in particolar modo nelle fasi avanzate di malattia renale cronica, contribuiscono alla deplezione protido-energetica [3].

È stato dimostrato come la malnutrizione si sviluppi principalmente nei pazienti in dialisi peritoneale che perdono la funzione renale residua [4].

Gli esperti della Società Internazionale di Nutrizione Renale e Metabolismo (ISRNM) hanno introdotto già nel 2008 il termine ‘Protein-Energy Wasting’ (PEW) per descrivere uno “stato di diminuzione delle riserve corporee di proteine ​​​​e combustibili energetici (proteine ​​​​corporee e masse grasse)” [5]. Perché si possa parlare quindi di PEW, è necessario che almeno tre criteri di ciascuna delle quattro categorie (parametri biochimici, massa corporea totale, massa muscolare, intake dietetico) siano soddisfatti. 

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Peritoneal videodialysis: first Italian audit

Abstract

Conceived and developed since 2001 at the Alba Center, Videodialysis (VD) was used initially to prevent dropout in  prevalent PD patients by guiding them in performing dialysis (VD-Caregiver).

Subsequently, its use was extended to the clinical follow-up of critical patients (VD-Clinical), problems relating to transport to the Center (VD-Transport), and since 2016 for training/retraining all patients (VD-Training).

Since 2017 other Centers have employed VD using modalities analyzed in this paper.

Methods: the paper reports the findings of an Audit (February 2021) of the Centers using VD on 31-12-2020.

The Centers provided the following information:

  • the characteristics of the patients using VD;
  • the main and secondary reasons for using VD, considering nursing home (VD-NH) patients separately;
  • VD outcomes: duration, drop-out, peritonitis, patient/caregiver satisfaction (minimum: 1 – maximum: 10).

Results: VD, which began between 09-2017 and 12-2019, has been used in 6 Centers for 54 patients at 31-12-2020 (age:71.8±12.6 years – M:53.7% – CAPD:61.1% – Assisted PD:70.3%).

The most frequent reason has been VD-Training (70.4%), followed by VD-Caregiver (16.7%), VD-NH (7.4%), VD-Clinical (3.7%), and VD-Transport (1.9%), with differences between Centers.

VD-Training is used most with self-care patients (93.8% – p<0.05), while with patients on Assisted PD it is associated with secondary reasons (95.7% – p<0.02). VD-Training (duration: 1-4 weeks) has always been completed successfully.

No peritonitis was reported; satisfaction was 8.4±1.4.

Conclusion: videodialysis is a flexible, effective, safe, and valued tool that can be employed using various modalities depending on the choice of the Center and the complexity of the patient.

Keywords: Peritoneal Dialysis, Assisted Peritoneal Dialysis, Telemedicine, Videodialysis, Training

Introduction

To overcome the psychological, cognitive, and physical barriers to self-care which limit the use of Peritoneal Dialysis (PD), in particular in the elderly, a remote care system was devised and developed at the Alba Center. Called Videodialysis (VD), and described in detail in a recent paper [13], the system has proved to be effective as a virtual caregiver in overcoming the barriers to self-care in PD [1].

 

History of videodialysis

The experience with VD began on 01/10/2001 (Figure 1), when it was devised and used in order to prevent the dropout of prevalent patients who were no longer able to perform the PD procedures without assistance.

In view of the excellent results achieved, the use of VD was extended from 01/01/2009 to all the incident patients or their caregivers who from the outset showed barriers to performing PD without assistance. Used in this way, a nurse in the Center who can be referred to as a Videocaregiver (VD-Caregiver) “guided” the patient or caregiver remotely in the performance of the dialysis procedures (CAPD exchanges, or APD setup, connection and disconnection), thereby extending the use of PD and/or avoiding recourse to self-sufficient caregivers at a greater social or economic cost for the family [2].

Figure 1: Abstract EuroPD Brusselles, 4-7 May 2002.
Figure 1: Abstract EuroPD Brusselles, 4-7 May 2002. Peritoneal Dialysis International Vol 22 (1): 138.

Subsequently, VD was also recommended in the event of difficulty in accessing the Center due to distance or confinement to bed (VD-Transport), and clinical conditions requiring its frequent monitoring (VD-Clinical).

The difference between these 3 modes of use lies in the frequency of the connections with the Center: in the case of VD-Caregiver, for all exchanges (CAPD) or all dialysis sessions (APD); in the case of VD-Transport, just for visits or check-ups; and with medium frequency, depending on the seriousness of the clinical conditions or monitoring needs, in the case of VD-Clinical.

Over time it was observed that some patients using VD-Caregiver became independent in the performance of the dialysis procedures. This observation suggested that it could be more effective to provide customized training of the required duration in the performance of the procedures using VD.

This led to VD being used for the training of all patients (VD-Training) from 01/08/2016. Based on the results of the training, it was decided whether complete or partial support should be maintained with VD, or if patients could be left to perform the dialysis on their own.

To make the carrying out and evaluation of training more effective, an “expert training system” was devised and then applied from  01/11/2018 [3].

This experience, which has been outlined here, is also the story of a technological evolution that was described in detail in the paper cited previously [1].

 

Uses of videodialysis

VD can be employed in different situations and contexts, for different intended users, and in a variety of places.

Contexts: training in dialysis procedures (VD-Training); “permanent” support in the performance of dialysis procedures (VD-Caregiver); the intensive follow-up of patients with critical clinical conditions (VD-Clinical) and the follow-up of patients with difficulty in accessing the Center (VD-Transport).

Intended users: patients with or without barriers to PD; caregivers with or without barriers to PD; healthcare workers.

Places: home; Nursing Homes (NH). In NHs, critical clinical conditions often coexist with transport difficulties (patients confined to bed, the use of dedicated personnel and means) and the need for training and repeated retraining of healthcare workers due to high staff turnover.

The Alba Center’s experience relating to 57 patients (mean age 70.8 years – M 63.2% – APD 56.1%) during the period 01/01/2014-31/12/20 is summarized in Table 1 and Figure 2.

From 2017 VD began to be used in other Centres as well, initially in the form of VD-Caregiver.

Subsequently, every single Center decided on which modes of VD to use, partly in consideration of the outbreak of the COVID pandemic.

 

 VD PATIENTS
(no.)
DURATION (months) DEATHS

(no.)

TRANSPLANT

(no.)

DROP-OUT

(no.)

PD WITHOUT VD (no.) IN VD

(no.)

TRAINING * 28 0.25–0.75 0 2 0 26 0
CAREGIVER 14 17.4±11.7 1 3 5 4 1
CLINICAL/TRANSPORT 6 13.8±11.6 2 0 0 1 3
NH ** 9 14.4±15.3 6 0 3 0 0
Table 1: Experience with Videodialysis (VD) at Alba in the period 01/01/2014 – 31/12/2020 relating to 57 patients. Duration and reasons for ending the use of VD in relation to mode of use. VD-Clinical and VD-Transport were considered together due to the limited number of patients and the association between the two conditions. D-NH was considered separately because the reasons for its use are different, and all equally important.
* VD-Training was used in 28 patients for 35 Training courses. In 2 cases the Training was interrupted due to Transplant. The duration of VD-Training was shown to be between 1 and 3 weeks (0.25-0.75 months). For the other modes, the duration is expressed as mean ± SD.
** Drop-out includes 1 case of ending PD due to recovery of renal function
Figure 2: Reasons for the use of VD in Alba (Patients: 57 - Average age: 70.8 years – M: 63.2% - APD: 56.1%).
Figure 2: Reasons for the use of VD in Alba (Patients: 57 – Average age: 70.8 years – M: 63.2% – APD: 56.1%).

 

Objectives

The objective of this paper was to evaluate this initial multi-center experience over the period 01/09/2017-31/12/2020, in particular with regard to the reasons for using VD and the results achieved.

 

Materials and methods

An audit of the Centers using the VD system was conducted on 04/02/2021.

Each Center provided its data relating to:

  • number of patients and their general characteristics;
  • characteristics of the intended users of the VD (patient, family, or paid caregiver, NH);
  • reasons for the use of VD, which could be the following:
    • training (VD-Training)
    • caregiver (VD-Caregiver)
    • clinical (VD-Clinical)
    • distance or difficulty in accessing the Center (VD-Transport)
    • location in NH (VD-NH)
  • VD outcomes:
    • reasons for any discontinued use
    • duration of its use
    • peritonitis
    • user satisfaction (patient/caregiver) expressed on a scale of from 1 (minimum) to 10 (maximum)

Since there could be several reasons for the use of VD, Centers gave the main reason plus any secondary reasons which had contributed to the decision to use the system.

VD-NH was considered separately since more than one equally important reason coexisted for the use of VD with these patients (training of many nurses with high staff turnover, precarious clinical conditions, difficulty of transporting patients generally confined to bed).

The paper reports the results of the above aspects of this initial multi-center experience.

Statistical comparison by means of the Chi-square test was limited to analyzing the main reasons for the use of VD and for VD-Training only (the most numerous group) to the presence of any secondary reasons dependent upon patients’ self-care ability.

 

Results

Participating Centers

Table 2 lists the Centers which took part in the Audit, together with the training site, frequency of home visits and date on which the experience with VD began for each Center.

CENTER USUAL TRAINING LOCATION HOME VISITS START OF VD
Cagliari Home At the start, then every 2-3 months September 2017
Piacenza Center At the start, then every 2-3 months March 2019
Sanluri Initially in Center (7 days), then at home At the start, then if necessary June 2019
Teramo Initially in Center (3 days), then at home At the start, then if necessary April 2019
Varese Initially in Center, then at home in some cases Never March 2018
Verbania Home At the start, then if necessary December 2019
Table 2: Participating Centers: training site, frequency of home visits and Videodialysis start date.

Patients

Overall, VD was used for 54 patients, 33 of whom were on CAPD (61.1%) and 21 on APD (38.9%). The mean age was 71.8±12.6 years, but varied considerably from center to center.

Of the 54 patients, 16 (29.6%) performed the dialysis procedures independently, while 38 (70.4%) were on various modes of assisted PD (Table 3). In the former, the intended user of the VD was the patient, while in the latter it was the caregiver.

NO. AGE M CAPD APD SELF-CARE ASSIST. PD
Cagliari 14 69.2±10.6 7 11 3 5 9
Piacenza 7 79.9±7.0 4 2 5 0 7
Sanluri 1 61 1 1 0 1 0
Teramo 12 65.6±14.1 6 7 5 7 5
Varese 8 74.4±5.3 4 6 2 0 8
Verbania 12 75.3±15.0 7 6 6 3 9
ALL (N°) 54 71.8±12.6 29 33 21 16 38
% 53.7 61.1 38.9 29.6 70.4 
Table 3: Number of Videodialysis patients and their characteristics, divided by Center.
Assist.PD = Assisted PD: family member, carer, NH.

Reasons for using VD

Table 4 gives the main reasons for the use of VD in relation to the degree of patient self-care ability.

MAIN REASONS FOR USE OF VD
NO. AGE TRAINING CAREGIVER CLINICAL TRANSPORT NH
Self-care 16 61.9 15 0 0 1 0
Self-care with VD 1 67.0 0 1 0 0 0
Family CG 28 76.4 19 8 1 0 0
Carer CG 5 73.2 4 0 1 0 0
NH 4 78.3 0 0 0 0 4
    ALL (N°) 38 9 2 1 4
    % 70.4 16.7 3.7 1.9 7.4
Table 4: Main reasons for the use of Videodialysis broken down by degree of PD management ability.
  • Self-care: self-managed PD
  • Self-care with VD: self-managed PD using VD-Caregiver
  • Family CG: PD assisted by a family member
  • Carer CG: PD assisted by a paid carer
  • NH: PD assisted by a nurse
VD-NH was considered separately because there are different reasons for its use, all contributing equally in importance.

The main reason for using VD was VD-Training in 38 patients (70.4%), followed by VD-Caregiver in 9 patients (16.7%) and location in an NH for 4 patients (VD-NH 7.4%). VD-Transport and VD-Clinical were grounds for using VD in 1 and 2 patients respectively.

The reasons for using VD proved to be very different among the various Centers (Figure 3).

Figure 3: Mode of use of Videodialysis in the 54 patients in the Multi-Center Audit divided by Center. (Sanluri: not given as the Center has only 1 patient).
Figure 3: Mode of use of Videodialysis in the 54 patients in the Multi-Center Audit divided by Center. (Sanluri: not given as the Center has only 1 patient).

Training. VD-Training was given as the main reason for its use in 15 of the 16 self-care patients (93.8%) and for 23 caregivers of the 38 patients on assisted PD (60.5% – p<0.05) (Figure 4A). In 8 of these 15 self-care patients (53.3%) and 22 of the 23 on assisted PD (95.7% – p<0.02) (Figure 4B), secondary reasons were also given for using VD. In 70.0% of these 30 patients, the secondary reasons were clinical, and in 3.7% they were related to transport difficulties.

VD-Training was used in 26 incident and 12 prevalent patients respectively: in 6 cases due to changes in their dialysis treatment (5 due to a switch from CAPD to APD, and 1 due to management of antibiotic therapy for peritonitis), in 3 cases for retraining (1 following peritonitis, and 2 for other issues that required verification of self-care ability), in 2 cases due to the need for a caregiver, and in 1 case due to a change in caregiver. Of the 12 prevalent patients, 10 belonged to a single Center (Teramo).

Figure 4: A: Main reasons for the use of Videodialysis in Self-care and Assisted PD patients B: Secondary reasons associated with VD-Training in Self-care and Assisted PD patients
Figure 4: A: Main reasons for the use of Videodialysis in Self-care and Assisted PD patients B: Secondary reasons associated with VD-Training in Self-care and Assisted PD patients

Caregiver. VD-Caregiver was used in 9 patients, 7 of whom belonged to a single Center (Figure 3) which only employed the system in this mode. In 8 cases, the intended user was a Family Caregiver. The secondary reasons were clinical in 8 cases, and transport issues in 3 patients.

Distance or transport difficulties. VD-Transport was used in 1 patient due to the distance from the Center.

Clinical. VD-Clinical for follow-up was used for 2 patients on assisted PD: 1 terminal, and 1 in a Group Home. The secondary reasons were psychological barriers to self-care in the first case, and the need to provide Training to more than one caregiver over time in the second.

VD-NH. The use of VD in NHs involved 4 patients: 3 with VD-Training, and 1 with VD-Caregiver. It was difficult to distinguish between main and secondary reasons for VD in these patients. As a matter of fact, they all had barriers to self-care which could not be overcome, while there were clinical grounds (VD-Clinical) in 3 patients, and 2 were bed-ridden (VD-Transport).

Outcomes

VD Follow-up. This is shown in Table 5.

The duration of VD is given in relation to the different modes of use.

In all 38 cases of VD-Training, the use of VD ended when the training came to a successful conclusion.

Of the remaining 16 patients, in 8 the use of VD ended due to death, 7 continued PD without VD, and 1 was still on PD with VD-Caregiver.

 VD PATIENTS
(no.)
DURATION
(months)
DEATHS

(no.)

PD WITHOUT VD

(no.)

IN VD

(no.)

TRAINING * 38 0.25 – 1.0 0 38 0
CAREGIVER 9 6.7±5.6 5 3 1
CLINICAL/TRANSPORT 3 12.7±13.1 2 1 0
NH 4 1.0±0.6 1 3 0
Table 5: Duration (mean±SD) and outcomes (patients, number) of Videodialysis (VD) in its different modes of use. Compared to Table 1, cases of Transplant and Drop-out are not given. VD-Clinical and VD-Transport are considered together due to the limited number of patients.
* The duration of VD-Training was shown to be between 1 and 4 weeks (0.25-1.0 months). For the other reasons, the duration is expressed as mean±SD.

Peritonitis. No cases of peritonitis were recorded during the use of VD.

Satisfaction questionnaire. Patient satisfaction was evaluated by 5 Centers in relation to 39 patients. The average score was 8.4 ±1.4.

The average scores reported by patients in the single Centers are given in Figure 5.

Figure 5: Results of the satisfaction questionnaire (min = 1 - max = 10). (Sanluri: not given as the Center has only 1 patient, score = 8).
Figure 5: Results of the satisfaction questionnaire (min = 1 – max = 10). (Sanluri: not given as the Center has only 1 patient, score = 8).

 

Discussion

The most frequently used mode of VD is VD-Training for incident patients starting on PD. However, it was used almost exclusively by one Center for prevalent patients (83%) changing method or caregiver. In the Teramo and Verbania Centers, this mode of use coincided with the spread of the pandemic, which may have incentivized the use of telemedicine services.

On the other hand, the VD-Caregiver mode was used in 78% of cases in only one Center (Figure 3). These differences can be explained by the different policy applied by the Center to a method of care for which there was no previous experience other than that of the Alba Center (Figure 1), where its use had initially been limited due to the technological limitations of the equipment and telecommunications systems to patients who were already on PD in order to avoid the dropout.

Despite the limitations of an audit, this initial experience shows the considerable flexibility of a system that can be used in different ways with patients who require different levels of care intensity. Indeed, the main reason for the use of VD in self-care patients is VD-Training (94%), while other reasons were given for choosing VD in 39% of the patients on assisted PD (Figure 4A). Furthermore, in 97% of the patients on assisted PD in VD-Training there were other secondary reasons that made recourse to VD necessary (Figure 4B).

The duration of the use of VD depended on its mode of use; in the case of VD-Training, the duration varied between 1 week and 1 month, and is consistent with Alba’s experience (Table 5 vs Table 1).

The effectiveness of VD-Training is demonstrated by the successful completion of all the training courses carried out with VD (Table 5).

For the VD-Caregiver, VD-Clinical, and VD-Transport modes, conclusions cannot be drawn on duration and reasons for dropout due to the data available and the limited number of cases. In the case of VD-NH, the average duration of a stay in an NH with VD was much lower than in Alba’s experience (Table 5 vs Table 1). This can be attributed to a different use of VD-NH: in the Audit, for patients who were terminally ill or placed temporarily in a facility; at Alba, for patients who were nonterminal and on permanent placement in an NH.

The safety of the system is supported by the absence of peritonitis during the use of VD. However, no further conclusions can be drawn due to a lack of post-training follow-up data.

Average patient/caregiver satisfaction with VD, expressed on a scale of between 1 and 10, was shown to be high (8.4 1.4), with differences between Centers (Figure 5).

 

Conclusions

Videodialysis is a flexible, effective, safe, and valued tool that can be used in different ways depending on Center choice and patient complexity. Furthermore, the use of VD may have been positively incentivized by the need to reduce access to Centers during the COVID pandemic.

 

Acknowledgments

The analysis was made possible thanks to the contribution of the Peritoneal Dialysis nurses in the Centers participating in the Audit.

In particular, we thank Giuseppe Peddio and Massimo Frongia of Cagliari, Paola Chiappini of Piacenza, Morena Di Giandomenico, Monica Pirocchi and Milva Di Giovanni of Teramo; Mariella Maiolino of Varese and Michela De Nicola of Verbania.

 

 

Bibliography

  1. Viglino G, Neri L, Barbieri S, Tortone C.: Videodialysis: a pilot experience of telecare for assisted peritoneal dialysis. J Nephrol 33, 177-182 (2020), https://doi.org/10.1007/s40620-019-00647-6
  2. Viglino G, Neri L, Barbieri S, Tortone C.: La dialisi peritoneale nell’anziano. Giornale Italiano di Nefrologia Suppl 79 (2019). https://giornaleitalianodinefrologia.it/en/2019/07/la-dialisi-peritoneale-nellanziano/
  3. Catia Tortone, Patrizia Barrile, Stefania Baudino, Loris Neri, Sara Barbieri, Giusto Viglino. VIDEOTRAINING AND EXPERT SYSTEM: A NEW PERITONEAL DIALYSIS TRAINING MODEL. Methodologies and Intelligent Systems for Technology Enhanced Learning, 11th International Conference. Edited by Fernando De la Prieta et al. Book series: Lecture Notes in Networks and Systems. Springer Nature (2021).https://doi.org/10.1007/978-3-030-86618-1_25

 

The COVID-19 emergency management in Nephrology: a cross-sectional survey on the procedures management to deal with the pandemic

Abstract

From mid-March 2020, the pandemic caused by COVID 19 has placed health facilities in front of the need to implement a rapid and profound reorganization. However, many hospitals have not had time to organize a rapid and effective response, both for the speed of spread of the virus, and for the lack of previous experience with a pandemic of this magnitude. With the aim of assessing the knowledge and adoption of the procedures and recommendations disseminated by hospitals during the COVID-19 pandemic, in the dialysis and hemodialysis services of Italian centers, a cross-sectional survey was designed by the Society of Nurses in Nephrology (SIAN). The online survey was conducted among nurses who work in the Italian services of dialysis and hemodialysis during the first and second waves.

The online survey was completed by 150 nurses. Although hospitals have set up protocols and procedures for patient management during the COVID-19 pandemic, among participants not all were aware of it. With regard to the training of personnel in the use of personal protective equipment, 18.6% declared that they have not received it. The majority implemented specific precautions for patient management, awareness and information.

Keywords: hemodialysis, peritoneal dialysis, nursing skills procedures, COVID-19

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Introduzione

La malattia da coronavirus (COVID-19) è stata identificata a dicembre 2019 a Wuhan, in Cina, e si è diffusa rapidamente, con oltre 81 000 casi confermati in tutta la Cina. Nel febbraio 2020, l’organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha introdotto la sua definizione [1]. L’11 marzo 2020 l’OMS, dopo aver valutato i livelli di gravità e la diffusione globale dell’infezione, ha dichiarato che l’epidemia da COVID-19 doveva essere considerata una pandemia [2]. L’Italia è stata tra i Paesi più gravemente colpiti dalla pandemia da COVID-19 [13], con una crescita schiacciante di casi attivi e mortalità, uno dei più alti al mondo [4]. Il primo paziente italiano positivo al COVID-19 è stato confermato il 21 febbraio 2020 all’Ospedale di Codogno in Lombardia. Inizialmente, il COVID-19 si era diffuso rapidamente in tutto il Paese, ma in modo eterogeneo, con maggiore diffusione nelle regioni del Nord e minore nelle regioni meridionali e nelle isole principali [5]. La relazione tra infezione da SARS-CoV-2 e la comorbilità è complessa, sfaccettata e ulteriormente complicata da un numero imprecisato di casi asintomatici [6]. Tuttavia, i casi più gravi e mortali sono spesso riportati nei pazienti anziani, specialmente in quelli con comorbilità [7]. 

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Peritoneal Dialysis in Italy: the 7th GSDP-SIN census 2019

Abstract

Objectives: Analysis of the results of the 7th National Census (Cs-19) of Peritoneal Dialysis in Italy, conducted in 2020-21 by the Peritoneal Dialysis Project Group of the Italian Society of Nephrology, for the year 2019.
Materials and methods: The data was initially collected using specially designed software, which after entering the data of individual patients allows the aggregate extraction of the necessary information. The difficulties due to the COVID pandemic made it necessary to also use the traditional on-line questionnaire used previously. Of the 237 Centers envisaged, 198 responded, of which 177 with complete data for HD also in 2016.
Results: Overall incidence and prevalence (31/12/2019) were respectively 1,363 (CAPD/APD = 741/622) and 3,922 (CAPD/APD = 1,857 / 2,065) patients. The percentage incidence and prevalence (177 Centers) decreased compared to 2016, respectively, from 23.8% to 22.1% and from 17.3% to 16.6%. 31.4% started PD incrementally in 60.3% of the Centers. The catheter is placed by the Nephrologist alone in 19.7%. Assisted PD is used by 24.5% of the prevalent patients, mostly (83.8%) by a family member. In 2019, the exit from PD (ep/100 years-pts: 11.6 in HD; 8.9 death; 6.0 Tx) is decreasing for all causes. The main cause of transfer to HD remains peritonitis (26.8%). The incidence of peritonitis in 2019 dropped further to 0.190 ep/year-pts as well as the incidence of new cases of EPS (0.103 ep/100 years-pts).
Conclusions: The Cs-19 confirms the good results of the DP in Italy.

Keywords: Peritoneal Dialysis, technique failure, incremental Peritoneal Dialysis, peritonitis, home visits, peritoneal equilibration test (PET)

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Introduzione

L’utilizzo della Dialisi Peritoneale (DP) viene rilevato dal Gruppo di Progetto di Dialisi Peritoneale della Società Italiana di Nefrologia (SIN) mediante un Censimento, condotto ogni 2-3 anni, dei Centri che utilizzano la DP. In questo report sono presentati i risultati della 7° edizione, condotta nel 2020-21 e relativa all’anno 2019 (Cs-19), confrontandoli con quelli degli anni precedenti: 2005 (Cs-05), 2008 (Cs-08) [1], 2010 (Cs-10) [2], 2012 (Cs-12) [3], 2014 (Cs-14) [4] e 2016 (Cs-16) [5].

Per quest’ultima edizione era stato introdotto un nuovo sistema di raccolta dati ma la coincidenza con la pandemia COVID-19 ha impedito il raggiungimento dell’obiettivo principale del Censimento, la copertura del 100% dei Centri DP.

 

Materiali e metodi

Il Censimento del GPDP consiste nella raccolta di dati aggregati relativi alla DP ed è rivolto a tutti i Centri Pubblici, non pediatrici, che hanno utilizzato la DP nell’anno censito.

Raccolta dati

Nell’edizione attuale i dati aggregati sono stati raccolti in due modi diversi.

La prima modalità, analitica, è stata effettuata attraverso un software sviluppato appositamente per il progetto, una sorta di cartella clinica in cui inserire sistematicamente i singoli pazienti e, quando necessario, esportare i dati aggregati utili al Censimento lasciando al programma l’onere dei conteggi. Le informazioni richieste erano i dati anagrafici, quelli relativi all’inizio della DP (nefropatia di base, motivazioni all’inizio della DP, referral, tecnica di inserzione del catetere, tipo di caregiver in caso di DP assistita) ed al follow up della DP limitato alle peritoniti e all’eventuale cambio di modalità di DP o sua interruzione. Per motivi di privacy il programma è stato sviluppato senza una componente cloud quindi tutti i dati inseriti erano conservati in locale e la possibilità di backup su server era demandata all’operatore. La riorganizzazione delle strutture operative e del personale avvenuta a causa del COVID-19 ha comportato per diversi Centri lo spostamento dei computer o la loro riformattazione con la conseguente perdita dei dati inseriti. A questo si sono aggiunti lo stato di emergenza degli ospedali, il sottodimensionamento dell’organico nelle strutture e il pensionamento di molti dei referenti, fattori che hanno ulteriormente compromesso la raccolta dei dati. Infine, in alcuni Centri l’invio dei dati aggregati è stato bloccato dal firewall dell’ospedale.

A questi problemi si è posto parzialmente rimedio ricorrendo alla modalità tradizionale di raccolta dati mediante la compilazione del questionario on-line utilizzato per le edizioni precedenti.

Per tutte queste ragioni, nonostante gli sforzi compiuti, non è stato raggiunto l’obiettivo principale del Censimento, ovvero la copertura del 100% dei Centri che hanno utilizzato la DP nel 2019.

Centri partecipanti e livelli di analisi

L’elenco dei Centri pubblici che utilizzano la DP ha il suo punto di partenza nell’elenco del Censimento della SIN condotto per l’anno 2004 [6], aggiornato negli anni ed integrato con altri dati raccolti in occasione di Convegni e Congressi, fino all’ultimo Censimento SIN del 2018 [7].

I Centri che hanno partecipato sono stati 198. Nelle precedenti edizioni si trattava della totalità dei Centri che avevano utilizzato la DP per almeno 1 paziente, con dati completi sia per la DP ma anche per la Emodialisi (HD) (tranne nell’ultima edizione del 2016 in cui su 237 Centri i dati completi per HD erano stati forniti da 230 Centri). Ciò consentiva di effettuare il confronto con gli anni precedenti sui dati globali.

Nell’attuale edizione la mancanza di diversi Centri e/o la mancanza dei dati relativi alla HD, ha complicato l’analisi, che, per includere il maggior numero di informazioni possibile, è stata quindi condotta tra gruppi diversi secondo le informazioni analizzate.

In sintesi sono stati registrati (Figura 1):

  1. 198 Centri con dati completi di incidenza e prevalenza e drop out per la DP
    • Centri nuovi = 5 (e quindi 193 presenti anche nel 2016)
    • Centri esclusi per cessata DP od altro (non censibili) = 7
    • Centri che non hanno inviato i dati e che presumibilmente utilizzano la DP = 39
    • I Centri che hanno risposto rappresentano quindi l’83,5% dei Centri DP (198/237)
  2. 186 Centri dei 198 censiti con dati completi per incidenza e prevalenza della HD nel 2019
  3. 177 Centri dei 198 censiti con dati completi per la HD anche nel 2016.
Fig. 1: Centri partecipanti alle diverse edizioni dei Censimento del GSDP.
Fig. 1: Centri partecipanti alle diverse edizioni dei Censimento del GSDP. Per il 2019 i Centri che non hanno inviato i dati sono 39 anche se, proprio per questo, non è certo che tutti abbiano utilizzato la DP nel 2019.

L’analisi della DP è stata condotta su tutti i Centri censiti. Dal momento che non tutti i Centri hanno risposto a tutte le domande, il numero dei Centri con dati disponibili è specificato nelle singole sottoanalisi. Il confronto per la DP con l’anno precedente (2016) è stato effettuato sui 193 Centri presenti anche nel 2016, mentre il confronto con il 2016 degli indici che richiedono anche i dati relativi alla HD (incidenza e prevalenza percentuali) è stato effettuato sul sottogruppo di 177 Centri che hanno inviato anche i dati relativi alla HD sia nel 2016 che nel 2019.

Informazioni

La struttura del Censimento prevede un gruppo di informazioni ripetute, rimaste invariate dalla prima edizione (Cs-05), relative ad incidenza, prevalenza, cambio o interruzione di metodica, peritoniti e DP non renale. A queste, dal 2008 [1], è stata aggiunta la peritonite sclerosante incapsulante (EPS); dal 2010 [2], le visite domiciliari ed il test di equilibrio peritoneale (PET).  Dall’edizione del 2016 [5], sono state riprese le domande sui cateteri. Inoltre con la modalità analitica di raccolta dati sono state disponibili per la prima volta informazioni sui germi coinvolti negli episodi di peritonite e sulle modalità del training.

Verifiche dei dati e confronti

I dati inizialmente raccolti sono stati sottoposti ad una prima analisi di congruenza. Quelli incoerenti sono stati corretti, ove possibile, attraverso un recall telefonico oppure considerati mancanti o incompleti, a seconda dei casi. Le eventuali correzioni ed il numero di Centri coinvolti sono riportati in dettaglio nella presentazione dei singoli risultati.

Definizioni e calcoli

Sono stati considerati pazienti incidenti tutti quelli immessi come primo trattamento in DP ed in HD nel periodo 01/01/2019-31/12/2019. Tra questi, sono stati considerati in DP incrementale (Incr-DP) con CAPD (Incr-CAPD) e APD (Incr-APD) i pazienti che effettuavano rispettivamente ≤2 scambi/die o ≤4 sedute/settimana. La prevalenza è stata riferita ai pazienti in trattamento dialitico al 31 dicembre. Tra i prevalenti la necessità di assistenza è riferita al coinvolgimento di un caregiver nell’esecuzione delle procedure dialitiche. I pazienti trattati con DP per cause non renali (GFR ≥15 ml/min/1,73) sono stati considerati a parte ed esclusi dal calcolo dell’incidenza e della prevalenza.

Gli episodi di peritonite sono riferiti al 2019 mentre quelli di peritonite sclerosante si riferiscono a tutto il biennio 2018-9 per la raccolta tradizionale ed al triennio per quella analitica.

L’overall rate per morte, trapianto e per cambio di metodica da PD ad HD è stato espresso in numero di episodi per 100 anni-paziente (ep/100anni-pz) secondo la formula:

Overall rate = [N° episodi / (anni di follow up)] x 100

A loro volta, gli anni di follow up sono stati calcolati sottraendo ed aggiungendo ai prevalenti del 31/12/2019 rispettivamente la metà dei pazienti che hanno iniziato la DP (incidenti e da altre metodiche) e la metà quelli usciti (per drop out in HD, decesso o trapianto) durante il 2019.

Per le peritoniti l’incidenza è stata calcolata come episodi/mesi-paziente (ep/mesi-pz) riferita all’anno censito.

Per la EPS, essendo i dati richiesti su base pluriennale e, per la prima rilevazione, quinquennale, è stata applicata la seguente formula:

ep/100 aa/pz = [(casi nel periodo) / (N° anni del periodo) / (prevalenza media del periodo)] x 100

ove la prevalenza media del periodo è stata calcolata come la media della prevalenza attuale (per il Cs-19 quella al 31/12/2019) e quella del censimento precedente (Cs-16, prevalenza al 31/12/2016).

L’analisi statistica è stata limitata alla ricerca di eventuali differenze con il test Chi quadro.

 

Risultati

Centri partecipanti e rappresentatività del campione

I Centri che hanno trattato almeno 1 paziente in DP nel 2019 e che hanno partecipato al Cs-19 sono stati 198 di cui 5 non presenti (Centri “nuovi”) e 193 presenti nell’edizione precedente (Cens-16).

Rispetto al 2016 sono inoltre stati esclusi 7 Centri per cessato utilizzo della DP mentre 39 Centri che, presumibilmente, hanno continuato a utilizzare la DP, non hanno inviato alcun dato. Complessivamente i Centri che hanno inviato i dati rappresentano quindi almeno l’83,5% dei Centri che hanno utilizzato la DP nel 2019.

La rappresentatività dei Centri partecipanti è stata valutata mediante il numero di pazienti trattati in questi Centri, rispetto il totale, nel 2016. Per quanto riguarda i 193 Centri presenti in entrambi i Censimenti, l’incidenza e la prevalenza della DP in questi Centri nel 2016 erano rispettivamente l’82,9% (1322 / 1595) e l’84,7% (3903 / 4607) del totale (237 Centri).

Per il confronto degli indici che richiedono anche i dati della HD (incidenza e prevalenza) si è dovuto tenere conto che sia nel Cs-16 che nel Cs-19 alcuni Centri non hanno inviato i dati relativi alla HD (incidenza, prevalenza o entrambe). Per il calcolo di incidenza/prevalenza percentuali nel 2019 sono stati esclusi quindi 12 Centri (186 Centri) mentre per il confronto con il 2016 sono stati esclusi anche i 5 Centri “nuovi” e 4 Centri che non avevano inviato i dati relativi alla HD nel 2016 (Centri considerati per il confronto = 177). La rappresentatività di questi Centri, calcolata sempre allo stesso modo, è riportata in Figura 2. Come si vede, le percentuali di pazienti incidenti e prevalenti e quelli dei Centri sostanzialmente coincidono, ad indicare una buona rappresentatività del “campione”.

Fig.2: Percentuale di pazienti in DP + HD (incidenza e prevalenza) Censiti nel 2016 nei 177 Centri che hanno partecipato con dati completi per l’HD ad entrambe le edizioni.
Fig.2: Percentuale di pazienti in DP + HD (incidenza e prevalenza) Censiti nel 2016 nei 177 Centri che hanno partecipato con dati completi per l’HD ad entrambe le edizioni.

Incidenza e prevalenza

Complessivamente i pazienti che hanno iniziato la DP nel 2016 come primo trattamento nei 198 Centri sono risultati 1.363 (CAPD/APD = 741/622) e quelli in trattamento al 31/12/2019 sono risultati 3.922 (CAPD/APD = 1.857/2.065 pazienti).

Considerando solo i 186 Centri con dati completi per l’HD i pazienti che hanno iniziato la DP come primo trattamento sono stati 1.272 (CAPD/APD = 689/583) e la HD 4.582 con un’incidenza percentuale del 21,7%, mentre i pazienti in trattamento in DP ed in HD al 31/12/2019 sono stati rispettivamente 3.613 (CAPD/APD = 1.685/1.928 pazienti) e 18.671 per una prevalenza percentuale della DP del 16,2% (Figura 3).

Infine considerando solo i 177 Centri presenti anche nel C-16 e con dati disponibili per l’HD l’incidenza è scesa dal 23,8% nel 2016 al 22,1% (Figura 4) nel 2019 mentre la prevalenza dal 17,3% del 2016 al 16,6% del 2019 (Figura 5).

Come già riportato si tratta di Centri pubblici (tranne uno) che utilizzano la DP; perciò i dati di incidenza e prevalenza percentuale della DP sono superiori a quelli del RIDT, che riporta invece i dati di tutti i Centri dialisi, sia pubblici che privati, sia che utilizzino la DP oppure no. Questi ultimi, come noto, sono la maggioranza [6].

Fig. 3.  Incidenza e prevalenza della DP nel 2019 in tutti i Centri (1° trattamento) in valori assoluti e nei Centri con dati disponibili anchde per la HD in valori percentuali.
Fig. 3.  Incidenza e prevalenza della DP nel 2019 in tutti i Centri (1° trattamento) in valori assoluti e nei Centri con dati disponibili anche per la HD in valori percentuali.
Fig. 4.  Incidenza della DP (1° trattamento) in valori assoluti e percentuali rispetto al totale
Fig. 4.  Incidenza della DP (1° trattamento) in valori assoluti e percentuali rispetto al totale dei pazienti in trattamento dialitico. In A negli anni delle precedenti edizioni (2005, 2008, 2010, 2012, 2014, 2016); in B nel 2019 confrontato con il 2016 negli stessi Centri con dati disponibili per entrambe le metodiche.
Fig. 5.  Prevalenza della DP in valori assoluti e percentuali
Fig. 5.  Prevalenza della DP in valori assoluti e percentuali rispetto al totale dei pazienti in trattamento dialitico. In A negli anni delle precedenti edizioni (2005, 2008, 2010, 2012, 2014, 2016); in B nel 2019 confrontato con il 2016 negli stessi Centri con dati disponibili per entrambe le metodiche.
CENTRI CENSITI CENTRI CON DATI COMPLETI PER HD
ANNO CENTRI PAZIENTI DP CENTRI PAZIENTI DP PAZIENTI HD % DP
2005 222 1.443 222 1.443 4.502 24,3
2008 223 1.379 223 1.379 4.646 22,9
2010 224 1.429 224 1.429 4.695 23,3
2012 224 1.433 224 1.433 4.700 23,4
2014 225 1.652 225 1.652 4.442 27,1
2016 237 1.595 230 1.549 4.907 24,0
2019 198 1.363 186 1.272 4.582 21,7
   
2016 177 1.201 3.840 23,8
2019 177 1.243 4.384 22,1
Tabella I: Incidenza nel tempo. Per il 2019 è riportato il confronto con il 2016 per gli stessi Centri con dati disponibili anche per la HD.
CENTRI CENSITI CENTRI CON DATI COMPLETI PER HD
ANNO CENTRI PAZIENTI DP CENTRI PAZIENTI DP PAZIENTI HD % DP
2004 * 4.234 4.234 20.921 16,8
2008 223 4.094 223 4.094 20.478 16,7
2010 224 4.222 224 4.222 21.175 16,6
2012 224 4.299 224 4.299 20.844 17,1
2014 225 4.480 225 4.480 21.716 17,1
2016 237 4.607 230 4.484 21.286 17,4
2019 198 3.922 186 3.613 18.671 16,2
   
2016 177 3.559 16.965 17,3
2019 177 3.542 17.774 16,6
Tabella II: Prevalenza nel tempo. Per il 2019 è riportato il confronto con il 2016 per gli stessi Centri con dati disponibili anche per la HD.
* Il 2004 è riferito ai dati del Censimento SIN [6] mentre nel 2005 la prevalenza non è stata indagata.

Ingressi in Dialisi Peritoneale

Oltre ai 1.363 pazienti incidenti nei 198 Centri censiti sono entrati in Dialisi Peritoneale 125 pazienti (8,2% degli ingressi) provenienti dalla HD e 44 pazienti (2,9% degli ingressi) provenienti dal Trapianto, per un totale di 1.532 pazienti, senza variazioni significative rispetto gli anni precedenti (Figura 6). In particolare considerando tutti i pazienti rientrati dal Tx in dialisi la percentuale di quelli che rientrano in DP rimane significativamente inferiore e stabile al 14,0% (Figura 7). I pazienti trasferiti da altri Centri sono stati 33.

L’indice di ricambio (pazienti prevalenti/totale ingressi), stima approssimativa della durata media della DP, è risultato 2,56 anni (30,7 mesi), analoga a quella degli anni precedenti.

Fig. 6: Percentuale sul totale degli ingressi in DP di pazienti provenienti dalla HD
Fig. 6: Percentuale sul totale degli ingressi in DP di pazienti provenienti dalla HD e dal Tx in tutti i Centri censiti (198 per il 2019).
Fig. 7: Rientro in dialisi da trapianto. Percentuali di pazienti che hanno
Fig. 7: Rientro in dialisi da trapianto. Percentuali di pazienti che hanno ripreso la dialisi in DP ed in HD negli anni dei Censimenti. Nel 2016 non considerati 7 Centri che non hanno fornito gli ingressi in HD mentre nel 2019 i Centri con dati disponibili per la HD sono stati 186.

Modalità di Dialisi Peritoneale

Tra i pazienti incidenti la CAPD rappresenta la modalità più utilizzata (54,4%) mentre tra i prevalenti lo è la APD (52,7%) (Figura 8). Il dato non sembra essersi modificato negli anni (Figura 9).

Fig. 8: Modalità di DP nei pazienti incidenti e prevalenti nel 2019.
Fig. 8: Modalità di DP nei pazienti incidenti e prevalenti nel 2019.
Fig. 9: Modalità di DP nei pazienti incidenti e prevalenti negli anni.
Fig. 9: Modalità di DP nei pazienti incidenti e prevalenti negli anni.
  PAZIENTI INCIDENTI PAZIENTI PREVALENTI
  CAPD APD TOT CAPD/APD CAPD APD TOT CAPD/APD
2005 794 649 1443 1,22 nd nd 4432 nd
2008 759 620 1379 1,22 1926 2168 4094 0,89
2010 763 666 1429 1,15 1929 2293 4222 0,84
2012 778 655 1433 1,19 1981 2318 4299 0,85
2014 945 707 1652 1,34 2099 2381 4480 0,88
2016 895 700 1595 1,28 2147 2460 4607 0,87
2019 741 622 1363 1,19 1857 2065 3922 0,90
177 CENTRI
2016 685 516 1201 1,33 1680 1879 3559 0,89
2019 671 572 1243 1,17 1653 1889 3542 0,88
Tabella III: Modalità di DP nei pazienti incidenti e prevalenti negli anni

Dialisi peritoneale incrementale

Il dato sulla dialisi incrementale nel 2019 è risultato disponibile in 194 Centri dei 198 Censiti. Nel 2019 i pazienti che hanno iniziato la DP con modalità incrementale nei 194 Centri (Incr-DP) sono stati 414, pari al 31,4% del totale dei pazienti incidenti in tali Centri (1.317); il numero dei Centri che l’hanno utilizzata sono stati 117, pari al 60,3% dei 194 Centri. Tra i pazienti Incr-DP la metodica più utilizzata è risultata sempre la CAPD (86,2%) al contrario di quelli “full dose” in cui è significativamente più utilizzata l’APD (59,7% – p<0,0001) (Figura 10).

Negli anni il numero dei Centri (Figura 11) ed il numero e la percentuale di pazienti in Incr-DP sono andati costantemente aumentando fino al 2012 per rimanere sostanzialmente stabili fino al 2019 (Figura 12).

Si conferma inoltre il numero limite di pazienti in Incr-DP: nei Centri che vi ricorrono infatti la percentuale di pazienti in Incr-DP è risultata nel 2019 (44,9%) praticamente sovrapponibile a quella degli anni precedenti (Figura 13).

Nei Centri che hanno prescritto Incr-DP almeno per 1 paziente l’incidenza percentuale della DP (23,6%) è risultata significativamente superiore a quella degli altri (18,6% – p <0,005) (Figura 14-A). Ciò è in accordo con quanto osservato in tutte le edizioni precedenti (Figura 14-B).

Fig. 10: Inizio incrementale nei 1.317 pazienti incidenti nel 2019
Fig. 10: Inizio incrementale nei 1.317 pazienti incidenti nel 2019 (194 Centri). Nelle colonne ai lati è riportata la ripartizione APD / CAPD dei pazienti che iniziano in modo incrementale (sinistra) e full dose (destra).
Fig. 11: Percentuale di Centri, sul totale di tutti i Centri, che hanno immesso almeno un paziente in Incr-PD nei diversi anni del Censimento. La percentuale è riferita ai Centri con incidenza diversa da zero.
Fig. 11: Percentuale di Centri, sul totale di tutti i Centri, che hanno immesso almeno un paziente in Incr-PD nei diversi anni del Censimento. La percentuale è riferita ai Centri con incidenza diversa da zero.
Fig. 12: Utilizzo della DP incrementale negli anni.
Fig. 12: Utilizzo della DP incrementale negli anni. A sinistra il numero assoluto di pazienti incidenti che hanno iniziato in modo incrementale in CAPD ed in APD (A) ed in percentuale sul totale dei pazienti per modalità di DP (B). A destra le percentuali rispetto al totale dei pazienti incidenti in DP.
Fig. 13: Percentuale di pazienti in Incr-DP nei Centri che utilizzano tale modalità di inizio.
Fig. 13: Percentuale di pazienti in Incr-DP nei Centri che utilizzano tale modalità di inizio.
Fig. 14: Probabilità di iniziare la dialisi con la DP rispetto alla HD nei Centri
Fig. 14: Probabilità di iniziare la dialisi con la DP rispetto alla HD nei Centri che fanno ricorso alla Incr-DP rispetto ai Centri che non la utilizzano nel 2019 (%, A) e nei diversi anni in cui è stato condotto il Censimento del GPDP (OR, B).

Cambio di modalità di Dialisi Peritoneale

Nel 2019 i pazienti, dei 194 Centri che hanno fornito i dati, passati dalla CAPD alla APD sono stati 172 (Figura 15-A) mentre quelli passati dalla APD alla CAPD sono stati 37 (Figura 15-B), rispettivamente il 3,6% e lo 0,8% dei pazienti trattati con la DP. Ciò spiega ulteriormente come tra i pazienti prevalenti la metodica più utilizzata sia l’APD. La ragione principale del cambio di metodica rimane la scelta del paziente: 43,0% per il passaggio da CAPD ad APD e 27,0% per quello da APD a CAPD. Per il passaggio dalla CAPD alla APD l’adeguatezza e l’UF sono ragioni altrettanto importanti, mentre per il trasferimento inverso lo è anche il malfunzionamento del catetere (Figura 15-B). Non sono stati registrati cambiamenti significativi negli anni.

Fig. 15: Pazienti che hanno cambiato metodica di DP
Fig. 15: Pazienti che hanno cambiato metodica di DP (dalla CAPD alla APD e viceversa) nel 2019 e motivazioni al cambio. Come si vede il flusso dalla CAPD alla APD (172 pazienti) è nettamente superiore rispetto al flusso inverso (37 pazienti).

Dialisi Peritoneale assistita

Nel Cs-19 i pazienti prevalenti con necessità di caregiver (assisted PD) sono risultati 962 (24,5% di tutti i prevalenti in DP) nei 198 Centri. Il caregiver era un familiare nel 83,8% dei casi, un badante nel 5,6%, un infermiere a domicilio nel 6,1%; infine, il 4,4% (42 pazienti) effettuava la DP in strutture per anziani (RSA) (Figura 16). Rispetto il 2016 è diminuito il ricorso al caregiver retribuito (“badante”) mentre è aumentato quello all’Infermiere a domicilio ed il coinvolgimento di un familiare (Figura 17).

Fig. 16: DP assistita nel 2019.
Fig. 16: DP assistita nel 2019. Confronto con gli anni precedenti (valori percentuali riportati nel riquadro grigio) e ripartizione dei pazienti in funzione del tipo di caregiver.
Fig. 17: Caregiver nel 2019 a confronto con il 2016 nei 193
Fig. 17: Caregiver nel 2019 a confronto con il 2016 nei 193 Centri presenti in entrambi i Censimenti. Nel riquadro la percentuale di pazienti in RSA in HD ed in DP nel 2019.

Uscita dalla Dialisi Peritoneale e trasferimento alla Emodialisi

In Figura 18 sono riportate le uscite dalla DP, per trasferimento alla HD, per morte e per trapianto, espresse sia come numero di pazienti che come numero di eventi/100 anni-pz, nei 193 Centri presenti anche nel 2016 e confrontati con gli anni precedenti.

In tali Centri sono stati registrati 324 decessi (8,9 ep/100 anni-pz), 421 trasferimenti alla HD (11,6 ep/100 anni-pz) e 220 trapianti (6,0 ep/100 anni-pz). Il numero complessivo di uscite dalla DP si è ridotto da 30,9 ep/100 anni-pz del 2016 a 26,5 ep/100 anni-pz per una riduzione di tutte le modalità di uscita ma in particolare della mortalità.

Per quanto riguarda il dropout alla HD (Figura 19), la singola causa principale rimane la peritonite (26,8% nel 2019), in lieve aumento rispetto il 2016 (da 2,98 a 3,11 ep/100 anni-pz) dopo il costante calo registrato negli anni precedenti. In riduzione il drop out per scelta ed impossibilità a proseguire la DP (23,5% dei casi) passato da 3,04 a 2,72 ep/100 anni-pz. Sostanzialmente invariate le altre cause di trasferimento alla HD (Figura 20).

Per completezza ricordiamo che il Censimento raccoglie anche i dati sui trasferimenti da un Centro all’altro, sulla ripresa della FR e altre uscite dalla DP: rispetto ai 31 pazienti entrati da altri Centri quelli trasferiti ad altri Centri sono stati 43 mentre 22 risultano aver interrotto la DP per ripresa della FRR od altro motivo.

Fig. 18: Cause di trasferimento dalla DP alla HD negli anni.
Fig. 18: Cause di trasferimento dalla DP alla HD negli anni. Si osserva un significativo (p <0,001) trend alla riduzione della peritonite come causa di dropout mentre è aumentata l’insufficiente depurazione. Si conferma inoltre l’aumento registrato nel 2014 dell’impossibilità a proseguire/scelta.
Fig. 19: Cause di trasferimento dalla DP alla HD negli anni in percentuale sul totale dei trasferimenti.
Fig. 19: Cause di trasferimento dalla DP alla HD negli anni in percentuale sul totale dei trasferimenti.
Fig. 20: Cause di trasferimento dalla DP alla HD negli anni in valore assoluto espresso come episodi per 100 anni-pz.
Fig. 20: Cause di trasferimento dalla DP alla HD negli anni in valore assoluto espresso come episodi per 100 anni-pz.

Peritoniti

L’analisi delle peritoniti è stata condotta sui 193 Centri presenti in entrambi i Censimenti. Di questi, 4 non hanno fornito i dati sulle peritoniti per cui il dato si riferisce a 189 Centri. Nel 2019 sono stati registrati 666 episodi di peritonite che, per un totale di 42.120 mesi di follow up, equivalgono a 0,190 episodi per anno-paziente o, in altri termini, ad 1 episodio ogni 63,2 mesi-pz, un’incidenza inferiore a quelle registrate negli anni precedenti (Figura 21).

Delle peritoniti registrate nel 2019, 331 (49,7%) si sono verificate in corso di CAPD e 335 (50,3%) in corso di APD. Per quanto riguarda la percentuale di colture negative (125 episodi, pari al 18,8% del totale), il dato non è significativamente diverso da quello degli anni precedenti (Figura 21).

Per la prima volta è riportata l’etiologia delle peritoniti per i 110 Centri che hanno inviato i dati raccolti in modalità analitica (Figura 22): i germi Gram positivi rappresentano la principale causa di peritonite e tra questo lo SA è il più coinvolto mentre tra i Gram negativi lo è Escherichia Coli.

Fig. 21: Incidenza delle peritoniti nel 2019 a confronto con gli anni precedenti.
Fig. 21: Incidenza delle peritoniti nel 2019 a confronto con gli anni precedenti.
Fig. 22: Etiologia delle peritoniti nei 110 Centri indagati in modalità “analitica”.
Fig. 22: Etiologia delle peritoniti nei 110 Centri indagati in modalità “analitica”.

Peritonite sclerosante (EPS)

Dal Censimento del 2016 sono stati riportati 8 nuovi episodi di EPS, per un’incidenza di 0,103 ep/100 anni-pz (Figura 23). Al momento della diagnosi 6 pazienti erano in DP e 2 in HD (Figura 23).

Fig. 23: Casi di EPS nel quinquennio 2004-2008 e nei periodi 2009-10, 2011-12, 2013-14, 2015-16, 2016-2019.
Fig. 23: Casi di EPS nel quinquennio 2004-2008 e nei periodi 2009-10, 2011-12, 2013-14, 2015-16, 2016-2019.

Indagini speciali

Il catetere peritoneale. La tecnica e modalità di posizionamento più frequente è quella chirurgica, in anestesia locale, cui partecipano in collaborazione chirurgo e nefrologo (29,3%) (Figura 24) seguita da quella chirurgica, sempre in anestesia locale, ma con operatore il solo chirurgo (23,0%). Il nefrologo opera da solo nel 19,7% dei casi (in calo rispetto il 2016), sempre in anestesia locale e prevalentemente con tecnica chirurgica (18,3%), sempre più raramente con tecnica semi-chirurgica (1,4% dei casi). La video-laparoscopia è utilizzata nel 8,2% dei posizionamenti come nel 2016.

Complessivamente, il chirurgo è coinvolto nel 80,3% dei casi e il nefrologo nel 54,1%, anche se è probabile che partecipi a parte degli interventi effettuati in VLS (Figura 25).

Fig. 24: Tecnica, operatore e tipo di anestesia per il posizionamento
Fig. 24: Tecnica, operatore e tipo di anestesia per il posizionamento del catetere peritoneale nei pazienti incidenti. Il dato è riferito ai 180 Centri con dati inviati e congruenti. TECNICA: C = chirurgica; SC = semichirurgica; Videolaparoscopia; Altro = non comprende i casi mancanti. OPERATORE: C = chirurgo; N = nefrologo; C e N = chirurgo e nefrologo. ANESTESIA: AL = locale; AG = generale
Fig. 25: Ripartizione del numero di interventi di posizionamento riusciti per tipo di operatore.
Fig. 25: Ripartizione del numero di interventi di posizionamento riusciti per tipo di operatore. Legenda come in Fig. 24.

Il PET. La permeabilità peritoneale viene valutata dalla quasi totalità dei Centri (92,8%) (Figura 26).

Il metodo più utilizzato si conferma non essere più il PET secondo Twardowski con il 2,27%, ma il PET con il 3,86% (57,9%), in costante e significativo aumento (p <0,001) dal 2010 al 2019 (Figura 26). Solo il 7,7% dei Centri misurano la permeabilità peritoneale con altre tecniche (PDC, doppio miniPET e miniPET, altro non specificato).

Fig. 26: Tipo di valutazione della membrana peritoneale: confronto 2019 vs 2016
Fig. 26: Tipo di valutazione della membrana peritoneale: confronto 2019 vs 2016 vs 2014 vs 2012 vs 2010. Nel 2019 è ulteriormente aumentato il numero di Centri che utilizza il 3,86% per il PET.

Le visite domiciliari. Nel 2019 le visite domiciliari non sono previste nel programma di DP del 46,2% dei Centri (Figura 27), numero sostanzialmente invariato rispetto gli anni precedenti (Figura 28). Solo il 9,7% dei Centri le programma di routine, percentuale in lieve aumento rispetto il 2016 (8,0%), mentre il 33,3% dei Centri le utilizza solo se necessario ed il 10,8% solo all’inizio del trattamento (Figura 27). La figura maggiormente coinvolta nelle visite domiciliari rimane l’infermiere, che le svolge da solo nel 44,7% dei 103 Centri che le prevedono; nei casi restanti la visita è svolta in varia misura insieme al medico (Figura 29).

Fig. 27: Frequenza con cui sono state effettuate le viste domiciliari dai Centri partecipanti nel 2019.
Fig. 27: Frequenza con cui sono state effettuate le visite domiciliari dai Centri partecipanti nel 2019.
Fig. 28: Percentuale di Centri che non effettuano visite domiciliari e che le effettuano regolarmente negli anni censiti.
Fig. 28: Percentuale di Centri che non effettuano visite domiciliari e che le effettuano regolarmente negli anni censiti.
Fig. 29: Operatore sanitario che effettua le visite domiciliari nei Centri che le prevedono.
Fig. 29: Operatore sanitario che effettua le visite domiciliari nei Centri che le prevedono. MD > Inf = medico e occasionalmente l’infermiere; Inf. > MD = infermiere e occasionalmente il medico; MD – Inf. = medico e infermiere insieme.

Il Training. Il Training è stato indagato solo per i 110 Centri in modalità analitica per un totale di 771 ingressi in DP nel 2019. In questi Centri (Figura 30) (Figura 31) è effettuato prevalentemente in Centro (58,2%) e solo in una minoranza di Centri completamente a domicilio (6,4%) mentre nel 35,5% dei Centri è avviato in Ospedale e proseguito a domicilio (in proporzione non specificata). Il personale coinvolto è prevalentemente quello del Centro (63,6% dei Centri) mentre personale esterno è coinvolto in una qualche misura nei rimanenti Centri (Figura 31), in particolare nel Training domiciliare: considerando il numero di ingressi registrati nel 2019 in questi 110 Centri, personale esterno potrebbe essere stato coinvolto per 255 training (33,1%) (Figura 31).

Fig. 30: Sede del training ed operatore che lo effettua nei 110 Centri con dati disponibili.
Fig. 30: Sede del training ed operatore che lo effettua nei 110 Centri con dati disponibili.
Fig. 31: Operatore sanitario che effettua il training in funzione della sede del training.
Fig. 31: Operatore sanitario che effettua il training in funzione della sede del training. Personale esterno è coinvolto principalmente nei training effettuati completamente od in parte al domicilio del paziente.

 

Discussione

Limiti

Il Censimento della DP, giunto nel 2016 alla 7° edizione, rappresenta il risultato di un costante sforzo organizzativo del GSDP-SIN e di tutti i referenti DP dei Centri che utilizzano la DP in Italia.

Come ribadito più volte, al limite principale di essere una fotografia dei soli Centri che fanno la DP, che d’altra parte sarebbe anche la sua ragione d’essere, si aggiunge per l’edizione 2019 il non essere riuscito a censire tutti i Centri DP.

Le ragioni sono state ampiamente illustrate nei “Materiali e metodi”, ma è importante ribadire che si è svolto in piena pandemia COVID che ha reso difficoltoso anche l’abituale lavoro di verifica e correzione/recall telefonico preliminare all’analisi dei dati e necessario per ridurne l’imprecisione.

Utilizzo della DP

Tra i paesi occidentali, nonostante una copertura del 83,5% dei Centri DP, l’Italia si è confermata, per numero di pazienti prevalenti in DP, ai primi posti [812].

I valori percentuali di incidenza e prevalenza, rispettivamente del 21,7% e del 16,2%, non ne rappresentano la realtà percentuale, essendo riferiti ai soli Centri che hanno utilizzato la DP nel 2019 e con dati disponibili anche per la HD (186 Centri). Se consideriamo tutti i pazienti anche dei Centri privati e dei Centri pubblici che non fanno la DP, le percentuali riportate dal Registro Italiano di Dialisi e Trapianto [13] sono ovviamente molto inferiori, con un’incidenza globale del 14,5% (dati riferiti a 13 regioni) ed una prevalenza globale della DP nel 2019 del 12,6% (dati relativi a 10 Regioni). Per quanto riguarda il trend, abbiamo fatto riferimento ai 177 Centri con dati completi anche per la HD e anche per il 2016. In questi Centri, dopo anni di sostanziale stabilità si registra un lieve calo dell’incidenza e della prevalenza in accordo con la sostanziale stabilità dei dati riportati dai Registri Internazionali ad eccezione degli USA, in cui la DP è in lieve ma costante aumento per i noti provvedimenti adottati (Figura 32).

Fig. 32: Prevalenza della DP riportata nei diversi registri di dialisi e trapianto del mondo occidentale nel tempo.
Fig. 32: Prevalenza della DP riportata nei diversi registri di dialisi e trapianto del mondo occidentale nel tempo.

Dialisi Peritoneale Incrementale

Si conferma che la Incr-DP coinvolge una percentuale di pazienti incidenti significativa ed è associata ad un maggior utilizzo della DP, in particolare della CAPD. Il trend sembra essersi arrestato da alcuni anni sia per quanto riguarda il numero di Centri che la praticano che per il numero di pazienti per la quale viene prescritta in questi Centri, riscontro atteso e che potrebbe essere correlato alla percentuale di late referral (non indagata in questa edizione). In assenza di dati di Registro internazionali, il Censimento del GSDP rimane una fonte di dati disponibile sull’argomento. Non sono purtroppo disponibili i dati del GFR di inizio dialisi.

CAPD/APD

All’inizio della DP la modalità più utilizzata è la CAPD mentre tra i pazienti prevalenti quella più utilizzata è la APD. A ciò contribuiscono verosimilmente due fattori, la dialisi incrementale prima ed il maggiore utilizzo dell’APD al ridursi della FRR e all’aumentare della permeabilità peritoneale. Infatti, se all’inizio del trattamento la DP incrementale è prevalentemente effettuata come CAPD, il trasferimento dalla CAPD alla APD rispetto all’inverso è significativamente superiore (e motivato dalla scelta del paziente/caregiver) e, per i pazienti trasferiti dalla HD e dal Tx alla DP, la metodica preferita è l’APD [1]. Il dato del 2019 è sostanzialmente invariato rispetto gli anni precedenti.

Assisted PD

Circa un quarto dei pazienti in DP necessita di assistenza per le procedure dialitiche. Tale percentuale, dopo il lieve calo registrato nel 2016 sembra essere tornata in linea con gli anni precedenti.

I dati internazionali sulla Assisted PD sono ancora scarsi e limitati a Paesi come la Francia ed altri Paesi del Nord Europa in cui, come noto, è effettuata prevalentemente dall’infermiera/personale sanitario/volontari a domicilio [5]. In Italia al contrario il caregiver maggiormente coinvolto rimane quello familiare. Per le altre figure si segnala un diminuito ricorso alle badanti ed uno aumentato al personale sanitario del Centro.

La DP in RSA rimane limitata ad un trascurabile numero di pazienti, in particolare se paragonato al numero dei pazienti in RSA che sono in HD.

Dropout e fallimento della tecnica

Le uscite dalla DP sembrano essersi ridotte, in particolare quelle per morte. In mancanza di altri dati non è possibile analizzarne le ragioni. Il sistema di calcolo del follow up cui rapportare gli eventi è rimasto lo stesso e come per le peritoniti è verosimile che sia sottostimato piuttosto che il contrario.

Il trasferimento alla HD rimane la causa principale di interruzione della metodica.

La principale causa di fallimento della tecnica è ancora la peritonite, in lieve aumento rispetto il 2016 così come in aumento sembra essere il malfunzionamento del catetere mentre in calo depurazione/UFF e scelta/impossibilità a proseguire la DP.

Peritoniti e Peritonite Sclerosante

In contrasto con l’aumento del drop out per peritonite è l’incidenza delle peritoniti, ben al di sotto dell’incidenza auspicabile indicata dalle linee guida ISPD 2022 di 0,40 ep/anno-pz [14], secondo un trend al costante calo negli anni peraltro in accordo con i dati di una recentissima analisi internazionale [15], cui il Censimento del GPDP ha contribuito. Rimane maggior del valore limite indicato dalle linee Guida la percentuale di colture negative (<15%), seppur costante negli anni [14].

A fronte di una riduzione dell’incidenza delle peritoniti, il dato etiologico mostra l’importanza di quelle da SA e da Gram Negativi rispetto a quelle “tradizionali” da SE, dato che potrebbe giustificare la mancata riduzione del drop-out da peritonite registrata nel 2019. L’incidenza di EPS continua a diminuire. È possibile che il dato sia stato ancora più sottostimato in epoca pandemica, in particolare per quanto riguarda l’EPS insorta dopo il Tx, soprattutto nel caso di pazienti trasferiti ad altri Centri per il follow up post Tx.

Aspetti particolari della DP

Catetere peritoneale. Rispetto il 2016 si registra un’ulteriore riduzione del ruolo del Nefrologo nel suo posizionamento ed il conseguente aumento di quello del Chirurgo, da solo o in collaborazione con il Nefrologo. Invariato il ricorso alla Videolaparoscopia.

Valutazione della permeabilità peritoneale. La diffusa valutazione della permeabilità peritoneale e soprattutto il costante incremento nell’utilizzo del 3,86% per il PET (dal 15,6% di tutti i Centri nel 2010 al 57,9% del 2019) osservati in questi anni suggeriscono attenzione all’ottimizzazione del trattamento dialitico e alla conservazione della membrana peritoneale.

Visite domiciliari. Invariato e sempre elevato il numero di Centri che non effettua le visite domiciliari (il 46,2%), mentre in lieve incremento quelli che le effettuano regolarmente (8,0% nel 2016 – 9,7% nel 2019) anche se sempre meno di un Centro su dieci. Il limitato ricorso a questa importante forma di monitoraggio, invariato se non peggiorato negli anni, è forse un indice delle difficoltà organizzative di molti Centri dialisi italiani. L’infermiere rimane il protagonista delle visite a domicilio.

Training. Indagato per la prima volta, solo con la modalità analitica di raccolta dei dati, il training è effettuato prevalentemente in Centro dal personale del Centro stesso nonostante i vantaggi noti del condurlo a domicilio del paziente. Quando effettuato a domicilio interviene personale esterno, da solo o in collaborazione con quello del Centro, indice di difficoltà organizzative.

 

Conclusioni

Il Censimento 2019 ha coinciso con la pandemia COVID ma nonostante questa, grazie all’impegno dei Referenti DP, la copertura raggiunta è risultata, anche se non completa, comunque significativa.

L’utilizzo della DP sembra essere in lieve riduzione nonostante i risultati della DP in Italia si siano confermati di buon livello, come indicato dall’incidenza costantemente in riduzione delle peritoniti, dalla riduzione della mortalità e dalla riduzione del drop out in HD.

 

Ringraziamenti

Si ringraziano i Referenti dei Centri che hanno aderito al Censimento e che con il loro impegno hanno reso possibile la raccolta dati ed il presente lavoro.

Abdulsattar Giamila (Oristano)
Agostini Barbara (Biella)
Alberghini Elena (Cinisello Balsamo)
Alessandrello Ivana (Modica)
Alfano Gaetano (Modena)
Ambrogio Antonina (Rovigo)
Ancarani Paolo (Sestri Levante)
Angelini Maria Laura (Forlì)
Angelo Maria Letizia (Camposampiero)
Ansali Ferruccio (Civitavecchia)
Autuly Valerie Marie (Città di Castello)
Basso Anna (Padova)
Benozzi Luisa (Borgomanero)
Bermond Francesca (Torino)
Bianco Beatrice (Verona)
Bilucaglia Donatella (Torino)
Bisello Walter (Urbino)
Boccadoro Roberto (Rimini)
Bonesso Cristina (San Donà di Piave)
Bonvegna Francesca (Verbania)
Borettaz Ilaria (Lodi)
Borrelli Silvio (Napoli)
Bosco Manuela (Gorizia)
Braccagni Beatrice (Poggibonsi)
Brigante Maurizio (Campobasso)
Budetta Fernando (Eboli)
Caberlotto Adriana (Treviso)
Cabibbe Mara (Milano)
Cabiddu Gianfranca (Cagliari)
Cadoni Maria Chiara (San Gavino Monreale)
Cannarile Daniela Cecilia (Bologna)
Cantarelli Chiara (Parma)
Capistrano Mariano (Montichiari)
Cappelletti Francesca (Siena)
Capurro Federica (Novara)
Caria Simonetta (Quartu Sant’ Elena)
Carta Annalisa (Nuoro)
Caselli Gian Marco (Firenze)
Caselli Ada (Ascoli Piceno)
Casuscelli di Tocco Teresa (Messina)
Centi Alessia (Roma)
Cerroni Franca (Rieti)
Ciabattoni Marzia (Savona)
Cianfrone Paola (Catanzaro)
Cimolino Michele (Pordenone)
Ciurlino Daniele (Sesto San Giovanni)
Colombo Patrizia (Vercelli)
Colucci Giuseppina (Putignano)
Comegna Carmela (Tivoli)
Contaldo Gina (Monza)
Cornacchia Flavia (Cremona)
Cosa Francesco (Legnano)
Costa Silvano (Voghera)
Costantino Ester Maria Grazia (Manerbio)
D’Alonzo Silvia (Roma)
D’Altri Christian (Martina Franca)
D’Amico Maria (Trapani)
Del Corso Claudia (Pescia)
D’Elia Filomena (Bari)
Della Gatta Carmine (Nola)
Di Daniele Nicola (Roma)
Di Franco Antonella (Barletta)
Di Liberato Lorenzo (Chieti)
Di Loreto Ermanno (Atri)
Di Somma Agnese (San Marco Argentano)
Di Stante Silvio (Pesaro – Fano)
Distratis Cosimo (Manduria)
Domenici Alessandro (Roma)
Esposito Samantha (Grosseto)
Esposito Vittoria (Pavia)
Fancello Sabina (Tempio Pausania)
Fattori Laura (Senigallia)
Ferrando Carlo (Cuneo)
Ferrara Gaetano (San Giovanni Rotondo)
Figliola Carmela (Gallarate)
Filippini Armando (Roma)
Fiorenza Saverio (Imola)
Fischer Maria Stephanie (Bolzano)
Flavio Scanferla (Venezia)
Frattarelli Daniele (Roma)
Gabrielli Danila (Aosta)
Gai Massimo (Torino)
Gammaro Linda (Verona)
Gangeri Fabio (Roma)
Garofalo Donato (Fermo)
Gazo Antonietta (Vigevano)
Gherzi Maurizio (Ceva)
Glauco Gianni (Prato)
Giozzet Morena (Feltre)
Giudicissi Antonio (Cesena)
Giuliani Anna (Vicenza)
Graco Angelo (La Spezia)
Grill Anna (Asti)
Gullo Maurizio (Lamezia Terme)
Guzzo Daniela (Livorno)
Heidempergher Marco (Milano)
Iacono Rossella (Civita Castellana)
Iadarola Gian Maria (Torino)
Iannuzzella Francesco (Reggio Emilia)
Isola Elisabetta (Ravenna)
La Milia Vincenzo (Lecco)
Laudadio Giorgio (Bassano del Grappa)
Laudon Alessandro (Trento)
Lenci Federica (Ancona)
Leonardi Sabina (Trieste)
Lepori Gianmario (Olbia)
Libetta Carmelo (Pavia)
Licciardello Daniela (Acireale)
Lidestri Vincenzo (Chioggia)
Lisi Lucia (Vimercate)
Lo Cicero Antonina (San Daniele)
Luciani Remo (Roma)
Magnoni Giacomo (Bologna)
Malandra Rosella (Teramo)
Manca Rizza Giovanni (Pontedera)
Manfrini Vania (Seriate)
Mangano Stefano (Varese)
Manini Alessandra (Piacenza)
Mariani Roberta (Vasto)
Marini Alvaro (Popoli)
Martella Vilma (Lecce)
Masa Maria Alessandra (Sondrio)
Mastrippolito Silvia (Lanciano)
Matalone Massimo (Catania)
Mauro Teresa (Rossano)
Mazzola Giuseppe (Mantova)
Mazzotta Antonio (Casale Monferrato)
Messina Antonina (Catania)
Michelassi Stefano (Firenze)
Migotto Clara (Vizzolo Predabissi)
Miniello Vincenzo (Pistoia)
Mollica Agata (Cosenza)
Montalto Gaetano (Taormina)
Montanari Marco (Albano Laziale)
Montemurro Vincenzo (Firenze)
Neri Loris (Alba)
Nicolai Giulia Adriana (Conegliano)
Nicosia Valentina (Formia)
Orani Maria Antonietta (Milano)
Panuccio Vincenzo (Reggio Calabria)
Panzino Antonio Rosario (Catanzaro)
Parodi Denise (Genova)
Pastorino Nadia (Novi Ligure)
Pellegrino Cinzia (Cetraro)
Perna Concetta (Cerignola)
Perosa Paolo (Pinerolo)
Pignone Eugenia (Rivoli)
Pinerolo Cristina (MIlano)
Piraina Valentina (Ivrea)
Piredda Maria (Sassari)
Pirrottina Maria Anna (San Benedetto del Tronto)
Pogliani Daniela Rosa Maria (Garbagnate Milanese)
Porreca Silvia (Altamura)
Pozzi Marco (Desio)
Previti Antonino (Santorso)
Puliti Maria Laura (Palestrina)
Randone Salvatore (Avola)
Rapisarda Francesco (Catania)
Ratto Elena (Genova)
Ricciardi Daniela (Castiglione del Lago)
Rocca Anna Rachele (Roma)
Russo Roberto (Bari)
Russo Domenico (Napoli)
Russo Francesco Giovanni (Scorrano)
Sabatino Stefania (Udine)
Santarelli Stefano (Jesi)
Santese Domenico (Taranto)
Santinello Irene (Piove di Sacco)
Santirosi Paola Vittoria (Spoleto)
Santoferrara Angelo (Civitanova Marche)
Santoro Domenico (Messina)
Saraniti Antonello (Milazzo)
Savi Umberto (Belluno)
Scalamogna Antonio (Milano)
Scalzo Berta Ida (Cirie’)
Scarfia Rosalia Viviana (Caltagirone)
Somma Giovanni (Castellamare di Stabia)
Stacchiotti Lorella (Giulianova)
Stramignoni Emanuele (Chieri)
Stucchi Andrea (Milano)
Taietti Carlo (Treviglio)
Tartaglia Luciano (Foggia)
Tata Salvatore (Mestre)
Timio Francesca (Perugia)
Todaro Ignazio (Piazza Armerina)
Toriello Gianpiero (Polla)
Torraca Serena (Salerno)
Totaro Erica (Dolo)
Tramontana Domenico (Vibo Valentia)
Trepiccione Francesco (Napoli)
Trubian Alessandra (Legnago)
Turchetta Luigi (Cassino)
Vaccaro Valentina (Alessandria)
Vecchi Luigi (Terni)
Visciano Bianca (Magenta)
Viscione Michelangelo (Avellino)
Vizzardi Valerio (Brescia)

 

Bibliografia

  1. Marinangeli G, Cabiddu G, Neri L et al; Italian Society of Nephrology Peritoneal Dialysis Study Group. Old and new perspectives on peritoneal dialysis in Italy emerging from the Peritoneal Dialysis Study Group Census. Perit Dial Int 2012; 32:558-65, https://doi.org/3747/pdi.2011.00112.
  2. Marinangeli G, Cabiddu G, Neri L et al; Italian Society of Nephrology Peritoneal Dialysis Study Group. Andamento della DP in Italia nei Centri pubblici non pediatrici. Risultati del censimento GSDP-SIN 2010 e confronto con i censimenti 2008 e 2005. G Ital Nefrol 2014; 31(4), http://www.nephromeet.com/web/procedure/protocollo.cfm?List=WsIdEvento,WsIdRisposta,WsRelease&c1=00194&c2=14&c3=1
  3. Marinangeli G, Cabiddu G, Neri L et al; Italian Society of Nephrology Peritoneal Dialysis Study Group. Peritoneal Dialysis in Italy: the fourth GSDP-SIN census 2012. G Ital Nefrol 2017; 34(2), https://giornaleitalianodinefrologia.it/en/2017/04/la-dp-in-italia-il-censimento-del-gsdp-sin-2012-cs-12/.
  4. Marinangeli G, Neri L, Viglino G et al; Peritoneal Dialysis Study Group of Italian Society of Nephrology.PD in Italy: the 5th GSDP-SIN Census 2014. G Ital Nefrol 2018;35(5), https://giornaleitalianodinefrologia.it/en/2018/09/la-dialisi-peritoneale-in-italia-il-5-censimento-del-gsdp-sin-2014/.
  5. Neri L, Viglino G, Marinangeli G et al; Peritoneal Dialysis Study Group of the Italian Society of Nephrology. Peritoneal Dialysis in Italy: the 6th GSDP-SIN census 2016. G Ital Nefrol. 2019 Jun 11;36(3):2019-vol3.
  6. Viglino G, Neri L, Alloatti S et al. Analysis of the factors conditioning the diffusion of peritoneal dialysis in Italy. Nephrol Dial Transpl 2007; 22:3601-5, https://giornaleitalianodinefrologia.it/en/2019/05/la-dialisi-peritoneale-in-italia-il-6-censimento-del-gsdp-sin-2016/.
  7. Quintaliani G, Di Luca M, Di Napoli A et al. Census of the renal and dialysis units by Italian Society of Nephrology: structure and organization for renal patient assistance in Italy (2014-2015). G Ital Nefrol 2016; 33(5), https://giornaleitalianodinefrologia.it/en/2016/10/censimento-a-cura-della-societa-italiana-di-nefrologia.
  8. ERA-EDTA Registry Annual Report 2019. Academic Medical Center, Department of Medical Informatics, Amsterdam, the Netherlands, 2021, https://www.era-online.org/registry/AnnRep2019.pdf.
  9. USRDS Annual Data Report. Volume 2 – ESRD in the United States, https://www.usrds.org/media/2283/2018_volume_2_esrd_in_the_us.pdf.
  10. Ikuto Masakane, Masatomo Taniguchi, Shigeru Nakai et al. Annual Dialysis Data Report 2016, JSDT Renal Data Registry (JRDR). Renal Replacement Therapy 2018; 4:45, https://rrtjournal.biomedcentral.com/articles/10.1186/s41100-018-0183-6.
  11. Canadian Institute for Health Information. Canadian Organ Replacement Register. Annual Report: Treatment of End-Stage Organ Failure in Canada, Canadian Organ Replacement Register.
  12. ANZDATA – Australia and New Zealand Dialysis and Transplant Registry – Annual ANZDATA Report – Adelaide, South Australia, https://www.anzdata.org.au/anzdata/publications/reports/.
  13. Registro Italiano di Dialisi e Trapianto, https://ridt.sinitaly.org/.
  14. Li PK, Chow KM, Cho Y et al.ISPD peritonitis guideline recommendations: 2022 update on prevention and treatment. Perit Dial Int. 2022; 42(2):110-153, https://doi.org/1177/08968608221080586.
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“Naked” exit-site for peritoneal dialysis catheters

Abstract

Exit site infections (ESI) and peritoneal catheter tunnel infections are strongly associated with peritonitis. Alternative exit-site dressings can include the use of water and soap and the absence of sterile gauze. This article reports our experience with “naked” exit-sites, meaning without any kind of gauze to cover them. From January 2017 to October 2020, we enrolled 38 patients of the Nephrology and Dialysis Unit of the “San Martino” Hospital in Belluno. Nine of these patients had a “naked” exit-site. At the end of the study, no significant differences were found in the percentage of ESI-free patients, in the incidence rate of ESI, in the relative risk of developing ESI and in the incidence rate of peritonitis.

Keywords: peritoneal dialysis, exit-site dressing, exit-site infections

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Introduzione

Le peritoniti nei pazienti in trattamento dialitico peritoneale (DP) sono responsabili di circa un quarto dei drop-out dalla metodica [1]. Le infezioni dell’exit-site e del tunnel del catetere peritoneale (ESI) sono fortemente predisponenti per peritoniti [2], per tale ragione le linee guida della Internationanl Society of Peritoneal Dialysis (ISPD) hanno più volte enfatizzato la necessità di un’attenta cura dell’emergenza cutanea del catetere [3,4]. Tra le possibili medicazioni dell’exit-site vanno considerate come valide alternativa, specie in soggetti con tendenza a reazioni allergiche ai materiali delle medicazioni, il semplice utilizzo di acqua e sapone [5] e l’assenza di garze a coperture. Quest’ultima opzione è contemplata sia nella gestione dei cateteri venosi centrali con cuffia e tunnel sottocutaneo [6] che in un recente studio prospettico, randomizzato e controllato di Mushahar et al. [7], peraltro citato nelle stesse linee guida ISPD. Il presente articolo riporta la nostra esperienza con exit-site “nudo”, intendendo con tale termine un exit-site del catetere peritoneale privo di alcuna medicazione a copertura.

 

Metodi

Nello studio in oggetto, di tipo osservazionale prospettico, è stata presa in esame la coorte di pazienti in DP afferenti all’UOC di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale “San Martino” di Belluno, AULSS1 DOLOMITI, da gennaio 2017 ad ottobre 2020. Tale corte comprendeva sia i pazienti già in trattamento che tutti i nuovi pazienti incidenti. Sono stati arruolati nel braccio ad exit-site nudo tanto i pazienti già in medicazione standard, ma con reazioni cutanee ai materiali utilizzati, quanto pazienti naive al trattamento dialitico peritoneale. In questi ultimi soggetti ogni valutazione atta all’arruolamento è stata eseguita al termine del periodo di break in.

La medicazione standard adottata dai pazienti del centro prevedeva disinfezione con ipoclorito di sodio 10% (Amuchina®), protezione dell’exit-site con garze sterili, copertura con medicazione in poliuretano, sterile, trasparente, impermeabile all’acqua (IV3000®). Il rinnovo della medicazione avveniva 2 volte a settimana, più ulteriori rinnovi in caso di medicazione bagnata o non adeguatamente adesa alla cute.

I pazienti eleggibili per exit-site “nudo” dovevano soddisfare tutti i seguenti criteri:

  1. presenza di catetere peritoneale a doppia cuffia
  2. distanza della cuffia esterna dall’exit-site >2 cm
  3. sinus lievemente invaginato, rivestito da cute sana e con inclinazione di 45° circa [8]
  4. assenza di infezioni della cuffia esterna e del tunnel in atto
  5. assenza di obesità (BMI <30), addome pendulo o adipe con “soffocamento” dell’exit-site

I criteri 2 e 4 erano anche confermati con ecografia, eseguita sempre dal medesimo operatore con esperienza ecografica e mediante Esaote MyLab™Five con sonda LA523 (lineare 13-4 MHz). Ulteriori criteri minori, non vincolanti per l’eleggibilità del paziente, erano l’assenza di diabete mellito e di cirrosi epatica. La cura dell’exit-site “nudo” prevedeva:

  1. lavaggio quotidiano della cute intorno al sinus con acqua e sapone antisettico (clorexidina digluconato 4%)
  2. asciugatura del sinus con garza sterile
  3. utilizzo di biancheria intima di cotone da sostituire quotidianamente
  4. ancoraggio del catetere alla cute con un cerotto per evitare trazioni dell’exit-site

Il controllo di tutti gli exit-site è stato effettuato secondo i criteri ISPD [4] ed adottando lo score modificato di Schaefer et al. [9] proposto in tale linea guida; veniva definito ESI un exit-site con punteggio ≥4 o con secrezione purulenta isolata. Se presente sospetto clinico veniva eseguito l’esame colturale ed il tunnel del catetere peritoneale veniva valutato ecograficamente. Era considerato suggestivo di infezione la presenza di una falda ipoecogena >2 mm intorno al catetere [10]. La terapia antibiotica è stata attuata secondo protocollo del centro, il follow-up ecografico dei tunnel infetti e le indicazioni alla rimozione del catetere hanno seguito i criteri proposti da Vychytil et al. [11].

I pazienti in medicazione standard, ma con reazioni cutanee ai materiali, a cui veniva proposto lo switch ad exit-site “nudo” erano sottoposti ad esame clinico ed ecografico volto ad escludere la presenza di ESI al momento dell’arruolamento.

Sia per il braccio sottoposto ad exit-site “nudo” che per il braccio controllo con medicazione standard è stato considerato come end point primario dello studio il tasso d’incidenza di ESI, mentre come end point secondario è stato preso in esame il tasso d’incidenza di peritoniti.

I dati sono stati espressi sia in termini di media e deviazione standard che in termini di mediana e 1°-3° quartile; sono stati quindi confrontati con test non parametrico di Mann-Whitney e con test esatto di Fisher in presenza di variabili categoriche. Il rischio di sviluppare infezione dell’exit-site viene mostrato con curva di sopravvivenza di Kaplan-Meier. La significatività statistica è considerata per p <0,05.

 

Risultati

Sono stati presi in esami complessivamente 38 pazienti. Di questi, 9 sono stati avviati ad exit-site “nudo”, 2 per switch da medicazione standard e 7 per avvio diretto dopo break in. Le caratteristiche cliniche e gli eventi infettivi dei due sottogruppi sono riportati in Tabella I e II rispettivamente.

  Medicazione standard Exit-site “nudo” p
N. pazienti 31 9
Maschi (%) 25 (80,6) 4 (44,4) <0,05
Età (anni)(media±DS) 62,8±14,5 67,4±6,9 0,16
Età (anni) (mediana (1° – 3°q)) 64 (58-73) 69 (69-70) 0,52
BMI (media±DS) 25,0±4,7 23,2±5,5 0,38
BMI (mediana (1° – 3°q)) 24,9 (22,1-27,8) 25,2 (20,9-26,8) 0,65
Diabete mellito (%) 10 (31,2) 1 (11,1) 0,21
Cirrosi epatica (%) 3 (9,7) 1 (11,1) 0,90
N. pazienti già in DP ad inizio osservazione 16 2
Età dialitica dei pazienti già in DP ad inizio osservazione (mesi)(media+DS) 40,8±26,4 45,8±14,1 0,55
Legenda: DS, deviazione standard
Tabella I: Caratteristiche cliniche

 

  Medicazione standard Exit-site “nudo” p
Tempo di follow-up cumulativo (mesi) 512,8 150,0
Tempo di follow-up per paziente (mesi)(media+DS) 16,5±14,9 16,7±15,3 0,97
Pazienti ESI-free (%) 24 (77,4) 8 (88,9) 0,45
N. ESI (exit-site e/o tunnel) 8 1 0,35
Frequenza (episodi/100 pazienti/anno) 18,7 8,0
S.aureus (%) 5 (62,5) 1 (100,0)
MRSA/MRSE (%) 1 (12,5) 0 (0,0)
Altri gram positivi (%) 0 (0,0) 0 (0,0)
P.aeruginosa (%) 1 (12,5) 0 (0,0)
Altri gram negativi (%) 1 (12,5) 0 (0,0)
Funghi (%) 0 (0,0) 0 (0,0)
N. peritoniti 5 2 0,67
Frequenza (episodi/100 pazienti/anno) 11,7 16,0
S.aureus (%) 1 (20,0) 0 (0,0)
MRSA/MRSE (%) 1 (20,0) 0 (0,0)
Altri gram positivi (%) 2 (40,0) 0 (0,0)
P.aeruginosa (%) 1 (20,0) 0 (0,0)
Altri gram negativi (%) 0 (0,0) 0 (0,0)
Funghi (%) 0 (0,0) 0 (0,0)
No crescita/No coltura (%) 0 (0,0) 2 (100,0)
N. rimozioni del catetere peritoneale 5 1
ESI non rensponder 3 0
Peritonite non responder 1 1
Legenda: DS, deviazione standard; MRSA/MRSE, methicillin resistant staphylococcus aureus / methicillin resistant staphylococcus epidermidis
Tabella II: Eventi infettivi

Il periodo di osservazione ha compreso complessivamente 662,8 mesi-paziente di follow-up, nei quali abbiamo registrato 9 episodio di ESI, di cui 2 con estensione al tunnel sottocutaneo, e 7 peritoniti, di cui solo 1 in presenza di ESI. Sono stati rimossi complessivamente 6 cateteri peritoneali, di cui 5 per causa infettiva.

Al termine di tale periodo, fra i pazienti in medicazione standard, 24 (77,4%) si sono mantenuti ESI-free, mentre nel gruppo in exit-site “nudo” 8 (88,9%); tale differenza non ha raggiunto livelli di significativa statistica. Il tasso di incidenza di ESI è stato di 18,7 episodi/100 pazienti/anno per il gruppo con medicazione standard e di 8,0 per quello in exit-site “nudo”, anche in questo caso però non si è raggiunta la significatività statistica. Il 66,7% delle infezioni dell’exit-site sono state da attribuire a Stafilococcus aureus meticillino sensibile. Il tasso di incidenza di peritoniti è stato simile fra i due gruppi (medicazione standard 11,7 vs 16 episodi/100 pazienti/anno exit-site “nudo”, p = 0,67). Il ricorso ad exit-site “nudo” non ha mostrato alcun effetto statisticamente significativo sul rischio di sviluppare ESI (RR 0,43; IC 95% 0,04-4,04) (Figura 1).

Figura 1: Curve di Kaplan-Meier per exit-site "nudo" (blu) e con medicazione standard (rosso)
Figura 1: Curve di Kaplan-Meier per exit-site “nudo” (blu) e con medicazione standard (rosso)

 

Discussione

Il trattamento dialitico peritoneale espone il paziente ad un non trascurabile rischio infettivo, causa anche di drop-out dalla metodica; per tale motivo le linee guida ISPD sottolineano l’importanza di una rigorosa cura dell’emergenza cutanea del catetere peritoneale. È ampia la letteratura che esplora le diverse possibilità di medicazioni dell’exit-site. Al contrario sono meno numerosi gli studi che valutano l’ipotesi di una “non-medicazione” caratterizzata dall’assenza di garze poste a protezione del sinus [12].

Nel 1984, in un piccolo studio randomizzato e controllato, Starzomski segnalava l’assenza di significative differenze infettive nei soggetti con o senza medicazione esterna [13]. Successivamente, Twardowski affermava che: “Late colonization, after the healing process is completed, is inevitable and mostly harmless, provided that the defence mechanisms are intact. Almost all healed catheter sinuses are colonized by bacteria”. L’Autore proponeva ai propri pazienti la pulizia della cute con acqua e sapone e dava loro la possibilità di omettere l’applicazione di una garza a protezione dell’exit-site ad un anno dal posizionamento del catetere [14]. Nel già citato studio di Mushahar et al., gli autori ipotizzano come una medicazione coperta non sia dotata di per sè di un effetto inibitorio sulla crescita dei microrganismi ma, al contrario, possa fornire un ambiente umido per una crescita batterica accelerata. Il possibile ruolo del clima caldo umido sulla proliferazione batterica era già stato evidenziato nei lavori di Alves et al. [15] e Stinghen et al. [16].

 

Conclusioni

Negli anni ultimi anni si assiste sempre più spesso alla presenza di pazienti privi di care-giver o alla comparsa di reazioni cutanee da cerotto. Queste esperienze, di concerto alla prassi di considerare la dialisi peritoneale come la prima opzione dialitica del nostro centro, ci hanno condotto gioco forza all’utilizzo dell’exit-site “nudo”. Con il presente lavoro abbiamo voluto esaminare la sicurezza di una procedura standardizzata, applicata in modo più estensivo, capace di identificare criteri chiari per l’eleggibilità dei pazienti e le modalità per la cura del sinus.

I criteri per l’arruolamento nel braccio ad exit-site “nudo” generano certamente un bias di selezione, ma tale scelta è stata compiuta con l’intenzione di ottenere risultati scevri da pre-esistenti anomalie del sinus o del catetere peritoneale. Per ragioni di safety del paziente, è stato lasciato al giudizio clinico la scelta di arruolare soggetti affetti da diabete mellito o cirrosi epatica [17,18,19]. L’esperienza documentata supporta l’ipotesi di una non inferiorità di tale approccio rispetto allo “standard care” di una medicazione del catetere peritoneale. Con i limiti dovuti all’esiguità del campione ed alla metodica dello studio, i risultati ottenuti ci appaiono confortanti in merito all’utilizzo dell’exit site “nudo”. Nel complesso, alla luce dei dati collezionati e dei feedback ottenuti dal personale e dai pazienti, la nostra esperienza può ritenersi positiva e meritevole di un più ampio campione e di un più esteso follow-up.

 

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Is peritoneal dialysis the first-choice renal replacement therapy for patients waiting for a kidney transplant?

Abstract

Kidney transplantation is the gold-standard treatment of end-stage renal disease. Receiving a pre-emptive transplant ensures the best survival for both the recipient and the allograft. However, due to an overwhelming discrepancy between available donors and patients on the transplant waiting list, the vast majority of transplant candidates require prolonged periods of dialytic therapy before transplant.

Peritoneal dialysis and hemodialysis have been traditionally considered as competitive renal replacement therapies. This dualistic vision has been recently questioned by emerging evidence suggesting that an individualized and flexible approach may be more appropriate. Tailored and cleverly planned shifts between different modalities, according to the patient’s needs, represents the best option.

Remarkably, recent data seem to support the use of peritoneal dialysis over hemodialysis in patients waiting for a kidney transplant. In this specific setting, the perceived advantages of PD are better overall recipient survival and quality of life, longer preservation of residual renal function, lower incidence of delayed graft function and reduced cost.

Keywords: peritoneal dialysis, kidney transplant, hemodialysis, renal replacement therapy, waiting-list, residual renal function, quality of life, delayed graft function

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Introduzione

Il trapianto di rene (KT) è ampiamente riconosciuto come la terapia renale sostitutiva (RRT) d’elezione per la malattia renale terminale (ESRD) [13]. Idealmente, sottoporre il paziente a KT prima dell’inizio della terapia dialitica è la strategia che permette di ottenere i risultati più soddisfacenti [46]. Tuttavia, a causa della limitata disponibilità di donatori, la maggior parte dei soggetti candidati a KT necessita di un lungo periodo di trattamento dialitico prima di ricevere un organo [7]. Per molti anni l’emodialisi (HD) ha rappresentato l’unica opzione per i pazienti in lista di trapianto [8,9]. Negli anni ‘80 l’avvento della dialisi peritoneale (PD) nella pratica clinica ha sollevato la questione di quale fosse la terapia dialitica da preferire nei pazienti candidabili a KT [10,11].

Le preoccupazioni maggiori concernenti l’uso della PD sono rappresentate dalla possibile creazione di leakage/aderenze peritoneali, dal rischio di infezioni peri-trapianto e dalla convinzione che la metodica sia correlata ad una maggiore incidenza di episodi di rigetto acuto [1216].

Sebbene diversi studi abbiano dimostrato che la PD non influenza negativamente il numero di complicanze chirurgiche e mediche precoci, molti nefrologi sono ancora riluttanti a proporre la PD come terapia sostituiva iniziale nei pazienti candidabili a KT. Questa tendenza è alquanto discutibile poiché l’HD e la PD non devono essere considerate tecniche dialitiche competitive, quanto piuttosto strategie complementari finalizzate a ottenere i migliori risultati prima e dopo il trapianto di rene [17].

Infatti, la tecnica dialitica dovrebbe essere personalizzata sulla base delle particolari caratteristiche e esigenze del singolo paziente tenendo in considerazione la loro variabilità nel tempo. Dunque, trasferimenti accuratamente pianificati fra le diverse tecniche di terapia renale sostitutiva dovrebbero essere accuratamente considerati nelle specifiche circostanze [18].

A questo riguardo, sempre maggiori evidenze sembrano suggerire che nei pazienti candidabili a trapianto di rene la PD permette di ottenere migliori risultati rispetto all’HD. In particolare, i vantaggi della PD sono rappresentati da un più lungo mantenimento della funzione renale residua, da una superiore qualità di vita, una minore incidenza di ritardata ripresa funzionale dell’organo trapiantato (DGF), una migliore sopravvivenza e una riduzione dei costi associati alla metodica. Il presente lavoro si prefigge, dunque, lo scopo di discutere i vantaggi teorici della “PD-first policy” nell’ambito del paziente candidabile a KT.

 

Sopravvivenza del paziente durante la terapia dialitica

I pazienti affetti da ESRD presentano un’elevata prevalenza di malattie cardiovascolari, un più alto rischio di eventi cardiovascolari maggiori e un’aumentata mortalità rispetto alla popolazione generale [7]. Questi fattori, purtroppo, possono ridurre in modo significativo la possibilità di rimanere in lista attiva di trapianto e inficiano tanto la sopravvivenza dell’organo quanto quella del ricevente dopo KT. Dunque, la terapia renale sostitutiva in grado di garantire la minore mortalità e la più bassa incidenza di comorbidità è certamente da preferire.

In uno studio condotto su 398.940 pazienti che hanno iniziato la terapia sostitutiva fra il 1995 e il 2000, Vonesh et al. [19] mostrarono che la sopravvivenza dei pazienti in PD e HD variava secondo specifiche caratteristiche legate al paziente, quali la causa dell’insufficienza renale, l’età e le comorbidità. In particolare, gli autori osservarono che, eccetto per i pazienti anziani con diabete in cui la PD presentava uno svantaggio di sopravvivenza, in tutti gli altri sottogruppi la mortalità fra i pazienti era simile o perfino migliore in PD. Uno studio danese basato su 4568 pazienti in HD e 2443 in PD evidenziava che i pazienti in PD possedevano un vantaggio in termini di sopravvivenza nei primi due anni di RRT [20]. In modo simile, un’analisi eseguita su una coorte di pazienti dializzati canadesi dimostrava che negli individui giovani e non affetti da diabete la sopravvivenza in PD era superiore rispetto all’HD e, sebbene di minore entità, questo vantaggio si confermava anche negli altri sottogruppi [21].

Liem et al., analizzando il registro olandese di malattia renale terminale (16.643 pazienti), osservavano che la sopravvivenza differiva fra le due metodiche dialitiche a seconda della presenza o meno di diabete e dall’età del paziente all’inizio della dialisi [22]. In particolare, gli autori concludevano che il vantaggio della PD sull’HD diminuiva con l’aumento dell’età del paziente e in presenza di diabete.

Degno di rilevanza è il risultato proveniente da uno studio di confronto (PD vs HD) includente 6637 coppie di pazienti accoppiate secondo il metodo del propensity score in cui i pazienti trattati con PD mostravano un rischio di mortalità complessivo inferiore dell’8% rispetto ai pazienti che iniziavano l’HD [23].

Dunque, considerando globalmente le evidenze a disposizione in letteratura, i pazienti giovani e non diabetici trattati con PD presentano un vantaggio in termini di sopravvivenza rispetto ai soggetti sottoposti a HD, in particolare nei primi anni di trattamento.

 

Sopravvivenza del paziente e dell’organo dopo trapianto di rene

Rispetto alla terapia dialitica, il trapianto di rene garantisce sia una migliore qualità che una più lunga aspettativa di vita [24,25]. Inoltre, il rientro in dialisi dopo il fallimento di un primo trapianto è caratterizzato da una maggiore mortalità in confronto al periodo di trattamento dialitico pre-trapianto [2628]. Dunque, la preservazione della funzione del trapianto è un requisito fondamentale al fine di ottimizzare la sopravvivenza del paziente.

Diversi studi hanno indagato l’impatto del tipo di metodica dialitica intrapresa dal paziente prima di essere sottoposto a trapianto sulla sopravvivenza dell’organo e del ricevente ottenendo, però, risultati divergenti.

Nei primi anni 90 uno studio includente 500 pazienti sottoposti a un primo trapianto di rene non mostrava né una differente percentuale di sopravvivenza a 5 anni dei soggetti (HD 88% vs PD 87%), né dell’organo (HD 67% vs PD 66%) confrontando i pazienti trattati precedentemente con HD o PD [29]. Simili valori sia di sopravvivenza dei pazienti che del trapianto venivano osservati in altri studi dall’Università dell’Ohio, dal CHRU di Lille e dall’Università di Glasgow su popolazioni più ridotte [3032], così come in una vasta analisi retrospettiva del database Medicare condotta su 22.776 soggetti [33].

Al contrario, Goldfarb-Rumyantzev et al. [34], utilizzando i dati provenienti dall’ U.S. Renal Data System (USRDS), osservavano che la PD era associata a una riduzione del rischio di fallimento del trapianto e di mortalità, pari al 3% in confronto al 6% dell’HD.

La maggior parte degli studi successivi non rilevavano, invece, la superiorità di una metodica rispetto all’altra, specialmente nel breve e medio termine [3539]. Tuttavia, estendo il follow-up a 10 anni, Lopez-Oliva et al. [40] riuscivano a dimostrare che la PD era associata a una minore mortalità rispetto all’HD [HR=2,62 (1,01–6,8); p=0,04], nonostante una sopravvivenza del trapianto pressoché sovrapponibile [HR=0,68 (0,41–1,10); p=0,12].

Allo stesso modo Schwenger et al. [41], utilizzando il vasto database dell’International Collaborative Transplant Study Group comprensivo di 60.008 riceventi, osservavano nei pazienti precedentemente trattati mediante PD una migliore sopravvivenza associata ad un’equivalente probabilità di fallimento dell’organo. L’analisi multivariata secondo il modello di Cox rivelava, infatti, che i pazienti in PD (n=11.664) mostravano una mortalità per tutte le cause del 10% inferiore (p=0,014) rispetto ai pazienti in HD (n=45.651) e una simile sopravvivenza del trapianto (p=0,39). Questa differenza in termini di mortalità appariva essere la conseguenza di una significativa riduzione di morte con organo funzionante secondaria a evento cardiovascolare nei pazienti che avevano ricevuto l’organo da un donatore a criteri espansi.

Valutando i risultati provenienti da tutti i riceventi di trapianto renale presenti nel Scientific Registry of Transplant Recipients, anche Molnar et al. [42] dimostravano che i pazienti in trattamento dialitico peritoneale prima del trapianto possedevano un minore tasso di mortalità (21,9/1000 paziente-anni, 95% intervallo di confidenza: 18,1–26,5) rispetto ai pazienti emodializzati (32,8/1000 paziente-anni, 95% intervallo di confidenza: 30,8–35,0). La PD pre-trapianto era associata ad una riduzione del 43% della mortalità corretta per diversi fattori confondenti e a un 66% di decremento della mortalità per evento cardiovascolare. Interessante è il fatto che la PD era, inoltre, associata a una riduzione del rischio di fallimento dell’organo trapiantato del 17% rispetto all’HD.

Nonostante la positività di queste evidenze, alcuni autori hanno riferito il vantaggio della PD in termini di risultati post-trapiantato a un possibile bias di selezione, in quanto i pazienti candidabili alla PD risulterebbero più sani rispetto a coloro che intraprendono la HD [4345]. Per smentire questa ipotesi, sono stati adoperati diversi modelli statistici con risultati alterni [33,34,36,46]. A riguardo, significativo è lo studio di Kramer et al. [47] che, utilizzando il metodo delle variabili strumentali al fine di minimizzare i potenziali bias derivanti da fattori confondenti non misurati, valutava i dati di 29.088 pazienti provenienti da registri regionali e nazionali europei. L’analisi standard corretta per l’età, il sesso, la malattia renale di base, la tipologia di donatore, la durata della dialisi e l’età del trapianto mostrava che la PD, come terapia sostitutiva prima del trapianto, era associata a una migliore sopravvivenza sia del ricevente [hazard ratio (HR) 95% CI = 0,83 (0,76–0,91)] che dell’organo trapiantato [(HR 95% CI 0,90 (0,84–0,96)] rispetto all’HD. Tuttavia, il metodo delle variabili strumentali dimostrava che la PD non correlava né con la sopravvivenza post-trapianto del paziente [HR (95% CI = 1,00 (0,97–1,04)], né con la sopravvivenza dell’organo [HR (95% CI) = 1,01 (0,98–1,04)].

Dunque, le evidenze disponibili suggeriscono che la PD come terapia sostitutiva pre-trapianto, a differenza dell’HD, possiede un effetto favorevole sulla sopravvivenza post trapianto del paziente, sebbene siano ancora mancanti solidi dati a lungo termine.

 

Ripresa funzionale ritardata

La DGF viene comunemente definita come la necessità di terapia dialitica durante la prima settimana successiva al trapianto o l’assenza di diminuzione della creatinina sierica di un valore pari o superiore del 50% (T Scr) alla terza giornata post-trapianto [48].

La DGF è stata considerata comunemente un surrogato di risultati a lungo termine, quali la sopravvivenza del paziente e dell’organo trapiantato [49], in quanto è un accertato fattore di rischio per il rigetto acuto, le complicanze peri-operatorie e la perdita precoce del trapianto [5053].

Giral-Classe et al. [54] dimostravano che la durata della DGF rappresenta un fattore predittivo indipendente di sopravvivenza a lungo termine dell’organo trapiantato. In particolare, gli autori identificavano un elevato rischio di fallimento del trapiantato nei pazienti con una DGF uguale o superiore a 6 giorni. Inoltre, Troppmann et al. [55] osservavano che la sopravvivenza dell’organo era ampiamente inferiore per i pazienti che manifestavano una DGF associata a rigetto. È stato, inoltre, dimostrato che il rigetto è più frequente nei casi in cui la biopsia venga eseguita per un mancato miglioramento della funzione renale (valore sierico di creatininemia stabile o decremento minore <10% per tre giorni consecutivi) [56].

L’influenza della modalità dialitica prima del trapianto sull’incidenza e la durata della DGF è stata oggetto di diversi studi. In particolare, Perez-Fontan et al. [50] valutarono l’incidenza e i fattori di rischio per il verificarsi della DGF confrontando i pazienti che erano stati trattati prima del trapianto mediante PD (n=92) rispetto con HD (n=587). Gli autori osservarono che la percentuale di DGF nel gruppo PD era pari a 22,5% mentre raggiungeva il 39,5% nel gruppo HD e che la modalità dialitica rappresentava il fattore predisponente più significativo per l’incidenza di DGF. Inoltre, stabilivano che una durata di DGF maggiore di 3 settimane si associava a una minore sopravvivenza dell’organo e ad un’aumentata mortalità.

In uno studio caso-controllo, 117 riceventi trattati in precedenza con PD venivano accoppiati per età, sesso, tempo in dialisi, compatibilità degli HLA e tempi di ischemia calda e fredda con altrettanti riceventi sottoposti a HD prima del trapianto renale [57]. La DGF si verificava nel 23,1% dei pazienti in trattamento con PD rispetto al 50,4% dei pazienti in HD (p=0,0001), mentre il sT1/2 Scr era pari a 5,0 ± 6,6 giorni nel gruppo PD in confronto a 9,8 ± 11,5 giorni del gruppo HD (p<0,0001).

Al contrario Caliskan et al., impiegando un simile metodo statistico non osservarono differenze in termini di incidenza di DGF fra i due gruppi [36].

Si specula che la più bassa incidenza di DGF descritta generalmente nei riceventi esposti in precedenza alla PD sia dovuto ad un bilancio idrico peri-operatorio più favorevole rispetto ai pazienti trattati con HD. A questo proposito, Issad et al [58] hanno dimostrato che i candidati al trapianto in PD possedevano una pressione arteriosa polmonare media pari a 21,1 mmHg e maggiore di 25 mmHg in più del 50% dei pazienti. Queste rilevazioni sembrano supportare la tesi che i pazienti in trattamento peritoneale siano spesso iper-idratati.

Tuttavia, analizzando i dati provenienti da soggetti sottoposti a primo trapianto di rene da donatore deceduto, un gruppo di ricercatori della università di Gent ha dimostrato che la PD come modalità dialitica pre-trapianto, così come l’ottimizzazione del bilancio dei liquidi pre-operatorio, rappresentavano due fattori predittivi indipendenti di immediata ripresa funzionale [48]. Questa osservazione suggerisce che gli effetti positivi della PD in termini di minore incidenza di DGF non dipendano unicamente dallo stato di idratazione del paziente.

Un’ulteriore evidenza che la PD riduca il rischio di DGF rispetto alla HD proviene dallo studio di Bleyer et al. [59] che, sfruttando l’archivio dati dello United Network of Organ Sharing, analizzavano i risultati precoci dopo trapianto di rene nei pazienti in PD e HD. In particolare, gli autori osservarono che la probabilità di manifestare oliguria nelle prime 24 ore post-trapianto era 1,49 (1,28–1,74) volte maggiore nei pazienti in HD. Questa differenza risultava perfino più pronunciata nei pazienti di etnia afroamericana.

Simili risultati sono stati descritti da lavori più recenti a conferma dell’ipotesi che la tecnica dialitica pre-trapianto può influenzare gli esiti post-intervento [32,33,42,60]. Diverse teorie sono state avanzate per spiegare la più bassa incidenza di DGF osservata nei pazienti in precedente trattamento con PD tra cui, oltre a un miglior equilibrio volemico, un ridotto stato di stress-ossidativo e una superiore funzione renale residua al momento del trapianto di rene.

 

Funzione renale residua

Nei pazienti affetti da malattia renale cronica si assiste ad una progressiva riduzione del valore di filtrazione glomerulare (GFR) associato nello stadio terminale a una riduzione graduale del volume urinario giornaliero. Questo fenomeno può, infine, determinare una riduzione della capacità vescicale, un’iperattività detrusoriale e un alterato svuotamento vescicale [6167].

È stato ampiamente documentato che i riceventi di trapianto renale con vescica atrofica o disfunzionale possiedono un elevato rischio di prolungato cateterismo vescicale, di complicanze urologiche precoci e di reflusso vescicoureterale [61,62,66]. È stata, inoltre, osservata una stretta correlazione tra la perdita della funzione renale residua (RRF) e specifici esiti post-trapianto, quali le complicanze urologiche post-intervento e la sopravvivenza dell’organo a breve termine [67].

Dunque, la preservazione della RRF nei pazienti in trattamento dialitico è fondamentale per minimizzare le complicanze urologiche precoci, il periodo di cateterismo vescicale post-procedurale e le infezioni urinarie. Ad oggi la durata della RRT rappresenta il fattore predittivo maggiormente associato all’atrofia vescicale e all’esaurimento della RRF [61,62,66,67]. Tuttavia, numerose evidenze suggeriscono che anche la tecnica dialitica pre-trapianto giochi un ruolo significativo nel rallentare la perdita della RRF.

La prima segnalazione della migliore preservazione della RRF nei pazienti in PD risale al 1983 [68]. Successivamente, diversi lavori hanno dimostrato la superiorità della PD rispetto alla HD nel mantenere la RRF con una riduzione relativa della perdita di GFR compresa fra il 20 e l’80% a seconda degli studi considerati [6973].

Nello studio prospettico NECOSAD-2 (prospective study Netherlands Cooperative Study on the Adequacy of Dialysis phase 2) venivano valutati per 12 mesi i valori di GFR di 522 pazienti in terapia dialitica. I risultati mostravano che la PD garantiva una migliore preservazione della RRF rispetto alla HD, anche dopo correzione per il GFR basale, l’età, la malattia renale di base, le comorbidità, l’indice di massa corporea, la pressione sanguigna sistemica, l’uso di farmaci antipertensivi e la causa di fallimento della metodica [74].

Inoltre, qualche studio ha valutato l’impatto dei nuovi regimi emodialitici. Come osservato precedentemente, la velocità di diminuzione della RRF risultava minore nei pazienti in PD, nonostante l’impiego di tecniche emodiafiltrative finalizzate alla minimizzazione dell’instabilità emodinamica [72,75,76].

La PD può favorire la preservazione della RRF attraverso multipli meccanismi. La metodica garantisce, infatti, minori squilibri volemici così come ridotte fluttuazioni della pressione osmotica rispetto alla HD diminuendo gli eventi di instabilità emodinamica transitoria [70]. Questo effetto è probabilmente associato sia ad una pressione glomerulare più stabile, sia a un valore di filtrazione più costante. L’assenza di rapidi cambiamenti del volume circolante e dell’osmolarità plasmatica può anche prevenire eventuali episodi di ischemia parenchimale [73]. Lo stato di modesto sovraccarico idrico frequentemente osservato nei pazienti in PD potrebbe giocare un ruolo nel mantenimento della RRF [77].

È interessante notare che esistono molteplici evidenze a supporto dell’influenza positiva della RRF sia nei pazienti in trattamento peritoneale [74,7885] che emodialitico [74,86]. Il contributo relativo della RRF e della clearance peritoneale nei confronti della sopravvivenza del paziente in PD è stato oggetto di numerose indagini. In particolare, lo studio NECOSAD-2 [74] e lo studio ADEMEX [84] hanno mostrato una riduzione della mortalità del 12 e dell’11%, rispettivamente, per ogni 10 litri/settimana/1,73 m2 di incremento di clearance della creatinina, mentre non si osservava una relazione fra la sopravvivenza del paziente e la dose di PD o il valore totale di rimozione delle piccole molecole. Inoltre, l’analisi multivariata, condotta su pazienti dell’Andalusia (n=402) incidenti in PD negli anni compresi fra il 1999 e il 2005, dimostrava che una RRF al di sotto del valore mediano (4,33 ml/min) era un fattore di rischio indipendente di mortalità [85].

Ulteriori benefici derivanti dalla preservazione della RRF sono rappresentati dalla diminuzione della pressione sistemica [87], dalla protezione dall’ipertrofia ventricolare sinistra [8890], dall’incremento della rimozione del sodio [91,92], da un più adeguato equilibrio volemico [92,93], da una maggiore clearance di b2-microglobulina [9497], da più elevati valori di emoglobina sierica [88,89], da un più adeguato stato nutrizionale [83,88,96,98], e dalla riduzione della quantità di molecole infiammatorie circolanti [99]. Inoltre, la RRF facilita il raggiungimento degli obbiettivi depurativi [74,75,81,82,86,88,100] e aiuta a controllare i livelli di fosfato/acido urico [88,91,101], bicarbonato [96] e colesterolo [102].

Dunque, il mantenimento a lungo termine della RRF rappresenta probabilmente il vantaggio più significativo della PD rispetto alla HD nei primi anni di RRT per i pazienti candidabili a trapianto.

 

Qualità di vita

Il trapianto renale garantisce una migliore qualità di vita (QoL) rispetto alla terapia dialitica [25,103,104]. Il tempo trascorso dai pazienti in lista trapianto varia a seconda della nazione considerata. Tuttavia, durante questo periodo una quota significativa dei candidati viene rimosso dalla lista o va incontro a decesso ancora prima di ricevere un organo.

Per esempio, analizzando i più recenti dati italiani del Centro Nazionale Trapianti, nel corso del 2020 2843 dei 7941 (circa 36%) pazienti in lista di attesa al 31 dicembre 2019 sono usciti di lista: 1623 per trapianto, 239 per decesso e 980 per inidoneità temporanea o definitiva. Inoltre, il tempo mediano di attesa prima di ricevere un organo era pari a circa 3 anni e 3 mesi [105].

Lo stadio terminale della malattia renale associato alla necessità di terapia dialitica cronica può inficiare diversi aspetti della vita del paziente influenzando negativamente il benessere fisico, psichico, sociale ed economico. Dunque, nei candidati al KT il mantenimento di una elevata qualità di vita anche durante l’attesa in lista rappresenta un obbiettivo di vitale importanza.

A differenza dell’HD, la metodica dialitica peritoneale può essere eseguita a domicilio dal paziente indipendentemente o con il supporto di un familiare/badante. Inoltre, il breve tempo richiesto per effettuare uno scambio, permette di stilare uno schema dialitico flessibile concedendo al paziente di viaggiare e di partecipare ad attività ricreative.

Come per i risultati clinici, il confronto della QoL sperimentata dai pazienti in HD rispetto ai soggetti in PD è un compito di non semplice realizzazione. A questo scopo, lo strumento maggiormente impiegato per la valutazione della QoL dei pazienti in trattamento dialitico è rappresentato dal questionario “Kidney Disease Quality of Life” (KDQOL) [106]. Successivamente, sono state proposte multiple versioni di questo score, quali la KDQOL-Short Form Version 1.3 [107], la KDQOL-Short Form 36 e la Short Form-12 [108]. Un altro questionario frequentemente utilizzato è il CHOICE Health Experience Questionnaire (CHEQ), formulato nello studio “Choices for Healthy Outcomes in Caring for End-Stage Renal Disease (CHOICE)”. Il CHEQ permette di integrare lo SF-36, essendo stato progettato per rilevare differenze più sottili fra la HD e la PD [109].

Tramite lo score KDQOL-SF 1.3, Wakeel et al. [110] confrontavano la QoL di 200 pazienti in HD o PD in Arabia Saudita. Dopo aver escluso i pazienti con difetti cognitivi, deficit neurologici e patologie psichiatriche, gli autori dimostravano che la PD era associata ad un punteggio più elevato in quasi tutti i domini esplorati. In un altro lavoro riguardante più di 300 pazienti, attraverso l’utilizzo del KDQOL-SF36, si evidenziava che i pazienti in PD possedevano un punteggio più alto nei domini inerenti allo stato lavorativo (25,00 vs 14,64; p=0,012), il supporto dallo staff dialitico (96,12 vs 83,11; p=0,008) e la soddisfazione complessiva del trattamento (81,61 vs 71,47; p <0,005) [111]. Un maggiore sostegno dal personale sanitario così come una maggiore soddisfazione globale rispetto alla terapia dialitica venivano osservati anche nello studio di De Abreu et al. [112]. Evidenze, invece, che la PD si associ a un minore stress emotivo in confronto alla HD sono state fornite dal più recente lavoro di Griva et al. [113] e dalla metanalisi di Cameron [114].

In uno studio trasversale condotto su 736 pazienti con ESRD (PD n=256 e HD n=480), gli autori formulavano uno specifico questionario basato sugli elementi specifici che i pazienti stessi percepivano come più rilevanti per la loro QoL. Analizzando i risultati ottenuti, i pazienti in PD mostravano una soddisfazione per la terapia dialitica in corso superiore agli individui in HD anche quando il punteggio veniva corretto per multipli fattori quali l’età, l’etnia, lo stato lavorativo e familiare, la distanza dal centro dialitico e il tempo trascorso dall’inizio della dialisi [115].

La capacità di preservare l’attività lavorativa dopo l’inizio della terapia dialitica è un altro significativo aspetto della QoL del paziente in RRT [116]. A questo riguardo, numerosi studi hanno dimostrato che la PD offre maggiori possibilità di occupazione rispetto alla HD [43,116118]. In particolare, secondo i dati dello studio CHOICE la percentuale di pazienti occupati in PD era 27% mentre solo 8,6% in HD [43].

Dunque, alla luce delle evidenze disponibili in letteratura, i pazienti in PD mostrano una più elevata soddisfazione, un migliore benessere psicologico, un minore stress emotivo e una maggiore probabilità di mantenere la propria occupazione rispetto ai pazienti in HD.

 

Costo

La RRT cronica rappresenta certamente uno dei costi più rilevanti dei sistemi sanitari pubblici e privati di tutto il mondo. Attuali stime prevedono che la prevalenza della ESRD aumenterà ulteriormente nel prossimo futuro sia a causa dell’aumento dell’incidenza di patologie quali l’ipertensione, il diabete e l’obesità, sia per il progressivo invecchiamento della popolazione [119121].

A questo riguardo, il trapianto renale garantisce una migliore sopravvivenza e qualità di vita rispetto alla terapia dialitica a costi decisamente minori [25,122,123]. Tuttavia, la maggior parte dei candidati a KT trascorrono inevitabilmente una considerevole quantità di tempo in dialisi prima di ricevere un organo [124]. Dunque, i costi della terapia sostitutiva provenienti dai pazienti in lista di attesa non dovrebbero essere ignorati [121].

Numerosi studi sono stati concepiti per confrontare le spese sostenute dalle modalità dialitiche. In una revisione della letteratura pubblicata nel 2008, Just et al. [125] concludevano che l’HD era più costosa della PD nei paesi economicamente più sviluppati, mentre risultati contrastanti venivano osservati nell’analisi dei costi dei trattamenti dialitici in Asia e Africa [126,127]. Questi dati rispecchiano probabilmente l’impatto delle differenze geografiche, sociali e culturali che determinano le effettive spese legate alla RRT. A questo riguardo, recentemente Karopadi et al. [128] hanno valutato i costi della PD e della HD in 46 nazioni con differente sviluppo economico. I risultati venivano espressi come spesa media annuale per paziente in HD diviso la spesa media annuale per paziente in PD (rapporto HD/PD). Il valore di questo rapporto era compreso fra 1,25 e 2,35 in 22 paesi (17 a intenso sviluppo economico e 5 a basso sviluppo), tra 0,9 e 1,25 in 15 stati (2 a intenso sviluppo economico e 13 a basso sviluppo), e compreso fra 0,22 e 0,9 in 9 nazioni (1 a intenso sviluppo economico e 8 a basso sviluppo). Globalmente, questi dati confermano l’evidenza che negli stati economicamente sviluppati la PD è meno costosa dell’HD, mentre nei paesi a minore sviluppo economico la PD può essere considerata un’opzione finanziariamente vantaggiosa solo nel caso in cui si crei un’economia di scala con una produzione locale del materiale di dialisi o si instaurino bassi costi di importo [128].

Analizzando le informazioni presenti nell’USRDS 2020 Annual Data Report [7], è possibile notare che la spesa del Medicare (corretta per l’inflazione totale) per paziente con ESRD è aumentata dal 2009 al 2018 di più del 2%, passando da 40,9 a 49,2 bilioni di dollari americani (USD). L’HD con i suoi 93.191 USD per persona/anno rimane la modalità di RRT più costosa seguita dai 78.741 USD della PD e dai 37.304 USD del trapianto renale. È stato, tuttavia, obbiettato che essendo relativamente breve la sopravvivenza della metodica peritoneale, dovrebbero essere presi in considerazione anche i costi legati al passaggio alla HD. In ogni caso i dati a disposizione sembrano suggerire un risparmio annuale di circa 15.000 USD/paziente e una spesa minore anche nei soggetti che vengono trasferiti dalla PD alla HD rispetto a coloro che sono trattati mediante HD [129,130].

Alla luce di questi risultati, è possibile osservare che la PD rappresenta una tecnica dialitica economicamente vantaggiosa in molti paesi. Questa conclusione è corroborata dal fatto che la maggior parte dei confronti fra le due metodiche non considerano numerosi costi indiretti della HD, come la perdita di produttività del paziente e dei suoi familiari e il costo legato ai trasporti. Infatti, come sottolineato in precedenza, la PD grazie alla flessibilità dello schema dialitico e la possibilità di eseguire gli scambi al domicilio permette più frequentemente la preservazione dell’attività lavorativa. Il mantenimento dell’occupazione è, infatti, un fattore di risparmio che raramente viene considerato.

Perciò, il vero rapporto HD/PD potrebbe essere perfino più elevato di quello riportato in quanto, scotomizzando i costi indiretti, tenderebbe a sottostimare il reale vantaggio economico della PD rispetto all’HD. Dunque, il costo legato alla metodica rappresenta sicuramente un ulteriore motivo per privilegiare la PD nei pazienti in attesa di trapianto renale.

 

Conclusioni

Storicamente, l’HD è stata considerata la metodica dialitica d’elezione per la maggior parte dei pazienti affetti da ESRD in attesa di trapianto renale. Nel corso degli anni, diversi studi hanno dimostrato, tuttavia, che l’ipotetico vantaggio dell’HD rispetto alla PD non era supportato da solide evidenze. Al contrario, un’analisi critica della letteratura mostra come la PD rappresenti la metodica sostitutiva di prima scelta per i pazienti in attesa di trapianto per i seguenti motivi (fig.1):

  • una migliore qualità di vita e sopravvivenza (perlomeno nel paziente giovane non diabetico);
  • una più lunga preservazione della diuresi residua, che permette di minimizzare l’incidenza delle complicanze urologiche e il tempo di cateterismo vescicale post-intervento;
  • una più bassa incidenza di ritardata ripresa funzionale dell’organo trapiantato;
  • un minore costo della tecnica.

Tuttavia, deve essere sempre perseguito un approccio integrato delle due modalità dialitiche, soppesando vantaggi e svantaggi di ogni trattamento alla luce delle peculiari caratteristiche di ogni singolo caso.

Figura 1: Sinossi dei vantaggi conferiti dalla dialisi peritoneale ai pazienti affetti da malattia renale cronica allo stadio terminale candidabili a trapianto di rene
Figura 1: Sinossi dei vantaggi conferiti dalla dialisi peritoneale ai pazienti affetti da malattia renale cronica allo stadio terminale candidabili a trapianto di rene

 

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Which future solutions for peritoneal dialysis?

Abstract

Peritoneal dialysis is an efficient renal replacement therapy for uremic patients but is currently under-prescribed. This is partly due to the unfavorable effects on peritoneal morphology and function (bioincompatibility) of current glucose-based solutions. Use of standard solutions can cause several peritoneal alterations including inflammation, mesothelial to mesenchymal transition, and neo-angiogenesis. The final step is fibrosis, which reduces the peritoneal filtration capacity and can lead to ultrafiltration failure and transfer of the patient to hemodialysis. Bioincompatibility can be local (peritoneum) but also systemic, due to the excessive absorption of glucose from the dialysate. Several strategies have been adopted to improve the biocompatibility of peritoneal dialysis solutions, based on the alleged causal factors. Some new solutions available on the market contain low glucose degradation products and neutral pH, others contain icodextrin or aminoacids. Clinical benefits have been associated with the use of these solutions, which however have some limitations and a debated biocompatibility profile. More recent strategies include the use of cytoprotective agents or osmo-metabolic agents in the dialysate. In this article, we review the different approaches currently under development to improve the biocompatibility of peritoneal dialysis solution and hence the clinical outcome and the viability of the technique.

Keywords: peritoneal dialysis, biocompatibility, peritoneum, dialysate, peritoneal dialysis solution

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Introduzione

La bioincompatibilità delle soluzioni per dialisi peritoneale (DP) rappresenta a tutt’oggi il tallone d’Achille della tecnica sostitutiva [1, 2] e la principale causa di drop-out nel lungo termine [3]. La biocompatibilità di una soluzione per DP può essere definita come la capacità di non modificare nel tempo le caratteristiche anatomiche e funzionali naturali e viene distinta in locale (peritoneo) e sistemica. È ben dimostrato che la prolungata esposizione della membrana peritoneale alla composizione altamente non fisiologica delle soluzioni standard di DP può causarne infiammazione, neoangiogenesi e fibrosi [4, 5]. La fibrosi peritoneale rappresenta lo step finale del danno a carico del peritoneo. In tale processo sono coinvolti meccanismi metabolici (metabolismo glicolitico, degli acidi grassi e del piruvato), fattori extracellulari come transforming growth factor-beta (TGF-beta), vascular endothelial growth factor (VEGF) e citochine proinfiammatorie, nonché fattori di segnale intracellulare (hypoxia-inducible factor 1-alpha, HIF-1a), la cui regolazione dovrebbe essere considerata per lo sviluppo di soluzioni più biocompatibili [2].

Il progressivo danno al peritoneo che si sviluppa in DP nel tempo è evidenziato da una aumentata velocità di trasporto dei piccoli soluti e da una riduzione della ultrafiltrazione (UF), che può arrivare ad una vera e propria incapacità ultrafiltrativa (UF failure) spesso caratterizzata da una alterata conduttanza osmotica [6]. In questi casi è necessaria la sospensione della terapia peritoneale e il passaggio all’emodialisi.

Numerosi fattori sono stati suggeriti quale causa di bioincompatibilità delle soluzioni standard di DP: elevato contenuto di glucosio, aumentati livelli di prodotti di degradazione del glucosio (glucose degradation products, GDPs) formatisi durante la sterilizzazione a caldo delle soluzioni contenenti glucosio, iperosmolarità, pH acido e uso del lattato come sostanza tampone [7]. Le strategie atte a ridurre o eliminare la tossicità associata alle soluzioni standard senza compromettere lo stato di salute del paziente rappresentano la principale sfida nel campo della DP.

Nel presente articolo, dopo un breve cenno sulle soluzioni alternative attualmente disponibili in commercio e relative limitazioni, verranno descritte le soluzioni in fase di sviluppo.

 

Soluzioni di DP disponibili in commercio alternative a quelle standard

Allo scopo di migliorare la bioincompatibilità delle soluzioni per DP sono state realizzate le cosiddette soluzioni “biocompatibili”, multicompartimento, con pH neutro o fisiologico e basso contenuto di GDPs [8]. L’uso di dette soluzioni, contenenti lattato e/o bicarbonato quale tampone, può associarsi a effetti favorevoli quali migliore conservazione della funzione renale residua e della diuresi [9] e (studio osservazionale) aumentata sopravvivenza del paziente [10]. Tuttavia, in un periodo di osservazione di 24 mesi, è stato riportato un graduale e significativo aumento dello stato di idratazione rispetto alle soluzioni standard, attribuibile ad una ridotta UF peritoneale [11]. Inoltre, studi recenti mettono in discussione la effettiva biocompatibilità delle soluzioni a pH neutro e bassi GDPs [12], pur se l’argomento è dibattuto [13].

Uno svantaggio delle soluzioni “biocompatibili” è la presenza del glucosio alle medesime elevate concentrazioni delle soluzioni standard. Il glucosio viene difatti considerato il principale responsabile delle alterazioni peritoneali che avvengono nel tempo nei pazienti in DP [14]. L’elevato contenuto di glucosio nelle soluzioni di DP stimola meccanismi pro-infiammatori, pro-angiogenici e pro-fibrotici (una trattazione dettagliata di tali meccanismi è contenuta nelle ref. 2 e 5). Inoltre, l’eccessivo assorbimento del glucosio presente nel liquido di dialisi può determinare sfavorevoli effetti metabolici sistemici associati ad una cronica iperglicemia, quali insulino- resistenza, slatentizzazione della malattia diabetica e patologie cardiovascolari [15, 16]. Pazienti con più elevato assorbimento peritoneale di glucosio hanno un aumentato rischio di mortalità cardiovascolare a 2 anni indipendente da altri fattori di rischio cardiometabolici [17].

Una ridotta esposizione del peritoneo alle sfavorevoli azioni del glucosio (glucose sparing) appare di critica importanza per migliorare la biocompatibilità delle soluzioni di DP e l’outcome del paziente. In commercio sono disponibili due tipologie di soluzioni senza glucosio, aventi come agente osmotico l’icodestrina o gli aminoacidi. L’icodestrina è un polimero del glucosio idrosolubile derivato dall’amido di mais, impiegata per lo scambio lungo giornaliero in quando induce una UF lenta ma prolungata, particolarmente indicata per i pazienti anurici e gli alto trasportatori [18]. Una recente revisione sistematica e meta-analisi ne evidenzia i chiari benefici nel migliorare l’UF peritoneale e nel ridurre gli episodi di sovraccarico liquido [19]. Può tuttavia indurre infiammazione sia a livello peritoneale che sistemico [20, 21]. Il recente sviluppo di soluzioni contenenti icodestrina a due camere consente di ottenere un pH neutro (le soluzioni convenzionali di icodestrina sono a 1 camera e pH acido) e risulta associarsi ad un miglior profilo di biocompatibilità [22, 23]. Le soluzioni contenenti aminoacidi (1.1%, pH 6.7, no GDPs) risultano particolarmente indicate per migliorare lo stato nutrizionale di pazienti in DP, in quanto aumentano l’uptake muscolare degli aminoacidi [24] e migliorano l’utilizzo degli stessi per la sintesi proteica, controllando i livelli di urea [25]. La biocompatibilità delle soluzioni con aminoacidi rimane tuttavia non ancora ben definita [1].

Diversi studi hanno evidenziato i potenziali benefici del glucose-sparing ottenuto con le suddette soluzioni [26]. Tuttavia, l’uso delle stesse può sostituire non più del 30-50% del glucosio assorbito giornalmente ed è limitato ad un singolo scambio giornaliero [26]. Inoltre, il loro effettivo impatto sulla membrana peritoneale non è mai stato valutato con biopsie dl tessuto peritoneale [1].

 

Soluzioni per DP in via di sviluppo

La soluzione ideale di DP dovrebbe consentire una UF e una rimozione di soluti prolungata e sostenuta, preservare la morfologia e la fisiologia della membrana peritoneale e non indurre effetti sistemici sfavorevoli se i soluti (come l’agente osmotico) vengono assorbiti. In base a questi criteri, vi sono stati pochi progressi nella tecnologia del dialisato per DP negli ultimi decenni e il continuato uso di soluzioni contenenti glucosio induce ancora una importante tossicità peritoneale e sistemica [7].

Le linee di sviluppo di nuove soluzioni per DP sono rappresentate (I) dalla ricerca di nuovi agenti osmotici sostitutivi del glucosio, (II) dalla supplementazione della soluzione standard con agenti citoprotettivi e (III) dall’approccio osmo-metabolico (Tabella 1).

Impiego di agenti osmotici in sostituzione completa del glucosio
Impiego di agenti citoprotettivi mantenendo inalterata la concentrazione di glucosio
Impiego di agenti osmo-metabolici con marcata riduzione del glucosio
Tabella 1: Strategie nello sviluppo di nuove soluzioni per dialisi peritoneale

Impiego di agenti osmotici in sostituzione completa del glucosio

La ricerca di agenti osmotici efficaci e sicuri da impiegare in sostituzione del glucosio nella soluzione di DP si è rivelata più complessa di quanto originariamente ritenuto. Diversi composti di basso peso molecolare testati sono difatti risultati associarsi al rischio di sindrome iperosmolare, avendo un assorbimento più rapido rispetto al loro metabolismo [27].

Glicerolo

Un esempio è costituito dal glicerolo, un composto organico con peso molecolare di 92 dalton, che rappresenta una fonte di energia per il metabolismo cellulare entrando nella via glicolitica attraverso una chinasi specifica che lo fosforila a glicerolo-3-fosfato (G3P). Sulla base di precedenti studi [28], Van Biesen et al. hanno valutato gli effetti di una minore (1.4%) concentrazione di glicerolo posto in soluzione con aminoacidi (0.6%), in pazienti non diabetici in CAPD [29]. I pazienti sono stati randomizzati ad un trattamento giornaliero per 3 mesi consistente in 2 scambi con la soluzione sperimentale glicerolo/aminoacidi (in sostituzione della soluzione standard al 2.27% di glucosio, usata in precedenza e di impiego continuato nel gruppo di controllo), uno con soluzione di glucosio e uno con icodestrina. L’uso degli aminoacidi ad una concentrazione inferiore rispetto alla soluzione convenzionale (aminoacidi 1.1%) ne consente un utilizzo 2 volte al giorno, con scambio aminoacidico comparabile [26]. L’impiego della soluzione sperimentale è risultato sicuro e ben tollerato, associandosi ad una UF peritoneale comparabile a quella ottenuta con le soluzioni standard, una significativa riduzione dell’assorbimento di glucosio e un aumento dei livelli di CA125 nel dialisato effluente (potenziale marker di migliore biocompatibilità) [29]. Resta da definire l’impatto metabolico del glicerolo in quanto, essendo captato e fosforilato a G3P a livello epatico, il glicerolo può alimentare sia la gluconeogenesi, produzione de novo di glucosio, che alimentare la via che porta alla sintesi dei glicerolipidi (i.e., trigliceridi). Queste due vie metaboliche possono esacerbare l’alterata omeostasi glucidica e lipidica in pazienti diabetici e/o insulino-resistenti in DP. Infatti, nella prima esperienza clinica in CAPD con quantità di glicerolo nel dialisato peritoneale superiore all’1.4% è stato osservato un incremento rimarchevole dei trigliceridi circolanti [28].

GLAD

La biocompatibilità delle soluzioni contenenti glicerolo è stata successivamente valutata in ratti uremici, randomizzati ad un trattamento per 16 settimane con una soluzione contenente una miscela di agenti osmotici (glicerolo 1.4%, aminoacidi 0.5%, glucosio 1.1%; GLAD) tamponata con bicarbonato/lattato o con una soluzione con glucosio al 3.86% [30]. In confronto a quest’ultima, la soluzione GLAD è risultata associarsi ad una migliore conservazione della morfologia peritoneale in termini di densità dei vasi e fibrosi dell’omento. La buona biocompatibilità a livello della membrana peritoneale di soluzioni contenenti aminoacidi, glicerolo e glucosio è stata osservata anche in altri modelli sperimentali [31]. In questo studio la soluzione sperimentale era stata sterilizzata mediante filtrazione per evitare la formazione di GDPs (mentre la soluzione standard di confronto con sterilizzazione a caldo) e conteneva come tampone il piruvato in sostituzione del lattato. Il piruvato è un metabolita di critica importanza nell’intersezione di diverse vie metaboliche, il cui impiego quale sostanza tampone è risultato associarsi ad una riduzione dell’angiogenesi e della fibrosi a carico della membrana peritoneale in ratti che vi sono stati esposti per 20 settimane, in confronto al trattamento standard con tampone lattato [32]. Occorre tuttavia sottolineare che i vantaggi del piruvato in sostituzione del lattato restano da definirsi, poiché soluzioni acquose di piruvato vanno rapidamente incontro ad una reazione di condensazione aldolica con formazione di parapiruvato, un potente inibitore del ciclo di Krebs se assunto dalle cellule [33].

Taurina

La taurina, un aminoacido (peso molecolare 125 dalton) con particolare stabilità nell’acqua, presente in elevata concentrazione nelle cellule di mammifero ove regola bilancio osmotico e trasporto ionico, è stata impiegata in un modello sperimentale di DP da Nishimura et al. [34]. La soluzione con taurina al 3.5%, a pH neutro e senza GDPs, ha mostrato una capacità di UF peritoneale paragonabile alla soluzione con glucosio al 3.86% e una migliore biocompatibilità [34]. Tuttavia, le attuali evidenze non consentono di escludere nel paziente uremico i rischi legati ad un accumulo di taurina, essendo il composto eliminato per la maggior parte a livello renale, come suggerito da uno studio in pazienti emodializzati [35].

Poliglicerolo iper-ramificato

Un altro composto testato per un possibile uso nella soluzione per DP in sostituzione del glucosio è il poliglicerolo iper-ramificato, un polimero poliestere idrofilico ottenuto dal glicidolo, altamente solubile in acqua e chimicamente stabile in soluzione acquosa [36]. In modelli animali di DP in acuto (8 ore) o cronico (3 mesi), l’uso di soluzioni contenenti poliglicerolo ha indotto un minor grado di infiammazione e danno della membrana peritoneale rispetto a soluzioni a base di glucosio, con UF e rimozione di soluti comparabili [37, 38]. Un successivo studio condotto in modelli sperimentali di sindrome metabolica (ratti ZSF1 obesi con diabete tipo 2) ha dimostrato che l’uso per 3 mesi della soluzione contenente poliglicerolo si associa ad una maggiore protezione strutturale e funzionale della membrana peritoneale e a minori effetti sfavorevoli sistemici (metabolismo, risposta immune, capacità antiossidante) rispetto sia a soluzioni a bassi GDPs che a quelle con icodestrina [39]. Per un impiego a lungo termine restano tuttavia da meglio definire il metabolismo del poliglicerolo e le possibili conseguenze di accumulo plasmatico e distribuzione tissutale [1].

 

Impiego di agenti citoprotettivi mantenendo inalterata la concentrazione di glucosio

Una possibile strategia atta ad attenuare la bioincompatibilità delle soluzioni a base di glucosio è rappresentata dall’impiego di additivi citoprotettivi nel liquido di dialisi.

Alanil-glutamina

Un esempio è il dipeptide alanil-glutamina (Ala-Gln), che rilascia la glutamina. La glutamina, il più abbondante aminoacido dell’organismo umano, oltre all’importante ruolo quale costituente delle proteine e nella transaminazione aminoacidica, possiede capacità regolatoria nella modulazione immune e cellulare [40]. L’esposizione delle cellule mesoteliali al liquido di DP induce stress cellulare e sopprime i meccanismi di risposta cellulare allo stress espletati dalle proteine heat shock [41]. Le inadeguate risposte allo stress cellulare, che determinano aumentata vulnerabilità delle cellule mesoteliali e ridotta funzione delle cellule immunocompetenti, sono state correlate a bassi livelli di glutamina, simili a quelli riscontrati nella cavità peritoneale durante la DP [41, 42]. Studi in vitro ed in vivo hanno mostrato che l’aggiunta di Ala-Gln a soluzioni di DP migliora risposta a stress cellulare e sopravvivenza delle cellule mesoteliali [42]. In differenti modelli sperimentali (ratto, topo) di DP, l’Ala-Gln ha ridotto spessore della membrana peritoneale ed angiogenesi, prevenuto la deposizione di matrice extracellulare nel peritoneo e attenuato l’espressione della via dell’Interleuchina (IL)-17 [43]. Più recentemente, la supplementazione della soluzione di DP con Ala-Gln è risultata in grado di ridurre la vasculopatia associata alla DP [44], nonché di aumentare nella membrana cellulare endoteliale l’abbondanza di proteine che regolano la funzione di barriera dell’endotelio come claudin-5 e zonula occludens-1 [45].

Nei primi studi clinici effettuati, la supplementazione a breve termine di Ala-Gln nella soluzione di DP si è associata ad un ripristino della risposta allo stress cellulare e ad una migliorata immuno-competenza delle cellule peritoneali [46, 47]. In un successivo studio [48] cross-over in doppio-cieco, 50 pazienti in DP sono stati randomizzati ad un trattamento per 8 settimane con soluzioni a bassi GDPs e pH neutro, addizionate o meno con Ala-Gln (8 mmol/l). Nel periodo di trattamento con Ala-Gln è stato osservato un miglioramento dei biomarcatori di integrità della membrana peritoneale, immuno competenza e infiammazione sistemica con ridotta perdita proteica [48]. Il profilo metabolomico del dialisato ha suggerito che la soluzione a base di glucosio addizionata con Ala-Gln possiede effetti antiossidanti [49]. Nell’insieme, le attuali evidenze indicano che la presenza di Ala-Gln nella soluzione per DP può comportare significativi benefici su integrità, immuno-competenza e funzione di trasporto della membrana peritoneale. Appare ora necessario un adeguato studio di fase III per determinare l’impatto della Ala-Gln su hard clinical outcomes.

Sulodexide

Altri studi hanno valutato il possibile impiego nella soluzione di DP del Sulodexide, una formulazione eparinode costituita all’80% da eparina a basso peso molecolare e al 20% da dermatan solfato a basso peso molecolare. Oltre 20 anni fa, Bazzato et al. hanno valutato in 16 pazienti in CAPD gli effetti della supplementazione con sulodexide (50 mg) nella sacca utilizzata nello scambio lungo notturno [52]. Dopo 30 giorni di trattamento, è stato riscontrato un significativo aumento del trasporto di urea e creatinina attraverso la membrane peritoneale e una significativa riduzione della perdita proteica peritoneale con aumento dell’albuminemia, parametri che nei successivi 30 giorni di wash-out sono tornati ai valori basali [50]. Questi risultati sono stati confermati in un successivo studio condotto in 6 pazienti in CAPD che hanno assunto il sulodexide per via orale [51]. Nello studio, della durata di 5 mesi, il sulodexide è stato somministrato ad un dosaggio mensilmente crescente (da 50 mg il primo mese a 125 mg il quinto mese), mostrando un effetto dose-dipendente senza raggiungere un plateau per quanto concerne il trasporto peritoneale di urea e creatinina. In entrambi gli studi [50, 51] non sono stati osservati eventi avversi. Un più recente studio ha valutato gli effetti sulla funzione di cellule mesoteliali umane, del dialisato ottenuto da 7 pazienti in CAPD dopo lo scambio notturno con sacca a base di glucosio 1.5%, addizionata o meno con sulodexide al dosaggio di 0.5 LRU/ml [52]. L’aggiunta di sulodexide è risultata associarsi a ridotta generazione intracellulare di radicali liberi, ridotta espressione genica e secrezione di IL-6, TGF-beta, VEGF, monocyte chemoattractant protein-1 (MCP-1) e vascular cell adhesion molecule-1 (VCAM-1), e a minore sintesi di collagene [52].

Eparina a basso peso molecolare e sodio citrato

Due studi randomizzati sono stati condotti in pazienti in DP per valutare gli effetti della somministrazione intraperitoneale una volta al giorno di eparina a basso peso molecolare. Lo studio danese ha mostrato che la tinzeparina riduce la concentrazione locale e sistemica di markers dell’infiammazione, aumenta l’UF e riduce la permeabilità peritoneale ai piccoli soluti [53]. Al contrario, lo studio condotto in Spagna non ha osservato effetti favorevoli della berniparina su UF o trasporto della creatinina, pur se l’UF è migliorata nei pazienti con franca insufficienza ultrafiltrativa [54]. I risultati discordanti possono essere legati a rilevanti differenze nel disegno dei 2 studi e non precludono un possibile uso dell’eparina come additivo nei pazienti in DP [2]. In linea con questi studi, Braide et al. hanno valutato l’impiego del sodio citrato quale additivo anti-infiammatorio nelle soluzioni di DP [55]. Il sodio citrato, chelando gli ioni calcio, ne blocca le interazioni con diversi sistemi calcio-dipendenti come coagulazione e complemento. Nello studio cross-over di Braide [55] sono stati comparati gli effetti di un singolo scambio con una soluzione a bassi GDPs con tampone lattato e glucosio al 2.5% (Gambrosol trio), addizionata o meno con citrato 5 mM/L. L’aggiunta del citrato è risultata associarsi ad un aumento dell’UF peritoneale e della clearance dei piccoli soluti, con minimi effetti sul metabolismo del calcio e dell’equilibrio acido-base. Restano ancora da definire gli effetti di un uso prolungato del sodio citrato nelle soluzioni di DP e i precisi meccanismi d’azione dell’additivo sui processi di trasporto peritoneale.

Idrogeno molecolare

Un altro composto valutato come possibile additivo alla soluzione di DP per migliorarne la biocompatibilità è l’idrogeno molecolare (H2), che ha un’azione biologica quale molecola anti-ossidante e anti-infiammatoria [56]. In vari modelli animali, l’H2 disciolto in acqua e somministrato per via orale o intraperitoneale è risultato in grado di ridurre significativamente il danno ossidativo e infiammatorio regolando l’espressione di numerose molecole [57]. In 6 pazienti in CAPD, campioni ematici e di liquido effluente ottenuti dopo peritoneal equilibration test (PET) con la soluzione standard o con la soluzione arricchita in H2 hanno documentato con quest’ultima una significativa riduzione dello stress ossidativo a livello sia peritoneale che sistemico in assenza di eventi avversi [58]. In un successivo studio nel modello sperimentale di DP nel ratto, l’uso per 10 giorni di una soluzione con glucosio al 2.5% contenente H2 disciolto (400 parti per miliardo) ha preservato l’integrità delle cellule mesoteliali e della membrana peritoneale in confronto alla stessa soluzione non addizionata [59]. Più recentemente, nel modello di topo con fibrosi peritoneale indotta dal glucosio ad elevata concentrazione, il trattamento con un dialisato arricchito con H2 ha inibito la progressione della fibrosi attraverso l’eliminazione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) intracellulari e l’inibizione della via PTEN/AKT/mTOR [60]. Queste osservazioni suggeriscono la necessità di futuri studi clinici atti a valutare efficacia e sicurezza dell’impiego diH2 dissolto nella soluzione di DP.

Inibizione del trasportatore del glucosio sodio-dipendente di tipo 2

Una ulteriore strategia per preservare struttura e funzioni peritoneali può essere rappresentata dall’impiego nella soluzione di inibitori del trasportatore del glucosio sodio-dipendente di tipo 2 (SGLT2), presente nelle cellule mesoteliali di ratto, topo e uomo [61]. L’inibizione di SGLT2 ha mostrato proprietà anti-fibrotiche a livello renale, epatico e cardiaco [62, 63]. In modelli animali di topo, il trattamento per 5 settimane con una soluzione al 4.25% di glucosio e tampone lattato addizionata con dapagliflozina (1 mg/kg peso corporeo), ha indotto minori alterazioni fibrotiche e angiogeniche con miglioramento dell’UF in confronto a medesime soluzioni non supplementate [61]. In un analogo modello sperimentale, l’impiego per 4 settimane di empagliflozina (6 mg/kg peso corporeo) nella soluzione al 4.25% di glucosio ha mostrato un effetto protettivo sullo sviluppo della fibrosi peritoneale, attraverso la soppressione del signaling TGF-beta/Smad [64].

Cloruro di litio

Infine, segnaliamo un recentissimo studio in cui l’aggiunta di cloruro di litio a soluzioni di glucosio per la dialisi peritoneale riduceva in modelli in vitro ed in vivo l’apoptosi, la fibrosi della membrana peritoneale e l’angiogenesi [65]. L’azione del cloruro di litio sembrerebbe essere di natura pleiotropica comprendente la regolazione di alcuni meccanismi intra-mesoteliali chinasi-dipendenti, come la glicogeno sintasi chinasi 3 e la proteina chinasi 2 attivata dalla MAP-chinasi. Il potenziale utilizzo e/o riposizionamento di un farmaco utilizzato come antidepressivo e potenzialmente nefrotossico pone sicuramente qualche dubbio sui potenziali effetti collaterali sul sistema nervoso centrale e sulla funzionalità renale residua di pazienti in DP esposti per via peritoneale al cloruro di litio.

 

Impiego di agenti osmo-metabolici con marcata riduzione del glucosio

Le attuali evidenze derivanti dagli studi effettuati e dalle esperienze con le soluzioni attualmente disponibili che consentono un risparmio di glucosio (icodestrina, aminoacidi) indicano che il futuro della DP dipende largamente dall’impiego di nuovi agenti osmotici, in grado di migliorare biocompatibilità, bilancio dei fluidi e, di non minore importanza, gli effetti metabolici della soluzione. L’approccio osmo-metabolico rappresenta una nuova strategia atta ad antagonizzare la tossicità associata all’elevato carico di glucosio, che si basa sull’impiego nella soluzione di osmo-metaboliti che possiedono favorevoli proprietà osmotiche e metaboliche, mantenendo una minima quantità di glucosio [14]. Tale approccio può consentire un risparmio del glucosio di tipo bioattivo, riducendone il carico peritoneale senza compromettere l’UF e mitigandone gli sfavorevoli effetti metabolici sistemici [14].

L-carnitina (LC) e xilitolo rappresentano due esempi di composti osmo-metabolici. La LC è un composto naturale essenziale per l’ossidazione degli acidi grassi a livello mitocondriale [66]. Lo xilitolo, un composto anch’esso molto diffuso in natura, è un importante intermedio del metabolismo epatico legato al ciclo dell’acido glucuronico-xilulosio a sua volta intimamente connesso con la via dei pentosi fosfati [67]. LC e xilitolo hanno un peso molecolare simile al glucosio, elevata solubilità in acqua e stabilità chimica in soluzioni acquose, nonché proprietà osmotiche, il che le rende utilizzabili nel liquido di DP [14]. Evidenze da diversi modelli sperimentali hanno inoltre mostrato un migliore profilo di biocompatibilità di soluzioni contenenti LC o xilitolo rispetto a soluzioni a base di glucosio [2].

Diversi studi clinici hanno mostrato sicurezza e tollerabilità dell’impiego di LC nel liquido di DP [68]. LC supplementata nella soluzione notturna di pazienti in CAPD ha dimostrato efficacia nel favorire l’UF peritoneale [69]. Inoltre, in uno studio multicentrico randomizzato l’uso per 4 mesi di soluzioni addizionate con LC (2 grammi in ciascuna sacca negli scambi diurni) in pazienti in CAPD è risultato associarsi ad un significativo miglioramento dell’insulino-resistenza [70], un riconosciuto fattore di rischio cardiovascolare [71]. Tale favorevole azione sul metabolismo glucidico è ascrivibile al raggiungimento di livelli sovrafisiologici (ma sicuri) di LC, quali quelli ottenuti nello studio [70], in grado di modulare i livelli nei mitocondri di acetil-coenzima A, un metabolita chiave che influenza sia l’utilizzo del glucosio nei muscoli sia la produzione epatica di glucosio [72]. È interessante notare anche che l’uso delle soluzioni con LC per 4 mesi ha consentito di mantenere la diuresi residua, a differenza della riduzione osservata nel gruppo di controllo trattato con soluzioni non supplementate [70].

L’esperienza clinica con lo xilitolo fa riferimento ad uno studio ormai datato, in cui 6 pazienti in CAPD con diabete insulino-dipendente mal controllato sono stati trattati con soluzioni esclusivamente a base di xilitolo in sostituzione del glucosio: 1.5% nei 3 scambi diurni, 3% nello scambio lungo [73]. Dopo un follow-up di 5 mesi, l’impiego di tale regime dialitico si è dimostrato sicuro e tollerato, con mantenimento del bilancio dei liquidi e con un significativo miglioramento del controllo glicemico, attestato dalla riduzione dell’emoglobina glicata e del 50% circa della necessità insulinica. Gli effetti positivi sull’omeostasi glucidica sono solo in parte attribuibili alla sostituzione del glucosio con lo xilitolo, poiché quest’ultimo ha un basso indice glicemico, inibisce la produzione epatica di glucosio e ha un minor effetto di stimolo sulla secrezione di insulina rispetto al glucosio [74].

In base alle osservazioni finora descritte, sono state recentemente prodotte soluzioni contenenti LC e xilitolo, allo scopo di ottenere una favorevole azione sinergica dei due agenti osmo-metabolici. Nel primo lavoro sperimentale sono stati valutati gli effetti di una soluzione per DP con LC, xilitolo e piccole quantità di glucosio su cellule endoteliali umane ottenute dal cordone ombelicale di gestanti sane o con diabete gestazionale, una condizione caratterizzata da un processo infiammatorio simile a quello dell’uremia [75]. Rispetto a quanto osservato con una soluzione a pH neutro e bassi GDPs, in entrambi i tipi cellulari la soluzione sperimentale ha indotto una migliore sopravvivenza delle cellule, una riduzione dello stress nitro-ossidativo e nessun effetto pro-infiammatorio. Da notare come la presenza di piccole quantità di glucosio non sia risultata associarsi a effetti sfavorevoli nella formulazione della soluzione sperimentale, così che può essere mantenuta per sfruttare le capacità ultrafiltrative del glucosio [75].

Infiammazione, angiogenesi e transizione epitelio (o mesotelio) -mesenchima sono i complessi processi tra loro interconnessi che portano alla fibrosi peritoneale nel lungo termine della DP. Studi sperimentali piuttosto recenti hanno mostrato la capacità di antagonizzare tali processi da parte di soluzioni con LC, xilitolo e piccole quantità di glucosio. Piccapane et al. hanno esaminato gli effetti di tali soluzioni su cellule mesoteliali umane confrontandoli a quelli di numerose altre soluzioni per DP (standard, “biocompatibili”, con icodestrina o aminoacidi) [76]. In questo modello di studio, le cellule sono state esposte alle soluzioni solo sul lato apicale, mimando in tal modo ciò che avviene in vivo durante uno scambio peritoneale. L’uso delle soluzioni sperimentali, rispetto alle altre soluzioni testate, si è associato a: maggiore vitalità cellulare e conservazione dell’integrità dello strato delle cellule mesoteliali; limitata capacità di attivare l’inflammasoma delle cellule mantenendone così una appropriata omeostasi, come evidenziato dall’analisi di un pannello costituito da 27 citochine, chemochine e fattori di crescita; migliore capacità di preservare l’integrità delle giunzioni strette nei monostrati mesoteliali e di prevenire la caduta della resistenza elettrica transepiteliale, antagonizzando in tal modo l’attivazione della transizione epitelio-mesenchimale in cui le cellule mesoteliali acquisiscono un fenotipo simil-fibroblasto con proprietà invasive e fibrogeniche [77].

Un lieve effetto pro-angiogenico e pro-infiammatorio di soluzioni con LC e xilitolo in confronto alla più marcata azione pro-angiogenica e pro-infiammatoria di soluzioni di glucosio con bassi GDPs, è stato confermato in differenti linee cellulari umane endoteliali e mesoteliali [78]. Le cellule esposte alla formulazione sperimentale hanno mostrato una maggiore vitalità e integrità di membrana (permeabilità, fenotipo) rispetto agli effetti cellulari di soluzioni “biocompatibili”. Inoltre, il trattamento con soluzioni contenenti LC e xilitolo ha indotto una significativa riduzione dell’espressione genica di TGF-beta e non ha attivato i processi di transizione mesotelio-mesenchima o endotelio/mesenchima, il che ne suggerisce un ulteriore contributo nel ridurre la fibrosi peritoneale [78].

Due studi clinici sono stati progettati per valutare tollerabilità, sicurezza ed efficacia in vivo delle nuove soluzioni con agenti osmo-metabolici in pazienti in CAPD. Lo studio FIRST (efficacy and saFety assessments of a peritoneal dIalysis solution containing glucose, xylitol and L-caRnitine compared to standard PD SoluTions in CAPD; NCT 04001036) è uno studio di fase 2, prospettico in aperto, attualmente in corso; lo studio ELIXIR (a study to EvaLuate the effIcacy and safety of Xilocore, a glucose sparIng expeRimental solution for PD; NCT 03994471) è uno studio internazionale randomizzato, controllato, della durata prevista di 6 mesi di trattamento, in avanzata fase di realizzazione.

L’andamento dello studio FIRST è stato fortemente ostacolato dalla pandemia COVID-19 e relative conseguenze. Lo studio prevede l’impiego di soluzioni con LC, xilitolo e basso glucosio per 4 settimane, con valutazione comparativa con le 4 settimane precedenti e le 4 successive, in due gruppi di pazienti in CAPD: gruppo A, trattati con un solo scambio notturno con glucosio 2.5%, e gruppo B, trattati negli scambi diurni con glucosio 1.5% e icodestrina nello scambio notturno. Nelle 4 settimane di trattamento attivo, in sostituzione delle soluzioni routinariamente impiegate, i pazienti del gruppo A hanno ricevuto la soluzione IPX15, quelli del gruppo B la soluzione IPX07. La composizione delle due soluzioni sperimentali è riportata nella Tabella 2 ed è stata realizzata conformemente alle evidenze ottenute dagli studi sperimentali sopra descritti.

IPX15 IPX07
Xylitolo (%) 1.5 0.7
L-carnitina (%) 0.02 0.02
Glucosio (%) 0.5 0.5
Sodio (mmol/l) 134 134
Calcio (mmol/l) 1.75 1.75
Magnesio (mmol/l) 0.5 0.5
Cloro (mmol/l) 103.5 103.5
Lattato (mmol/l) 35 35
pH 5.5 5.5
Tabella 2: Composizione delle soluzioni sperimentali nello studio FIRST [79]

Sono stati recentemente pubblicati i primi dati dello studio, ottenuti nei pazienti del Centro di Chieti [79]. Trattasi di 6 pazienti del gruppo A e 4 del gruppo B. In tutti i pazienti, l’uso delle soluzioni sperimentali è risultato sicuro e ben tollerato. L’efficacia della depurazione/rimozione delle piccole molecole valutata come clearance della creatinina e Kt/V dell’urea ha mostrato un lieve incremento al termine del periodo di intervento, così come la funzione renale residua. Il trasporto peritoneale valutato con PET standard ha mostrato un trend per la creatinina simile al Kt/V con stabilità del glucosio: ciò suggerisce una migliorata clearance peritoneale per i piccoli soluti senza incremento dell’assorbimento di glucosio. Diuresi giornaliera e UF peritoneale si sono mantenute stabili [79]. Questi interessanti risultati indicano una non inferiorità delle soluzioni contenenti LC e xilitolo rispetto alle soluzioni standard per quanto concerne adeguatezza e trasporto peritoneale, ma sono ovviamente preliminari e necessitano di ulteriori conferme.

 

Conclusioni

In DP, vi è la assoluta necessità di soluzioni più biocompatibili nonché efficaci, per migliorare l’outcome clinico del paziente e la sopravvivenza della tecnica dialitica. Appare altresì necessaria l’identificazione di nuovi biomarcatori indicativi dello stato di salute e del trasporto del peritoneo, nonché dei processi patologici in corso, quali strumenti di guida nel personalizzare gli interventi nei pazienti in DP a rischio di complicanze. Al riguardo l’analisi proteomica del liquido di dialisi effluente potrebbe essere di notevole contributo [80].Attualmente sono in fase di validazione clinica nuove soluzioni per DP basate su approcci differenti, che si sono dimostrate sicure e ben tollerate nel breve e medio termine. I promettenti risultati ottenuti necessitano ora di adeguati studi a lungo termine, che potranno meglio definire il ruolo delle nuove soluzioni nella pratica clinica quotidiana.

 

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Urgent-start PD: a viable approach

Abstract

Despite the many potential benefits of peritoneal dialysis (PD), the percentage of dialysis patients treated with PD is around 10% worldwide. Up to 70% of the subjects who progress to end-stage renal disease (ESRD) start dialysis without a well-defined therapy plan. Most of these patients are unaware of having chronic kidney disease, while others with stable CKD incur in unpredictable and acute worsening of kidney function.

As a matter of fact, 80% of incident HD patients start dialysis with a central venous catheter (CVC) even though starting HD with a CVC is independently associated with increased mortality, high rates of bacteremia, and increased hospitalization rates. Thus, PD is an excellent but underused mode of dialysis. Offering it to patients who present late to dialysis therapy, due to uremic state or hypervolemia, may help increase its application in the future.

This approach has been recently denominated “urgent-start peritoneal dialysis” (UPD). Based on the break-in period, it is possible to differentiate UPD from “early-start peritoneal dialysis” (EPD). The outcome of UPD depends on the right selection of patients, the appropriate placement of the catheter and the adequate education of the nursing and medical staff. Moreover, using modified catheter insertion technique aimed at creating a tight seal between the inner cuff and the abdominal tissues, as well as employing protocols that use low-volume exchanges in a supine posture, could minimize the occurrence of early mechanical complications.

Although the probability of mechanical complications is higher in early-start PD patients, UPD/EPD show a mortality rate, a PD survival and an infectious complication rate comparable with conventional PD. In comparison to urgent-start hemodialysis via a CVC, UPD can be a safe and cost-effective alternative that decreases the incidences of catheter-related bloodstream infections and hemodialysis-related complications. Furthermore, UPD can promote the diffusion of PD.

 

Keywords: peritoneal dialysis, urgent-start, early-start, leakage, displacement, low-volume

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Introduzione

La dialisi peritoneale (PD) possiede diversi benefici rispetto all’emodialisi (HD): una maggiore adattabilità della metodica agli stili di vita individuali, una più lunga conservazione della diuresi residua [1,2], un minore costo economico [3,4] e una sopravvivenza sovrapponibile o, in alcune casistiche, perfino migliore nei primi anni di trattamento [5,6]. Ciò nonostante, solo il 10% dei pazienti con malattia renale terminale (ESRD) viene trattato con la PD.

Fino al 70% dei soggetti affetti da ESRD, per la mancanza di una precedente valutazione nefrologica, o per la necessità di iniziare urgentemente il trattamento sostitutivo, incominciano la terapia dialitica senza una chiara programmazione [7]. Molti di questi pazienti non sono a conoscenza della propria malattia renale cronica (CKD), altri, sebbene consapevoli, trascurano la propria condizione, mentre altri ancora con CKD stabile vanno incontro a un peggioramento acuto della funzione renale a causa di un evento imprevedibile.

 

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Mini-invasive surgical techniques for rescuing the peritoneal catheter in refractory tunnel infections

Abstract

Infections continue to be a major cause of morbidity and mortality in patients on renal replacement therapy with peritoneal dialysis (PD). Despite great efforts in the prevention and treatment of infective complications over the two past decades, catheter-related infections represent the most relevant cause of technical failure. Recent studies support the idea that exit-site/tunnel infections (ESI/TI) have a direct role in causing peritonitis. Since the episodes of peritonitis secondary to TI lead to catheter loss in up to 86% of cases, it is advised to remove the catheter when the ESI/TI does not respond to medical therapy. This approach necessarily entails the interruption of PD and, after the placement of a central venous catheter, the shift to haemodialysis (HD). In order to avoid the change of dialytic method, the simultaneous removal and replacement (SCR) of the PD catheter has also been proposed. Although SCR avoids temporary HD, it requires the removal/reinsertion of the catheter and the immediate initiation of PD, with the risk of mechanical complications such as leakage and malfunction. Several mini-invasive surgical techniques have been employed as rescue procedures: curettage, cuff-shaving, the partial reimplantation of the catheter and the removal of the superficial cuff with the creation of a new exit-site. These procedures allow to save the catheter and have a success rate of 70-100%. Therefore, in case of ESI/TI refractory to antibiotic therapy, a mini-invasive surgical revision must always be considered before removing the catheter.

 

Keywords: peritoneal dialysis, exit-site infection, tunnel infection, peritonitis, cuff-shaving, ultrasounds.

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Introduzione

Le complicanze infettive rappresentano la causa più significativa di morbilità e mortalità per i pazienti in dialisi peritoneale (DP) [1,2]. Negli ultimi vent’anni nonostante siano stati compiuti enormi sforzi finalizzati alla prevenzione e al trattamento degli episodi infettivi [36], le infezioni correlate al trattamento dialitico peritoneale costituiscono ancora oggi la causa principale di cessazione della DP [79].

Lavori recenti sembrano confermare la teoria che attribuisce alle infezioni dell’emergenza (ESI) un ruolo diretto nel causare la peritonite [10,11]. In particolare, è stata avanzata l’ipotesi che i microrganismi siano in grado di trasmigrare dall’emergenza cutanea lungo il tunnel fino alla cavità peritoneale [12]. Durante questo avanzamento i microrganismi possono depositarsi a livello della cuffia superficiale colonizzandola, e formare, in tale sede, un biofilm che ne facilita la proliferazione [13,14]. Inoltre, la creazione di tale strato, permettendo la protezione dei microbi da eventuali sostanze battericide, rende queste infezioni poco responsive alla terapia medica richiedendo nella maggior parte dei casi la rimozione del catetere [15]. Una volta colonizzata la cuffia, i microrganismi allo stato sessile sono in grado di passare dalla condizione di quiescenza a quella planctonica con la possibilità di migrare sia verso l’emergenza che verso la cuffia profonda determinando, nel primo caso infezioni ricorrenti dell’exit-site, e nel secondo peritoniti [16,17]. Gli episodi di peritonite secondari a infezione del tunnel (TI) sono responsabili nell’ 86% dei casi della perdita del catetere [18].

 

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