Biomarkers and Bone Turnover Markers in Chronic Kidney Disease – Mineral and Bone Disorders (CKD-MBD): Recent Advances

Abstract

Chronic Kidney Disease (CKD) provokes biochemical and systemic alterations, causing bone fragility with an increase in bone fracture risk, extraskeletal calcifications, increased morbidity, and cardiovascular mortality. The complex pathophysiological mechanism causes a syndrome called CKD-MBD (Chronic Kidney Disease – Mineral and Bone Disorders), which includes mineral and bone alterations leading to renal osteodystrophy (ROD). An early diagnosis is therefore essential to prevent the onset of more severe complications. A precise diagnosis of bone disorders and the subsequent administration of the best therapy is difficult without performing a bone biopsy. However, lately, the diagnostic focus is shifting to a series of molecules, the bone turnover markers (BTM), generated by the same bone tissue during the remodeling process, which is proving to be a useful diagnostic tool in the definition of ROD. BTMs are divided into bone formation molecules (amino-terminal propeptide of type 1 procollagen, P1NP; osteocalcin, OC; bone alkaline phosphatase, bALP) and bone resorption molecules (carboxy-terminal cross-linked telopeptide of type 1 collagen, CTX; isoform 5b tartrate-resistant acid phosphatase, TRAP-5b). There are also biomarkers of bone metabolism such as parathyroid hormone (PTH), fibroblast growth factor 23 (FGF23), and sclerostin. Although PTH is one of the most used molecules, P1NP, bALP, CTX, and TRAP-5b have proven to be superior in the discrimination of low turnover pathologies. The diagnostic capability of these molecules and their potential still require further studies, but clinicians must include BTMs in the diagnostic process of CKD-MBD.

Keywords: Bone turnover markers, Biomarkers in CKD-MBD, Renal osteodystrophy, Skeletal fragility, Vascular calcifications

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

L’insufficienza renale cronica (IRC) è direttamente correlata con l’insorgenza di iperparatiroidismo. Una riduzione dei livelli di vitamina D è osservabile già per valori di filtrato glomerulare (eGFR, Estimated Glomerular Filtration Rate) < 90 ml/min [1]. La progressiva riduzione della funzione renale, generalmente al di sotto di un eGFR di 59 ml/min/1.73 m2 [2], causa successivamente la perdita di meccanismi di equilibrio dell’omeostasi minerale garantiti dal rene. Il danno inizia con la perdita progressiva di nefroni funzionanti e la conseguente riduzione della quota di fosfato escreta per nefrone: in condizioni di normalità, il fosforo viene escreto con le urine grazie all’azione del fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF23), secreto dagli osteociti, che si lega al co-recettore a-Klotho formando il complesso FGF23 – α−Klotho – FGFR e bloccando il riassorbimento tubulare del fosfato, con conseguente escrezione urinaria [3]. Quando la quota di fosfato escreta si riduce si ha un aumento del fosfato circolante con conseguente iperfosforemia [2, 4]. FGF23 e il suo co-recettore a-Klotho sono i principali responsabili della perdita dell’omeostasi minerale nell’IRC. Oltre all’azione diretta sul tubulo renale, FGF23 riduce la sintesi di calcitriolo (1,25-OH-D3) inibendo l’enzima di sintesi (1a-idrossilasi) e stimolando uno degli enzimi di degradazione (24-idrossilasi). La riduzione dei livelli di calcitriolo provoca di riflesso anche una down-regulation dei recettori VDR e CaSR intestinali (recettori rispettivamente della vitamina D e del calcio) con conseguente ridotto assorbimento di vitamina D e di calcio a livello intestinale, provocando ipovitaminosi D ed ipocalcemia [5]. FGF23 agisce anche in modo diretto sulle paratiroidi, esercitando un feedback inibitorio sulla secrezione di paratormone (PTH). Quest’ultimo agisce a livello osseo:1. stimolando gli osteoblasti a secernere RANKL (Receptor Activator of Nuclear Factor kappa-B Ligand) ed attivando così il riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti; 2. stimola il riassorbimento tubulare di calcio e l’enzima 1-alfa-idrossilasi, mediando la trasformazione della 25OHD3 in 1,25OHD3; 3. infine inibisce il riassorbimento di fosfati [6]. Questo meccanismo, utile in condizioni di normalità per mantenere una corretta omeostasi minerale, con il perdurare dello stimolo dovuto alla cronicizzazione della malattia renale causa un aumento dei livelli di PTH senza una reale risposta sistemica, con conseguente instaurarsi di un quadro di iperparatiroidismo secondario (IPTS) caratterizzato da iperfosforemia, ipocalcemia, alti livelli di PTH e ipovitaminosi D [7] (Figura 1).

Meccanismo dell'iperparatiroidismo secondario nell'insufficienza renale cronica
Figura 1. Meccanismo dell’iperparatiroidismo secondario nell’insufficienza renale cronica PTH: paratormone, FGF23: fattore di crescita dei fibroblasti 23, CaSR: recettore sensibile al calcio, VDR: recettore della Vitamina D.

Queste alterazioni biochimiche si riflettono a livello sistemico, provocando fragilità ossea con incremento delle fratture, calcificazioni extrascheletriche (vascolari e dei tessuti molli), aumento delle morbilità e della mortalità cardiovascolare [6]. Tale complesso meccanismo fisiopatologico riflette l’instaurarsi di una sindrome tipica dell’IRC, detta CKD-MBD (Chronic Kidney Disease – Mineral and Bone Disorders) che comprende le alterazioni biochimiche e sistemiche a livello minerale e osseo causate dall’IRC stessa.
Le conseguenze della CKD-MBD si riflettono sia a livello scheletrico sia a livello extrascheletrico.
Il coinvolgimento osseo consiste in alterazioni a livello del turnover osseo, che può risultare in un eccesso di rimaneggiamento del tessuto osseo (alto turnover) o, al contrario, in una sua eccessiva soppressione (basso turnover), della mineralizzazione (normale o alterata) e del volume osseo (ridotto, normale o elevato). Questo provoca cambiamenti istologici e l’instaurarsi di diversi disturbi ossei che vengono denominati Osteodistrofia Renale (OR), diagnosticati solamente con Biopsia Ossea e classificati secondo la classificazione elaborata da Moe et al. nel 2006 (Tabella 1) [8].

Tipo di osteodistrofia renale Turnover Mineralizzazione Volume
Osteomalacia Basso Alterata Medio-basso
Osso adinamico Basso Normale Basso-Normale
Osteopatia mista Medio-alto Alterata Medio-basso
Osteite fibrosa Alto Normale Medio-alto
Tabella 1. Distinzione istologica dell’osteodistrofia renale nell’insufficienza renale cronica tramite classificazione TMV secondo Moe et al. Kidney Int 2006

Nei pazienti con IRC la porzione ossea maggiormente interessata è la corticale ossea, che va incontro a un incremento della porosità e a una riduzione di spessore [9]. Questo si verifica più frequentemente nei pazienti che presentano un disturbo ad alto turnover e si associa maggiormente a fratture a livello extra-assiale (bacino e ossa lunghe), mentre fratture a livello assiale (vertebrale) sono generalmente conseguenti a un basso volume e a un ridotto spessore trabecolare [10]. In entrambi i casi, si ha un aumento del rischio di fratture da fragilità, con una progressione del rischio direttamente proporzionale all’aggravarsi dell’IRC: da 15/1000 pazienti all’anno per IRC stadio 1 a 46.3/1000 pazienti all’anno per IRC stadio 4 per le fratture dell’anca [11]. Per i pazienti in dialisi il rischio di sviluppare una frattura a livello del bacino è 4 volte superiore rispetto alla popolazione generale [12], mentre le fratture vertebrali, se diagnosticate correttamente con metodica quantitativa, possono avere una prevalenza fino al 50% in questa popolazione [13, 14].
Le conseguenze extrascheletriche sono principalmente a carico del distretto cardiovascolare e dei tessuti molli. A livello cardiaco l’aumento dei livelli di FGF23 e l’attivazione del suo recettore FGFR4 a livello dei miocardiociti provoca ipertrofia ventricolare sinistra [15], sostenuta anche dall’aumento della volemia causata dalla modulazione dell’espressione di ACE2 esercitata da FGF23 [16]. A livello vascolare e dei tessuti molli, l’aumento dei livelli di fosforo e dei livelli di calcio (questi ultimi in genere su base iatrogena per l’assunzione di farmaci a base di calcio o con azione che favorisce l’instaurarsi di ipercalcemia) promuove la calcificazione delle strutture extrascheletriche [17]. Inoltre, la riduzione dei livelli di vitamina K, implicata in processi di carbossilazione di proteine come la Matrix Gla Protein e l’osteocalcina, provoca a sua volta una riduzione delle forme attive carbossilate di entrambe queste molecole, la cui funzione, tra le altre, è l’inibizione della calcificazione dei tessuti molli e vascolari, concorrendo alla promozione di meccanismi di calcificazione extrascheletrica [18].
Queste conseguenze della CKD-MBD rendono indispensabile una diagnosi precoce, in modo da prevenire l’insorgere delle complicanze più gravi di questa sindrome, come le fratture da fragilità e gli eventi cardiovascolari, associati ad aumentata morbidità e mortalità [19].

Ad oggi il gold standard per la diagnosi delle anomalie ossee causate dalla CKD-MBD è la biopsia ossea e la relativa analisi istomorfometrica, che permette di valutare gli elementi cellulari dell’osso (osteoblasti, osteoide, osteoclasti), la microarchitettura trabecolare, e i parametri statici e dinamici di volume, mineralizzazione e turnover dell’osso [20]. Tuttavia, la sua invasività, i costi e la ridotta expertise sul territorio ne hanno fortemente limitato l’uso [21].Per questo motivo spesso si utilizzano metodi diagnostici meno invasivi, ma con diverse limitazioni, perché danno informazioni limitate sulla bone quantity (BQT) o sulla bone quality (BQL). Per esempio, l’assorbimetria a raggi X (Dual Energy X-ray Absorptiometry, DXA) permette di valutare la Bone Mineral Density (BMD: g/cm2): parametro indicativo della BQT, mentre il Trabecular Bone Score (TBS) è un parametro indicativo della BQL che fornisce informazioni sulla microarchitettura trabecolare dell’osso e rappresenta un indicatore indipendente di rischio fratturativo nei pazienti con IRC nelle fasi più avanzate [22, 23] e nei pazienti trapiantati [24]. In ogni caso la DXA non è in grado di fornire informazioni sulla qualità dell’osso, né sui parametri di microarchitettura, mineralizzazione e turnover osseo; quindi, non informa sul tipo di osteodistrofia renale sottostante (OR): infatti uguali valori di BMD possono essere associati a diverse forme di OR [12, 25, 26] . Un recente software permette di elaborare immagini in formato tridimensionale (3D-DXA mediante 3D-SHAPER®, https://www.3d-shaper.com/en/index.html) e quindi di misurare la BMD volumetrica corticale (mg/cm³), lo spessore corticale (mm), la BMD superficiale corticale (mg/cm²), la BMD volumetrica trabecolare (mg/cm³) ed infine, parametri ossei geometrici, permettendo dunque di ottenere maggiori informazioni sullo stato della salute ossea [27].
La tomografia computerizzata quantitativa periferica ad alta risoluzione (HR-pQCT) permette di valutare tridimensionalmente la densità ossea e di analizzare la qualità dell’osso corticale e trabecolare [28]. Tuttavia, la HR-pQCT non fornisce informazioni sul turnover e sulla mineralizzazione, limitandone l’uso per valutazione diagnostica in CKD-MBD ed osteoporosi; inoltre è disponibile solo in pochi centri a livello nazionale ed internazionale.
Di conseguenza, stabilire con precisione il tipo di OR e la conseguente migliore terapia per prevenire e/o curare il disturbo sottostante è difficile senza l’esecuzione di una biopsia ossea. Tuttavia, di recente, il focus diagnostico si sta spostando su una serie di molecole, i bone turnover markers (BTM), generati dal tessuto osseo durante il processo di rimodellamento, e la cui presenza in circolo, a seconda dei valori, potrebbe informare sul tipo di turnover osseo presente. Com’è noto, l’osso va ciclicamente incontro a processi di formazione di tessuto, a carico degli osteoblasti, seguiti da processi di riassorbimento, ad opera degli osteoclasti [12, 29] . Distingueremo quindi BTM di formazione osseo, BTM di riassorbimento osseo e Biomarkers di metabolismo osseo (Tabella 2).

CLASSE DI BIOMARCATORI CLEARANCE RENALE CLEARANCE EMODIALITICA CUT-OFF PER ALTO
TURNOVER
CUT OFF PER BASSO
TURNOVER
CUT- OFF PER FRATTURE DELL’ANCA
METABOLISMO OSSEO Salam Jørgensen Salam Jørgensen Maruyama** Iimori***
PTH (pg/ml)         Sì Sì (Frammenti) > 327 > 143.5 < 183 < 90.5
FORMAZIONE OSSEA
 ALP (U/L) >102 >97 <88 <87 >405**
bALP (mcg/L) No >31 >33.7 <21 <24.7 >27.4***
P1NP/P1CP (ng/ml) No >107 >120.7 <57 <49.8
RIASSORBIMENTO OSSEO
TRAP-5b (U/L) No No >4.6 > 5.05 < 4.6 < 3.44
CTX/NTX (ng/ml) >2.39 < 0.84
Tabella 2. Classi di Biomarcatori dell’Osso
Range di normalità: Salam 10-65 pg/mL, Jørgensen 3-40 pg/mL
PTH: paratormone, ALP: fosfatasi alcalina, bALP: fosfatasi alcalina ossea, P1NP: propeptide aminoterminale del procollagene di tipo 1, P1CP: propeptide carbossiterminale del procollagene di tipo 1, TRAP-5b: isoforma 5b della fosfatasi acida resistente al tartrato. CTX: telopeptide reticolato carbossi-terminale del collagene di tipo 1, NTX: telopeptide a legame amminico-terminale del collagene di tipo 1.  

 

BTM di formazione ossea

Il propeptide aminoterminale del procollagene di tipo 1 (P1NP) è un frammento rilasciato quando il collagene viene depositato nella matrice ossea e viene pertanto considerato un marker di formazione ossea. La sua forma trimerica non ha clearance renale, pertanto è considerato un BTM affidabile nei pazienti con IRC [30], mentre la monomerica è metabolizzata dal rene: non distinguere le due forme potrebbe portare a una sovrastima dei suoi livelli nei pazienti con IRC. Nello studio di Salam et al. [31] P1NP intatto si è mostrato un biomarcatore predittivo per la definizione di un basso turnover osseo (area under the curve, AUC = 0.794 per P1NP < 57 ng/ml), significativamente più affidabile del PTH (AUC = 0.563 per PTH < 183 pg/ml). Anche Jørgensen et al. [32] hanno confermato il dato di P1NP nella diagnosi di basso turnover osseo, con un’AUC di 0.83 per P1NP < 49.8 ng/ml, ma anche nella definizione di alto turnover osseo, dove è risultato significativamente migliore rispetto a PTH (AUC = 0.850 per P1NP > 120.7 ng/ml vs AUC = 0.780 per PTH > 143.5 pg/ml). Inoltre, Ueda et al. hanno mostrato come i valori sierici di P1NP nei pazienti in emodialisi fossero correlati negativamente con i valori di BMD nel terzo distale del radio: i soggetti con valori sierici di P1NP più elevati avevano una maggiore perdita ossea [33] (Tabella 2).
L’osteocalcina (OC) o Bone GLA Protein, è una proteina vitamina K-dipendente rilasciata dagli osteoblasti; la forma precorritrice (decarbossilata) dell’OC subisce un processo di carbossilazione, mediato dalla vitamina K, a tre diversi siti (i residui glutammici 17, 21 e 24) che la converte nella sua forma attiva in grado di legarsi ai cristalli di idrossiapatite dell’osso, dove regola la mineralizzazione [34]. Le sue principali funzioni sembrerebbero l’inibizione della mineralizzazione ossea e la successiva regolazione dei processi di maturazione del tessuto osseo neo-deposto: a sostegno di questa tesi uno studio di Ducy et al. ha dimostrato che topi knock-out per OC sviluppano quadri di iperostosi [34, 35]. Il suo coinvolgimento nella definizione del turnover osseo ha mostrato una buona sensibilità nella discriminazione di pattern ossei a basso turnover [36] [37]. Tuttavia, l’OC sembrerebbe avere un ruolo anche a livello delle calcificazioni vascolari [38] [39]. Lo studio VIKI (Vitamin K Italian Study) ha analizzato la correlazione tra livelli di OC e fratture vertebrali e calcificazioni vascolari su 387 pazienti in emodialisi provenienti da 18 centri italiani, evidenziando livelli di OC significativamente inferiori nei pazienti con calcificazioni vascolari a livello aortico ed iliaco (-36%, 164 vs. 262.1 mcg/L, p = 0.0003 and 162 vs. 206 mcg/L, p = 0.0108, rispettivamente) e nei pazienti con fratture vertebrali (-29%, 151 vs. 213 mcg/L, p = 0.0091) [40]. Inoltre nello studio MINOS, studio monocentrico prospettico su 774 uomini francesi in follow-up per più di 10 anni, è stata riscontrata una riduzione della calcificazione vascolare aortica ed una ridotta mortalità per tutte le cause a 10 anni entrambe associate a valori più alti di OC in modo statisticamente significativo [41] (Tabella 2).
La fosfatasi alcalina ossea (bALP), è una proteina omodimerica presente sulla superficie degli osteoblasti; durante il processo di mineralizzazione viene clivata da una fosfolipasi, e secreta a livello sierico [42]. Non ha clearance renale, pertanto è anche lei un BTM affidabile nell’IRC. Nello studio di Salam et al. bALP è risultata promettente nella discriminazione di pazienti con basso turnover (AUC 0.824 per bALP < 21 mcg/L), rispetto al PTH (AUC = 0.563 per PTH < 183 pg/ml). Tale dato è stato confermato sia da Bervoets et al., in uno studio condotto su 84 pazienti macedoni con IRC non in dialisi [36], dove bALP ha mostrato una sensibilità dell’83% nella definizione di pazienti con osso adinamico, e da Jørgensen et al. [32], che ha evidenziato un’AUC di 0.82 per bALP < 24.2 mcg/L rispetto all’AUC di PTH di 0.770 (per PTH < 90.5 pg/ml). Nei pazienti con alto turnover l’AUC è risultata di 0.750 per bALP > 31 mcg/L, sovrapponibile a quella di PTH (0.760 per PTH > 327 pg/ml) nello studio di Salam et al. [31] e di 0.830 per bALP > 33.7 mcg/L vs AUC del PTH di 0.780 (per PTH < 143.5 pg/ml) nello studio di Jørgensen et al. [32]. Nei pazienti trapiantati, Jørgensen et al. [32] hanno riscontrato un AUC di bALP di 0.800 vs AUC di PTH di 0.760 nella discriminazione dei pattern ad alto turnover e di 0.940 vs 0.820 nella diagnosi di pattern a basso turnover.
Inoltre, l’ALP sembra avere anche un ruolo nel predire il rischio fratturativo dei pazienti con IRC: Maruyama et al. [43], analizzando i dati del registro giapponese su pazienti con IRC in dialisi, hanno dimostrato che in 185.277 pazienti i livelli di ALP erano indipendentemente associati alla mortalità e all’incidenza di fratture dell’anca. Allo stesso modo, Imori et al [44] hanno dimostrato, in uno studio di coorte monocentrico su 485 pazienti in dialisi, che bALP è risultato un indicatore utile per predire il rischio di frattura di qualsiasi tipo (AUC = 0.766, p < 0.0001) (Tabella 2).

 

BTM di riassorbimento osseo

Il telopeptide reticolato carbossi-terminale del collagene di tipo 1 (CTX), che ha origine dagli osteoclasti, aumenta a livello sierico durante i processi di riassorbimento osseo. La clearance di CTX è renale e vi è quindi una correlazione tra l’aumento dei livelli di CTX e il peggioramento della funzione renale [45]. In uno studio su 69 pazienti con IRC stadio 4-5D [31] l’AUC di CTX per la diagnosi di basso turnover osseo è risultata 0.766 (per CTX <0.84 ng/ml), con una sensibilità del 60% e una specificità dell’84%; nella discriminazione di alto turnover osseo CTX ha presentato un’AUC di 0.762 (per valori > 2.39 ng/ml) con una sensibilità del 53% e una specificità del 96%. Inoltre, uno studio di Okuno et al. ha confermato l’ipotesi che i valori sierici di CTX possano fornire importanti informazioni sul grado di perdita ossea; in particolare, valutando il terzo distale del radio nei maschi in trattamento emodialitico, si è visto che aumentati livelli di CTX erano associati a perdita ossea [46]. Anche il telopeptide a legame amminico-terminale del collagene di tipo 1 (NTX), un altro prodotto della degradazione del collagene, si accumula nel plasma dei pazienti uremici in modo proporzionale all’aumento dell’IRC [47]. Tuttavia uno studio condotto su 37 pazienti con IRC stadio 1-4 [48] ha sottolineato la possibile utilità di questo BTM, se monitorato nel tempo nella sua escrezione urinaria, per valutare la progressione dell’osteodistrofia renale in pazienti con IRC non in dialisi. Tuttavia, essendo NTX anche un marker di osteoporosi, bisogna eseguire una corretta diagnosi differenziale tra le varie patologie ossee [48].
L’isoforma 5b della fosfatasi acida resistente al tartrato (TRAP-5b) è un enzima prodotto dagli osteoclasti nel processo di degradazione della matrice ossea; di conseguenza, alti livelli di TRAP-5b nel siero sono il riflesso di una elevata attività osteoblastica e di riassorbimento osseo. Nello studio già descritto di Salam et al. [31] è stata evidenziata un AUC di 0.799 per TRAP-5b < 4.6 U/L nella diagnosi di osteodistrofia a basso turnover confermato nello studio di Jørgensen et al. condotto su 80 pazienti con IRC stadio 4-5D e 119 pazienti trapiantati, con AUC di 0.84 per TRAP-5b < 3.44 U/L, quest’ultima significativamente migliore rispetto a PTH (= 0.770 per PTH < 90.5 pg/ml) [32]. Nello studio di Chu et al. [49] è stata dimostrata una correlazione positiva con parametri istomorfometrici dell’osso come il bone formation rate (BFR/BS o bone surface) con un coefficiente di correlazione di Spearman di 0.906. TRAP-5b, inoltre, si è dimostrato un fattore predittivo di perdita ossea sia nello studio di Malluche et al. [50], condotto su 81 pazienti americani in dialisi, dove i valori di TRAP-5b si sono rilevati alti nel 73% dei pazienti con perdita ossea alla Tomografia Computerizzata Quantitativa (QCT) del bacino, sia nello studio di Nickolas et al. [51], condotto su 82 pazienti con IRC in stadio predialitico, dove i livelli di TRAP-5b si mostravano più alti del 29% in pazienti con frattura ossea. Invece, in uno studio monocentrico coinvolgente 58 pazienti in emodialisi, è stata riscontrata una relazione significativa tra l’aumento sierico dei valori di TRAP-5b e la perdita di massa ossea corticale [52]. Inoltre, TRAP-5b sembrerebbe avere una correlazione anche con la prognosi cardiovascolare dei pazienti con IRC non in dialisi: Manghat et al. [53], in uno studio condotto su 145 pazienti con IRC stadio 1-4 ha evidenziato una correlazione tra i valori di bALP, i valori di TRAP e il rapporto TRAP/bALP con la rigidità di parete arteriosa.
Di conseguenza, TRAP-5b, metabolizzato per via non renale, sembrerebbe uno dei più promettenti BTM nella definizione del turnover osseo, del rischio di frattura e del rischio cardiovascolare.

 

Biomarkers di metabolismo osseo 

PTH è il prodotto finale della conversione di un propetide a catena singola di 115 amminoacidi, dal quale deriva il proparatormone, mediante scissione di 25 residui amino-terminali, e successivamente il paratormone (PTH 1-84), dopo ulteriore scissione di 6 aminoacidi. La maggior parte del PTH viene normalmente degradato dalla proteolisi prima di poter essere secreto e da questa proteolisi derivano frammenti come il PTH 7–84 [54]. La versione attiva di PTH (1-84) è un ormone secreto dalle paratiroidi, non definibile BTM in quanto non prodotto direttamente dalle cellule ossee durante i processi di riassorbimento e formazione. Nonostante ciò, per la sua diffusione e facilità di reperimento in tutti i laboratori, è ancora oggi la molecola più utilizzata per stabilire lo stato dell’osso nei pazienti con IRC. Tuttavia, il PTH presenta non poche variabili che ne alterano l’affidabilità. Innanzitutto, è estremamente variabile a seconda di sesso, età, etnia, indice di massa corporea e apporto di calcio nella dieta del paziente; varia poi a seconda del sito di campionamento (nei pazienti in dialisi con fistola artero-venosa o catetere venoso centrale), del ritmo circadiano e della stagionalità [55]. Esiste inoltre una variabilità analitica tra i kit di dosaggio utilizzati per stabilire i valori di PTH [56]: il primo kit in commercio è al momento inutilizzato in quanto impreciso, dal momento che analizzava tutti i frammenti C-terminali di PTH, sovrastimandone i livelli ematici; i kit di seconda generazione, tuttora in uso, sono comunque imprecisi in quanto, anche se riducono l’interferenza dei frammenti C-terminali, leggono i frammenti 7-84, portando comunque a una sovrastima dei livelli di PTH; i kit di terza generazione, invece, leggono solo la molecola 1-84 e al momento sono i kit più affidabili per la stima dei livelli di PTH (Tabella 2).
Con l’instaurarsi della CKD-MBD e dell’iperparatiroidismo secondario si possono osservare livelli sempre più alti di PTH nella popolazione con IRC [57], con un aumento direttamente proporzionale alla perdita della funzione renale nei pazienti con IRC stadio 3-5 [57] [58]. Al momento, però, non ci sono valori raccomandati di PTH nella popolazione con IRC non in dialisi, sebbene non sia raccomandata una normalizzazione totale; nei pazienti con IRC in dialisi le linee guida KDIGO raccomandano livelli compresi tra 2 e 9 volte i limiti superiori di norma [59, 60], invece le linee guida KDOQI consigliano di mantenere i valori di PTH tra 150 e 300 pg/ml [61]. Una recente survey del gruppo Fusaro et al. [22] ha indagato l’utilizzo dei BTM in una popolazione di 106 nefrologi italiani e ha evidenziato come questi ultimi tendano a fare maggior riferimento alle linee guida KDOQI rispetto alle KDIGO per il range di mantenimento dei valori di PTH (52% vs 38%).
PTH è uno dei driver fondamentali del metabolismo osseo. Tuttavia, la sua grande variabilità precedentemente descritta non lo rende un marker preciso dello stato dell’osso. In diversi studi è stata valutata la capacità di PTH di predire un basso o un alto turnover osseo rispetto a quella dei BTM risulta essere inferiore nel basso turnover e comparabile all’alto turnover, come descritto precedentemente (Tabella 2).
In precedenza, Barreto et al. [62] avevano già evidenziato come, per i valori consigliati dalle linee guida KDOQI, PTH non fosse in grado di discriminare in modo esauriente tutti i pazienti con alto e basso turnover osseo: infatti, su 97 pazienti analizzati e sottoposti a biopsia ossea, 58 sono risultati pazienti a basso turnover osseo, 36 pazienti ad alto turnover e 3 pazienti con turnover normale. I pazienti con PTH < 150 pg/ml sono risultati 35, con PTH tra 150-300 pg/ml sono risultati 22 e con PTH > 300 sono risultati 40. L’analisi ha dimostrato che i valori di PTH non sempre combaciavano con il turnover osseo atteso. Tuttavia, valori estremi di PTH correlano in modo significativo con un aumentato rischio di frattura: Coco et al. hanno evidenziato, su 1272 pazienti in dialisi, che valori di PTH < 195 pg/dl correlavano significativamente con un aumentato rischio di frattura, mentre pazienti con valori più alti di PTH non sembravano altrettanto esposti al rischio [63]. Al contrario, in un altro studio condotto su 12.782 pazienti in dialisi, valori di PTH > 900 pg/ml correlavano significativamente con un aumentato rischio di frattura [64]. Nello studio di Jansz et al., condotto invece su 146 pazienti trapiantati, i valori di PTH hanno mostrato una correlazione a U con un aumentato rischio di frattura: quest’ultimo era maggiore per valori molto bassi di PTH (< 7 pmol/L) e per valori molto alti (> 50 pmol/L) [65]. In conclusione il PTH non sembra essere un valido marker nella predittività del rischio fratturativo in pazienti con IRC a differenza di ALP (Tabella 2).
FGF23 e α-Klotho, come già visto, sono due molecole fondamentali nella gestione del metabolismo minerale e osseo. Inoltre, sembra che FGF23 abbia anche un’azione, diretta e indiretta, a livello dei miocardiociti, provocando l’insorgenza di ipertrofia ventricolare sinistra. Infatti è stata dimostrata in vitro l’esistenza di una via di segnalazione, mediata dal recettore FGFR4 per FGF23 [15], indipendente da α−Klotho, che vede l’attivazione della via di segnalazione fosfolipasi Cγ − calcineurina − fattore nucleare delle cellule T attivate, la quale stimola l’ipertrofia dei miocardiociti e lo sviluppo di ipertrofia ventricolare sinistra [66]. Questo meccanismo è inoltre sostenuto dall’effetto di FGF23 sulla modulazione dell’espressione di ACE2, che aumenta i livelli di sodio e calcio sierici, provocando una conseguente ipervolemia e un quadro di ipertensione arteriosa, che sostiene e amplifica il rimodellamento ipertrofico cardiaco [16]. La somministrazione di etelcalcetide post-dialitica, studiata su 62 pazienti europei in emodialisi, ha dimostrato la capacità di ridurre la progressione del danno cardiaco causato da FGF23 [67].

La sclerostina è una proteina prodotta dagli osteociti ed è promotrice dell’inibizione della via di segnalazione Wnt/β-catenina tramite il legame con il suo recettore presente sugli osteoblasti. In questo modo inibisce l’attività osteoblastica e conseguentemente la formazione ossea [68]; in pazienti con IRC stadio 3-4 alti livelli di sclerostina potrebbero indurre un precoce quadro di basso turnover osseo [69-71].
Inoltre, sembrerebbe esserci una correlazione tra sclerostina e calcificazioni vascolari: dallo studio di Kanbay et al. [72], condotto su 173 pazienti con IRC stadio 3-5, è emersa una correlazione tra alti livelli di sclerostina ed eventi cardiovascolari fatali e non fatali.
L’importanza di questo BTM necessita di ulteriori approfondimenti sia dal punto di vista del suo ruolo a livello osseo e cardiovascolare, sia sulla determinazione dei suoi livelli. Infatti, al momento, sono disponibili diversi kit di dosaggio di questo marcatore, che presentano discrepanze tra loro e la cui concordanza tra i risultati è ancora da stabilire, di conseguenza anche in quest’ambito sono necessari ulteriori studi comparativi per uniformare i metodi di dosaggio della sclerostina e rendere i risultati ottenuti più affidabili per una corretta interpretazione clinica [73].

 

Conclusioni

In conclusione, per i pazienti con IRC è raccomandabile una migliore valutazione del turnover osseo effettuata, oltre che con PTH, anche con il panel dei BTM sopra elencati, sia per l’alto che per il basso turnover, soprattutto ai fini di individuare la migliore terapia per l’OR. Nonostante queste evidenze, l’utilizzo dei BTM non è ancora omogeneamente diffuso come evidenziato dalla nostra recente survey [30] in cui l’utilizzo di BTM come P1NP, TRAP-5b, bALP e CTX rimane marginale, anche per la difficoltà di richiedere questi dosaggi al proprio laboratorio di riferimento.
La capacità diagnostica di queste molecole e il loro potenziale necessitano comunque di ulteriori studi, ma è fondamentale che i clinici includano i BTM nell’iter diagnostico della CKD-MBD.

 

Bibliografia

  1. A. Levin and Y. C. Li, “Vitamin D and its analogues: do they protect against cardiovascular disease in patients with kidney disease?,” (in eng), Kidney Int, vol. 68, no. 5, pp. 1973-81, Nov 2005, doi: 10.1111/j.1523-1755.2005.00651.x.
  2. T. Isakova et al., “Fibroblast growth factor 23 is elevated before parathyroid hormone and phosphate in chronic kidney disease,” (in eng), Kidney Int, vol. 79, no. 12, pp. 1370-8, Jun 2011, doi: 10.1038/ki.2011.47.
  3. M. Wolf, “Mineral (Mal)Adaptation to Kidney Disease–Young Investigator Award Address: American Society of Nephrology Kidney Week 2014,” (in eng), Clin J Am Soc Nephrol, vol. 10, no. 10, pp. 1875-85, Oct 07 2015, doi: 10.2215/CJN.04430415.
  4. L. D. Quarles, “Fibroblast growth factor 23 and α-Klotho co-dependent and independent functions,” (in eng), Curr Opin Nephrol Hypertens, vol. 28, no. 1, pp. 16-25, Jan 2019, doi: 10.1097/MNH.0000000000000467.
  5. H. Komaba and M. Fukagawa, “The role of FGF23 in CKD–with or without Klotho,” (in eng), Nat Rev Nephrol, vol. 8, no. 8, pp. 484-90, Jun 19 2012, doi: 10.1038/nrneph.2012.116.
  6. J. B. Cannata-Andía et al., “Chronic Kidney Disease-Mineral and Bone Disorders: Pathogenesis and Management,” (in eng), Calcif Tissue Int, vol. 108, no. 4, pp. 410-422, Apr 2021, doi: 10.1007/s00223-020-00777-1.
  7. M. Mizobuchi, H. Ogata, and F. Koiwa, “Secondary Hyperparathyroidism: Pathogenesis and Latest Treatment,” (in eng), Ther Apher Dial, vol. 23, no. 4, pp. 309-318, Aug 2019, doi: 10.1111/1744-9987.12772.
  8. S. Moe et al., “Definition, evaluation, and classification of renal osteodystrophy: a position statement from Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO),” (in eng), Kidney Int, vol. 69, no. 11, pp. 1945-53, Jun 2006, doi: 10.1038/sj.ki.5000414.
  9. Y. Xiong et al., “CKD Stages, Bone Metabolism Markers, and Cortical Porosity Index: Associations and Mediation Effects Analysis,” (in eng), Front Endocrinol (Lausanne), vol. 12, p. 775066, 2021, doi: 10.3389/fendo.2021.775066.
  10. M. J. Lloret et al., “Evaluating Osteoporosis in Chronic Kidney Disease: Both Bone Quantity and Quality Matter,” (in eng), J Clin Med, vol. 13, no. 4, Feb 09 2024, doi: 10.3390/jcm13041010.
  11. K. L. Naylor et al., “Comparison of fracture risk prediction among individuals with reduced and normal kidney function,” (in eng), Clin J Am Soc Nephrol, vol. 10, no. 4, pp. 646-53, Apr 07 2015, doi: 10.2215/CJN.06040614.
  12. C. Ginsberg and J. H. Ix, “Diagnosis and Management of Osteoporosis in Advanced Kidney Disease: A Review,” (in eng), Am J Kidney Dis, vol. 79, no. 3, pp. 427-436, Mar 2022, doi: 10.1053/j.ajkd.2021.06.031.
  13. S. Giannini et al., “Persistent secondary hyperparathyroidism and vertebral fractures in kidney transplantation: role of calcium-sensing receptor polymorphisms and vitamin D deficiency,” (in eng), J Bone Miner Res, vol. 25, no. 4, pp. 841-8, Apr 2010, doi: 10.1359/jbmr.091025.
  14. M. Fusaro et al., “The relationship between the Spine Deformity Index, biochemical parameters of bone metabolism and vascular calcifications: results from the Epidemiological VERtebral FRACtures iTalian Study (EVERFRACT) in dialysis patients,” (in eng), Clin Chem Lab Med, vol. 52, no. 11, pp. 1595-603, Nov 2014, doi: 10.1515/cclm-2014-0194.
  15. A. Grabner et al., “Activation of Cardiac Fibroblast Growth Factor Receptor 4 Causes Left Ventricular Hypertrophy,” (in eng), Cell Metab, vol. 22, no. 6, pp. 1020-32, Dec 01 2015, doi: 10.1016/j.cmet.2015.09.002.
  16. O. Andrukhova et al., “FGF23 regulates renal sodium handling and blood pressure,” (in eng), EMBO Mol Med, vol. 6, no. 6, pp. 744-59, Jun 2014, doi: 10.1002/emmm.201303716.
  17. Y. Fang, C. Ginsberg, T. Sugatani, M. C. Monier-Faugere, H. Malluche, and K. A. Hruska, “Early chronic kidney disease-mineral bone disorder stimulates vascular calcification,” (in eng), Kidney Int, vol. 85, no. 1, pp. 142-50, Jan 2014, doi: 10.1038/ki.2013.271.
  18. M. Fusaro et al., “Sevelamer Use, Vitamin K Levels, Vascular Calcifications, and Vertebral Fractures in Hemodialysis Patients: Results from the VIKI Study,” (in eng), J Bone Miner Res, vol. 36, no. 3, pp. 500-509, Mar 2021, doi: 10.1002/jbmr.4214.
  19. M. Fusaro, A. Aghi, M. C. Mereu, and A. Giusti, “[Fragility fracture in the Chronic Kidney Disease (CKD)],” (in ita), G Ital Nefrol, vol. 34, no. Nov-Dec, Dec 05 2017.
  20. L. Dalle Carbonare and S. Giannini, “[Histologic diagnosis of metabolic bone diseases: bone histomorphometry],” (in ita), Reumatismo, vol. 56, no. 1, pp. 15-23, 2004, doi: 10.4081/reumatismo.2004.15.
  21. P. Evenepoel et al., “Bone biopsy practice patterns across Europe: the European renal osteodystrophy initiative-a position paper,” (in eng), Nephrol Dial Transplant, vol. 32, no. 10, pp. 1608-1613, Oct 01 2017, doi: 10.1093/ndt/gfw468.
  22. K. L. Naylor et al., “The three-year incidence of fracture in chronic kidney disease,” (in eng), Kidney Int, vol. 86, no. 4, pp. 810-8, Oct 2014, doi: 10.1038/ki.2013.547.
  23. H. J. Yun et al., “Trabecular bone score may indicate chronic kidney disease-mineral and bone disorder (CKD-MBD) phenotypes in hemodialysis patients: a prospective observational study,” (in eng), BMC Nephrol, vol. 21, no. 1, p. 299, Jul 25 2020, doi: 10.1186/s12882-020-01944-0.
  24. K. L. Naylor et al., “Trabecular bone score in kidney transplant recipients,” (in eng), Osteoporos Int, vol. 27, no. 3, pp. 1115-1121, Mar 2016, doi: 10.1007/s00198-015-3424-3.
  25. S. L. West, P. Patel, and S. A. Jamal, “How to predict and treat increased fracture risk in chronic kidney disease,” (in eng), J Intern Med, vol. 278, no. 1, pp. 19-28, Jul 2015, doi: 10.1111/joim.12361.
  26. G. Hampson, M. Stone, J. R. Lindsay, R. K. Crowley, and S. H. Ralston, “Diagnosis and Management of Osteoporosis During COVID-19: Systematic Review and Practical Guidance,” (in eng), Calcif Tissue Int, vol. 109, no. 4, pp. 351-362, Oct 2021, doi: 10.1007/s00223-021-00858-9.
  27. C. Valero et al., “3D analysis of bone mineral density in a cohort: age- and sex-related differences,” (in eng), Arch Osteoporos, vol. 16, no. 1, p. 80, Jun 02 2021, doi: 10.1007/s11657-021-00921-w.
  28. M. Fusaro et al., “Time for Revival of Bone Biopsy with Histomorphometric Analysis in Chronic Kidney Disease (CKD): Moving from Skepticism to Pragmatism,” (in eng), Nutrients, vol. 14, no. 9, Apr 22 2022, doi: 10.3390/nu14091742.
  29. M. Schini, T. Vilaca, F. Gossiel, S. Salam, and R. Eastell, “Bone Turnover Markers: Basic Biology to Clinical Applications,” (in eng), Endocr Rev, vol. 44, no. 3, pp. 417-473, May 08 2023, doi: 10.1210/endrev/bnac031.
  30. M. Fusaro et al., “Real-world usage of Chronic Kidney Disease – Mineral Bone Disorder (CKD-MBD) biomarkers in nephrology practices,” (in eng), Clin Kidney J, vol. 17, no. 1, p. sfad290, Jan 2024, doi: 10.1093/ckj/sfad290.
  31. S. Salam, O. Gallagher, F. Gossiel, M. Paggiosi, A. Khwaja, and R. Eastell, “Diagnostic Accuracy of Biomarkers and Imaging for Bone Turnover in Renal Osteodystrophy,” (in eng), J Am Soc Nephrol, vol. 29, no. 5, pp. 1557-1565, May 2018, doi: 10.1681/ASN.2017050584.
  32. H. S. Jørgensen et al., “Diagnostic Accuracy of Noninvasive Bone Turnover Markers in Renal Osteodystrophy,” (in eng), Am J Kidney Dis, vol. 79, no. 5, pp. 667-676.e1, May 2022, doi: 10.1053/j.ajkd.2021.07.027.
  33. M. Ueda et al., “Clinical usefulness of the serum N-terminal propeptide of type I collagen as a marker of bone formation in hemodialysis patients,” (in eng), Am J Kidney Dis, vol. 40, no. 4, pp. 802-9, Oct 2002, doi: 10.1053/ajkd.2002.35692.
  34. M. Fusaro, M. Gallieni, C. Porta, T. L. Nickolas, and P. Khairallah, “Vitamin K effects in human health: new insights beyond bone and cardiovascular health,” (in eng), J Nephrol, vol. 33, no. 2, pp. 239-249, Apr 2020, doi: 10.1007/s40620-019-00685-0.
  35. P. Ducy et al., “Increased bone formation in osteocalcin-deficient mice,” (in eng), Nature, vol. 382, no. 6590, pp. 448-52, Aug 01 1996, doi: 10.1038/382448a0.
  36. [36]     A. R. Bervoets et al., “Useful biochemical markers for diagnosing renal osteodystrophy in predialysis end-stage renal failure patients,” (in eng), Am J Kidney Dis, vol. 41, no. 5, pp. 997-1007, May 2003, doi: 10.1016/s0272-6386(03)00197-5.
  37. G. Coen et al., “Bone markers in the diagnosis of low turnover osteodystrophy in haemodialysis patients,” (in eng), Nephrol Dial Transplant, vol. 13, no. 9, pp. 2294-302, Sep 1998, doi: 10.1093/ndt/13.9.2294.
  38. M. Fusaro, L. Pereira, and J. Bover, “Current and Emerging Markers and Tools Used in the Diagnosis and Management of Chronic Kidney Disease-Mineral and Bone Disorder in Non-Dialysis Adult Patients,” (in eng), J Clin Med, vol. 12, no. 19, Sep 30 2023, doi: 10.3390/jcm12196306.
  39. R. A. Lin, J. T. Hsieh, C. C. Huang, C. Y. Yang, Y. P. Lin, and D. C. Tarng, “Circulating Osteocalcin Fractions are Associated with Vascular Calcification and Mortality in Chronic Hemodialysis Patients,” (in eng), Calcif Tissue Int, vol. 113, no. 4, pp. 416-425, Oct 2023, doi: 10.1007/s00223-023-01122-y.
  40. M. Fusaro et al., “Calcimimetic and vitamin D analog use in hemodialyzed patients is associated with increased levels of vitamin K dependent proteins,” (in eng), Endocrine, vol. 51, no. 2, pp. 333-41, Feb 2016, doi: 10.1007/s12020-015-0673-z.
  41. C. B. Confavreux et al., “Higher serum osteocalcin is associated with lower abdominal aortic calcification progression and longer 10-year survival in elderly men of the MINOS cohort,” (in eng), J Clin Endocrinol Metab, vol. 98, no. 3, pp. 1084-92, Mar 2013, doi: 10.1210/jc.2012-3426.
  42. A. Nizet, E. Cavalier, P. Stenvinkel, M. Haarhaus, and P. Magnusson, “Bone alkaline phosphatase: An important biomarker in chronic kidney disease – mineral and bone disorder,” (in eng), Clin Chim Acta, vol. 501, pp. 198-206, Feb 2020, doi: 10.1016/j.cca.2019.11.012.
  43. Y. Maruyama et al., “A higher serum alkaline phosphatase is associated with the incidence of hip fracture and mortality among patients receiving hemodialysis in Japan,” (in eng), Nephrol Dial Transplant, vol. 29, no. 8, pp. 1532-8, Aug 2014, doi: 10.1093/ndt/gfu055.
  44. S. Iimori et al., “Diagnostic usefulness of bone mineral density and biochemical markers of bone turnover in predicting fracture in CKD stage 5D patients–a single-center cohort study,” (in eng), Nephrol Dial Transplant, vol. 27, no. 1, pp. 345-51, Jan 2012, doi: 10.1093/ndt/gfr317.
  45. D. Xie, L. Zhao, L. Wu, and Q. Ji, “The levels of bone turnover markers and parathyroid hormone and their relationship in chronic kidney disease,” (in eng), Clin Chim Acta, vol. 548, p. 117518, Aug 01 2023, doi: 10.1016/j.cca.2023.117518.
  46. S. Okuno, M. Inaba, K. Kitatani, E. Ishimura, T. Yamakawa, and Y. Nishizawa, “Serum levels of C-terminal telopeptide of type I collagen: a useful new marker of cortical bone loss in hemodialysis patients,” (in eng), Osteoporos Int, vol. 16, no. 5, pp. 501-9, May 2005, doi: 10.1007/s00198-004-1712-4.
  47. G. Coen et al., “Urinary deoxypyridinoline excretion for the evaluation of bone turnover in chronic renal failure,” (in eng), Am J Nephrol, vol. 20, no. 4, pp. 283-90, 2000, doi: 10.1159/000013602.
  48. R. Tolouian, G. T. Hernandez, W. Y. Chiang, and A. Gupta, “A new approach for evaluating bone turnover in chronic kidney disease,” (in eng), Eur J Intern Med, vol. 21, no. 3, pp. 230-2, Jun 2010, doi: 10.1016/j.ejim.2010.01.013.
  49. P. Chu, T. Y. Chao, Y. F. Lin, A. J. Janckila, and L. T. Yam, “Correlation between histomorphometric parameters of bone resorption and serum type 5b tartrate-resistant acid phosphatase in uremic patients on maintenance hemodialysis,” (in eng), Am J Kidney Dis, vol. 41, no. 5, pp. 1052-9, May 2003, doi: 10.1016/s0272-6386(03)00203-8.
  50. H. H. Malluche, D. L. Davenport, T. Cantor, and M. C. Monier-Faugere, “Bone mineral density and serum biochemical predictors of bone loss in patients with CKD on dialysis,” (in eng), Clin J Am Soc Nephrol, vol. 9, no. 7, pp. 1254-62, Jul 2014, doi: 10.2215/CJN.09470913.
  51. T. L. Nickolas et al., “Discriminants of prevalent fractures in chronic kidney disease,” (in eng), J Am Soc Nephrol, vol. 22, no. 8, pp. 1560-72, Aug 2011, doi: 10.1681/ASN.2010121275.
  52. K. Shidara et al., “Serum levels of TRAP5b, a new bone resorption marker unaffected by renal dysfunction, as a useful marker of cortical bone loss in hemodialysis patients,” (in eng), Calcif Tissue Int, vol. 82, no. 4, pp. 278-87, Apr 2008, doi: 10.1007/s00223-008-9127-4.
  53. P. Manghat et al., “Association of bone turnover markers and arterial stiffness in pre-dialysis chronic kidney disease (CKD),” (in eng), Bone, vol. 48, no. 5, pp. 1127-32, May 01 2011, doi: 10.1016/j.bone.2011.01.016.
  54. P. A. Friedman, “PTH revisited,” (in eng), Kidney Int Suppl, no. 91, pp. S13-9, Oct 2004, doi: 10.1111/j.1523-1755.2004.09103.x.
  55. P. Evenepoel, J. Bover, and P. Ureña Torres, “Parathyroid hormone metabolism and signaling in health and chronic kidney disease,” (in eng), Kidney Int, vol. 90, no. 6, pp. 1184-1190, Dec 2016, doi: 10.1016/j.kint.2016.06.041.
  56. E. Cavalier, “Determination of parathyroid hormone: from radioimmunoassay to LCMS/MS,” (in eng), Clin Chem Lab Med, vol. 61, no. 5, pp. 946-953, Apr 25 2023, doi: 10.1515/cclm-2022-0942.
  57. L. De Nicola, G. Conte, P. Chiodini, P. D’Angiò, G. Donnarumma, and R. Minutolo, “Interaction between phosphorus and parathyroid hormone in non-dialysis CKD patients under nephrology care,” (in eng), J Nephrol, vol. 27, no. 1, pp. 57-63, Feb 2014, doi: 10.1007/s40620-013-0001-8.
  58. Y. Einbinder, S. Benchetrit, E. Golan, and T. Zitman-Gal, “Comparison of Intact PTH and Bio-Intact PTH Assays Among Non-Dialysis Dependent Chronic Kidney Disease Patients,” (in eng), Ann Lab Med, vol. 37, no. 5, pp. 381-387, Sep 2017, doi: 10.3343/alm.2017.37.5.381.
  59. K. D. I. G. O. K. C.-M. U. W. Group, “KDIGO 2017 Clinical Practice Guideline Update for the Diagnosis, Evaluation, Prevention, and Treatment of Chronic Kidney Disease-Mineral and Bone Disorder (CKD-MBD),” (in eng), Kidney Int Suppl (2011), vol. 7, no. 1, pp. 1-59, Jul 2017, doi: 10.1016/j.kisu.2017.04.001.
  60. K. D. I. G. O. K. C.-M. W. Group, “KDIGO clinical practice guideline for the diagnosis, evaluation, prevention, and treatment of Chronic Kidney Disease-Mineral and Bone Disorder (CKD-MBD),” (in eng), Kidney Int Suppl, no. 113, pp. S1-130, Aug 2009, doi: 10.1038/ki.2009.188.
  61. T. Isakova et al., “KDOQI US Commentary on the 2017 KDIGO Clinical Practice Guideline Update for the Diagnosis, Evaluation, Prevention, and Treatment of Chronic Kidney Disease-Mineral and Bone Disorder (CKD-MBD),” (in eng), Am J Kidney Dis, vol. 70, no. 6, pp. 737-751, Dec 2017, doi: 10.1053/j.ajkd.2017.07.019.
  62. F. C. Barreto et al., “K/DOQI-recommended intact PTH levels do not prevent low-turnover bone disease in hemodialysis patients,” (in eng), Kidney Int, vol. 73, no. 6, pp. 771-7, Mar 2008, doi: 10.1038/sj.ki.5002769.
  63. M. Coco and H. Rush, “Increased incidence of hip fractures in dialysis patients with low serum parathyroid hormone,” (in eng), Am J Kidney Dis, vol. 36, no. 6, pp. 1115-21, Dec 2000, doi: 10.1053/ajkd.2000.19812.
  64. M. Jadoul et al., “Incidence and risk factors for hip or other bone fractures among hemodialysis patients in the Dialysis Outcomes and Practice Patterns Study,” (in eng), Kidney Int, vol. 70, no. 7, pp. 1358-66, Oct 2006, doi: 10.1038/sj.ki.5001754.
  65. T. T. Jansz, N. A. Goto, A. J. van Ballegooijen, H. C. Willems, M. C. Verhaar, and B. C. van Jaarsveld, “The prevalence and incidence of vertebral fractures in end-stage renal disease and the role of parathyroid hormone,” (in eng), Osteoporos Int, vol. 31, no. 3, pp. 515-524, Mar 2020, doi: 10.1007/s00198-019-05187-0.
  66. J. D. Molkentin et al., “A calcineurin-dependent transcriptional pathway for cardiac hypertrophy,” (in eng), Cell, vol. 93, no. 2, pp. 215-28, Apr 17 1998, doi: 10.1016/s0092-8674(00)81573-1.
  67. K. Dörr et al., “Randomized Trial of Etelcalcetide for Cardiac Hypertrophy in Hemodialysis,” (in eng), Circ Res, vol. 128, no. 11, pp. 1616-1625, May 28 2021, doi: 10.1161/CIRCRESAHA.120.318556.
  68. W. Lv, L. Guan, Y. Zhang, S. Yu, B. Cao, and Y. Ji, “Sclerostin as a new key factor in vascular calcification in chronic kidney disease stages 3 and 4,” (in eng), Int Urol Nephrol, vol. 48, no. 12, pp. 2043-2050, Dec 2016, doi: 10.1007/s11255-016-1379-8.
  69. R. Neto et al., “Sclerostin and DKK1 circulating levels associate with low bone turnover in patients with chronic kidney disease Stages 3 and 4,” (in eng), Clin Kidney J, vol. 14, no. 11, pp. 2401-2408, Nov 2021, doi: 10.1093/ckj/sfab081.
  70. Z. Massy and T. Drueke, “Adynamic bone disease is a predominant bone pattern in early stages of chronic kidney disease,” (in eng), J Nephrol, vol. 30, no. 5, pp. 629-634, Oct 2017, doi: 10.1007/s40620-017-0397-7.
  71. T. B. Drüeke and Z. A. Massy, “Changing bone patterns with progression of chronic kidney disease,” (in eng), Kidney Int, vol. 89, no. 2, pp. 289-302, Feb 2016, doi: 10.1016/j.kint.2015.12.004.
  72. M. Kanbay et al., “Serum sclerostin and adverse outcomes in nondialyzed chronic kidney disease patients,” (in eng), J Clin Endocrinol Metab, vol. 99, no. 10, pp. E1854-61, Oct 2014, doi: 10.1210/jc.2014-2042.
  73. A. Omran, D. Atanasova, F. Landgren, and P. Magnusson, “Sclerostin: From Molecule to Clinical Biomarker,” (in eng), Int J Mol Sci, vol. 23, no. 9, Apr 26 2022, doi: 10.3390/ijms23094751.

Association between low serum magnesium levels and the extent of abdominal aortic calcification in renal transplant recipients

Abstract

Introduction – In renal transplant recipients (RTRs) vascular calcifications has been associated with an increased risk of cardiovascular as well as all-cause mortality.  Recent experimental and clinical studies showed that magnesium (Mg) deficiency may be related to the progression of vascular calcification. Aim of this study was to determine the hypothetical association between Mg and vascular calcifications in RTRs. Methods – Seventy-one RTRs underwent a lateral X-ray of the lumbar spine to assess the presence of calcification of the abdominal aorta. Abdominal aortic calcium (AAC) content was graded with a score ranging from 0 to 24 points. At the same time were evaluated: carotid artery intima-media thickness (IMT);  left ventricular mass index (LVMi); sCa, sPO4, sMg, uMg, PTH, HDL, LDL, blood pressure (BP). Results – AAC was correlated with: age (r=0.601; P<0.001), dialysis vintage  (r=0.314; P<0.01), sMg (r=-0.438; P<0.001), PTH (r=0.322; P<0.01), SBP (r=0.539; P<0.001), IMT (r=0.706; P<0.001), LVMi  (r=0.326; P<0.01). Serum Mg was correlated with PTH (r= -0.304; P<0.01). IMT was correlated with LVMi and SBP (r=0.330, P<0.01; r=0.494, P <0.0001; respectively). Stepwise multiple regression analysis showed that the final model contained six predictor variables for AAC (IMT, sMg, age, SBP, proteinuria, and dialysis vintage; F5,64=31.7, P<0.001; Adjusted R2 =0.718). Patients in higher AAC thirtile (8-24) were older, with longer dialysis vintage, lower sMg, higher PTH, and higher IMT values. Conclusions – Our results suggest a hypothetical interrelationship between sMg  and ACC, and IMT in RTRs.

Keywords: magnesium, vascular calcification, carotid artery intima-media thickness, renal transplantation

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

Il rischio di malattia cardiovascolare aumenta progressivamente con il ridursi della funzione renale, arrivando ad essere di 20 volte superiore a quello che si riscontra nella popolazione generale quando viene avviata la terapia sostitutiva [1]. Il trapianto renale riduce, ma non normalizza, il rischio cardiovascolare, che risulta infatti di cinque volte maggiore a quanto riportato nella popolazione generale ed aumenta significativamente con il ridursi del funzionamento del rene trapiantato [2,3]. Ad un anno dal trapianto, su una popolazione di 19.103 pazienti con trapianto renale (RTRs), gli eventi cardiovascolari erano la causa di morte nel 21.6% della popolazione studiata [4]; con la progressiva estensione del follow-up, la prevalenza di malattia cardiovascolare aumentava fino ad arrivare ad essere la causa di morte nel 31% della popolazione con trapianto funzionante [5]. 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Association between fractures and vascular calcifications

Abstract

Several cross-sectional and prospective studies highlight the existence of an association between bone fractures and abdominal aortic calcifications, especially if particularly severe and independent from confounders such as aging, smoking habits and diabetes. This phenomenon affects not only the general population but also patients with chronic kidney disease in which cortical bone lesions are prevalent. Moreover, bone fractures and aortic calcifications have been proved to be linked to increased cardiovascular morbidity and mortality, both in the general populations and in patients with chronic kidney disease, who notoriously show elevated cardiovascular risks.

Therefore, diagnostic investigations about bone fractures and abdominal aortic calcifications, particularly in patients with chronic kidney disease, may represent a useful tool for identification of patients with a higher cardiovascular risk in order to optimize therapies for bone metabolism disorders.

KEYWORDS: Vertebral fractures, vascular calcifications, Chronic Kidney Disease, mortality

Sorry, this entry is only available in Italian.

INTRODUZIONE

L’Osteoporosi e le malattie cardiovascolari sono due importanti problemi di salute pubblica, entrambi associati ad elevata morbilità e ospedalizzazione di lunga durata, elevata mortalità ed elevato dispendio di risorse da parte del Sistema Sanitario (1).

Tra queste due patologie, inoltre, è documentata una stretta correlazione, sia nella popolazione generale, sia nei pazienti con malattia renale cronica (MRC), come dimostrato da recenti studi clinici sperimentali (234).

La relazione tra osso e vasi è molto ben riassunta, sotto l’aspetto biologico, dal processo di calcificazione della media dei vasi arteriosi. Infatti, alcuni modulatori chiave del metabolismo osseo e minerale sono coinvolti attivamente nel processo di calcificazione vascolare, in quanto esistono forti analogie tra le cellule della parete vascolare e il tessuto osseo. In particolare, le cellule muscolari lisce, stimolate dagli stessi lipidi ossidati che inducono aterosclerosi, sono in grado di trans-differenziarsi in osteoblasti e, successivamente, di produrre osso mineralizzato nella parete arteriosa. Inoltre, sia il processo di aterosclerosi che di osteoporosi vedono il reclutamento dei monociti e la loro differenziazione in macrofagi-cellule schiumose nelle arterie e negli osteoclasti dell’osso (5). Il processo di trans-differenziazione in senso osteo-condroblastico delle cellule muscolari lisce della tunica media delle arterie vede coinvolto un aumento dell’espressione del fattore di trascrizione Runx2 e di altri mediatori a valle di differenziazione osteoblastica (Msx2, Wnt3a, and Wnt7a), di mineralizzazione della matrice (osterix, fosfatasi alcalina) e proteine tipiche del tessuto osseo (collageno tipo I, osteocalcina, osteopontina, e RANKL) (6). 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Vascular calcifications in subjects with and without chronic renal failure: types, sites and risk factors

Abstract

Vascular calcifications worse outcomes in the general population and in patients on dialysis

We investigated 146 patients on chronic hemodialysis and 63 healthy controls with normal renal function under 65 years of age. All subjects underwent B-mode ultrasonography of common and internal carotid artery, abdominal aorta, common and superficial femoral artery and posterior tibial artery to assess the presence of intimal and medial calcifications.

Intimal and media calcifications were present at the level of the carotid vessel, the abdominal aorta, the common femoral artery, the superficial femoral artery and the posterior tibial artery, respectively in 45%, 50%, 45%, 50%, 42% of patients on dialysis and in 5%, 15%, 24%, 5%, 2% of controls (p <0,01).

On multivariate logistic analysis of regression, after adjustment for potential confounders,    carotid intimal calcification, abdominal aortic calcification, medial calcification of the superficial femoral artery and posterior tibial artery calcification were associated with dialysis and with cardiovascular disease. Only intimal arterial calcification were associated with older age and smoking.

Vascular calcifications are extremely common in middle-aged patients on chronic hemodialysis. Ultrasonography currently available in Nephrology, is a sensitive, reproducible, inexpensive imaging technique to identify arterial intimal and medial calcification in high-risk cardiovascular subjects.

Key words: arterial calcifications, arterial intimal calcifications, arterial media calcification, chronic renal failure, hemodialysis, vascular calcifications

Sorry, this entry is only available in Italian.

Introduzione

La presenza di calcificazioni vascolari aumenta il rischio di mortalità cardiovascolare nei soggetti sani (1,2), nei cardiopatici (3), nei diabetici (4) e nei nefropatici (5). Considerando i differenti distretti arteriosi, questa associazione tra calcificazione vascolare e mortalità è stata dimostrata per il distretto arterioso carotideo (6), aortico addominale (7), femorale comune (8), femorale superficiale (9) e tibiale (10).
 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.