Clinical Thermography for the Management of Hemodialysis Vascular Access

Abstract

The arteriovenous fistula (AVF) represents the favorite vascular access in individuals with chronic kidney disease (CKD). Because AVF is a guarantee of survival for these patients, proper surgical packing and a timely follow-up program is crucial.
Although a good objective examination of the limb site of FAV provides useful information both in planning the fistula surgery and in its surveillance and monitoring, it is now well established that the advent of instrumental diagnostics (ultrasonography, digital angiography, Angio-TC, MRI) has contributed significantly to improving primary and secondary patency of FAV and early diagnosis of vascular access complications.
In this area, clinical thermography, a noninvasive and nondestructive diagnostic technique for assessing minute surface temperature differences, has shown good potential for the assessment of AVF. In fact, thermographic analysis of a limb site of AVF shows an increase in temperature at the site of the anastomosis and along the course of the arterialized vein.
In this article we report our experience on the use of thermography in preoperative evaluation and postoperative surgical packing of an AVF.
Further studies could validate the use of clinical thermography as a diagnostic technique to be used in the field of hemodialysis vascular accesses.

Keywords: Thermography, Haemodialysis, Arteriovenous Fistula (AVF),   AVF Pre-Postoperative Examination, Post-Operative AVF Management

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Introduzione

Ogni corpo, a una temperatura superiore allo zero assoluto, emette delle radiazioni nel campo dell’infrarosso. Queste radiazioni non sono visibili ad occhio nudo, ma possono essere captate da una termocamera e rese visibili su un comune schermo LCD. L’intensità delle radiazioni aumenta con l’incremento della temperatura del corpo in esame.

Il corpo umano ha una temperatura media di circa 36,5 °C, una termocamera è quindi in grado di captare le radiazioni emesse e di evidenziare le variazioni di temperatura dei vari distretti corporei.

Esiste una branca della medicina chiamata “termografia clinica” che studia, per mezzo di una termocamera, le variazioni di temperatura del corpo umano indotte da fenomeni fisiologici o patologici. La termografia clinica trova applicazione principalmente nella diagnostica dermatologica, neuropsicologica, angiologica e reumatologica.

La temperatura degli arti è direttamente condizionata dalla circolazione ematica: più un arto è perfuso più è caldo. Questa caratteristica rende gli arti suscettibili allo studio termografico (Figura 1). 

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The Cannulation of the Arteriovenous Fistula in the Presence of a Stent: Precautions, Risks, and Possibilities

Abstract

A proper management and tailored interventions represented two fundamental steps to ensure a long-term use of the arteriovenous fistula (AVF). AVF failure can be attributed to various factors, with stenosis being the most common cause. Different techniques are employed for treating complications, but percutaneous endovascular procedures are the most widely used. In addition to angioplasty (PTA), the possibility of utilizing stents, particularly stent grafts (SG), has further improved outcomes. However, the insertion of these devices involves commitment to a segment of the vessel, which may vary in length, making the indication necessitate a careful evaluation. The positioning of a stent graft indeed limits the space for needle insertion, and on the other hand, the cannulation of the device is considered off-label according to technical specification.

This work addresses the issue of puncturing these devices. Alongside a rapid overview, we describe a clinical case of continuous cannulation of a multiply stented AVF, for over 9 years, which opens up the discussion about the possibility of long-term cannulation through proper planning.

Keywords: stent, stentgraft, cannulation, arteriovenous fistula

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Introduzione

A distanza di quasi 60 anni dalla sua ideazione, l’accesso vascolare di prima scelta per la dialisi resta la fistola arterovenosa nativa (FAV), nonostante vi siano oggi indicazioni a una maggiore personalizzazione. Accanto ai noti vantaggi rispetto ai cateteri venosi centrali (CVC), le FAV richiedono tuttavia non raramente interventi di revisione per il mantenimento della pervietà.  La causa di queste problematiche, nella maggior parte dei casi è da ricondurre alla presenza di una stenosi significativa sul decorso della vena arterializzata, che determina una progressiva riduzione del flusso e una possibile evoluzione verso la trombosi. Le tecniche che, a discrezione dell’operatore, possono essere utilizzate per il mantenimento o il recupero della pervietà possono essere quelle chirurgiche “open” o quelle percutanee endovascolari [13]. Negli ultimi anni, per la minore invasività e i buoni risultati, il ricorso a queste ultime è aumentato, con un ruolo anche dei nefrologi interventisti [4]. L’angioplastica transluminale (PTA) è diventata ormai il trattamento di prima linea con cui, a seconda della sede e delle caratteristiche della stenosi, è possibile ottenere subito un buon risultato e continuare ad usare l’accesso: tuttavia le recidive sono frequenti in tempi variabili [5] e la risposta alla PTA non è sempre soddisfacente. È noto, inoltre, che la PTA esercita un barotrauma sul vaso e un danno endoteliale che favorisce ulteriormente l’iperplasia neointimale che sottende la stenosi. L’utilizzo della PTA con palloni medicati, che rilasciano farmaci antiproliferativi nella parete vascolare sede di stenosi (DEB), ha mostrato alcuni vantaggi sul rischio di restenosi [6]. Senza dubbio però gli stent, introdotti a partire dagli anni ‘90, hanno rappresentato una svolta nel trattamento della stenosi e di altre lesioni come gli pseudoaneurismi.

 

Caratteristiche degli stent e indicazioni d’uso per l’accesso vascolare

Gli stent endovascolari sono strutture simil tubulari che forniscono un supporto endoluminale meccanico alla parete vasale. Vengono distinti in Bare Metal Stent (BMS), stent in nitinolo, e stent graft (SG) o stent ricoperti. I BMS, primi ad essere utilizzati, erano costruiti in acciaio inossidabile, ma presentavano limiti importanti, soprattutto la rigidità e le modifiche di alcune caratteristiche al momento del dispiegamento, nonché possibili distorsioni quando posizionati in punti di angolatura del vaso.  Per ovviare a questi problemi sono stati sviluppati gli stent in nitinolo (nickel-titanium alloy), noti come SMART (Shape Memory Alloy Recoverable Technology) che hanno la caratteristica di espandersi fino ad un prederminato diametro alla temperatura corporea (shape memory) [7]. Tuttavia, anche questi device presentano dei limiti, primo fra tutti la recidiva di stenosi intrastent da iperplasia neointimale, dovuta alla migrazione di cellule endoteliali e muscolari lisce attraverso le fenestrature dello stent. Gli stentgraft sono stati progettati proprio per limitare questo problema: essi sono costituiti da uno stent metallico ricoperto di dacron o PTFE che offre una completa copertura della parete venosa con l’esclusione del tessuto neo intimale al di fuori del lume; questa caratteristica, tuttavia, non esclude del tutto la possibilità di una recidiva, in particolare alle estremità (edge stenosis) [8].

Alcuni lavori hanno dimostrato che l’impiego degli SG nel trattamento delle stenosi migliora la sopravvivenza dell’accesso, sia negli accessi protesici che nei vasi venosi centrali, riportando una pervietà primaria significativamente superiore rispetto alla PTA [911]; una metanalisi recente condotta su 4 trial randomizzati controllati conferma questo dato [12].

Oltre al trattamento delle stenosi che non rispondono in maniera soddisfacente alla PTA (stenosi residua persistente superiore al 50%) e delle re-stenosi precoci (prima dei tre mesi), altre indicazioni degli SG sono la riparazione di rotture di vaso in corso di procedure endovascolari e il trattamento di aneurismi e di pseudoaneurismi nei siti di venipuntura delle fistole native e protesiche [8]. Sono riportate in letteratura diverse esperienze preliminari in cui il loro utilizzo si è dimostrato un’efficace alternativa nella riparazione di pseudoaneurismi da venipuntura rispetto alla correzione chirurgica o all’abbandono dell’accesso [13, 14]. Le linee guida specificano che gli stentgraft andrebbero posizionati in casi selezionati ed evitando i siti di venipuntura per preservare l’uso dell’accesso [15].

Pur essendo il posizionamento dello stentgraft una competenza dell’angioradiologo o del chirurgo vascolare, il nefrologo dovrebbe condividere l’indicazione al posizionamento e conoscere le implicanze sulla strategia di incannulamento della FAV [16]. Infatti, anche se lo stenting è caratterizzato da una minore invasività e maggiore rapidità procedurale rispetto alla chirurgia, esso pone il problema della perdita di un tratto di vaso sfruttabile dal punto di vista chirurgico, per esempio una prossimalizzazione [17], e della potenziale perdita di spazio a disposizione per inserire gli aghi.

 

Il problema dell’incannulamento degli stentgraft

Gli SG attualmente in commercio non sono da scheda tecnica idonei all’incannulamento; essi sono più sottili e meno robusti rispetto ai BMS e il materiale metallico dello scaffold può frammentarsi ed estrudere dopo ripetute punzioni con aghi di grosso calibro. La puntura reiterata è una pratica off label sulla quale le esperienze in letteratura sono limitate e controverse.

Mentre alcuni lavori, pur non riportando esiti negativi, non si esprimono a favore dell’incannulamento [13], altri raccomandano di non incannulare gli SG, descrivendo le possibili complicanze [1719]. Mallios riporta il 30% di complicanze infettive con SG posizionati in siti di venipuntura di FAV brachiocefaliche [17]. Vesely documenta come la puntura reiterata provochi la rottura delle maglie di nitinol costituenti l’armatura con protrusione dei filamenti all’interno del lume del vaso, evento che può ostacolare il flusso dell’accesso ed innescare un processo trombotico [14]. I filamenti possono protrudere anche verso l’esterno, attraversando la cute, con possibili conseguenze per gli operatori (puntura accidentale, estrusione di materiale infetto) e per il paziente (infezione da corpo estraneo nel sito di protrusione) con eventuali ripercussioni anche di tipo medico-legale [19].

In letteratura sull’argomento è possibile trovare solo case report e piccole casistiche, che descrivono casi di pseudoaneurismi dei siti di incannulamento corretti attraverso il posizionamento di stentgraft. Il lavoro di Niyyar e altri più recenti riportano esperienze negative con accessi protesici sottoposti a stenting e successivo incannulamento [17, 20].  Non mancano tuttavia esperienze positive con venipunture ripetute che hanno permesso di continuare ad utilizzare accessi che altrimenti sarebbero stati abbandonati [21]. Ryan et al. descrivono già nel 2003 quattro casi in cui lo SG (Wallgraft) veniva utilizzato per l’intera lunghezza dell’accesso vascolare allo scopo di correggere pseudoaneurismi da venipuntura ad area; lo stentgraft veniva poi incannulato di routine in assenza di recidive pseudoaneurismatiche e con un’ottima pervietà primaria [22]. Rhodes et al. nel 2005 sottoponevano a venipuntura routinaria 6 SG (Wallgraft) concludendo che il dispositivo poteva resistere all’incannulamento reiterato senza distorsione o rotture che limitassero il flusso dell’accesso [23]. Più recentemente, lo studio retrospettivo di Bavare descrive 12 casi di FAV native trattate con lunghi segmenti di stentgraft allo scopo di recuperare tratti trombizzati, o in altri casi correggere stenosi determinanti problemi di maturazione della FAV. L’incannulamento dello SG era ritenuto in questi casi rescue per accessi che altrimenti sarebbero stati abbandonati. Sulla base dei risultati, gli autori avevano proposto un algoritmo di salvataggio che passando attraverso PTA ripetute per ottenere la maturazione o il recupero dell’accesso, terminava con il posizionamento di SG anche di lunghezza considerevole.  Questa operazione, altra possibile indicazione degli SG per le situazioni di primary non maturation, trasformava un accesso altrimenti inutilizzabile in quello che gli autori definivano con il termine di stentula [24].

Infine, nello studio prospettico di Drouven erano stati inclusi 11 pazienti (5 con protesi e 6 con FAV native), in cui il 72% degli SG erano posizionati per recidiva stenotica e il 18% per una trombosi acuta. Tutti gli 11 pazienti ricevevano due aghi per trattamento dialitico, 5 con entrambi gli aghi nel device (45,5%), gli altri 6 con uno solo (54,5%). Il tempo medio per l’incannulamento dello SG era di 13 giorni. Nei pazienti con un fallimento del PTFE l’incannulamento era ritardato per minimizzare i rischi di pseudoaneurisma o di bleeding persistente. Le immagini a disposizione mostravano i dispositivi integri dopo diversi mesi di punzione [25]. Infatti, qualora sia necessario incannulare uno SG, diversi lavori in letteratura suggeriscono di attendere 2-4 settimane dal posizionamento, periodo necessario perché una risposta infiammatoria promuova l’ispessimento di parete del vaso e dei tessuti in contatto con il segmento stentato e l’incorporamento del materiale del graft nel tessuto sottocutaneo [26]. Lo sviluppo di tessuto denso sottocutaneo, infatti, inibirebbe il bleeding perivasale e il sanguinamento alla rimozione degli aghi [23, 27]. Il timing per l’eventuale incannulamento dello SG dopo l’inserimento dipende anche dalle indicazioni d’uso e dal tempo di riassorbimento dell’eventuale trombo; in caso di esclusione di un aneurisma, per esempio, è prudente aspettare fino ad un mese contro pochi giorni nel caso di trattamento di una stenosi [26].

 

Un caso istruttivo di punzione di stentgraft

Nella nostra esperienza il ricorso all’utilizzo degli SG è consolidato grazie ad una stretta collaborazione con il Servizio di Radiologia Interventistica presente in sede. L’indicazione più frequente è la stenosi dell’arco cefalico, tuttavia sempre più spesso gli SG sono utilizzati in altre sedi in caso di recidive stenotiche o di pseudoaneurismi.  In alcuni casi, nonostante si cerchi sempre di evitarla, la punzione del dispositivo diventa inevitabile.

A questo riguardo riportiamo il caso di una paziente affetta da nefropatia policistica sottoposta a confezionamento di FAV omero cefalica dx all’età di 63 anni. A distanza di 16 mesi dal confezionamento e nell’arco di 5 anni e mezzo la paziente è stata sottoposta a numerose procedure angioradiologiche di PTA e di posizionamento di SG che, nel tempo, hanno occupato l’intera lunghezza del vaso, dalla piega del gomito fino all’arco cefalico (Figura 1).

Figura 1: FAV omerocefalica con completo stenting (Stentula).
Figura 1: FAV omerocefalica con completo stenting (Stentula).

Il primo intervento è stata la correzione contemporanea di una stenosi post-anastomotica e dell’arco cefalico con PTA, seguita 5 mesi dopo dall’inserimento di uno SG nel tratto intermedio. Successivamente, la strategia totalmente endovascolare, ogni volta discussa collegialmente, è stata il risultato di un susseguirsi di stenosi e recidive stenotiche nei diversi segmenti della FAV. L’alternativa chirurgica con apposizione di bridge protesici non è stata ritenuta vantaggiosa, in questo caso particolare, anche se deve essere sempre tenuta in conto come possibile soluzione. A distanza di 5 anni dal confezionamento dell’accesso, dopo il posizionamento di un altro SG nell’ultimo tratto di FAV libera, l’incannulamento avveniva esclusivamente negli stentgraft. Questa modalità, è stata proseguita fino ad oggi, e a distanza di 14 anni dal confezionamento di fatto la paziente dializza attraverso la sua FAV pluristentata.

Nel corso degli anni la sorveglianza dell’accesso ha consentito di programmare interventi di manutenzione anche se, a causa di complicanze ostruttive, è stato necessario ricorrere al posizionamento di due CVC temporanei in vena femorale e un CVC tunnellizzato per brevi periodi. Si è potuto portare avanti un programma di trattamento dialitico notturno di 6 ore con aghi 17G senza difficoltà particolari nell’utilizzo dell’accesso, se non una maggiore resistenza all’introduzione dell’ago. Ai fini di una maggiore attenzione alla rotazione dei punti di infissione degli aghi, si sono dimostrati più efficaci la messa a disposizione di materiale iconografico bedside sull’anatomia dell’accesso e le indicazioni precise per la rotazione, piuttosto che una generica raccomandazione fatta inizialmente. Purtroppo, difatti, questa spesso cade disattesa esitando più frequentemente nella punzione ad area della FAV [28]. Ciò è accaduto almeno per il periodo iniziale anche nella nostra paziente, e probabilmente ha contribuito allo sviluppo di una parte delle complicanze (per es. piccoli pseudoaneurismi) (Figura 2) che hanno richiesto un successivo inserimento di stentgraft.

Figura 2: pseudoaneurisma sul decorso della FAV con stentgraft.
Figura 2: pseudoaneurisma sul decorso della FAV con stentgraft.

 

Conclusioni

Gli stent sono device molto utili per il mantenimento delle pervietà degli accesi vascolari dialitici. Il loro utilizzo risente dei diversi ambiti lavorativi e dell’esperienza personale, non ultimo della collaborazione/disponibilità di esperti in tecniche endovascolari. Il caso descritto non ha la finalità di voler privilegiare una soluzione endovascolare piuttosto che chirurgica nel salvataggio dell’accesso, ma di richiamare l’attenzione sulle corrette modalità operative in presenza di una FAV pluristentata.  Per le indicazioni e la corretta gestione occorre un confronto puntuale tra gli specialisti dell’accesso vascolare e gli infermieri di dialisi. Se i primi sono le figure che concordano le indicazioni, è l’utilizzatore finale, cioè l’infermiere, che deve essere informato correttamente e tempestivamente della sede dello stenting e della modalità di utilizzo. Identificare con precisione sulla cute le aree da evitare, quando possibile, e pianificare una sistematica rotazione delle sedi di punzione, qualora questa debba comprendere il dispositivo, rappresentano punti fondamentale per ottenere buoni risultati [22]. Inoltre, la punzione con tecnica ecoassistita può rivelarsi utile per ridurre le complicanze e allo stesso tempo per ottenere un regolare monitoraggio strumentale bedside [25]. Se tutto viene correttamente pianificato, questa procedura, benché ancora off label, può rappresentare una valida opzione rescue utilizzabile per anni.

 

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Vascular ultrasonography in the preparation and surveillance of arteriovenous fistula: a monocentric experience

Abstract

Creating an arteriovenous fistula (AVF) is complicated by the gradual increase in the average age of patients initiating chronic haemodialysis treatment and by the greater prevalence of pathologies that impact the cardiovascular system.

In the past, the choice of which vessels to use for the creation of the AVF was essentially based on the physical examination of the upper limbs. Current international guidelines suggest that a colour doppler ultrasound (DUS) should be performed to complete the physical examination. Similarly, vascular ultrasound is fundamental in the post-operative phase for appropriately monitoring the access.

We have conducted a retrospective analysis on the use of DUS in clinical practice in our centre, in order to determine the repercussions on vascular access survival. To this end, we identified three phases, according to the methods that were used for pre-operative vascular evaluation and monitoring of the AVF, that saw the progressive integration of clinical and ultrasound parameters.

The analysis of the data highlighted a statistically significant higher rate of survival for all vascular accesses, evaluated as a whole, and for distal AVFs, in the third phase, despite a greater percentage of patients over 75 (48% vs 28%).

In conclusion, we believe that an approach integrating clinical and ultrasound evaluation is indispensable to identify the most suitable AVF site and guarantee its efficiency over time.

 

Keywords: haemodialysis, arteriovenous fistula, colour doppler ultrasound, monitoring, vascular access

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Introduzione

Un trattamento emodialitico adeguato necessita di un accesso vascolare ben funzionante nel tempo.

I pazienti affetti da insufficienza renale cronica (CKD) al IV° stadio (eGFR <30 ml/min), devono pertanto essere accuratamente studiati al fine di poter avviare il trattamento sostitutivo con un accesso vascolare idoneo [1].

I dati della letteratura e le linee guida internazionali in merito indicano la fistola artero-venosa (FAV), allestita con vasi nativi, quale accesso di prima scelta per un minore rischio d’infezione e trombosi, una migliore sopravvivenza, minori costi correlati alla necessità di ospedalizzazione se paragonati alla FAV protesica o al catetere venoso centrale tunnellizato (CVCt) [2].

Nei pazienti affetti da CKD il corretto utilizzo del patrimonio vascolare degli arti superiori costituisce un momento fondamentale ai fini del futuro confezionamento di una FAV. L’attuale incremento dell’età media dei pazienti a inizio trattamento emodialitico cronico e la maggiore prevalenza negli stessi di patologie ad elevato impatto sul sistema cardio-vascolare (diabete mellito, angiosclerosi, arteriopatia obliterante polidistrettuale), determinano maggiori difficoltà nell’allestire una FAV che garantisca buona efficienza dialitica e sufficiente durata nel tempo [3].

Tra le FAV native, il gold standard è rappresentato dalla FAV radio-cefalica distale con anastomosi a livello del polso: essa è associata ad un minor rischio sindrome di steal [4] e, al contrario di una FAV prossimale (omero-cefalica; omero-basilica), raramente sviluppa una elevata portata, causa non trascurabile di scompenso cardiaco nei pazienti uremici.

Basile et al. in uno studio prospettico hanno analizzato il rapporto tra Qa FAV ed output cardiaco e concludevano che una portata uguale o maggiore a 2000 ml/min rappresenta il giusto cut-off nel predire il rischio di scompenso cardiaco cronico ad alta gittata [5].

La FAV distale non è sempre proponibile e può andare incontro a scarsa maturazione e a conseguente fallimento, tuttavia la sua realizzazione, ove possibile, permette un più corretto utilizzo del patrimonio vascolare del singolo paziente e la possibilità per il medesimo di poter usufruire dell’eventuale confezionamento nel tempo di ulteriori accessi che richiedano l’utilizzo di vasi posti in sede più prossimale.

Altra tipologia di accesso vascolare che può essere considerato prima del confezionamento di una FAV prossimale è quella mid-arm, con l’utilizzo del tratto prossimale dell’arteria radiale. Essa è caratterizzata da una portata inferiore rispetto alla prima, ed in genere è ben tollerata anche nei pazienti anziani, diabetici o con vasculopatia periferica [6].

La scelta dei vasi da utilizzare per il confezionamento dell’accesso vascolare per dialisi è avvenuta in passato essenzialmente attraverso l’esame obiettivo degli arti superiori: un attento esame fisico ed anamnestico permette di raccogliere alcune importanti informazioni sul circolo venoso superficiale e sul circolo arterioso:

  • palpabilità delle vene superficiali, valutazione del loro calibro e decorso
  • palpabilità dei polsi arteriosi
  • presenza di cicatrici chirurgiche o aree di distrofia cutanea
  • presenza di pace-maker (PM)
  • pregressi traumi/fratture o interventi chirurgici a carico degli arti superiori o precedenti accessi vascolari
  • storia di pregressi posizionamenti di CVC
  • segni di pregressa reiterata venipuntura, segni di tromboflebite in atto o pregressa
  • presenza di comorbidità rilevanti (scompenso cardiaco, grave valvulopatia, cardiopatia ischemica, patologie della coagulazione).

Le linee guida internazionali attualmente suggeriscono l’esecuzione di un ecocolordoppler (ECD), a completamento dell’esame fisico, in tutti i pazienti candidati al confezionamento di una FAV. Esso consente, in fase preoperatoria, la scelta dei vasi più idonei all’intervento e, in fase post-operatoria, rappresenta un momento fondamentale per un’adeguata sorveglianza dell’accesso e la diagnosi precoce di eventuali cause di malfunzionamento suscettibili di correzione [7].

L’ECD fornisce, infatti, numerose e dettagliate informazioni sul circolo venoso superficiale e profondo e sul circolo arterioso dell’intero arto superiore, consente altresì valutazioni emodinamiche e morfologiche permettendo di identificare eventuali varianti anatomiche.

Lo studio vascolare pre-intervento effettuato di routine ha permesso di incrementare negli anni la percentuale di FAV confezionate con vasi nativi a scapito della FAV protesiche, nonché di migliorare la sopravvivenza nel tempo, attraverso una più adeguata sorveglianza e la identificazione precoce delle complicanze [89].

Il mapping artero-venoso pre intervento fa riferimento ai parametri di seguito riportati:

  1. Parametri arteriosi (Fig.1):
  • diametro dell’arteria radiale: un diametro minimo di 2 mm è stato correlato ad una elevata percentuale di pervietà primaria ad un anno (83%) [10]
  • spessore e qualità intima-media: l’incremento dello stesso correla con un peggior outcome della FAV [11]
  • flusso/compliance vascolare nel test dell’iperemia reattiva: un valore dell’indice di resistenza (IR) >0,7 in fase di iperemia reattiva è correlato ad un fallimento precoce dell’accesso vascolare [12]
  • presenza di calcificazioni vascolari
  • presenza di lesioni steno-ostruttive
Figura 1: Parametri arteriosi
Figura 1: Parametri arteriosi
  1. Parametri venosi (Fig.2):
  • pervietà del vaso e struttura di parete: lume anecogeno, comprimibilità del vaso, parete sottile
  • diametro e distensibilità della vena cefalica: 2 mm senza elastocompressione, 2,5 mm con elastocompressione [13]
  • profondità: <6 mm rispetto al piano cutaneo, al fine di consentire un’agevole venipuntura
  • decorso: deve essere sufficientemente rettilineo
  • presenza di circoli collaterali a meno di 5 cm dall’anastomosi [14].
Figura 2: Parametri venosi
Figura 2: Parametri venosi

Una FAV si definisce matura quando il diametro venoso permette la venipuntura con aghi di grosso calibro e la portata raggiunge i 600 ml/min, il diametro del vaso 6 mm, con un decorso del vaso a non più di 6 mm di profondità rispetto al piano cutaneo.

Appare auspicabile che i pazienti in emodialisi siano sottoposti ad una regolare sorveglianza dell’accesso vascolare, finalizzata alla diagnosi precoce delle cause di malfunzionamento dell’accesso. In particolare, l’identificazione di stenosi emodinamicamente significative (riduzione maggiore del 50% del lume vasale) e la valutazione del trend della portata dell’accesso, incrementano in modo significativo il tasso di pervietà riducendo di conseguenza l’incidenza di trombosi della FAV [15].

In merito alla sorveglianza degli accessi vascolari, i metodi di screening per la ricerca di stenosi significative sono stati suddivisi in quelli di I e II generazione [16]:

  1. Metodi di I generazione:
  • il monitoraggio fisico
  • vigilanza della pressione FAV (valutazione di pressione venosa dinamica, intra accesso e statica)
  • test del ricircolo
  • riduzione dell’efficienza dialitica (riduzione kt/v ed URR).
  1. Metodi di II generazione, permettono di calcolare la portata dell’accesso:
  • screening diluzionale
  • ECD.

La misurazione della portata a livello dell’arteria brachiale al di sopra del gomito tramite ECD rappresenta il miglior modo per sorvegliare una FAV; una portata <500 ml/min o una sua riduzione progressiva nel tempo sono altamente predittive di stenosi [1].

La trombosi, di fatto, rappresenta quasi sempre una causa di fallimento tardivo, con innumerevoli conseguenze cliniche negative, che determinano un incremento della frequenza di ospedalizzazione e della spesa sanitaria, nonché della morbidità e mortalità dei pazienti in emodialisi cronica [17].

 

Materiali e metodi

Nel nostro Centro abbiamo condotto un’analisi retrospettiva finalizzata ad analizzare se ed in quali termini l’utilizzo dell’ECD nella pratica clinica in ambito nefrologico abbia avuto delle ripercussioni sulla sopravvivenza degli accessi vascolari.

Sono stati a tal proposito individuati tre periodi storici (Tab. I), in relazione alla modalità di esecuzione nel Centro di:

  • valutazione vascolare pre-intervento
  • sorveglianza della FAV.
Pre-intervento Sorveglianza
2000-2004:
  • esame fisico
  • eventuale flebografia
  • monitoraggio clinico
  • test del ricircolo, scadimento efficienza dialitica
  • ECD (se presente indicazione clinica, ma non in ambito nefrologico)
2005-2009:
  • esame fisico
  • avvio mapping vascolare in ambito nefrologico
  • monitoraggio clinico
  • test del ricircolo, scadimento efficienza dialitica
  • inizio uso ECD per ricerca stenosi e misurazione portata:
    • ogni 90 giorni per le FAV protesiche
    • su indicazione clinica per le FAV native
    • ad un mese da procedure interventistiche e successivamente ogni 6 mesi
2010-2015:
  • esame fisico
  • mapping vascolare di routine in ambito nefrologico
  •  monitoraggio clinico
  • test del ricircolo, scadimento efficienza dialitica
  • ECD per ricerca stenosi e misurazione portata:
    • ogni 90 giorni per le FAV protesiche
    • su indicazione clinica per le FAV native
    • ad un mese da procedure interventistiche e successivamente ogni 6 mesi
Tabella I: Tre fasi storiche in relazione alla modalità di esecuzione di valutazione vascolare pre-intervento e di sorveglianza della FAV

Sono stati altresì definiti i parametri cui fare riferimento tanto per la fase di studio pre-operatoria, quanto per quella di sorveglianza (Tab. II).

Riferimenti nella fase di pre-intervento: Riferimenti nella fase di sorveglianza:
Esame fisico:

Presenza e consistenza dei polsi arteriosi (brachiale, radiale, ulnare)

Valutazione del reticolo venoso superficiale con elastocompressione: palpabilità, e decorso dei vasi

Monitoraggio clinico:

Presenza e trasmissione del thrill, prolungato sanguinamento a fine dialisi, difficoltà al posizionamento degli aghi

Flebografia:

Valutazione pervietà e calibro dei vasi venosi scarsamente palpabili

Parametri dialitici:

Test ricircolo urea >10%, scadimento trend della efficienza dialitica (riduzione dello 0.2 Kt/v)

Mapping Vascolare:

–        Arteria: calibro della a. radiale uguale o maggiore di 2 mm, profilo velocimetrico trifasico, test iperemia reattiva IR uguale e inferiore a 0.7

–        Vena: pervietà del vaso ed integrità di parete, calibro maggiore o uguale a 2.5 mm con elastocompressione (avambraccio), calibro uguale o maggiore di 4 mm per protesi

Parametri ultrasonografici:

Portata inferiore a 500 ml/min, trend con riduzione maggiore del 25%

Riscontro di aree di stenosi superiori al 50% (PSV > 400 cm/s o PSV ratio >2)

Tabella II: Parametri di riferimento

Tecnica chirurgica

Le FAV con vasi nativi sono state tutte confezionate in anestesia locale (ropivacaina 7.5%) con anastomosi latero-terminale per le FAV distali e prossimali, e latero-laterale o latero-terminale per le FAV mid-arm, con lunghezza del tratto anastomotico 5-7 mm.

Le FAV protesiche tutte in politetrafluoroetilene (PTFE), coniche 4-7 mm (gore-tex STRETCH), sono state confezionate in anestesia plessica (levobupivacaina 2%, ropivacaina 5%) con conformazione a loop fra arteria omerale e vena basilica, o conformazione retta fra arteria omerale e vena omerale o ascellare.

Dopo il primo anno di collaborazione con il chirurgo, tutti gli accessi sono stati eseguiti da equipe nefrologica.

Tecnica ultrasonografica

Al fine di decidere l’arto da utilizzare ed il tipo di accesso da confezionare, il nefrologo ha eseguito ECD usando sonda lineare L4-15 mHz eseguendo scansioni longitudinali e trasversali dei vasi esaminati con utilizzo del doppler pulsato per le valutazioni velocimetriche, facendo riferimento ai parametri specificati nella Tab. II.

Il numero dei pazienti prevalenti, compresi i pazienti incidenti, nei tre periodi considerati è stato di 130 ±6 pazienti, con una percentuale di CVCt che è gradualmente aumentata: 13% nel primo periodo, 18% nel a secondo periodo 22% nel a terzo periodo.

Al fine di prevenire il fallimento precoce dell’accesso, tutti i pazienti sottoposti ad intervento di confezionamento di FAV hanno avviato terapia antiaggregante (acido acetilsalicilico 100 mg) salvo quelli che eseguivano terapia con anticoagulante orali per altre motivazioni cliniche [18].

Metodo statistico

Per l’analisi statistica sono state utilizzate le curve di sopravvivenza secondo Kaplan-Meier al fine di valutare le differenze nei tre periodi osservati. Il livello di significatività definito come p <0.05.

 

Risultati

La sopravvivenza cumulativa degli accessi vascolari nei tre periodi osservati è apparsa migliore nel terzo periodo di osservazione in modo statisticamente significativo (P <0.05) rispetto ai precedenti (Fig. 3).

Figura 3: FAV totali
Figura 3: FAV totali

È stata successivamente condotta una analisi statistica specifica mirata alla valutazione della sopravvivenza di ciascuna tipologia di accesso realizzato nei tre periodi. L’analisi dei dati ha evidenziato per la FAV distale una migliore sopravvivenza, statisticamente significativa (p< 0.05), nella 3° coorte rispetto alle prime due (Fig. 4).

Figura 4: FAV distale
Figura 4: FAV distale

Per la FAV mid-arm, confezionata in due dei tre periodi osservati, si è evidenziata una migliore sopravvivenza nel terzo rispetto al secondo periodo, ma senza significatività statistica (Fig. 5).

Figura 5: FAV mid-arm
Figura 5: FAV mid-arm

Per la FAV prossimale si è osservato un trend di miglior sopravvivenza nella 3° coorte rispetto alle prime due, ma anche in questo caso senza significatività statistica (Fig.6).

Figura 6: FAV prossimale
Figura 6: FAV prossimale

Per la FAV protesica sono state osservate minime differenze nei tre periodi osservati prive di rilevanza statisticamente significativa (Fig.7).

Figura 7: FAV protesica
Figura 7: FAV protesica

È stata inoltre effettuata una analisi per valutare le caratteristiche anagrafiche della popolazione inclusa nei tre periodi osservati. A dispetto della migliore sopravvivenza degli accessi nella terza coorte dei pazienti, essa ha evidenziato un progressivo incremento percentuale delle FAV confezionate nei soggetti over 75 dal primo periodo (28,3%) al terzo periodo (47,9%) (Fig. 8).

Figura 8: Numero di pazienti e numero di accessi in pazienti over 75
Figura 8: Numero di pazienti e numero di accessi in pazienti over 75

A completare l’analisi dei dati, è stata effettuata una valutazione sull’incidenza dei fallimenti precoci, considerata a 30 giorni dal confezionamento dell’accesso, che ha evidenziato un tasso di incidenza con trend in riduzione, dal 12,8% del primo periodo al 5,5% e 6,7% rispettivamente del secondo e terzo periodo.

 

Discussione

Pur con i limiti dello studio retrospettivo, l’analisi dei risultati evidenzia un miglioramento degli outcomes clinici in termini di pervietà globale dopo l’introduzione in ambito nefrologico della tecnica ultrasonografica in fase di progettazione e sorveglianza dell’accesso vascolare, e la sua integrazione con il monitoraggio clinico, dato peraltro ampiamente confermato in letteratura [19-20].

Nei tre periodi considerati la percentuale di pazienti diabetici (25-30%) ed obesi (8-10%) era sovrapponibile, pertanto i risultati non appaiono influenzati in modo significativo da tali variabili.

È al contrario evidente che il supporto ultrasonografico risulta fondamentale al fine incrementare il numero di FAV confezionate nel paziente anziano, essendo il dato percentuale delle FAV realizzate nel paziente over 75 incrementato dal 28% del primo periodo, al 48% del terzo periodo. Aspetto quest’ultimo non trascurabile se si considera che l’utilizzo del CVCt quale accesso definitivo per emodialisi è correlato ad un maggiore morbilità e mortalità del paziente uremico [17].

Di fatto, la sola età anagrafica non può costituire un limite al confezionamento di una FAV nel paziente anziano da avviare alla terapia dialitica [21].

L’analisi eseguita in relazione alla singola tipologia di FAV ha posto in evidenza un risultato chiaramente significativo in termini di sopravvivenza a favore delle fistole confezionate con vasi nativi. Nella fattispecie, il dato è apparso statisticamente significativo per le fistole radio-cefaliche, ma ha mostrato un trend in miglioramento anche per le fistole mid-arm e prossimali.

È altrettanto vero che nei tre periodi considerati, si è registrata una riduzione percentuale delle FAV radio-cefaliche rispetto al totale delle FAV realizzate, dal 57% della prima coorte, al 44% della seconda fino al 37% della terza. Tale aspetto è tuttavia essenzialmente da riferire alla realizzazione nel secondo e nel terzo periodo delle FAV mid-arm, tipologia di accesso in precedenza non confezionato, che ha determinato una riduzione percentuale anche della FAV prossimali. Il dato è sostanzialmente da riferire al metodico studio preoperatorio ed alla scelta del sito reputato più idoneo per il confezionamento dell’accesso che, in una popolazione con elevata percentuale di anziani, ha favorito l’utilizzo di vasi in sede più prossimale rispetto al polso ma ha anche permesso di utilizzare in modo adeguato ed efficace il tratto intermedio del braccio, prima di optare per il confezionamento di una FAV prossimale [22].

Non vi è stata alcuna variazione significativa, nei tre periodi considerati, della sopravvivenza delle FAV di tipo protesico, la cui percentuale nei tre intervalli ha registrato leggero progressivo incremento come numero assoluto. Tuttavia per tale tipologia di accesso è possibile evidenziare un miglioramento della sopravvivenza nella seconda e terza coorte rispetto alla prima a 12 e 24 mesi, ma peggiore a 36 mesi.

Il dato non appare di semplice interpretazione, pur con i limiti dovuti alla modesta numerosità del campione esaminato, un adeguato mapping vascolare preoperatorio è sembrato importante al fine di ridurre il tasso di insuccessi precoci, come per altro dimostrato in letteratura [16]. La sopravvivenza peggiorativa a distanza sembra invece ridimensionare il valore del controllo strumentale della FAV protesica, nei confronti della quale, nel nostro pool di pazienti, è stato effettuato un metodico controllo ECD con cadenza trimestrale, avvalorando in modo indiretto il concetto del ruolo di primo piano del monitoraggio clinico nell’ambito della sorveglianza dell’accesso vascolare per emodialisi [23].

Il numero di procedure interventistiche è progressivamente aumentato: dalle 31 eseguite nel primo periodo alle 36 nel secondo periodo fino a raggiungere le 52 nel terzo periodo. L’incremento di tali procedure, che tuttavia è apparsa contenuta in termini assoluti, conduce a nostro parere a due riflessioni: da una parte l’innegabile ruolo dell’ECD nell’identificazione precoce di lesioni stenotiche correggibili per via endovascolare, dall’altra, la necessità di ottimizzare il programma di sorveglianza strumentale, senza tuttavia eccedere nell’indicazione allo studio angiografico.

Appare evidente che un’azione integrata, clinica ed ultrasonografica, sia indispensabile al fine di perseguire due fondamentali obiettivi: identificare il sito più idoneo per il confezionamento di un accesso vascolare e garantire una corretta sorveglianza finalizzata al mantenimento di una buona funzionalità della fistola nel tempo [924].

Alla luce di tali considerazioni e dell’esperienza da noi condotta, crediamo che un approccio multidisciplinare alla complessa problematica dell’accesso vascolare per emodialisi sia di fondamentale importanza: in tal senso in ambito nefrologico appare indispensabile la realizzazione di un settore specifico finalizzato alla valutazione ultrasonografica preoperatoria del paziente da indirizzare ad un programma di emodialisi, nonché alla sorveglianza dei pazienti medesimi nel tempo [25].

Il nefrologo dovrebbe costituire il riferimento clinico del team multidisciplinare, che vede coinvolti anche chirurghi vascolari, angioradiologi ed infermieri di dialisi ed in tal senso interagire con le figure menzionate e con esse decidere in merito alla creazione dell’accesso vascolare, alla gestione del medesimo ed alla risoluzione di eventuali problemi connessi al suo utilizzo.

Tale team multidisciplinare dovrebbe avere il compito fondamentate di definire il life-plan individuale del paziente con uremia terminale, nello specifico definire la sede e il timing di confezionamento dell’accesso vascolare nonché garantire l’adeguata sorveglianza nel tempo. Ogni scelta andrebbe effettuata in maniera prospettica tenendo presente che il paziente uremico nell’arco della sua storia dialitica potrebbe avere la necessità di confezionare più accessi [26].

Risulta a nostro parere importante acquisire e mantenere in ambito nefrologico le risorse umane e le competenze adeguate per poter garantire con continuità la realizzazione della FAV in tempi corretti e nel sito più idoneo, realizzando di fatto un primo livello clinico assistenziale sul tema specifico. Appare altresì fondamentale che tale attività sia coordinata con un secondo livello clinico assistenziale che vede attive le altre figure professionali coinvolte.

Chirurghi vascolari ed angioradiologi appaiono indispensabili per la risoluzione delle complicanze connesse all’utilizzo degli accessi vascolari nonché per la realizzazione di accessi complessi, ma estremamente importante è mantenere una costante attività di sorveglianza e collaborazione con infermieri della sala di dialisi che spesso costituisce la prima sede in cui è possibile verificare l’adeguato funzionamento dell’accesso vascolare o la eventuale presenza degli iniziali segni di malfunzionamento.

 

Conclusioni

In conclusione, crediamo di poter affermare che programmi formativi volti a consolidare le competenze di carattere ultrasonografico vascolare in ambito nefrologico possano essere rilevanti al fine di migliorare gli outcomes clinici della fistola artero-venosa per emodialisi.

Riteniamo anche che l’ausilio dell’ECD non possa in nessuna fase di cura sostituire l’importanza dell’esame fisico e della sorveglianza clinica che rimangono fondamentali per garantire una migliore sopravvivenza e qualità di vita dei pazienti uremici.

È auspicabile altresì che ogni unità operativa di Nefrologia e Dialisi effettui un monitoraggio continuativo dei propri dati e che valuti nel tempo la sopravvivenza delle FAV e l’incidenza di complicanze ad esse correlate, al fine di poter al meglio modulare la strategia operativa, sempre nel rispetto delle linee guida di riferimento in merito.

  

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The appropriateness of cannulation devices in the management AVF

Abstract

Hemodialysis cannulation is often done with a notoriously harmful device that also exposes operators to a high risk of accidental puncture. It is very interesting to look at the Japanese experience, that has introduced, with an excellent success rate, a new device for the cannulation of FAV: a plastic cannula.

The aim of this review is to verify if the literature describes any advantages in the use of the plastic cannula in hemodialysis compared to the traditional metal needle, in relation to mechanical and hemodynamic vascular trauma, treatment adequacy, patient comfort and operator safety. The study has been conducted by researching, reviewing and selecting scientific articles through search engines and specialized journals.

The peculiarities of the device’s design allow to expand the current possibilities in the practice of cannulation, producing positive outcomes for the patient and the operator. There is a need, however, for further studies and an update of device’s features.

Keywords: hemodialysis plastic cannula, vascular access cannulation, arteriovenous fistula

Introduction

The autologous arteriovenous fistula (AVF) is still considered the gold standard among vascular accesses for hemodialysis treatment by the most recent guidelines [1, 2], in relation to the lower rate of complications and longer survival time. Nevertheless, its fragility is underlined by possible complications that may emerge during the maturation process, or post-maturation, often related to the insertion of metal needles [3].

An appropriate cannulation technique should go hand in hand with the careful choice of the device: the right needle for the right patient. In this sense, individual needs and risks should be assessed considering also the patient’s own preferences, thus providing a personalized care and increasing the possibility of better outcomes in terms of AVF survival and comfort of the patient. The decision-making process should be discussed with the patient through a holistic assessment of their needs. The British Renal Society’s 2018 Guidelines on the principles for a good cannulation procedure [2] recommend that this should be geared towards minimising the damage to vascular access, complications, but also pain and anxiety related to cannulation.

The traditional metal needle is associated with a high risk of vessel infiltration and mechanical and hemodynamic endothelial damage during both cannulation and treatment [3]. Complications related to the use of metal needles are not rare and may have a severe impact on the dialysis treatment and on the patient’s health: they may result in the postponement or the abortion of the dialysis session, or in the need to consider alternative solutions, less recommended by scientific evidence, such as central venous catheterization (CVC) or arteriovenous prosthesis (AVG) [1, 2]. These latter solutions are in fact associated, compared to autologous AVF, with a higher incidence of postoperative complications and/or need for surgical and endovascular revisions; central venous catheterization, in particular, is associated with a “significant increase in morbidity and mortality rates” [1].

Hemodialysis patients are considered a population at high risk of developing aneurysms and iatrogenic pseudoaneurysms, both for the repeated cannulation of vascular accesses and for concomitant heparinization and/or use of anticoagulant drugs for associated pathologies [11]. Although metal needles have been considered dangerous to vessels since 1950 [4], with the identification of an “imperative need to invent a safer device”, metal needle cannulation continues to be considered a lifeline for hemodialysis patients. However, this must be contextualized in today’s healthcare scenario, in a clinical setting where chronic kidney disease is increasingly a global health concern, due to increasing incidence rates, mortality and disability [5]; the standard population of hemodialysis patients is increasingly represented by geriatric subjects with multiple comorbidities [6, 7] such as diabetes mellitus, hypertensive nephropathy, dyslipidemia, obesity and smoking, all factors that can seriously affect the function and survival of the arteriovenous fistula. The fistula puncture procedure is in fact also a recurrent trauma in this patient population, which are subject to this procedure twice per treatment, three sessions per week, with a total of about 312 punctures per year in an already stressful environment and in full awareness of the risks connected with losing a vascular access.

It should also be stressed that the use of large calibre cutting devices without safety features increases the risk of accidental puncture in healthcare professionals. Dialysis departments are considered “high risk” professional environments due to the presence of infectious diseases with parenteral transmission, to the use of extracorporeal circulation (connection, control and disconnection from the blood circuit), to the repeated execution of invasive traumatic manoeuvres (puncture of large calibre vessels with high blood flow), to the use of material detrimental to skin and tissue integrity (large calibre fistula needles). A haemodialysis operating unit presents peculiarities that require continuous attention from healthcare professionals in order to avoid events potentially risky for patients and for their health. The most frequent injuries are cases of cutaneous lesions, contamination of the oral and conjunctival mucous membranes, exposure of the skin to blood attachment and detachment from the extracorporeal blood circuit [9].

A retrospective study collecting data on health care workers’ exposure to biological material reports that, out of a total of 704 accidents, 472 involved nurses and that a high percentage were percutaneous injuries from needles and sharps. As far as the operative units of Nephrology and Dialysis are concerned, the data collected between 1995 and 2001 show the presence of 8.8% of subjects exposed to biological risk, which is a “considerable percentage if compared to the other units in the medical area” [32]. To date, several authors conclude that there is a need for an upgrade in the design of hemodialysis needles to incorporate safety features and avoid the risk of accidental exposure and/or puncture [33, 34]. The Italian Legislative Decree 626 (art.5) already underlined in 1994 that “each operator must take care of their own safety and health”. It is in fact important that health workers acquire a greater knowledge of the risks to which they are subject while at work; each activity always includes a share of risk, and safety cannot be an absolute value, but the risks can often be controlled through knowledge of the problem and the use of appropriate operational tools.

Research outside Europe reveals that a different device for cannulation has been an integral part of standard practice in hemodialysis for several decades. In Japan, where there are approximately 300,000 dialysis patients every week, most of them are cannulated with a plastic device rather than a traditional metal needle, with excellent success rate, minimal complications and no reported medical incidents [8]. Plastic cannulae have long been used in other areas of medicine, with good results. Developments in different fields of medicine have led to an optimization of the design, tip geometry and positioning in blood vessels in order to reduce the risk of complications; in contrast, the design of metal needles has remained relatively unchanged over the years. Plastic cannulae are the first choice in these fields due to their higher performance and to the reduced risk of complications [14]. The world of hemodialysis, however, seems to be still dominated by traditional metal needles and central venous catheters.

These data, together with the observation of a clear gap in traditional cannulation that could be filled with the fistula cannula, have stimulated research in recent years and encouraged the partial introduction of this device in the practice of Australian and Canadian hemodialysis units, with the implementation of dedicated operating protocols.

 

Materials and methods

We wanted to verify whether the literature described advantages in the use of the plastic cannula for arteriovenous fistula in hemodialysis compared to the traditional metal needle, in relation to the mechanical and hemodynamic vascular trauma, treatment adequacy, comfort of the patient, safety and feedback of the healthcare professionals. The research methodology began with the formulation of inclusion/exclusion criteria and a clinical question using the “P-I-C-O” method.

After the identification of keywords, the search for articles was initially restricted to studies carried out over the last five years. Subsequently, given the scarcity of articles in the literature, the search was conducted without time restriction and extended to specialist journals.

The study was done by carrying out a review of specific or related literature in August, September and October 2019. We searched published scientific articles through search engines such as PubMed, ResearchGate, Google Scholar, and specialized journals such as Renal Society of Australasia Journal, SAGEpub (Sage Journal, the journal of vascular access).

 

Results

In the literature, we found a general lack of studies on this subject, often limited to specialist Australian and Canadian journals. The studies are not long-term, are not randomized and controlled, are performed on relatively small samples and are not tested in Italian clinical settings.

After a review of the available literature, 23 scientific articles were selected and included in the study. In relation to the research question, we explored various aspects of the use of the plastic fistula cannula compared to the traditional metal needle:

  • trauma: mechanical and hemodynamic damage to the vascular access;
  • treatment adequacy: achievement of parameters useful to obtain optimal extracorporeal filtration;
  • patient’s safety and comfort: possibility of movement, pain perception, risk of adverse events during nocturnal home hemodialysis, potential complications and consequent interventions;
  • operator safety and feedback: risk of occupational disease (accidental puncture, contact with blood) and technical or procedural difficulties;
  • costs.

 

Discussion

Device structure and characteristics

Stainless steel compound needles can be equipped with a sharp or beveled tip, designed for the Buttonhole cannulation technique, or they can be equipped with an intermediate sharpening. They are also often fitted with a silicone coating, which makes them easier to insert and gives them less resistance to friction. The traditional needle is equipped with plastic wings to secure the device to the skin and part of the tip (bevel) can be equipped with one or two back holes (oval or ellipsoidal back eyes), which should be smooth and flat so that the edges do not damage the vessel during insertion or removal of the needle; the arterial needle should always be equipped with these in order to maximize flow from the vascular access and reduce the need for needle rotation, or the possibility of needle overturning [1]. Optimal flow can prevent the suction of the vessel inner wall by the needle and reduce the need for needle rotation, a potentially traumatic procedure for AVF [31].

Another option is the device known as “fistula cannula”, “fistula catheter”, “plastic cannula” or “plastic needle”; it is specifically designed for fistula cannulation in hemodialysis and is considered highly biocompatible [15]. The basic design is a sharp metal needle housed within a flexible and ductile plastic cannula, which will therefore have a larger internal diameter. The metal needle is essentially a mandrel which is intended to access the vascular lumen and guide the insertion of the cannula into the vessel, acting as an introducer.

Fig. 1: Components of a plastic cannula (courtesy of Nipro Medical Europe)

As soon as the mandrel has accessed the vessel – the feedback to the operator will be a blood flashback in the HUB of the garrison – it needs to be retracted, while the cannula is pushed and placed in the vascular lumen, leaving only the flexible plastic portion of the device inside the vessel (see Figs. 1, 2, 3, 4, 5).

The plastic cannula (but not its introducer) can be equipped with side holes, specifically designed for the management and optimization of blood flow, but may not be equipped with plastic wings to secure the skin. The safety systems to make the connection and disconnection from the extracorporeal circuit safer and to reduce the risk of contamination and accidental puncture of the operator are for example: the isolation system of the mandrel tip at the retraction, the anti-reflux blood valve, the connections with Luer-Lock system.

The high biocompatibility of the plastic cannula extends its use to patients with hypersensitivity to metal alloys, an uncommon but still possible occurrence. In this case, the use of a metal needle represents an absolute contraindication that requires the evaluation of alternative options, with their related costs and risks [15,16].

Fig. 2: Fistula puncture with plastic cannula (courtesy of Nipro Medical Europe)
Fig. 3: Blood flashback in the catheter HUB (courtesy of Nipro Medical Europe)
Fig. 4: Spindle retraction (courtesy of Nipro Medical Europe)
Fig. 5: Tip isolation system at full spindle retraction (courtesy of Nipro Medical Europe)

The size of the needle influences the actual blood flow and the quality of the treatment itself. An appropriate choice of gauge should be made in relation to the pump speed and flow available from the vascular access, in order to optimize the efficiency of the hemodialysis treatment; changes in gauge should require a prescription, due to the potential impact on blood flow and treatment itself.

It is recommended to use smaller gauge needles (17G) during the first 3-6 weeks of cannulation and then progress, after two weeks of cannulation without complications, to a larger gauge (16G), so as to increase the blood flow useful for blood filtration [2]. Regarding the plastic cannula, it is important to specify that the metal introducer has a smaller diameter than the cannula that houses it. Some cannulae are described with two different Gauge values (inner and outer diameter), or only the size of the introducer or the inner diameter of the cannula are sometimes reported. The catheter of a cannula with a diameter useful for treatment will then be introduced with a smaller needle size, as a smaller puncture is less detrimental to tissue integrity [15] (Table I).

Size (gauge) Lengths available in Europe for metal needle Lengths available in Europe for plastic cannula
14G 20, 25 mm 25, 32, 38 mm
15G 15, 20, 25, 32 mm 25, 32, 38 mm
16G 15, 20, 25 mm 25, 32, 33, 38 mm
17G 15, 20, 25 mm 25, 32, 33, 38 mm
18G 20 mm 25 mm

Table I: Measures available in Europe according to size-length ratio [15].

In order to prevent the penetration of the needle into the vessel back wall (infiltration), the shortest possible device should be adopted; however, to reach deep AVF, as in the case of obese patients, it may be necessary to adopt a longer device [31]. It is worth noting, in this respect, that the longest plastic cannula commercially available is longer than the traditional needle. Due to the different cannulation technique, which does not involve fully inserting the cutting mandrel into the vessel, the risk of infiltration during the cannulation procedure is in any case lower. However, the length of the device may make it more difficult for the operator to handle it further away from the distal end, which amplifies any movement made at the insertion point [15].

 

Outcomes related to cannulation

Because of the high prevalence of certain diseases and of the progressive ageing of the general population [6], there is often a need to set up or revise AVF using vessels that are not always appropriate in terms of trajectory, cannulation outcomes and access site. In this regard, plastic cannula potentially increases the number of sites that can be used for fistula cannulation, including immature, deep, tortuous and traumatized AVF; it also makes viable areas difficult to access, such as the cubital fossa and the elbow area [3,8,18,23,28,29], where cannulation with a metal needle is not recommended as it would expose the patient to a high risk of infiltration. Some authors claim that it may also allow a more efficient rotation at the insertion sites by the staff, a procedure associated with the Rope Ladder cannulation technique, rather than the Area technique [10], and that is not recommended because of a high risk of develop aneurysms and related complications.

In a study focused exclusively on the cannulation of difficult AVFs [29], 226 plastic cannulae were used by 7 haemodialysis nurses on 23 patients during 107 haemodialysis sessions; the main indications for the use of the plastic device were: the presence of a deep fistula, known cannulation difficulties and previous hematoma formation limiting accessible puncture sites. The results of the study show that an actual blood flow 300 ml/min was reached in 87% of cases (72 of 83 sessions); a flow between 230 and 280 ml/min was achieved in the other cases. The mean arterial and venous pressure were 140 (40-200) and 130 (100-200) mmHg respectively. In most cases, a 15G (218/226) cannula was used. There were 24 failed cannulation attempts that caused infiltration. The authors concluded that plastic hemodialysis cannulae have a satisfactory performance and allow to achieve the desired blood flow parameters, especially in patients with difficult vascular access.

Metal needle cannulation is made difficult by multiple factors, such as the presence of poorly cooperating patients: oligophrenics, children, or patients in nocturnal hemodialysis, whose movements could cause significant damage to the vascular wall due to the sharp portion of the needle impacting on the vascular walls. In this regard, according to recent guidelines [1,2], the plastic cannula can greatly improve the comfort and the safety of patients, giving them the possibility to safely move the limb. This is confirmed in the conclusions to the National Kidney Foundation’s KDOQI 2018 Guidelines, where the authors argue that plastic fistula cannulae allow patients greater mobility, with a lower risk of infiltration due to the flexible, blunt lumen inside the vessel; this is particularly important in the case of agitated, elderly and frail patients who cannot tolerate the immobilization often required during dialysis, as well as for nocturnal hemodialysis and other modalities requiring a higher weekly frequency of cannulation. It is also specified how the flexible catheter can make it safer to access the cubital fossa and tortuous vessels, thus increasing the number of potential sites for cannulation [23].

Fig. 6: Plastic cannulas with anti-reflux valve stabilized to the patient’s arm (courtesy of V.Smith, from “Plastic Cannula use in Haemodialysis Access”[10])
Mechanical trauma

In the management of end-stage chronic renal disease (CKD stage V) patients in extracorporeal purification treatment, the functionality and preservation of AV is crucial. Any acute complications, associated with cannulation or needle repositioning procedures, expose the patient to damage that could lead to dysfunction, failure and the need for central venous catheterization or surgical revision of the vascular access.

The mechanical trauma of autologous or prosthetic arteriovenous fistulae by a metal needle is well investigated in literature. Such events are not uncommon and can have a severe impact on the dialysis treatment, resulting in the postponement or abortion of the dialysis session, the inability to use the fistula for a number of sessions and/or the need to insert a CVC, which all increase the risk of liquids and toxic products accumulation in the body of a patient that is already in a precarious condition. The diagnostic or therapeutic interventions that may result not only increase the disease burden in this patient population, but also add an economic burden on the health care system, due to the costs associated with such services [3]. According to the KDOQI 2018 guidelines, given the dependence on catheters for hemodialysis and the increased risk of infection and complications due to early AVF failure, the introduction of a new cannulation device that can potentially reduce these risks is highly desirable. In this regard, the Buttonhole technique using a blunt tip needle has been associated with a significant reduction in the rate of hematoma and an improved survival of AVF; long-term results, however, show conflicting evidence and an increased risk of infection. These KDOQI guidelines stress the need for randomized controlled trials to investigate the possible reduction in the rate of hematoma formation and in the risk of infection, and the improved survival of AVF, associated with plastic cannulae [23].

Regarding mechanical damages produced by plastic cannulae, the analysis of the studies shows that, thanks to the plastic and ductile nature of the catheter and the different cannulation technique, its use can decrease the rate of infiltration/extravasation and of aborted sessions during cannulation and/or treatment [2,3,8,11,14,16,17,18,19,20,21,22,23]. We report, among others, data from a Canadian pilot randomized trial [11] whose objective was to evaluate the feasibility of a randomized trial aimed at comparing the two devices in the development of complications requiring diagnostic or surgical intervention (aneurysms, stenosis). 33 subjects were enrolled from a cohort of 420 without any significant differences in terms of sex, age, year of treatment, causes of renal disease, position or age of the vascular access. The subjects were then randomized into two groups, depending on the device used: metal n=17, plastic n=16. The cannulation was performed exclusively with the Rope Ladder technique; the length of the device was chosen in relation to the depth of the cannulation segment; the gauge used was 15G for metal needles and 17G for plastic cannulae (both available in 25mm and 33mm lengths); the evaluation was performed before and during the cannulation procedure, as well as during the treatment, with the aid of ultrasound. Complications were identified by clinicians (nephrologists and vascular surgeons) who were not informed of the participation in the study. The results show 17 adverse events, 9 of which in the metal group (53%) and 8 in the plastic group (50%). One patient in the metal group developed infiltration with a large hematoma during the first months of the study and needed to continue cannulation with the plastic cannula. The procedures to treat complications along the cannulation segment increased from 0.41 to 1.29 per patient in the metal group and decreased from 1.25 to 0.69 per patient in the plastic group (p=0.004). The relative risk of undergoing surgery was higher in the metal group. The first intervention time evolved in favour of the plastic cannula (p=0.069). In conclusion, the authors point at a decreased disease burden, in relation to the cannulation procedure, and fewer infiltrations during treatment within the plastic group. The follow-up of this study was 13 months.

 

Hemodynamic trauma

The laminar flow of systemic circulation is disturbed at the insertion site throughout the duration of the dialysis treatment and, consequently, the intima of the vessel wall may respond by activating biochemical cascades contributing to the proliferation of neoinitima and the development of neointimal hyperplasia (NIH); these factors contribute to the genesis of stenotic lesions and consequential thrombosis.

In a study aimed at examining the effectiveness of the plastic cannula with anti-reflux valve [14] by means of a computational model, emphasis was placed on the comparison of the hemodynamic conditions produced by a metal needle under similar conditions. A 15G-gauge device was inserted in an idealized 10mm-diameter cephalic vein, assuming the non-compliance of the vessel walls due to arterialization after the creation of the AVF, stabilized at a 10° angle (common in clinical practice) and tested with Newtonian fluid with similar density and viscosity to blood, with BFRs of 200 ml/min, 300 ml/min and 400 ml/min and with three different positions of the tip in the vessel (upper third, middle and lower third of the vein).

The plastic cannula and the venous needle create similar blood flow structures, as both devices produce high speed jets that result in disturbed flows downstream of the impact zone. The hemodynamic differences between the plastic cannula and the needle are small; the metal needle seems to do slightly worse due to the presence of smaller regions with high shear stress and residence time on the vascular wall. The abundant blood flow through the side holes of the cannula, however, shows a design advantage of the plastic device over the metal needle. Where the “back eye” of the metal needle is highly ineffective, the presence of four side holes in the cannula produces a reasonable flow distribution that helps to reduce the speed of the main jet, as shown also in peripheral catheters. Reducing the speed of the main jet can reduce the average time of shear stress on the vascular walls and impact zone, preventing the formation of secondary flows with high residence times. The design and geometry optimization of plastic cannulae allow for 50% of the blood flow to enter through the lateral holes during extraction from the body, helping to increase the exhaustion of the jet. The authors also argue that the use of plastic cannulae in hemodialysis could reduce the risk of infiltration due to the design of the tip. The technique of needle rotation, performed with metal needles in order to relieve pressure, is not necessary with the cannula because of the symmetrical design and the great influence of these side holes.

Fig. 7: Sharp end of the mandrel housed in the plastic catheter with side holes (courtesy of Nipro Medical Europe)

 Dialysis suitability

When considering dialysis adequacy, several studies report achieving optimal hemodialysis parameters [14,20,21,24,25,28,29,30]. An effective blood flow (BF) of 300 ml/min with 15G (gauge) plastic cannula was achieved in 87% of 83 treatment sessions (the remaining between 230/280 ml/min), with average blood pressure of -140 mmHg and venous pressure of 130 mmHg [36]. BF of 200 ml/min with 15G and 250 ml/min with 17G, without exceeding blood or venous pressure of +/-140 mmHg, has also been reported [15]. The cannula has a smaller puncture gauge with a larger internal gauge and this allows to maximize the flow and the efficiency, with fewer vascular complications. It has been demonstrated that its use can reduce blood and venous pressure without reducing dialysis efficiency, resulting in a better hemodynamic profile: the actual blood flow, the number of dialyzed liters and Kt/V are significantly improved [24,25]. It was also possible to use smaller puncture gauges (16G cannula vs. 15G metal needle) with a larger internal gauge (14G) that allowed a higher effective blood flow [24].

Computational models indicate that a greater blood flow can be used with the plastic cannula, without increasing the risk of endothelial damage while at the same time increasing the efficiency of blood filtration and reducing the duration of treatment [14]. The high blood flow through the lateral holes of the cannula (27% vs. <1% through the back eye of the metal needle) also shows that the extraction of blood from a fistula is more efficient, compared to the metal arterial needle.

Finally, the author of a descriptive study on nocturnal hemodialysis [16] advises against the use of sharp metal needles because of the risk of infiltration during treatment and suggests using a cannula needle with Rope Ladder or Buttonhole technique, according to specific protocols. A case-control analytical study, with the aim of analysing data collected over a period of 5 years on 33 patients in home night-time hemodialysis, reports on the use of the plastic cannula (16 or 17G) using the Buttonhole technique during the last 10 months of treatment. Most of the patients were able to auto-cannulate and to start treatment independently [35]. However, in a descriptive observational study [27], the use of the cannula for nocturnal home hemodialysis was judged to be difficult and was instead replaced with blunt metal needles using Buttonhole technique.

 

Perception of pain

Some comparative studies aimed at assessing pain perception report on average positive outcomes in favour of the plastic cannula. A study that used “Numeric Rating Scale” to assess pain during the insertion/removal of the two devices (metal needle and plastic cannula), as well as during treatment, reports an average score in favour of the plastic cannula. Patients also reported an increase in comfort owning to the possibility to move the arm safely during treatment [19]. In a prospective non-randomized controlled trial using the “Visual Analogue Scale”, significantly less pain was recorded during cannulation and removal of the plastic cannula; however, this difference was not detected by another study, using the “Short-Form McGill Pain Questionnaire” [25]. One study reports that cannulation with a plastic cannula was perceived as more painful by patients, with the author attributing this to the operators’ lack of experience in manipulating the device [24].

In this regard, some studies [10,26,27] report that operators may initially found it difficult to use a plastic cannula because it requires a different technique to the traditional needle. Senior staff were reportedly more reluctant to learn this new technique. In addition, more practical difficulties were reported in other health settings, by staff with no experience of peripheral venous catheterization; however, staff with experience of using CVP generally perceived the technique as easy to perform.

 

Criticality of the plastic cannula

Some criticalities have been found in the design of the plastic cannula: compared to the traditional needle, the greater distance separating the HUB from the end of the mandrel leads to greater difficulties in handling the device. This underlines the need for cannulators to achieve good practical skills, as inexperience can increase the risk of failure of the procedure; this event, however, would have a much less catastrophic outcome when using a plastic device, compared to a metal needle.

Although needle repositioning is considered a high risk procedure for AVF injury, and therefore it is not recommended, the inability to perform this procedure with the cannula has been reported by staff as one of the conditions that increase difficulties. In this sense, the non-pulsating blood flashback in the HUB may mislead the operator, causing him to retract the mandrel prematurely and proceed with the cannula, and perhaps hesitate at the inability of the cannula to access the vascular lumen in case of suboptimal access. The failure of the procedure results in the need for a new attempt, due to the absence of a sharp end that would instead allow the (not recommended) practice of needle repositioning.

Given the intrinsic difficulties related to the design of the plastic cannula (longer length, absence of wings for stabilization, distant HUB) and given the need, in accordance with the most recent guidelines, for a “one shot” cannulation of the fistula, without subsequent repositioning, cannulation with a plastic cannula in hemodialysis is considered a “skill” to be acquired with adequate training and support from specialized staff, identified in the “Vascular Health Nurse” [10,17].

Despite the possible benefits of the plastic cannula, the higher associated costs mean that its use has often been prioritised for subpopulations of patients. Although the use of plastic cannulae entails higher direct costs than the metal needle, its use could result in less damage to the vessels, reduce the rate of infiltration, the development of haematomas and aneurysms and, in the long term, lower the incidence of AVF thrombosis and stenosis. This in turn could increase the survival of AVFs, reducing hospitalization and treatment, all aspects that must be taken into account in a rational cost-benefit analysis [15].

 

Conclusions

The DOPPS 2018 study [5] shows that the success rate in the use of AVF and AVG is significantly higher in Japan, than in Europe and the United States. Given that almost the totality of Japanese patients is cannulated with a plastic cannula, this substantial difference in practice can be assumed to have been a contributing factor, as hypothesized by Smith et al. in their study [10]. This same study reports (using performance indicators) an increased success rate after the implementation of the plastic cannula, from 50% to 78%.

The unique design features and geometry of the plastic cannula (malleability, longer lengths available, presence and arrangement of side holes) have the potential to significantly expand the possibilities in the practice of cannulation, with positive outcomes for the patient and the operator and without compromising the dialysis efficiency.

Its use allows for the expansion of the number of cannulation sites (deep, tortuous, traumatized, fragile, not mature or located in areas of difficult access), increases comfort in a fragile population of patients, drastically reduces the risk of vascular infiltration during treatment as well as the development of related complications (aneurysms, pseudo-aneurysms and stenosis, the primary cause of AV failure), allows for a high blood flow, improves hemodialysis adequacy and, last but no less important, improves both individual and environmental safety. The presence of slightly favourable hemodynamic flows when using a metal needle do not justify their exclusive use. The hemodynamic damage generated by the geometry of the cannula seems to be comparable to traditional needles with the same internal gauge; there is the advantage, however, that the puncture diameter is smaller and yet it is possible to achieve higher flow rate and efficiency in blood extraction. The dialysis efficiency is therefore optimized: the possibility to access high flows, supported by optimal pressure parameters, allow to reduce treatment time.

The operator’s safety is enhanced by the absence of cutting edges and by the presence of additional options designed ad hoc, such as the isolation system of the cutting tip of the mandrel, the Luer-Lock connections and the anti-reflux valve, which make the connection and disconnection from the extracorporeal circuit safer and more efficient. The design of the cannula however should be further improved to solve some deficits that make it difficult to manipulate and increase the potential for procedure failures.

In home hemodialysis and night-time home hemodialysis positive outcomes are reported in relation to patient comfort (given the ability to move the arm safely) and safety (reduced possibility of infiltration and dislocation). Cannulation with a plastic cannula in home hemodialysis has often been associated with the Buttonhole technique. With regard to the risk of infection related to the blunt needle technique, recent guidelines stress the need for randomized trials that investigate the possibility that the plastic cannula reduces hematoma formation in the same way as blunt needles do, but with a lower risk of infection and an improved survival rate of the AVF [23].

In various settings, there is a need to conduct randomised controlled trials, whose feasibility has already been investigated [11], on large samples in order to generate in-depth, objective data. The aim should not be to confirm that a ductile plastic device with a blunt end is less harmful then a sharp metal needle, which is already suggested by common sense, but rather to investigate flow dynamics and long-term AV patency, combined with cost-benefit analyses that also consider potential later complications and interventions. The increase in costs following the implementation of the plastic cannula should be weighed against the potential long-term savings: the cannula allows for the successful use of difficult vascular access in patients who would otherwise be destined for future surgical vessel repositioning or CVC positioning, with the related risks and costs.

Introducing this device in the dialysis units, together with operational protocols and an adequate training of the staff to fill specific skill gaps, could bring better outcomes for the patient and the operator, which can be detected through continuous monitoring and through surveys built according to appropriate study drawings. Change can be a difficult but researching and analysing past experiences of other professionals can help with the implementation of new devices in the world of hemodialysis. More attention should be paid to the holistic evaluation of patients and their care needs, and to correctly informing them about the possibilities available to them, as to promote a personalised care. In the future, the question should be posed from a different perspective: it should be necessary to justify the use of a sharp metal fistula needle instead of a different device, and not vice versa. In accordance with Japanese health care professionals, the answer could be: “We do not find any plausible reason to use a device that is harmful to patients and caregivers” [8].

 

 

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