Which future solutions for peritoneal dialysis?

Abstract

Peritoneal dialysis is an efficient renal replacement therapy for uremic patients but is currently under-prescribed. This is partly due to the unfavorable effects on peritoneal morphology and function (bioincompatibility) of current glucose-based solutions. Use of standard solutions can cause several peritoneal alterations including inflammation, mesothelial to mesenchymal transition, and neo-angiogenesis. The final step is fibrosis, which reduces the peritoneal filtration capacity and can lead to ultrafiltration failure and transfer of the patient to hemodialysis. Bioincompatibility can be local (peritoneum) but also systemic, due to the excessive absorption of glucose from the dialysate. Several strategies have been adopted to improve the biocompatibility of peritoneal dialysis solutions, based on the alleged causal factors. Some new solutions available on the market contain low glucose degradation products and neutral pH, others contain icodextrin or aminoacids. Clinical benefits have been associated with the use of these solutions, which however have some limitations and a debated biocompatibility profile. More recent strategies include the use of cytoprotective agents or osmo-metabolic agents in the dialysate. In this article, we review the different approaches currently under development to improve the biocompatibility of peritoneal dialysis solution and hence the clinical outcome and the viability of the technique.

Keywords: peritoneal dialysis, biocompatibility, peritoneum, dialysate, peritoneal dialysis solution

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Introduzione

La bioincompatibilità delle soluzioni per dialisi peritoneale (DP) rappresenta a tutt’oggi il tallone d’Achille della tecnica sostitutiva [1, 2] e la principale causa di drop-out nel lungo termine [3]. La biocompatibilità di una soluzione per DP può essere definita come la capacità di non modificare nel tempo le caratteristiche anatomiche e funzionali naturali e viene distinta in locale (peritoneo) e sistemica. È ben dimostrato che la prolungata esposizione della membrana peritoneale alla composizione altamente non fisiologica delle soluzioni standard di DP può causarne infiammazione, neoangiogenesi e fibrosi [4, 5]. La fibrosi peritoneale rappresenta lo step finale del danno a carico del peritoneo. In tale processo sono coinvolti meccanismi metabolici (metabolismo glicolitico, degli acidi grassi e del piruvato), fattori extracellulari come transforming growth factor-beta (TGF-beta), vascular endothelial growth factor (VEGF) e citochine proinfiammatorie, nonché fattori di segnale intracellulare (hypoxia-inducible factor 1-alpha, HIF-1a), la cui regolazione dovrebbe essere considerata per lo sviluppo di soluzioni più biocompatibili [2].

Il progressivo danno al peritoneo che si sviluppa in DP nel tempo è evidenziato da una aumentata velocità di trasporto dei piccoli soluti e da una riduzione della ultrafiltrazione (UF), che può arrivare ad una vera e propria incapacità ultrafiltrativa (UF failure) spesso caratterizzata da una alterata conduttanza osmotica [6]. In questi casi è necessaria la sospensione della terapia peritoneale e il passaggio all’emodialisi.

Numerosi fattori sono stati suggeriti quale causa di bioincompatibilità delle soluzioni standard di DP: elevato contenuto di glucosio, aumentati livelli di prodotti di degradazione del glucosio (glucose degradation products, GDPs) formatisi durante la sterilizzazione a caldo delle soluzioni contenenti glucosio, iperosmolarità, pH acido e uso del lattato come sostanza tampone [7]. Le strategie atte a ridurre o eliminare la tossicità associata alle soluzioni standard senza compromettere lo stato di salute del paziente rappresentano la principale sfida nel campo della DP.

Nel presente articolo, dopo un breve cenno sulle soluzioni alternative attualmente disponibili in commercio e relative limitazioni, verranno descritte le soluzioni in fase di sviluppo.

 

Soluzioni di DP disponibili in commercio alternative a quelle standard

Allo scopo di migliorare la bioincompatibilità delle soluzioni per DP sono state realizzate le cosiddette soluzioni “biocompatibili”, multicompartimento, con pH neutro o fisiologico e basso contenuto di GDPs [8]. L’uso di dette soluzioni, contenenti lattato e/o bicarbonato quale tampone, può associarsi a effetti favorevoli quali migliore conservazione della funzione renale residua e della diuresi [9] e (studio osservazionale) aumentata sopravvivenza del paziente [10]. Tuttavia, in un periodo di osservazione di 24 mesi, è stato riportato un graduale e significativo aumento dello stato di idratazione rispetto alle soluzioni standard, attribuibile ad una ridotta UF peritoneale [11]. Inoltre, studi recenti mettono in discussione la effettiva biocompatibilità delle soluzioni a pH neutro e bassi GDPs [12], pur se l’argomento è dibattuto [13].

Uno svantaggio delle soluzioni “biocompatibili” è la presenza del glucosio alle medesime elevate concentrazioni delle soluzioni standard. Il glucosio viene difatti considerato il principale responsabile delle alterazioni peritoneali che avvengono nel tempo nei pazienti in DP [14]. L’elevato contenuto di glucosio nelle soluzioni di DP stimola meccanismi pro-infiammatori, pro-angiogenici e pro-fibrotici (una trattazione dettagliata di tali meccanismi è contenuta nelle ref. 2 e 5). Inoltre, l’eccessivo assorbimento del glucosio presente nel liquido di dialisi può determinare sfavorevoli effetti metabolici sistemici associati ad una cronica iperglicemia, quali insulino- resistenza, slatentizzazione della malattia diabetica e patologie cardiovascolari [15, 16]. Pazienti con più elevato assorbimento peritoneale di glucosio hanno un aumentato rischio di mortalità cardiovascolare a 2 anni indipendente da altri fattori di rischio cardiometabolici [17].

Una ridotta esposizione del peritoneo alle sfavorevoli azioni del glucosio (glucose sparing) appare di critica importanza per migliorare la biocompatibilità delle soluzioni di DP e l’outcome del paziente. In commercio sono disponibili due tipologie di soluzioni senza glucosio, aventi come agente osmotico l’icodestrina o gli aminoacidi. L’icodestrina è un polimero del glucosio idrosolubile derivato dall’amido di mais, impiegata per lo scambio lungo giornaliero in quando induce una UF lenta ma prolungata, particolarmente indicata per i pazienti anurici e gli alto trasportatori [18]. Una recente revisione sistematica e meta-analisi ne evidenzia i chiari benefici nel migliorare l’UF peritoneale e nel ridurre gli episodi di sovraccarico liquido [19]. Può tuttavia indurre infiammazione sia a livello peritoneale che sistemico [20, 21]. Il recente sviluppo di soluzioni contenenti icodestrina a due camere consente di ottenere un pH neutro (le soluzioni convenzionali di icodestrina sono a 1 camera e pH acido) e risulta associarsi ad un miglior profilo di biocompatibilità [22, 23]. Le soluzioni contenenti aminoacidi (1.1%, pH 6.7, no GDPs) risultano particolarmente indicate per migliorare lo stato nutrizionale di pazienti in DP, in quanto aumentano l’uptake muscolare degli aminoacidi [24] e migliorano l’utilizzo degli stessi per la sintesi proteica, controllando i livelli di urea [25]. La biocompatibilità delle soluzioni con aminoacidi rimane tuttavia non ancora ben definita [1].

Diversi studi hanno evidenziato i potenziali benefici del glucose-sparing ottenuto con le suddette soluzioni [26]. Tuttavia, l’uso delle stesse può sostituire non più del 30-50% del glucosio assorbito giornalmente ed è limitato ad un singolo scambio giornaliero [26]. Inoltre, il loro effettivo impatto sulla membrana peritoneale non è mai stato valutato con biopsie dl tessuto peritoneale [1].

 

Soluzioni per DP in via di sviluppo

La soluzione ideale di DP dovrebbe consentire una UF e una rimozione di soluti prolungata e sostenuta, preservare la morfologia e la fisiologia della membrana peritoneale e non indurre effetti sistemici sfavorevoli se i soluti (come l’agente osmotico) vengono assorbiti. In base a questi criteri, vi sono stati pochi progressi nella tecnologia del dialisato per DP negli ultimi decenni e il continuato uso di soluzioni contenenti glucosio induce ancora una importante tossicità peritoneale e sistemica [7].

Le linee di sviluppo di nuove soluzioni per DP sono rappresentate (I) dalla ricerca di nuovi agenti osmotici sostitutivi del glucosio, (II) dalla supplementazione della soluzione standard con agenti citoprotettivi e (III) dall’approccio osmo-metabolico (Tabella 1).

Impiego di agenti osmotici in sostituzione completa del glucosio
Impiego di agenti citoprotettivi mantenendo inalterata la concentrazione di glucosio
Impiego di agenti osmo-metabolici con marcata riduzione del glucosio
Tabella 1: Strategie nello sviluppo di nuove soluzioni per dialisi peritoneale

Impiego di agenti osmotici in sostituzione completa del glucosio

La ricerca di agenti osmotici efficaci e sicuri da impiegare in sostituzione del glucosio nella soluzione di DP si è rivelata più complessa di quanto originariamente ritenuto. Diversi composti di basso peso molecolare testati sono difatti risultati associarsi al rischio di sindrome iperosmolare, avendo un assorbimento più rapido rispetto al loro metabolismo [27].

Glicerolo

Un esempio è costituito dal glicerolo, un composto organico con peso molecolare di 92 dalton, che rappresenta una fonte di energia per il metabolismo cellulare entrando nella via glicolitica attraverso una chinasi specifica che lo fosforila a glicerolo-3-fosfato (G3P). Sulla base di precedenti studi [28], Van Biesen et al. hanno valutato gli effetti di una minore (1.4%) concentrazione di glicerolo posto in soluzione con aminoacidi (0.6%), in pazienti non diabetici in CAPD [29]. I pazienti sono stati randomizzati ad un trattamento giornaliero per 3 mesi consistente in 2 scambi con la soluzione sperimentale glicerolo/aminoacidi (in sostituzione della soluzione standard al 2.27% di glucosio, usata in precedenza e di impiego continuato nel gruppo di controllo), uno con soluzione di glucosio e uno con icodestrina. L’uso degli aminoacidi ad una concentrazione inferiore rispetto alla soluzione convenzionale (aminoacidi 1.1%) ne consente un utilizzo 2 volte al giorno, con scambio aminoacidico comparabile [26]. L’impiego della soluzione sperimentale è risultato sicuro e ben tollerato, associandosi ad una UF peritoneale comparabile a quella ottenuta con le soluzioni standard, una significativa riduzione dell’assorbimento di glucosio e un aumento dei livelli di CA125 nel dialisato effluente (potenziale marker di migliore biocompatibilità) [29]. Resta da definire l’impatto metabolico del glicerolo in quanto, essendo captato e fosforilato a G3P a livello epatico, il glicerolo può alimentare sia la gluconeogenesi, produzione de novo di glucosio, che alimentare la via che porta alla sintesi dei glicerolipidi (i.e., trigliceridi). Queste due vie metaboliche possono esacerbare l’alterata omeostasi glucidica e lipidica in pazienti diabetici e/o insulino-resistenti in DP. Infatti, nella prima esperienza clinica in CAPD con quantità di glicerolo nel dialisato peritoneale superiore all’1.4% è stato osservato un incremento rimarchevole dei trigliceridi circolanti [28].

GLAD

La biocompatibilità delle soluzioni contenenti glicerolo è stata successivamente valutata in ratti uremici, randomizzati ad un trattamento per 16 settimane con una soluzione contenente una miscela di agenti osmotici (glicerolo 1.4%, aminoacidi 0.5%, glucosio 1.1%; GLAD) tamponata con bicarbonato/lattato o con una soluzione con glucosio al 3.86% [30]. In confronto a quest’ultima, la soluzione GLAD è risultata associarsi ad una migliore conservazione della morfologia peritoneale in termini di densità dei vasi e fibrosi dell’omento. La buona biocompatibilità a livello della membrana peritoneale di soluzioni contenenti aminoacidi, glicerolo e glucosio è stata osservata anche in altri modelli sperimentali [31]. In questo studio la soluzione sperimentale era stata sterilizzata mediante filtrazione per evitare la formazione di GDPs (mentre la soluzione standard di confronto con sterilizzazione a caldo) e conteneva come tampone il piruvato in sostituzione del lattato. Il piruvato è un metabolita di critica importanza nell’intersezione di diverse vie metaboliche, il cui impiego quale sostanza tampone è risultato associarsi ad una riduzione dell’angiogenesi e della fibrosi a carico della membrana peritoneale in ratti che vi sono stati esposti per 20 settimane, in confronto al trattamento standard con tampone lattato [32]. Occorre tuttavia sottolineare che i vantaggi del piruvato in sostituzione del lattato restano da definirsi, poiché soluzioni acquose di piruvato vanno rapidamente incontro ad una reazione di condensazione aldolica con formazione di parapiruvato, un potente inibitore del ciclo di Krebs se assunto dalle cellule [33].

Taurina

La taurina, un aminoacido (peso molecolare 125 dalton) con particolare stabilità nell’acqua, presente in elevata concentrazione nelle cellule di mammifero ove regola bilancio osmotico e trasporto ionico, è stata impiegata in un modello sperimentale di DP da Nishimura et al. [34]. La soluzione con taurina al 3.5%, a pH neutro e senza GDPs, ha mostrato una capacità di UF peritoneale paragonabile alla soluzione con glucosio al 3.86% e una migliore biocompatibilità [34]. Tuttavia, le attuali evidenze non consentono di escludere nel paziente uremico i rischi legati ad un accumulo di taurina, essendo il composto eliminato per la maggior parte a livello renale, come suggerito da uno studio in pazienti emodializzati [35].

Poliglicerolo iper-ramificato

Un altro composto testato per un possibile uso nella soluzione per DP in sostituzione del glucosio è il poliglicerolo iper-ramificato, un polimero poliestere idrofilico ottenuto dal glicidolo, altamente solubile in acqua e chimicamente stabile in soluzione acquosa [36]. In modelli animali di DP in acuto (8 ore) o cronico (3 mesi), l’uso di soluzioni contenenti poliglicerolo ha indotto un minor grado di infiammazione e danno della membrana peritoneale rispetto a soluzioni a base di glucosio, con UF e rimozione di soluti comparabili [37, 38]. Un successivo studio condotto in modelli sperimentali di sindrome metabolica (ratti ZSF1 obesi con diabete tipo 2) ha dimostrato che l’uso per 3 mesi della soluzione contenente poliglicerolo si associa ad una maggiore protezione strutturale e funzionale della membrana peritoneale e a minori effetti sfavorevoli sistemici (metabolismo, risposta immune, capacità antiossidante) rispetto sia a soluzioni a bassi GDPs che a quelle con icodestrina [39]. Per un impiego a lungo termine restano tuttavia da meglio definire il metabolismo del poliglicerolo e le possibili conseguenze di accumulo plasmatico e distribuzione tissutale [1].

 

Impiego di agenti citoprotettivi mantenendo inalterata la concentrazione di glucosio

Una possibile strategia atta ad attenuare la bioincompatibilità delle soluzioni a base di glucosio è rappresentata dall’impiego di additivi citoprotettivi nel liquido di dialisi.

Alanil-glutamina

Un esempio è il dipeptide alanil-glutamina (Ala-Gln), che rilascia la glutamina. La glutamina, il più abbondante aminoacido dell’organismo umano, oltre all’importante ruolo quale costituente delle proteine e nella transaminazione aminoacidica, possiede capacità regolatoria nella modulazione immune e cellulare [40]. L’esposizione delle cellule mesoteliali al liquido di DP induce stress cellulare e sopprime i meccanismi di risposta cellulare allo stress espletati dalle proteine heat shock [41]. Le inadeguate risposte allo stress cellulare, che determinano aumentata vulnerabilità delle cellule mesoteliali e ridotta funzione delle cellule immunocompetenti, sono state correlate a bassi livelli di glutamina, simili a quelli riscontrati nella cavità peritoneale durante la DP [41, 42]. Studi in vitro ed in vivo hanno mostrato che l’aggiunta di Ala-Gln a soluzioni di DP migliora risposta a stress cellulare e sopravvivenza delle cellule mesoteliali [42]. In differenti modelli sperimentali (ratto, topo) di DP, l’Ala-Gln ha ridotto spessore della membrana peritoneale ed angiogenesi, prevenuto la deposizione di matrice extracellulare nel peritoneo e attenuato l’espressione della via dell’Interleuchina (IL)-17 [43]. Più recentemente, la supplementazione della soluzione di DP con Ala-Gln è risultata in grado di ridurre la vasculopatia associata alla DP [44], nonché di aumentare nella membrana cellulare endoteliale l’abbondanza di proteine che regolano la funzione di barriera dell’endotelio come claudin-5 e zonula occludens-1 [45].

Nei primi studi clinici effettuati, la supplementazione a breve termine di Ala-Gln nella soluzione di DP si è associata ad un ripristino della risposta allo stress cellulare e ad una migliorata immuno-competenza delle cellule peritoneali [46, 47]. In un successivo studio [48] cross-over in doppio-cieco, 50 pazienti in DP sono stati randomizzati ad un trattamento per 8 settimane con soluzioni a bassi GDPs e pH neutro, addizionate o meno con Ala-Gln (8 mmol/l). Nel periodo di trattamento con Ala-Gln è stato osservato un miglioramento dei biomarcatori di integrità della membrana peritoneale, immuno competenza e infiammazione sistemica con ridotta perdita proteica [48]. Il profilo metabolomico del dialisato ha suggerito che la soluzione a base di glucosio addizionata con Ala-Gln possiede effetti antiossidanti [49]. Nell’insieme, le attuali evidenze indicano che la presenza di Ala-Gln nella soluzione per DP può comportare significativi benefici su integrità, immuno-competenza e funzione di trasporto della membrana peritoneale. Appare ora necessario un adeguato studio di fase III per determinare l’impatto della Ala-Gln su hard clinical outcomes.

Sulodexide

Altri studi hanno valutato il possibile impiego nella soluzione di DP del Sulodexide, una formulazione eparinode costituita all’80% da eparina a basso peso molecolare e al 20% da dermatan solfato a basso peso molecolare. Oltre 20 anni fa, Bazzato et al. hanno valutato in 16 pazienti in CAPD gli effetti della supplementazione con sulodexide (50 mg) nella sacca utilizzata nello scambio lungo notturno [52]. Dopo 30 giorni di trattamento, è stato riscontrato un significativo aumento del trasporto di urea e creatinina attraverso la membrane peritoneale e una significativa riduzione della perdita proteica peritoneale con aumento dell’albuminemia, parametri che nei successivi 30 giorni di wash-out sono tornati ai valori basali [50]. Questi risultati sono stati confermati in un successivo studio condotto in 6 pazienti in CAPD che hanno assunto il sulodexide per via orale [51]. Nello studio, della durata di 5 mesi, il sulodexide è stato somministrato ad un dosaggio mensilmente crescente (da 50 mg il primo mese a 125 mg il quinto mese), mostrando un effetto dose-dipendente senza raggiungere un plateau per quanto concerne il trasporto peritoneale di urea e creatinina. In entrambi gli studi [50, 51] non sono stati osservati eventi avversi. Un più recente studio ha valutato gli effetti sulla funzione di cellule mesoteliali umane, del dialisato ottenuto da 7 pazienti in CAPD dopo lo scambio notturno con sacca a base di glucosio 1.5%, addizionata o meno con sulodexide al dosaggio di 0.5 LRU/ml [52]. L’aggiunta di sulodexide è risultata associarsi a ridotta generazione intracellulare di radicali liberi, ridotta espressione genica e secrezione di IL-6, TGF-beta, VEGF, monocyte chemoattractant protein-1 (MCP-1) e vascular cell adhesion molecule-1 (VCAM-1), e a minore sintesi di collagene [52].

Eparina a basso peso molecolare e sodio citrato

Due studi randomizzati sono stati condotti in pazienti in DP per valutare gli effetti della somministrazione intraperitoneale una volta al giorno di eparina a basso peso molecolare. Lo studio danese ha mostrato che la tinzeparina riduce la concentrazione locale e sistemica di markers dell’infiammazione, aumenta l’UF e riduce la permeabilità peritoneale ai piccoli soluti [53]. Al contrario, lo studio condotto in Spagna non ha osservato effetti favorevoli della berniparina su UF o trasporto della creatinina, pur se l’UF è migliorata nei pazienti con franca insufficienza ultrafiltrativa [54]. I risultati discordanti possono essere legati a rilevanti differenze nel disegno dei 2 studi e non precludono un possibile uso dell’eparina come additivo nei pazienti in DP [2]. In linea con questi studi, Braide et al. hanno valutato l’impiego del sodio citrato quale additivo anti-infiammatorio nelle soluzioni di DP [55]. Il sodio citrato, chelando gli ioni calcio, ne blocca le interazioni con diversi sistemi calcio-dipendenti come coagulazione e complemento. Nello studio cross-over di Braide [55] sono stati comparati gli effetti di un singolo scambio con una soluzione a bassi GDPs con tampone lattato e glucosio al 2.5% (Gambrosol trio), addizionata o meno con citrato 5 mM/L. L’aggiunta del citrato è risultata associarsi ad un aumento dell’UF peritoneale e della clearance dei piccoli soluti, con minimi effetti sul metabolismo del calcio e dell’equilibrio acido-base. Restano ancora da definire gli effetti di un uso prolungato del sodio citrato nelle soluzioni di DP e i precisi meccanismi d’azione dell’additivo sui processi di trasporto peritoneale.

Idrogeno molecolare

Un altro composto valutato come possibile additivo alla soluzione di DP per migliorarne la biocompatibilità è l’idrogeno molecolare (H2), che ha un’azione biologica quale molecola anti-ossidante e anti-infiammatoria [56]. In vari modelli animali, l’H2 disciolto in acqua e somministrato per via orale o intraperitoneale è risultato in grado di ridurre significativamente il danno ossidativo e infiammatorio regolando l’espressione di numerose molecole [57]. In 6 pazienti in CAPD, campioni ematici e di liquido effluente ottenuti dopo peritoneal equilibration test (PET) con la soluzione standard o con la soluzione arricchita in H2 hanno documentato con quest’ultima una significativa riduzione dello stress ossidativo a livello sia peritoneale che sistemico in assenza di eventi avversi [58]. In un successivo studio nel modello sperimentale di DP nel ratto, l’uso per 10 giorni di una soluzione con glucosio al 2.5% contenente H2 disciolto (400 parti per miliardo) ha preservato l’integrità delle cellule mesoteliali e della membrana peritoneale in confronto alla stessa soluzione non addizionata [59]. Più recentemente, nel modello di topo con fibrosi peritoneale indotta dal glucosio ad elevata concentrazione, il trattamento con un dialisato arricchito con H2 ha inibito la progressione della fibrosi attraverso l’eliminazione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) intracellulari e l’inibizione della via PTEN/AKT/mTOR [60]. Queste osservazioni suggeriscono la necessità di futuri studi clinici atti a valutare efficacia e sicurezza dell’impiego diH2 dissolto nella soluzione di DP.

Inibizione del trasportatore del glucosio sodio-dipendente di tipo 2

Una ulteriore strategia per preservare struttura e funzioni peritoneali può essere rappresentata dall’impiego nella soluzione di inibitori del trasportatore del glucosio sodio-dipendente di tipo 2 (SGLT2), presente nelle cellule mesoteliali di ratto, topo e uomo [61]. L’inibizione di SGLT2 ha mostrato proprietà anti-fibrotiche a livello renale, epatico e cardiaco [62, 63]. In modelli animali di topo, il trattamento per 5 settimane con una soluzione al 4.25% di glucosio e tampone lattato addizionata con dapagliflozina (1 mg/kg peso corporeo), ha indotto minori alterazioni fibrotiche e angiogeniche con miglioramento dell’UF in confronto a medesime soluzioni non supplementate [61]. In un analogo modello sperimentale, l’impiego per 4 settimane di empagliflozina (6 mg/kg peso corporeo) nella soluzione al 4.25% di glucosio ha mostrato un effetto protettivo sullo sviluppo della fibrosi peritoneale, attraverso la soppressione del signaling TGF-beta/Smad [64].

Cloruro di litio

Infine, segnaliamo un recentissimo studio in cui l’aggiunta di cloruro di litio a soluzioni di glucosio per la dialisi peritoneale riduceva in modelli in vitro ed in vivo l’apoptosi, la fibrosi della membrana peritoneale e l’angiogenesi [65]. L’azione del cloruro di litio sembrerebbe essere di natura pleiotropica comprendente la regolazione di alcuni meccanismi intra-mesoteliali chinasi-dipendenti, come la glicogeno sintasi chinasi 3 e la proteina chinasi 2 attivata dalla MAP-chinasi. Il potenziale utilizzo e/o riposizionamento di un farmaco utilizzato come antidepressivo e potenzialmente nefrotossico pone sicuramente qualche dubbio sui potenziali effetti collaterali sul sistema nervoso centrale e sulla funzionalità renale residua di pazienti in DP esposti per via peritoneale al cloruro di litio.

 

Impiego di agenti osmo-metabolici con marcata riduzione del glucosio

Le attuali evidenze derivanti dagli studi effettuati e dalle esperienze con le soluzioni attualmente disponibili che consentono un risparmio di glucosio (icodestrina, aminoacidi) indicano che il futuro della DP dipende largamente dall’impiego di nuovi agenti osmotici, in grado di migliorare biocompatibilità, bilancio dei fluidi e, di non minore importanza, gli effetti metabolici della soluzione. L’approccio osmo-metabolico rappresenta una nuova strategia atta ad antagonizzare la tossicità associata all’elevato carico di glucosio, che si basa sull’impiego nella soluzione di osmo-metaboliti che possiedono favorevoli proprietà osmotiche e metaboliche, mantenendo una minima quantità di glucosio [14]. Tale approccio può consentire un risparmio del glucosio di tipo bioattivo, riducendone il carico peritoneale senza compromettere l’UF e mitigandone gli sfavorevoli effetti metabolici sistemici [14].

L-carnitina (LC) e xilitolo rappresentano due esempi di composti osmo-metabolici. La LC è un composto naturale essenziale per l’ossidazione degli acidi grassi a livello mitocondriale [66]. Lo xilitolo, un composto anch’esso molto diffuso in natura, è un importante intermedio del metabolismo epatico legato al ciclo dell’acido glucuronico-xilulosio a sua volta intimamente connesso con la via dei pentosi fosfati [67]. LC e xilitolo hanno un peso molecolare simile al glucosio, elevata solubilità in acqua e stabilità chimica in soluzioni acquose, nonché proprietà osmotiche, il che le rende utilizzabili nel liquido di DP [14]. Evidenze da diversi modelli sperimentali hanno inoltre mostrato un migliore profilo di biocompatibilità di soluzioni contenenti LC o xilitolo rispetto a soluzioni a base di glucosio [2].

Diversi studi clinici hanno mostrato sicurezza e tollerabilità dell’impiego di LC nel liquido di DP [68]. LC supplementata nella soluzione notturna di pazienti in CAPD ha dimostrato efficacia nel favorire l’UF peritoneale [69]. Inoltre, in uno studio multicentrico randomizzato l’uso per 4 mesi di soluzioni addizionate con LC (2 grammi in ciascuna sacca negli scambi diurni) in pazienti in CAPD è risultato associarsi ad un significativo miglioramento dell’insulino-resistenza [70], un riconosciuto fattore di rischio cardiovascolare [71]. Tale favorevole azione sul metabolismo glucidico è ascrivibile al raggiungimento di livelli sovrafisiologici (ma sicuri) di LC, quali quelli ottenuti nello studio [70], in grado di modulare i livelli nei mitocondri di acetil-coenzima A, un metabolita chiave che influenza sia l’utilizzo del glucosio nei muscoli sia la produzione epatica di glucosio [72]. È interessante notare anche che l’uso delle soluzioni con LC per 4 mesi ha consentito di mantenere la diuresi residua, a differenza della riduzione osservata nel gruppo di controllo trattato con soluzioni non supplementate [70].

L’esperienza clinica con lo xilitolo fa riferimento ad uno studio ormai datato, in cui 6 pazienti in CAPD con diabete insulino-dipendente mal controllato sono stati trattati con soluzioni esclusivamente a base di xilitolo in sostituzione del glucosio: 1.5% nei 3 scambi diurni, 3% nello scambio lungo [73]. Dopo un follow-up di 5 mesi, l’impiego di tale regime dialitico si è dimostrato sicuro e tollerato, con mantenimento del bilancio dei liquidi e con un significativo miglioramento del controllo glicemico, attestato dalla riduzione dell’emoglobina glicata e del 50% circa della necessità insulinica. Gli effetti positivi sull’omeostasi glucidica sono solo in parte attribuibili alla sostituzione del glucosio con lo xilitolo, poiché quest’ultimo ha un basso indice glicemico, inibisce la produzione epatica di glucosio e ha un minor effetto di stimolo sulla secrezione di insulina rispetto al glucosio [74].

In base alle osservazioni finora descritte, sono state recentemente prodotte soluzioni contenenti LC e xilitolo, allo scopo di ottenere una favorevole azione sinergica dei due agenti osmo-metabolici. Nel primo lavoro sperimentale sono stati valutati gli effetti di una soluzione per DP con LC, xilitolo e piccole quantità di glucosio su cellule endoteliali umane ottenute dal cordone ombelicale di gestanti sane o con diabete gestazionale, una condizione caratterizzata da un processo infiammatorio simile a quello dell’uremia [75]. Rispetto a quanto osservato con una soluzione a pH neutro e bassi GDPs, in entrambi i tipi cellulari la soluzione sperimentale ha indotto una migliore sopravvivenza delle cellule, una riduzione dello stress nitro-ossidativo e nessun effetto pro-infiammatorio. Da notare come la presenza di piccole quantità di glucosio non sia risultata associarsi a effetti sfavorevoli nella formulazione della soluzione sperimentale, così che può essere mantenuta per sfruttare le capacità ultrafiltrative del glucosio [75].

Infiammazione, angiogenesi e transizione epitelio (o mesotelio) -mesenchima sono i complessi processi tra loro interconnessi che portano alla fibrosi peritoneale nel lungo termine della DP. Studi sperimentali piuttosto recenti hanno mostrato la capacità di antagonizzare tali processi da parte di soluzioni con LC, xilitolo e piccole quantità di glucosio. Piccapane et al. hanno esaminato gli effetti di tali soluzioni su cellule mesoteliali umane confrontandoli a quelli di numerose altre soluzioni per DP (standard, “biocompatibili”, con icodestrina o aminoacidi) [76]. In questo modello di studio, le cellule sono state esposte alle soluzioni solo sul lato apicale, mimando in tal modo ciò che avviene in vivo durante uno scambio peritoneale. L’uso delle soluzioni sperimentali, rispetto alle altre soluzioni testate, si è associato a: maggiore vitalità cellulare e conservazione dell’integrità dello strato delle cellule mesoteliali; limitata capacità di attivare l’inflammasoma delle cellule mantenendone così una appropriata omeostasi, come evidenziato dall’analisi di un pannello costituito da 27 citochine, chemochine e fattori di crescita; migliore capacità di preservare l’integrità delle giunzioni strette nei monostrati mesoteliali e di prevenire la caduta della resistenza elettrica transepiteliale, antagonizzando in tal modo l’attivazione della transizione epitelio-mesenchimale in cui le cellule mesoteliali acquisiscono un fenotipo simil-fibroblasto con proprietà invasive e fibrogeniche [77].

Un lieve effetto pro-angiogenico e pro-infiammatorio di soluzioni con LC e xilitolo in confronto alla più marcata azione pro-angiogenica e pro-infiammatoria di soluzioni di glucosio con bassi GDPs, è stato confermato in differenti linee cellulari umane endoteliali e mesoteliali [78]. Le cellule esposte alla formulazione sperimentale hanno mostrato una maggiore vitalità e integrità di membrana (permeabilità, fenotipo) rispetto agli effetti cellulari di soluzioni “biocompatibili”. Inoltre, il trattamento con soluzioni contenenti LC e xilitolo ha indotto una significativa riduzione dell’espressione genica di TGF-beta e non ha attivato i processi di transizione mesotelio-mesenchima o endotelio/mesenchima, il che ne suggerisce un ulteriore contributo nel ridurre la fibrosi peritoneale [78].

Due studi clinici sono stati progettati per valutare tollerabilità, sicurezza ed efficacia in vivo delle nuove soluzioni con agenti osmo-metabolici in pazienti in CAPD. Lo studio FIRST (efficacy and saFety assessments of a peritoneal dIalysis solution containing glucose, xylitol and L-caRnitine compared to standard PD SoluTions in CAPD; NCT 04001036) è uno studio di fase 2, prospettico in aperto, attualmente in corso; lo studio ELIXIR (a study to EvaLuate the effIcacy and safety of Xilocore, a glucose sparIng expeRimental solution for PD; NCT 03994471) è uno studio internazionale randomizzato, controllato, della durata prevista di 6 mesi di trattamento, in avanzata fase di realizzazione.

L’andamento dello studio FIRST è stato fortemente ostacolato dalla pandemia COVID-19 e relative conseguenze. Lo studio prevede l’impiego di soluzioni con LC, xilitolo e basso glucosio per 4 settimane, con valutazione comparativa con le 4 settimane precedenti e le 4 successive, in due gruppi di pazienti in CAPD: gruppo A, trattati con un solo scambio notturno con glucosio 2.5%, e gruppo B, trattati negli scambi diurni con glucosio 1.5% e icodestrina nello scambio notturno. Nelle 4 settimane di trattamento attivo, in sostituzione delle soluzioni routinariamente impiegate, i pazienti del gruppo A hanno ricevuto la soluzione IPX15, quelli del gruppo B la soluzione IPX07. La composizione delle due soluzioni sperimentali è riportata nella Tabella 2 ed è stata realizzata conformemente alle evidenze ottenute dagli studi sperimentali sopra descritti.

IPX15 IPX07
Xylitolo (%) 1.5 0.7
L-carnitina (%) 0.02 0.02
Glucosio (%) 0.5 0.5
Sodio (mmol/l) 134 134
Calcio (mmol/l) 1.75 1.75
Magnesio (mmol/l) 0.5 0.5
Cloro (mmol/l) 103.5 103.5
Lattato (mmol/l) 35 35
pH 5.5 5.5
Tabella 2: Composizione delle soluzioni sperimentali nello studio FIRST [79]

Sono stati recentemente pubblicati i primi dati dello studio, ottenuti nei pazienti del Centro di Chieti [79]. Trattasi di 6 pazienti del gruppo A e 4 del gruppo B. In tutti i pazienti, l’uso delle soluzioni sperimentali è risultato sicuro e ben tollerato. L’efficacia della depurazione/rimozione delle piccole molecole valutata come clearance della creatinina e Kt/V dell’urea ha mostrato un lieve incremento al termine del periodo di intervento, così come la funzione renale residua. Il trasporto peritoneale valutato con PET standard ha mostrato un trend per la creatinina simile al Kt/V con stabilità del glucosio: ciò suggerisce una migliorata clearance peritoneale per i piccoli soluti senza incremento dell’assorbimento di glucosio. Diuresi giornaliera e UF peritoneale si sono mantenute stabili [79]. Questi interessanti risultati indicano una non inferiorità delle soluzioni contenenti LC e xilitolo rispetto alle soluzioni standard per quanto concerne adeguatezza e trasporto peritoneale, ma sono ovviamente preliminari e necessitano di ulteriori conferme.

 

Conclusioni

In DP, vi è la assoluta necessità di soluzioni più biocompatibili nonché efficaci, per migliorare l’outcome clinico del paziente e la sopravvivenza della tecnica dialitica. Appare altresì necessaria l’identificazione di nuovi biomarcatori indicativi dello stato di salute e del trasporto del peritoneo, nonché dei processi patologici in corso, quali strumenti di guida nel personalizzare gli interventi nei pazienti in DP a rischio di complicanze. Al riguardo l’analisi proteomica del liquido di dialisi effluente potrebbe essere di notevole contributo [80].Attualmente sono in fase di validazione clinica nuove soluzioni per DP basate su approcci differenti, che si sono dimostrate sicure e ben tollerate nel breve e medio termine. I promettenti risultati ottenuti necessitano ora di adeguati studi a lungo termine, che potranno meglio definire il ruolo delle nuove soluzioni nella pratica clinica quotidiana.

 

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Customization of hemodialysis therapy: dialysis is not a washing machine

Abstract

In recent years, the population of chronic dialysis has grown in number but also in age and frequency of co-morbidies such as cardiac diseases, vascular pathologies, diabetes, etc. The majority of patients on chronic hemodialysis are over 70 years and, given the high number of comorbidities, they often exhibit poor tolerance to dialysis treatments.
A non-tolerated dialytic treatment can have side-effects that would require an intensification of the dialysis sessions and many hospitalizations. Consequently, the problematic dialysis treatments, as well as harmful for the patient, become economically more detrimental than other treatments apparently more expensive but more tolerated ones In the current days we have, thanks to the huge developments in dialysis technology, powerful weapons to ensure effective and scarcely symptomatic dialysis treatments to the majority of the HD patients. New, highly biocompatible membranes with defined and modular cut-off and / or absorption capacity may allow us to provide adequate purification. Moreover the monitoring and biofeedback systems such as blood volume tracking, body temperature monitoring (BTM) and blood pressure (BPM) can be very useful in reducing the risk of intra-dialytic hypotension and symptoms. Therefore, the dialytic therapy, as well as all the pharmacological therapies for the chronic patient, must consider the specificity of the patient, basing on his metabolic problems, cardiovascular tolerance, residual renal function and on his dietary and general compliance. The central aim of the nephrologist is to formulate the better prescription for the individual patient, considering the dialysis modalities, the membrane type, the dry weight (ideal post-dialysis body weight), the frequency and the duration of the weekly sessions and the technological tools that can optimize the treatment.

Keywords : dialysis adequacy, dialysis tolerance, biocompatibility, dialysis membrane, dialysis monitoring, biofeedback

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In Italia, le persone affette da insufficienza renale cronica sono circa il sette per cento della popolazione generale (1). L’ipertensione, il diabete, insieme con specifiche malattie renali come le glomerulonefriti e le pielonefriti sono le patologie che generano un continuo flusso di pazienti che raggiungono lo stadio terminale della insufficienza renale. Nel 2015, il Registro Italiano di Dialisi e Trapianto della Società Italiana di Nefrologia ha censito 42.375 pazienti in emodialisi, 4.438 in dialisi peritoneale e 23.467 portatori di trapianto renale per un totale di 70.280 pazienti in terapia sostitutiva renale (2). La prevalenza in dialisi nel 2015 è risultata di 770 per milione di abitanti, mentre l’incidenza era di 154 pazienti per milione di abitanti (2). Negli ultimi anni, l’età media di ingresso in emodialisi si è progressivamente elevata, risultando, dai rilievi del Registro Italiano di Dialisi e Trapianto, intorno ai 70-71 anni (2). L’età avanzata, spesso, si porta con sè una serie di importanti co-patologie, in particolare a carico del sistema cardio-vascolare che si aggravano con il progredire del deficit funzionale renale. Ne deriva che, un largo numero di pazienti che iniziano la dialisi è estremamente “fragile” sul piano cardio-vascolare ed emodinamico risultando molto più esposto alle complicanze dello stesso trattamento dialitico (3). Circa 7 milioni di trattamenti vengono eseguiti ogni anno in Italia, con un impegno di spesa annua che va oltre i 2 miliardi di euro dal momento che, un anno di trattamento dialitico, richiede dai 40 ai 50.000 euro per singolo paziente. Dato l’ingente impegno economico, la dialisi, pur essendo una terapia “salva vita”, è sovente, sia sul piano nazionale che in ogni singola Azienda Sanitaria, oggetto di analisi economiche con valorizzazione nei meccanismi di controllo e riduzione della spesa. Inoltre, in periodi di crisi economica come l’attuale, vi è sempre di più il rischio di preferire, nella scelta terapeutica, il principio basato sulla convenienza economica, rispetto al principio basato sulla qualità delle prestazioni. La politica del prezzo più basso ad ogni costo, che si è fatta strada anche nell’acquisizione di beni e servizi in dialisi e che si basa su una presunta razionalizzazione della spesa sanitaria, può portare ad una pericolosa massificazione dei trattamenti dialitici. La standardizzazione terapeutica, non può tenere conto delle esigenze cliniche del singolo paziente che sono influenzate, non solo dal deficit renale – comune a tutti i pazienti in RRT-, ma dalle concomitanti patologie e dalle esigenze metaboliche e biochimiche che variano  da paziente a paziente (Figura 1).

La storia della dialisi, dalla applicazione del primo rene artificiale, ha visto, soprattutto in Italia, un susseguirsi di ricerche in campo tecnologico e clinico volte ad una personalizzazione dalla dialisi ed una ottimizzazione dei trattamenti nel singolo paziente verso la cosidetta “ dialisi di precisione”. L’innovazione in dialisi ha interessato tutte le componenti della dialisi extracorporea, le membrane, le modalità di trattamento che utilizzano diffusione e convezione, i sistemi di trattamento e depurazione delle acque, i ritmi e la frequenza de trattamenti, la tecnologia delle macchine (Figura 2).

Un ruolo centrale nel passaggio da una dialisi esclusivamente depurativa ad una dialisi più fisiologica e meno gravata di effetti collaterali, è stato rappresentato dall’introduzione sul mercato delle membrane sintetiche e di quelle cellulosiche modificate.

Nell’ambito delle tecniche depurative extracorporee, la biocompatibilità è la capacità di causare la minore reazione possibile al sangue che viene a contatto con i materiali artificiali del circuito extracorporeo. La biocompatibilità risulta quindi una caratteristica fondamentale per un dispositivo preposto ad effettuare una depurazione extracorporea in situazioni di cronicità e ripetitività continua. D’altronde, è ampiamente dimostrato come la non-biocompatibilità dei dispositivi impiegati nel circuito extra-corporeo ed in particolare della membrana dialitica, incida negativamente sul piano clinico (4). Da tempo sono note le conseguenze a breve termine dell’emo-bioincompatibilità che scatena uno stato infiammatorio ed accresce lo stress ossidativo (5). Nel medio-lungo termine si realizza la cronicizzazione della infiammazione, e la comparsa di diverse situazioni patologiche come anemia, malnutrizione e severe alterazioni dell’apparato cardio-vascolare (45).

L’avanzamento tecnologico,avvenuto negli ultimi vent’anni, ha portato ad un miglioramento della biocompatibilità ed anche ad un potenziamento delle  performances dei filtri di dialisi in termini di capacità filtrante e di idraulica.

Le membrane ad alta permeabilità idraulica hanno portato all’avvento delle metodiche convettive rappresentate dalle tecniche di emofiltrazione ed emodiafiltrazione che hanno sicuramente allargato l’orizzonte depurativo. Recentemente inoltre vi è stato l’ingresso delle nuove membrane a medio cut-off e non elevata permeabilità idraulica, che potranno rappresentare una nuova frontiera depurativa (6).

Ancora oggi però, non esistono dati conclusivi che suggeriscano una modalità di trattamento come ottimale per tutti i pazienti. L’adeguatezza dialitica è un concetto puramente teorico basato sul raggiungimento di obiettivi quali efficacia di depurazione, correzione dei disordini metabolici ed idrico-elettrolitici, prevenzione degli effetti collaterali e della “non-compliance”. Tuttavia una dialisi intermittente (tri-settimanale con una durata di trattamento di 4 ore o poco più) non riuscirà mai a replicare perfettamente la funzione fisiologica del rene che opera incessantemente per tutto l’arco della giornata, 24 ore su 24, assicurando una omeostasi completa dei prodotti del metabolismo intermedio, degli elettroliti, dei fluidi corporei.

Per anni l’urea è stata considerata l’unico tossico uremico, invece è stato dimostrato che esistono molte altre molecole di medio-alto peso molecolare che sono altrettanto, se non più tossiche, dell’urea. L’emofiltrazione una tecnica che privilegia la rimozione delle medie molecole a scapito delle piccole molecole come l’urea ha dimostrato di assicurare un migliore sopravvivenza anche a pazienti anziani e con elevati gradi di co-morbidità (7). Recentemente è stato dimostrato che si accumulano nell’uremia molecole di medie e grandi dimensioni come il fattore D del complemento, la pentatrexina, il para-cresolo, l’indoxil solfato che possono legarsi alle proteine (PBUT) e che assumono un importante ruolo sul piano fisiopatologico (8). Molte di queste molecole non sono infatti affatto “innocenti” e giocano spesso un ruolo chiave nella genesi di manifestazioni come l’infiammazione cronica, lo stress ossidativo, i disordini della sfera immunologica. Alterazioni che insorgono nella insufficienza renale cronica agli ultimi stadi e che permangono in dialisi cronica.

Diverse medie e grandi molecole (anche con peso molecolare superiore a 55 kDa), non vengono eliminate attraverso i classici meccanismi di filtrazione, diffusione e convezione. E allora bisogna fare ricorso a membrane particolari a medio-alto cut-off o ad altre modalità di rimozione come l’adsorbimento.

Riguardo l’adsorbimento, solo alcune membrane dialitiche hanno anche elevate capacità adsorbenti oltre alle classiche capacità filtranti, permettendo la rimozione di molecole tossiche di elevate dimensioni in seguito all’intrappolamento al loro interno (9).

La rimozione per adsorbimento di molecole ad alto peso molecolare può diventare strategica nel trattamento del paziente nefropatico affetto da alterazione del sistema immunitario e migliorare la risposta immunitaria riducendo la frequenza delle complicanze infettive.

Ad esempio l’adsorbimento da parte di alcune membrane di sCD40, glicoproteina presente nel paziente emodializzato in alta concentrazione e che inibisce le risposte anticorpali, può favorire la competenza immunologica ed accrescere la sieroconversione in corso di vaccinazione come quella verso il virus B dell’epatite (10).

L’alterazione dello stato immunitario nel paziente emodializzato potrebbe anche incidere su patologie correlate quali il prurito uremico istamino-mediato. Come dimostrato nello studio DOPPS, il prurito uremico severo, genera disturbi del sonno e peggiora significativamente la qualità della vita del paziente (11) Particolari membrane adsorbenti, come il polimetilmetacrilato, sembrano in grado di rimuovere le sostanze ad alto peso molecolare che stimolano i mastociti alla produzione di istamina. La costante rimozione di queste sostanze istaminizzanti riduce il prurito avvertito dal paziente nelle settimane e nei mesi successivi (12).

Negli ultimi anni, si è anche visto come, metodiche e membrane che nascono per essere dedicate alla HD, possono avere un ruolo anche in altre patologie come le discrasie plasmacellulari. In pazienti con mieloma ed insufficienza renale di recente insorgenza, l’utilizzo precoce di membrane ad alto cut-off, riesce ad abbattere i livelli di catene libere (sFLC) e cooperando con la chemioterapia specifica permette, in molti casi, di risolvere il danno acuto renale (13).

Tornando al paziente in dialisi cronica, va detto che, questi pazienti, loro malgrado, non hanno solo una serie di co-morbidità che li affliggono e ne accrescono mortalità e morbidità, ma subiscono anche un insieme di side-effects connessi al trattamento emodialitico stesso, come le ipotensioni ed ipertensioni intra-dialitiche, le aritmie, i crampi, i sintomi digestivi, la nausea ed il vomito (Figura 3). Molti di questi sintomi e primo fra tutti le ipotensioni intra-dialitiche sono in grado di influenzare in maniera negativa l’outcome e la sopravvivenza stessa dei pazienti (14). La genesi dell’ipotensione intra-dialitica è però multi fattoriale ed è quindi indispensabile per una prevenzione efficace, individuarne la causa ed i meccanismi patogenetici che la sostengono nel singolo paziente. Un’analisi efficace può permettere di risolvere il problema grazie ad una serie di accorgimenti e presidi che vanno valutati e sperimentati nella gestione del paziente con ipotensione intra-dialitica (Figura 4 e Figura 5).

Anche qui la tecnologia ci è venuta in aiuto. I sistemi di monitoraggio e di biofeedback che permettono di controllare ed influenzare l’andamento di variabili importanti nella genesi dei collassi intra-dialitici, come il volume ematico, la temperatura corporea e la stessa pressione arteriosa, sono in grado di prevenire e minimizzare le brusche cadute pressorie ed i sintomi ad esse correlati, nel corso della seduta di emodialisi (15). A volte però, anche l’ausilio di raffinati strumenti tecnologici e di metodiche dialitiche particolari, non risolve il problema delle complicanze pressorie e dei fastidiosi sintomi intra-dialitici. In questi casi, il cambio dei ritmi, della durata e delle frequenze delle sedute di dialisi può essere la soluzione. Ancor meglio se si riesce a portare la terapia dialitica a domicilio del paziente che può gestirla con ritmi a sé confacenti e nell’ambito delle proprie esigenze personali e familiari.

In conclusione, al giorno d’oggi, la tecnologia dialitica e dei materiali offre in dialisi extracorporea un’infinità di soluzioni che permettono di trattare al meglio i nostri pazienti. Si parla tanto in altri campi come il diabete, l’ipertensione arteriosa, lo scompenso cardiaco di personalizzazione terapeutica e di terapia ragionata e mirata. Allora perché non si può fare la stessa cosa in dialisi, che resta una indiscutibile terapia salva-vita, rivolta a pazienti che hanno in comune una severa disfunzione renale però con sfaccettature ed aspetti differenti? La terapia dialitica, come tutte le terapie rivolte ad un paziente cronico, deve assolutamente considerare le peculiarità del paziente e basarsi sui suoi bisogni metabolici, sulla sua tolleranza generale e cardiovascolare, sulla sua funzione renale residua e sulla sua compliance dietetica e generale.

Un trattamento dialitico non ben tollerato, può essere seguito da effetti collaterali che richiedono un intensificazione delle terapie, ripetuti ricoveri ospedalieri con disagio per il paziente, ma anche con un ovvio incremento dei costi. Così trattamenti dialitici gravati da importanti effetti collaterali, oltre a essere dannosi per il paziente, diventano economicamente svantaggiosi rispetto ad altri, apparentemente più costosi ma meglio tollerati.

Il nefrologo, in particolare chi segue espressamente i pazienti in dialisi, ha il precipuo dovere di accrescere la sua cultura dialitica sia per quel che riguarda la fisiopatologia che la tecnologia della dialisi. Questo gli permetterà di formulare la migliore prescrizione considerando la modalità di trattamento, il tipo di membrana, la definizione del “peso secco”, la frequenza e la durata delle sessioni settimanali, la tipologia e la posologia dei farmaci prescritti. Il tempo dedicato ai pazienti in dialisi non è affatto un tempo sprecato. Un recente studio DOPPS (16) ha dimostrato che il tempo dedicato ai pazienti in dialisi cronica influenza significativamente gli outcomes . Sia la mortalità per tutte le cause che la frequenza delle ospedalizzazioni sono inversamente proporzionali al tempo di contatto medico-paziente. Lo studio rileva come l’Italia sia il paese che assicura una maggiore frequenza di contatti medico-pazienti insieme anche ad  una maggiore durata dei contatti stessi.

Cerchiamo di mantenerci questo positivo primato!

Solo tenendo conto delle esigenze cliniche del singolo paziente e definendo, di volta in volta e, talora di dialisi in dialisi, le specifiche del trattamento, si può pensare di ottenere obiettivi di sicura efficacia clinica con metodi appropriati, pur senza trascurare gli aspetti di economicità.

 

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Update on proteomic use in hemodialysis

Abstract

Application of proteomics has become one of the leading experimental disciplines for increased understanding of the key role played by proteins and protein–protein interactions in all aspects of cell function. There is an increasing use of proteomic technologies for investigation into renal replacement therapy such as hemodialysis. In the last 10 years, the application of shotgun bottom-up liquid chromatography-mass spectrometry/mass spectrometry approaches has been successfully applied to research in uremic toxicity, with the discovery of novel uremic toxins and the potential to delineate a precise molecular approach to defining the biochemical nature of uremia.
Major investigations of proteomics in hemodialysis therapy include molecular definition of uremic toxicity, identification of prognostic biomarkers, blood purification efficiency testing, and biocompatibility assessment of the dialyzer membrane materials.
In this article, we review the results of recent proteomic investigations in the setting of chronic hemodialysis therapy.

KEY WORDS: Proteomic, hemodialysis, membrane, uremic toxins, biocompatibility, adsorption, proteins.

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INTRODUZIONE

L’emodialisi (HD) rappresenta la modalità più comunemente impiegata nel trattamento della malattia renale cronica (MRC) terminale. Il principale fattore determinante successo e qualità della terapia sostitutiva è rappresentato dalla membrana artificiale presente negli emodializzatori. Le membrane sono sottili barriere in grado di rimuovere acqua e soluti al fine di permettere un adeguato controllo chimico-biofisico, consentendo la sopravvivenza del paziente ed un (variabile) miglioramento della sua qualità di vita.

Durante la procedura dialitica extracorporea, i meccanismi in grado di rimuovere dal circolo le tossine ritenute ed i fluidi in eccesso includono diffusione, convezione ed adsorbimento. La diffusione e la convezione modulano la rimozione dei piccoli soluti, la prima, e delle medio-grandi molecole attraverso il movimento di massa dei fluidi, la seconda. A questi meccanismi si aggiungono le proprietà adsorbitive di alcune membrane idrofobiche sintetiche, che contribuiscono ad una significativa clearance di composti nocivi quali beta2-microglobulina, tumor necrosis factor e peptidi, anche se un eccessivo adsorbimento può limitare la performance emodepurativa di una membrana, riducendone così le proprietà terapeutiche. Occorre anche ricordare che la rimozione intradialitica dei soluti, qualunque ne sia il meccanismo alla base, non è specifica, per cui per ogni singolo biomateriale si potranno avere favorevoli effetti previsti/attesi ma anche rimozione non intenzionale di sostanze utili all’organismo. Inoltre, l’adsorbimento di proteine plasmatiche sulla membrana susseguente al contatto con il sangue durante la procedura dialitica extracorporea è di critica importanza per la biocompatibilità del materiale.
 

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