ACEi and ARBs: Proteinuria Containment, and Nephroprotection

Abstract

The renin-angiotensin-aldosterone (RAAS) system plays a significant role in renal and
cardiovascular pathophysiology, since its increased activity is involved in arterial hypertension, heart failure, and kidney disease. ACEIs and ARBs are essential drugs for nephroprotection: they reduce blood pressure values and albuminuria, both related to cardiovascular damage and CKD progression. The nephroprotective effects are evident in both diabetes mellitus and non-diabetic renal disease, and the initial eGFR fall, if not more than 30%, should be considered as a marker of long-term success of renal protection. To optimize the RAAS inhibition salt intake should be strictly controlled, moreover the effective antiproteinuric dose can often be higher than that used as an antihypertensive. In selected and closely monitored cases, it is also possible to consider dual RAAS blockade. Finally, it should be noted that in patients with advanced CKD RAAS inhibition should not be discontinued, either because it does not give any benefit on GFR or because it increases cardiovascular risk.

Keywords: ACE inhibitors, angiotensin receptor blockers, proteinuria, nephroprotection

 

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Perché agiamo sul sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone (RAAS)?

Il sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) è un sistema ormonale che regola la pressione sanguigna, il volume plasmatico circolante e il tono della muscolatura arteriosa attraverso diversi meccanismi. Esso svolge un ruolo significativo nella fisiopatologia renale e cardiovascolare, dato che un’aumentata attività del RAAS è implicata nell’ipertensione arteriosa, nell’insufficienza cardiaca nonché nelle patologie renali [1].

Le cellule juxtaglomerulari, in risposta ad un calo dei valori pressori, rilasciano l’ormone renina che catalizza il clivaggio dell’angiotensinogeno circolante, di produzione epatica, con la formazione di un decapeptide, l’angiotensina I (AngI). Ang I ha modesti effetti sui valori pressori e viene trasformato nei polmoni in Ang II, un peptide di otto aminoacidi, dall’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE). Ang II agisce sul cuore e sui reni legandosi ad un recettore, una proteina di tipo G, distinta in due sottotipi, AT1 e AT2. I recettori AT1 sono quelli che determinano gli effetti deleteri dell’Ang II, ovvero vasocostrizione, ipertrofia cardiaca e vascolare. Difatti Ang II determina vasocostrizione arteriolare periferica e aumento del riassorbimento tubulare di acqua e sodio con espansione del volume intravascolare. Ang II però ha numerose altre azioni: agisce sulla zona corticale delle ghiandole surrenaliche promuovendo la sintesi di aldosterone, che a sua volta aumenta ancora il riassorbimento di sodio con espansione del volume circolante; stimola il rilascio di vasopressina che determina aumento della sensazione di sete e riassorbimento di sodio nonché aumento del tono simpatico; tutti meccanismi deputati all’aumento dei valori pressori tramite la costrizione arteriolare, l’aumento della gittata cardiaca e la ritenzione di sodio. In condizioni patologiche l’attivazione del RAAS comporta ipertensione arteriosa, rimodellamento cardio-vascolare e danno renale. Ang II ha infatti un ruolo centrale nella progressione della malattia renale cronica (CKD) attraverso i meccanismi citati nonché tramite l’attivazione di diverse cascate biologiche che comportano aumentata espressione genica, infiammazione, stress ossidativo, apoptosi e fibrosi. Ang II ha effetti vasocostrittori preferenziali nelle arteriole efferenti, con conseguente aumento della pressione intraglomerulare e sviluppo di proteinuria,  causa lesioni tubulari tramite  attivazione di  citochine pro-infiammatorie e fibrotiche,  e  disfunzione endoteliale attraverso una  aumentata attività della NADPH ossidasi e produzione di superossido, alterata funzione endoteliale della sintasi dell’ossido nitrico;  induce altresì proliferazione e migrazione delle cellule della muscolatura liscia vascolare [2]. Un differente meccanismo di danno è dato dall’aumentata permeabilità glomerulare alle macromolecole, dall’aumentato passaggio di proteine che causa un aumentato carico sui tubuli prossimali con conseguente infiammazione e trasformazione delle cellulle tubulari in miofibroblasti, con esito in danno tubulointerstiziale [3]. Ang II non è quindi solo un peptide vasoattivo, ma una vera e propria citochina che regola la crescita cellulare, l’infiammazione e la fibrosi; molti dei suoi effetti sono mediati dalla produzione di una serie di fattori di crescita. Essa determina nel rene una aumentata produzione di TNF-alpha e di altre citochine infiammatorie quali IL-6, MCP-1, NF-kb, che si associano alla presenza di infiltrati infiammatori nel parenchima renale. Quindi Ang II contribuisce alla patologia renale progressiva anche con meccanismi infiammatori e immunologici. Nell’insieme, pertanto, si determinano una serie di alterazioni strutturali del parenchima renale che accelerano il danno innescato dai meccanismi emodinamici e proteinurici (Figura 1).

Figura N. 1: ruolo dell’angiotensina nella malattia renale cronica
Figura 1. Ruolo dell’angiotensina nella malattia renale cronica.

Si spiega quindi il perché l’inibizione del RAAS sia diventato l’obiettivo primario della protezione renale nella CKD [1-3].

Gli inibitori dell’ACE (ACEIs) bloccano la sintesi di Ang II, e quindi prevengono la conversione di Ang I a Ang II, limitandone quindi gli effetti e diminuendo la secrezione di aldosterone e vasopressina. L’efficacia degli ACEIs nel prevenire e attenuare la patologia renale si basa su effetti emodinamici, antiproteinurici, antiinfiammatori e pleiotropici. Essi infatti riducono la pressione intraglomerulare dilatando l’arteriola efferente e rallentando la degradazione della bradichinina; migliorano la selettività della membrana basale glomerulare alle macromolecole; riducono la produzione di citochine quali il transforming growth factor-beta (TGF-β), che induce glomerulosclerosi e fibrosi del parenchima renale [2]. Tuttavia, l’aumento dei livelli di renina causati dagli ACEIs stimola la produzione di Ang II tramite vie alternative che sfuggono al blocco dell’ACE e determinano il fenomeno dell’ACE escape.

I farmaci che bloccano il recettore dell’Ang II (ARBs) mostrano un’alta selettività per il recettore AT1 ed hanno effetti similari agli ACEIs, ovvero regolazione dei valori pressori e normalizzazione della funzione endoteliale, ma non hanno alcun effetto sulla bradichinina né mostrano il fenomeno dell’escape.

 

Effetti nefroprotettivi degli ACE inibitori (ACEi) e dei bloccanti dei recettori dell’angiotensina (ARB)

ACEIs e ARBs rappresentano ancor oggi la via maestra della nefroprotezione per la loro dimostrata efficacia non solo nel ridurre i valori pressori, ma anche o soprattutto per la riduzione dell’albuminuria, entrambi fattori legati al danno cardiovascolare ed alla progressione della CKD. L’effetto nefroprotettivo addizionale degli inibitori del RAAS rispetto agli altri agenti ipotensivi nella CKD è ben acclarato sia nella popolazione diabetica che in quella non diabetica [4]. Le linee guida  Kidney Disease: Improving Global Outcomes  del 2021 hanno confermato come, nella gran parte dei pazienti con CKD, ACEIs o ARB siano i farmaci di prima scelta, specialmente in presenza di albuminuria, in quanto l’inibizione del RAAS determina effetti nefroprotettivi antiinfiammatori e antiproliferativi indipendententemente dal controllo dei valori pressori [5]. Una imponente meta-analisi su oltre 60.000 pazienti ha poi confermato che queste classi di farmaci consentono di ottenere una riduzione di ESRD di oltre il 30%, riducendo altresì gli eventi cardiovascolari; gli ACEIs inoltre riducono anche la mortalità per tutte le cause e dovrebbero essere considerati la prima scelta nei pazienti con CKD [6].

Poiché la letteratura sul tema è sconfinata, sottolineeremo in questa sede solo i trial maggiori da cui derivano le indicazioni terapeutiche attuali.

ACEIs nella CKD non diabetica

In questa tipologia di pazienti gli ACEIs hanno dimostrato un chiaro effetto nefroprotettivo rispetto ad altre terapie ipotensive che non agiscono sul RAAS. Il primo grande studio fu il trial AIPRI [7] che dimostrò che l’uso dell’ACEI benazepril consentiva una riduzione globale del rischio di raddoppio della creatinina o ESRD del 50%, in particolare nei soggetti con proteinuria. Successivamente lo studio REIN [8] confermava l’efficacia del ramipril nell’ottenere un minor declino del filtrato glomerulare (GFR) rispetto al placebo, a parità di controllo pressorio. Una successiva analisi in una sottopopolazione dello stesso studio indicava poi che era altresì possibile la stabilizzazione e il miglioramento del GFR a lungo termine [9]; mentre lo studio AASK [10] confermava l’effetto nefroprotettivo degli ACEI anche nella popolazione afroamericana, ritenuta poco sensibile all’inibizione del RAAS.

ACEI nella malattia renale diabetica (DKD)

In questo fenotipo clinico, dopo i promettenti dati di un sottogruppo dello studio Hope [11] che aveva mostrato che il ramipril consentiva una riduzione del 24% del rischio di sviluppare una manifesta nefropatia nei diabetici di tipo 2 con normo-microalbuminuria,   è stato lo studio Benedict [12] a confermare che gli ACEIs, in questo caso trandolapril, dimezzava il rischio di sviluppare albuminuria in soggetti ipertesi diabetici normoalbuminurici; tale effetto si aveva indipendentemente dal controllo pressorio e non era migliorato dalla combinazione con calcio-antagonisti non-diidropiridinici.

ARB nella CKD non diabetica

Ci sono sporadiche evidenze in questo campo. I risultati dello studio giapponese COOPERATE mostrano che ACEIs e ARB hanno efficacia similare nella riduzione della perdita di filtrato e nel ridurre la proteinuria [13].  Anche un più recente studio uruguaiano giunge alle medesime conclusioni [14].

ARB nella DKD

Nel 2001 venivano pubblicati sullo stesso numero del New England Journal of Medicine ben tre studi fondamentali che hanno dimostrato l’efficacia degli ARB nella protezione del danno renale progressivo nella DKD. Lo studio IDNT [15] e il RENAAL [16] dimostravano che gli ARB, rispetto alla terapia tradizionale, ottenevano una riduzione rispettivamente del 20% e del 16% dell’end-point composito primario, ovvero raddoppio della creatinina, ESRD o morte. Inoltre, nell’IDNT si aveva anche una riduzione dell’outcome rispetto al terzo braccio dello studio condotto con l’utilizzo dell’amlodipina. A 12 mesi l’irbesartan diminuiva l’incidenza di proteinuria del 41% (vs 11% e 16% di amlodipina e placebo); e riduceva la progressione a microalbuminuria del 39% con la dose di 150 mg e del 70% con quella di 300 mg rispetto al placebo (studio IRMA-II) [17]. Infine, anche lo studio di Viberti et al. mostrava l’efficacia di valsartan nella nefropatia diabetica incipiente con una netta riduzione della microalbuminuria [18].

Come usare al meglio ACEIs e ARB?

Stabilita definitivamente la validità di queste molecole come agenti nefroprotettori, tenendone presente vantaggi e limiti come esposti nelle Tabelle 1 e 2, esaminiamo alcune condizioni particolari che potrebbero condizionarne sia l’utilizzo che l’efficacia.

VANTAGGI SVANTAGGI
Riduzione delle resistenze vascolari sistemiche con effetti anti-ipertensivi. Aumento compensatorio della renina.
Riduzione della proteinuria. Nessun effetto sulla produzione locale di Angiotensina II
Riduzione del declino del GFR a livelli quasi fisiolocigi. Rischio di danno epatico, renale, e insufficienza renale acuta, specie in presenza di stenosi dell’arteria renale bilaterale.
Riduzione del calo della clearance della creatinina. Possono dare tosse stizzosa quale reazione idiosincrasica.
Reduzione dello stato infiammatorio vascolare.   Scarsa efficacia nella popolazione diabetica con trapianto renale 
 Efficacia maggiore rispetto agli altri anti-ipertensivi nella protezione della funzione renale. Frequente la sospensione per effetti collaterali e/o difficile gestione.
Tabella 1. Vantaggi e svantaggi degli ACE inibitori.
VANTAGGI SVANTAGGI
Riduzione dell pressione arteriosa tramite inibizione della vasocostrizione della muscolatura liscia. Aumento compensatorio della renina, angiotensina I e II
Efficacia anti-ipertensiva pari o maggiore degli ACEIs Possibile ipotensione o insufficienza renale nello scompenso  cardiaco o stenosi dell’arteria renale bilaterale. 
 Migliore effetto sulla riduzione dell’indice di massa ventricolare rispetto agli ACEIs.   
 Meglio tollerati degli ACEIs  
 Ridotto tasso di sospensione.  
Tabella 2. vantaggi e svantaggi degli antagonisti recettoriali dell’angiotensina.

L’iniziale calo del GFR

Come per molti farmaci anti-ipertensivi, anche ACEIs e ARB determinano un calo iniziale del GFR con consensuale aumento della creatinina sierica, effetti della riduzione della pressione intraglomerulare. Nella pratica clinica questo calo, che mostra una notevole variazione inter-individuale, può destare eccessiva apprensione nel clinico, spesso inducendolo a ridurre la dose se non a sospendere la terapia. Una revisione sistematica ha mostrato come un aumento della creatininemia sino al 30% non debba destare apprensione, a patto che la potassiemia rimanga nella norma [19]. Ci sono inoltre evidenze che tale calo iniziale sia di tipo emodinamico più che strutturale, e sia reversibile alla sospensione dell’inibizione del RAAS. Anzi, maggiore il calo iniziale, maggiore la protezione a lungo termine della funzione renale. Tale conclusione è stata confermata da una analisi post-hoc del RENAAL che mostrava come, escludendo dall’analisi i primi tre mesi di terapia, per evitare l’influenza del calo iniziale, la protezione renale risultava maggiore nei soggetti che avevano mostrato il calo iniziale maggiore. Tale correlazione era altresì indipendente da altri fattori di rischio quali valori pressori o proteinuria [20]. In definitiva, l’iniziale calo del GFR dopo l’inizio della terapia con ACEIs e/o ARB potrebbe rappresentare una misura biologica del futuro successo terapeutico. Ciò detto, va sempre ricordato che spetta al clinico l’esatta interpretazione dell’aumento della creatininemia, specie se superiore al 30%, in quanto essa va correlata anche a concomitanti terapie diuretiche o deplezione di volume per altre cause, uso di FANS, disvelamento di una stenosi delle arterie renali non diagnosticata.

Come titolare la terapia?

La protezione renale degli inibitori del RAAS mostra una notevole variabilità da paziente a paziente, legata strettamente alla eterogeneità dei concomitanti fattori di rischio, ad esempio valori pressori o proteinuria tra tutti. Ne consegue, in una percentuale non trascurabile dei pazienti, valori di proteinuria non soddisfacenti nonostante una terapia ottimale. Sappiamo altresì che anche l’entità iniziale del calo dell’albuminuria correla con la protezione renale nel lungo periodo, maggiore la riduzione dell’albuminuria, migliore l’outcome renale [4]. Tra le strategie che possiamo mettere in campo per ridurre ulteriormente l’albuminuria residua ci sono la restrizione dell’introito salino, di cui a seguire, l’aggiunta di un anti-aldosteronico, e la titolazione della dose di ACEIs o ARB oltre la dose usuale quali farmaci anti-ipertensivi.

La dose ottimale per massimizzare la riduzione dell’albuminuria è generalmente superiore a quella utilizzata per la riduzione dei valori pressori. Aumentando quindi la dose di ACEIs o ARB si può ottenere una ulteriore riduzione dell’albuminuria, con o senza ulteriore effetto sui valori pressori [4, 21]. La sicurezza a lungo termine di tale approccio è stata dimostrata dallo studio di Hou et al. che hanno comparato la dose antiproteinurica ottimale di un ACEI (benezepril) e di un ARB (losartan) nei confronti delle dosi standard in una coorte di pazienti con CKD non diabetica [22]. Quasi la metà del campione raggiungeva la dose antiproteinurtica ottimale a 20 mg di benazepril o 100 mg di losartan, mentre gli altri avevano bisogno di 40 mg di benazepril o 200 mg di losartan. La titolazione consentiva una ulteriore riduzione dell’albuminuria e una ulteriore riduzione del rischio di ESRD, sino al 50% con follow-up di 3.7 anni.

D’altro canto va altresì sottolineato che esiste una notevole variabilità individuale. Soggetti non responsivi ad un farmaco anti-RAAS possono essere valutati inizialmente con un aumento della dose, indi con un cambiamento di classe farmacologica. Tuttavia, i soggetti con scarsa risposta spesso non mostrano benefici né dall’aumento della dose né dal cambio della tipologia di inibizione del RAAS [23].

Attenzione al sale!

Una alimentazione ad alto contenuto sodico può neutralizzare gli effetti di ACEIs e ARB, mentre la sua riduzione potenzia l’effetti anti-ipertensivo e anti-albuminurico. Iniziare una terapia diuretica rappresenta una ulteriore possibilità per correggere lo stato del volume circolante e ripristinare o aumentare l’efficacia degli anti-RAAS. Quindi, prima di titolare al massimo la dose di questi ultimi, va valutata l’aggiunta del diuretico insieme a dosi standard di ACEIs/ARB, strategia che consente spesso risultati migliori [24]. La limitazione dell’introito di sale e la terapia diuretica hanno la stessa efficacia nel potenziare la risposta anti-albuminuriuca degli anti-RAAS nella popolazione generale [25]. Ma è interessante notare come, a livello individuale, questo approccio sia poco efficace nei soggetti che hanno avuto una buona risposta alla terapia, ma consente di trasformare un paziente non-responder in un responder agli ACEIs/ARB, un esempio della medicina di precisione che dobbiamo perseguire! In ogni caso, l’alimentazione iposodica amplifica i benefici del blocco del RAAS e va sempre combinata a tale terapia.

 

Come e quando usare il così detto “doppio blocco”

Un blocco in due punti del sistema RAAS può essere effettuato con molte classi di farmaci, in questa sede noi esamineremo solo la letteratura riguardante l’uso combinato di ACEIs e ARB. Risulta evidente come operare tale strategia dovrebbe teoricamente consentire una maggiore inibizione del RAAS e migliori risultati in termini di albuminuria e nefroprotezione. Uno dei migliori studi in tal senso, condotto in soggetti con CKD non diabetica, ha dimostrato che il singolo farmaco, a dosi opportunamente titolate, consentiva la riduzione dell’albuminuria di circa il 45% (ACEI) o 70% (ARB) rispetto al basale, e che la combinazione dei due portava ad una ulteriore riduzione sino al 85% [26]. Anche in questo caso però, selezionando la popolazione in responder e non-responder, si vedeva che il grande vantaggio era appannaggio del primo gruppo, mentre nel secondo non si otteneva alcun beneficio. Quindi il doppio blocco non consente di trasformare un soggetto a bassa risposta in un responder, e il clinico deve valutarne l’opportunità nel singolo paziente. Questa strategia terapeutica ha poi visto un deciso stop dopo la pubblicazione dello studio ONTARGET, nel quale la combinazione delle due classi non ha dimostrato alcun beneficio in termini di protezione cardiovascolare [27]. Poiché lo studio arruolava pazienti con basso rischio renale, due ulteriori studi hanno valutato la combinazione nella CKD, il VA NEPHRON-D [28] e il LIRICO [29]. Il primo non ha documentato un minor rischio renale né di mortalità, segnalando un rilevante aumento di effetti avversi quali iperpotassiemia e insufficienza renale acuta, il secondo mostrava che ACEIs e ARB avevano effetti simili sugli outcome renali e cardiovascolari sulla mortalità, che ARB erano meglio tollerati degli ACEIs, ma che la combinazione non portava alcun vantaggio clinico. Anche l’EMA ne prendeva atto con una sua segnalazione [30]. Tuttavia va segnalato che, alla chiusura precoce dello studio VA NEPHRON-D per gli effetti collaterali, il doppio blocco aveva ridotto l’outcome ESRD del 34% rispetto alla monoterapia con losartan, un’efficacia mai raggiunta prima nel diabete di tipo 2.

Per tali considerazioni, alcuni gruppi hanno più volte segnalato come, in casistiche selezionate e in pazienti strettamente seguiti, l’adozione di questo regime terapeutico consenta decisivi vantaggi in termini di protezione della funzione renale [31]. È il caso della così definita “remission clinic” del gruppo di Bergamo [32], che prevede un approccio intensivo basato sull’utilizzo del doppio blocco del RAAS, e che ha trovato conferma nella meta-analisi di Palmer et al. [33] che indicava questa strategia come la migliore in termini di nefroprotezione: si poteva quindi stimare che trattare in tal modo 1000 soggetti con diabete e CKD per 1 anno avrebbe consentito di evitare 3 ingressi in dialisi e ottenere 90 regressioni dell’albuminuria [34]. Va comunque sottolineato che tale approccio necessita di estrema attenzione, gestendo la terapia concomitante per evitare valori pressori troppo bassi e prevedendo la sospensione dell’inibizione del RAAS durante episodi acuti intermittenti quali disidratazione o iperpiressia.

 

Non sospendere la terapia nelle fasi avanzate della malattia renale cronica

L’uso di ACEIs e ARB assicura certamente una protezione renale efficace, tuttavia nei soggetti anziani, in quelli con CKD stadio IV-V o nei pazienti che hanno avuto un brusco calo del GFR dopo l’inibizione del RAAS il loro utilizzo è stato messo in discussione per il rischio potenziale di compromissione della funzione renale residua. Esso infatti è stato oggetto di una controversia dell’NKF-KDOQI [35]. L’analisi della letteratura però consente oggi di fugare questi dubbi e di poter asserire che questa terapia non solo non va sospesa negli stadi avanzati della CKD in quanto non accelera il declino funzionale, ma soprattutto perché consente un decisivo vantaggio in termini di protezione cardiovascolare. Ad esempio, in un’ampia popolazione di soggetti ipertesi e anemici con CKD stadio V, l’uso di ACEIs/ARB si associava ad un minor rischio di ESRD o decesso del 6% [36]; al contrario, nei pazienti che sospendevano tale terapia si poteva registrare un aumento della mortalità totale e degli eventi cardiovascolari maggiori, senza alcun beneficio sulla funzione renale [37, 38]. Una risposta definitiva veniva infine dallo studio randomizzato e controllato STOP-ACEi che dimostrava ancora una volta che nei pazienti con CKD avanzata la sospensione dell’inibizione del RAAS non si associava ad alcun beneficio a lungo termine sui valori di GFR [39].

In ogni caso, su pazienti particolarmente fragili bisogna cercare sempre di individualizzare la terapia, per cui ove si riscontrino ripetuti episodi ipotensivi o perdita acuta della funzione renale oltre il 20%, la sospensione di ACEIs/ARB può essere presa in esame, considerando sempre che togliamo una protezione cardiovascolare al nostro paziente. Al giorno di oggi l’iperpotassiemia non dovrebbe rappresentare più un problema clinico rilevante, data la disponibilità di nuovi ed efficaci chelanti.

 

Limitata efficacia dei bloccanti del RAAS, necessità di una terapia multifattoriale

Nonostante l’inibizione del RAAS rappresenti la base fondamentale della nefroprotezione, essa risulta chiaramente insufficiente. Se riconsideriamo i dati dei trial IDNT [15] e RENAAL [16], vediamo come il rischio si riduca rispettivamente del 16% e 20%, ma il rischio residuo rimane ancora molto alto. Inoltre, l’uso di questi farmaci non è così estensivo come si potrebbe supporre. Dati statunitensi confermano che nella CKD solo il 34,9% viene trattato con ACEIs/ARB, senza alcun miglioramento di tali percentuali negli ultimi anni [40], per cui in generale il loro utilizzo rappresenta l’eccezione, tranne che nei sottogruppi con diabete mellito o patologia cardiaca. Esiste quindi una vasta area di miglioramento, anche alla luce di quanto esposto nel paragrafo precedente, ma verosimilmente il timore di effetti collaterali frena molto il loro uso estensivo nella medicina generale.

Una nefroprotezione più efficace oggi è però possibile attraverso l’uso ottimale di una terapia multifattoriale volta a prevenire sia gli eventi cardiovascolari che l’ESRD. Gli SGLT2-inibitori sono in grado di ridurre l’iperfiltrazione glomerulare e l’albuminuria con effetti nefroprotettivi in tutto lo spettro della CKD, diabetica e non [41], con elevata protezione cardiovascolare indipendentemente dalla presenza di diabete mellito. Il loro utilizzo dovrà quindi essere esteso ad un’ampia fascia della popolazione con CKD, indipendentemente dal livello di albuminuria, come un nuovo standard di cura nonché quale prevenzione della CKD stessa nel diabete di tipo 2 [42]. In quest’ultima categoria di pazienti, ulteriori classi di farmaci quali gli agonisti recettoriali del GLP-1 e gli antagonisti non steriodei dei mineralcorticoidi possono essere considerati standard di trattamento per migliorare gli outcome renali, cardiovascolari e di sopravvivenza [43]. È necessario oggi un grande sforzo educativo per gli operatori sanitari affinché l’uso di questi presidi venga sufficientemente implementato nella pratica clinica quotidiana. La presa in carico infatti deve essere olistica, con una visione complessiva delle necessità del paziente con un approccio terapeutico multifattoriale per massimizzare i benefici renali e cardiovascolari.

 

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Hyperkalemia as a limiting factor in the use of drugs that block the Renin Angiotensin Aldosterone System (RAAS)

Abstract

Angiotensin-converting enzyme (ACE-I) inhibitors and ARBs have shown real efficacy in reducing blood pressure, proteinuria, in slowing the progression of chronic kidney disease (MRC) and in clinical improvement. in patients with heart failure, diabetes mellitus and ischemic heart disease. However, their use is limited by some side effects such as the increase in serum potassium (K), which can be particularly severe in patients with renal insufficiency. In the 23,000 patients followed by the PIRP project of the Emilia-Romagna Region, hyperkalaemia at the first visit (K> 5.5 mEq / L) was present in about 7% of all patients. The prevalence of K values> 5.5 mEq / L increased in relation to the CKD stage, reaching 11% in patients in stage 4 and 5. Among patients with values ​​of K> 5.5 at baseline, 44.8% were in therapy with ACE-I / ARB inhibitors, 3.8% with anti-mineralcortoid and a further 3.9% concurrently taking SRAA-blocking agents and K-sparing diuretics. Counter-measures to avoid the onset of hyperkalemia during treatment with drugs that block the RAAS range from the low-K diet, to diuretics and finally to drugs that promote fecal elimination of K. Among these, polystyrene sulfonates, which have more than 50 years of life, exchange K with sodium or calcium. These drugs, however, in chronic use, can lead to sodium or calcium overload and cause dangerous intestinal necrosis. Recently two new highly promising drugs have been introduced on the market for the treatment of hyperkalemia, the patiromer and sodium zirconium cyclosilicate. The patiromer, which is a potassium-calcium exchanger, acts at the level of the colon where there is a higher concentration of K and where the drug is most ionized. Sodium zirconium cyclosilicate (ZS-9) is a resin with micropores of well-defined dimensions, placed in the crystalline structure of the zirconium silicate. The trapped K is exchanged with other protons and sodium. However, even these drugs will have to demonstrate their long-term efficacy and safety to be considered true partners of RAAS blockers in some categories of patients.

Key words: potassium, hyperkalemia, ARB, ace-inhibitors, renal failure, patiromer, sodium zieconium cyclosylate, ZS-9, kayexalate

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Introduzione

Gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-I) ed i bloccanti dei recettori dell’angiotensina (ARB) hanno dimostrato una reale efficacia nel ridurre la pressione arteriosa,la proteinuria e nel rallentare la progressione della malattia renale cronica (13). Inoltre questi farmaci favoriscono il miglioramento clinico in pazienti con insufficienza cardiaca, diabete mellito e cardiopatia ischemica. Tuttavia, questa classe di farmaci è stata anche associata ad eventi avversi, a volte severi: comparsa di insufficienza renale acuta, iperkalemia severa (45) importanti riduzioni della pressione arteriosa.

Il timore verso gli effetti avversi dei bloccanti del Sistema Renina Angiotensina Aldosterone (SRAA), spesso comporta una loro sottoutilizzazione o un sottodosaggio, in particolare nei sottogruppi di pazienti che sono maggiormente a rischio di sviluppare complicanze. Uno studio turco che si è occupato di valutare le barriere che limitano l’uso di ACE-I e ARB in pazienti con insufficienza renale cronica, ha riconosciuto nell’iperkalemia, l’elemento principale che porta alla sospensione dei bloccanti il SRAA (6). Anche lo studio di Shirazian ha evidenziato che l’iperkalemia rappresenta la causa principale di sottoutilizzo di ACE-I e ARB (7)

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