n. 1 – gennaio – febbraio

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n. 2 – marzo – aprile

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n. 3 – maggio – giugno

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n. 4 – luglio – agosto

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PER QUESTO VOLUME SONO PRESENTI ESCLUSIVAMENTE GLI ABSTRACT
  • Inibizione dell’angiotensina Il e proteinuria in pazienti con glomerulonefrite lgA mesangiale
    R. Minutolo, A. Pisani, L. De Nicola, FA. Savino, M. Andreucci, D. Russo
    Abbiamo valutato l’ipotesi che in pazienti proteinurici normotesi affetti da glomerulonefrite lgA mesangiale (GNlgA) ed in trattamento con inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACEi), l’aggiunta di losartan (LOS) consente di ottenere un effetto proteinurico maggiore. Sono stati arruolati 8 pazienti normotesi con proteinuria in range non nefrosico (1-3 g/die) e filtrato glomerulare > 70 ml/min; le valutazioni cliniche e di laboratorio venivano effettuate in basale, dopo 12 settimane di terapia con ACEi da solo (ACEi), dopo l’aggiunta di losartan (50 mg/die) per 4 settimane (ACEI + LOS) e, infine, una volta sospeso ACEI, dopo 12 settimane di losartan da solo (LOS). La pressione arteriosa e il filtrato glomerulare rimanevano immodificati per tutta la durata dello studio. Entrambi i farmaci da soli erano efficaci nel ridurre significativamente la proteinuria rispetto al basale (-39% e -30% dopo ACEi e LOS, rispettivamente). Tuttavia, l’osservazione più rilevante era l’ulteriore riduzione dell’escrezione urinaria di proteine osservata in corso di terapia combinata (-73% p < 0.05 rispetto ai singoli farmaci). Il presente studio evidenzia, per la prima volta, che la somministrazione di losartan in pazienti normotesi con GN-lgA ed in trattamento con ACEi, determina un’ulteriore diminuzione della proteinuria che non è dipendente da modificazioni del filtrato glomerulare e della pressione arteriosa.
  • Lipoperossidazione e radicali liberi dell’ossigeno: variazioni ematiche in emodialisi ed emodiafiltrazione
    P Conti, C. Cerretini, C. Oliviero, M. Rossetti, P Tosi, S. Bandini, M. SalvadoriGli elevati valori dei radicali liberi dell’ossigeno nel paziente uremico esprimono un danno ossidativo costante, superiore a quello del soggetto normale, inquadrabile tra gli effetti tossici della cosiddetta sindrome uremico-dialitica.
    Per valutare l’influenza del trattamento dialitico sui radicali liberi dell’ossigeno, abbiamo studiato la concentrazione ematica pre e postdialisi dei prodotti di lipoperossidazione, dati dalla somma della malonildialdeide (MDA) con i 4-idrossi-alchenali (4HNE), che esprimono una delle vie metaboliche della rimozione dei radicali liberi; contemporaneamente i radicali liberi dell’ossigeno erano anche valutati direttamente utilizzando un nuovo metodo colorimetrico sieroso per i radicali liberi dell’ossigeno (ROMs).
    In 35 dialisi (20 bicarbonato-emodialisi (BHD) e 15 emodiafiltrazioni (HDF) condotte su pazienti uremici cronici, abbiamo misurato contemporaneamente pre e postdialisi nel plasma la MDA + 4HNE e nel siero i ROMs. Sulla totalità delle dialisi abbiamo osservato: MDA + 4HNE (v.n.: 3.7-7.7 uM) = pre: 14.3 ± 3.5 post: 9.9 ± 3.3, % -30.5 ± 16.3; ROMs (v.n.: < 300 U.Carr.) = pre: 346.5 ± 66.0 post: 391.4 ± 89.3, ­ % +13.0 ± 11.9 (p < 0,0001). Suddividendo per tipo di trattamento dialitico: BHD = MDA + 4HNE: ¯ % -32.8 ± 16.9; HDF = MDA + 4HNE: ¯ % -27.4 ± 15.5; BHD = ROMs: ­ % +15.7 ± 14.3; HDF = ROMs: ­ % +10.1 ± 7.9. I pazienti presentavano in genere valori basali di radicali liberi superiori alla normalità e, a fronte di una riduzione della MDA + 4HNE, abbiamo osservato un incremento percentuale dei ROMs, tendenzialmente maggiore in BHD rispetto alla HDF.
    Essendo il dosaggio dei ROMs una valutazione diretta della presenza dei radicali liberi dell’ossigeno, riteniamo più corretto dosare i ROMs rispetto alla MDA + 4HNE per la valutazione dell’effetto ossidante in corso di dialisi. I ROMs si prospettano anche come un indice di biocompatibilità, di facile determinazione, della metodica dialitica.
  • La malattia gastroduodenale e l’infezione da Helicobacter Pylori (HP) in pazienti uremici in emodialisi periodica e in portatori di trapianto di rene
    F. D’Elia, G. Tarantino, S. Brusasco, M. Margiotta, E. Ierardi, A. Francavilla, M. VirgilioAbbiamo valutato l’incidenza dell’infezione da HP in 46 pazienti uremici in HD di età media 56.6 ± 14.6 anni ed età dialitica di 70.2 ± 34.4 mesi e in 19 pazienti portatori di trapianto renale di età media 40.5 ± 9.8 anni e durata del trapianto di 55 ± 46 mesi, attraverso l’esecuzione del dosaggio del titolo anticorpale (Ac) IgG anti-HP, la gastroduodenoscopia con biopsia gastrica utilizzata sia per il test all’ureasi in vitro, sia per il grading istologico della gastrite, che per l’identificazione dell’HP nella mucosa gastrica con colorazione di Giemsa. Questi pazienti sono stati confrontati con gruppi di controllo di 50 e 18 soggetti di pari età anagrafica scelti tra i donatori di sangue per i pazienti uremici e per i pazienti trapiantati rispettivamente. L’incidenza dell’infezione da HP con il titolo anticorpale è risultata del 65% tra i pazienti uremici (vs 65% del gruppo di controllo) e 44% tra i pazienti trapiantati (vs 58% del gruppo controllo). L’esame gastroscopico ha messoin evidenza erosioni della mucosa gastrica nell’antro, nel corpo e nel fondo dello stomaco e del duodeno solo nel 50% dei casi. La corrispondenza tra la positività del titolo anticorpale e le lesioni endoscopiche è stata dell’80%. Il test rapido dell’ureasi non ha mostrato alcuna correlazione con il titolo anticorpale. L’identificazione istologica dell’HP è stata effettuata in 25 pazienti uremici ed in 15 di questi è stato rinvenuto il batterio nella mucosa gastrica: in questi pazienti vi era una corrispondenza del 100% con il titolo anticorpale. L’esame istologico mostrava le caratteristiche della gastrite cronica attiva. Non vi era alcuna correlazione statistica tra titolo anticorpale, sesso ed età dialitica (X2-test con correzione di Yates e t Student test), mentre è stata trovata una significatività statistica (p < 0.05 T Student test) tra il titolo anticorpale e la durata del trapianto. I 15 pazienti uremici positivi alla colorazione di Giemsa sono stati trattati con un ciclo di triplice terapia di breve durata (omeprazolo 20 mg/die, claritromicina 250 mg x 2/die e metronidazolo 250 mg x 2/die per 7 giorni); dopo 6 mesi si è assistito ad una riduzione del titolo anticorpale del 33.2% (p < 0.01 t Student test), sovrapponibile al 40% ottenuto nel gruppo controllo dei pazienti non uremici dispeptici, infetti da HP, di uguale età.
  • Ipertrofia ventricolare sinistra e carico pressorio nell’insufficienza renale cronica
    F. Fabbian, B. Tucker, R. Squerzanti, D. Lambertini, P Gilli, A.E.G. Raine, L.R.L BakerL’ipertrofia ventricolare sinistra (IVS) è un importante fattore di rischio per la morbilità e la mortalità cardiovascolare nei pazienti in trattamento dialitico. Scopo di questo studio è stato quello di valutare la prevalenza dell’IVS in diversi stadi di insufficienza renale cronica (IRC) ed i fattori di rischio ad essa correlati.
    Sono stati selezionati 85 pazienti (pz) non diabetici e non portatori di cardiovasculopatia né di valvulopatia (37 M e 48 F), età 49 ± 14 anni ed una clearance della creatinina (ClCr) di 39 ± 30 ml/min. Tutti i pz sono stati sottoposti a ecocardiografia per la determinazione della massa ventricolare sinistra (LVMI) ed a monitoraggio ambulatoriale della pressione arteriosa (PA). Sono stati valutati: indice di massa corporea (BMI), creatinina (Cr), calcio (Ca), fosforo (PO4)1 ormone paratiroideo (PTH), emoglobina (Hb) ed escrezione urinaria delle proteine nelle 24 ore.
    I pz con ClCr < 30 ml/min (gruppo 2) avevano valori più elevati di PO4, PTH, proteinuria, PA sistolica, LVMI mentre i valori di Hb
    erano più bassi rispetto ai pz con ClCr < 30 ml/min (gruppo 1). La prevalenza di IVS definita come LVMI > 131 g/m negli uomini e > 100 g/m nelle donne, era il 16% nel gruppo 1 e 38% nel gruppo 2. L’analisi di regressione multipla ha dimostrato che sesso maschile, BMI, PA sistolica 24 ore e i valori di Hb erano correlati in modo indipendente a LVMI. In conclusione la IVS è frequente negli stadi dell’IRC che precedono la terapia dialitica ed i fattori che potrebbero essere corretti al fine di ridurre la morbilità e la mortalità cardiovascolare nella popolazione uremica sono il carico pressorio e l’anemia.
  • Ruolo delle malattie infiammatorie e infettive nella risposta all’Eritropoietina nei pazienti in dialisi
    G. Panzetta, M. Ianche, F. Bianco, S. Vianello, R. Zanchi, P CicinatoUna resistenza parziale o completa all’Eritropoietina (EPO) è frequentemente segnalata e la presenza di malattie infiammatorie ed infettive è ritenuta una causa importante. Con lo scopo di definire i rapporti tra malattie infiammatorie, indici biochimici di infiammazione e risposta all’EPO, abbiamo studiato 137 pazienti, 78 M e 59 F, in trattamento da almeno 6 mesi (72 ± 63 mesi), 102 in dialisi convenzionale e 35 con tecniche alternative e membrane sintetiche.
    La dose media settimanale di EPO era pari a 109 ± 51 U/kg: essa era correlata direttamente con i valori di proteina C reattiva (PCR) (r: 0.23, p < 0.05) e inversamente con i valori di albuminemia (ALB) (r: -0.34, p In 40 pazienti (39.9%) la dose di EPO era superiore al valore medio, mentre l’emoglobinemia era simile al valore medio. La percentuale di questi “low responders” era pari al 54% e rispettivamente al 58% quando PCR era superiore al valore medio di 12.4 mg/L e ALB era inferiore al valore medio di 4.09 g/dl, contro percentuali del 29% e del 28% dei soggetti con PCR e ALB inferiori e superiori al valore medio. Le dosi di EPO, a parità di emoglobinemia, erano più elevate sia nei pazienti con PCR superiore a 12.4 mg/L sia nei pazienti con ALB inferiore a 4.09 g/dl (128 ± 60 U/kg e 125 ± 54 U/kg vs 100 ± 42 U/kg e 101 ± 46 U/kg, p < 0.05). Cinquantasette pazienti (42%) risultavano affetti da malattie infiammatorie o infettive acute e croniche: a parità di emoglobinemia, la dose di EPO era significativamente superiore in questi pazienti (136 ± 57 U/kg vs 97 ± 30 U/kg, p < 0.001) e la percentuale dei low responders era pari al 58% rispetto al 25% dei soggetti esenti da queste complicanze.
    Il tipo di trattamento dialitico si dimostrava ininfluente sulla risposta all’EPO che, anzi, era peggiore proprio nei pazienti trattati con tecniche alternative (147 ± 60 U/kg vs 98 ± 41 U/kg, p < 0.001) a causa di una selezione dei pazienti più malnutriti e con più malattie complicanti.
    I risultati dimostrano che il numero dei pazienti affetti da malattie infiammatorie ed infettive è molto rilevante e che queste condizioni causano un aumento del 30% del fabbisogno eritropoietinico. L’indice più strettamente associato con la resistenza all’EPO è la PCR. L’ALB è risultata correlata con la dose EPO e anche con gli altri indici infiammatori (PCR e FIB) e ciò avvalora la tesi che nei pazienti in dialisi basse concentrazioni di ALB possano dipendere non solo dalla malnutrizione, ma anche dalla presenza di stati infiammatori ed infettivi.
  • Manifestazioni extra-polmonari della sarcoidosi: anche il midollo osseo può essere coinvolto
    L. Vernaglione, A. Montanaro, R. Giordano, E De Padova, A.L. Marangi, VA. Ligorio, D. Santese, L. Di Marco, A. Semeraro, C. BasileUn paziente maschio, diabetico, di 74 anni giungeva alla nostra osservazione nel novembre 1996 in condizioni generali compromesse (peso kg 50) per insufficienza renale (creatininemia 5.7 mg/dl) ed anemia (Hb 7.4 g/dl). Presentava una concentrazione sierica dell’ACE di 45.8 U/L (v.n. 8-21). Le TAC torace ed addome evidenziavano piccoli linfonodi in sede paratracheale, epatosplenomegalia e linfonodi in sede paraortica. Alla biopsia osteomidollare ed epatica: granulomi simil-sarcoidei con cellule giganti plurinucleate. Posta la diagnosi di sarcoidosi sistemica, veniva istituita terapia con prednisone per os (1 mg/kg/die, ridotta gradualmente a 0.3 mg/kg/die). Ciò consenti la riduzione della creatininemia a 3.0 mg/dl ed un miglioramento delle condizioni generali. Nell’intento di contenere il processo mieloproliferativo, nell’ottobre 1997 al paziente si somministrava un chemioterapico, la 2-cloro-desossiadenosina (6 mg) e si instaurava trattamento con pentossifillina per os (1.2 g/die), pur proseguendo il trattamento steroideo (prednisone 0.6 mg/kg/dic). Dopo tre mesi, per la comparsa di leucopenia (1200 leucociti/m l) e piastrinopenia (83.000 piastrine/m l), il paziente veniva sottoposto alla somministrazione, per tre giorni consecutivi, di un bolo e.v. di metilprednisolone pari a 2.5 mg/kg/die, seguito da terapia con prednisone per os 1.5 mg/kg/die, a scalare. Ciò consenti il ripristino della conta dei leucociti (5300/m l) e delle piastrine (121.000/m l). Il paziente è deceduto al proprio domicilio nel marzo 1998 in un contesto di aplasia midollare e cachessia.
    Nel caso descritto, sebbene mancassero il caratteristico coinvolgimento polmonare (90% dei casi) e l’ipercalcemia (20% dei casi) con ipercalciuria (50% dei casi), la diagnosi di sarcoidosi era suggerita dall’elevata concentrazione sierica dell’ACE (75% dei casi), dalla linfoadenopatia (40% dei casi), dalla epatosplenomegalia (25% dei casi) e dal coinvolgimento renale. La biopsia del midollo osseo, evidenziando i tipici granulomi non caseosi, permise di identificare la malattia che, localizzata in questo tessuto, induceva anemia, leucopenia e trombocitopenia, reperti rari nella sarcoidosi e, finora, mai descritti in letteratura come concomitanti. della seduta dialitica.
  • Breve storia della calcolosi urica e della litolisi orale (Annotazioni storiche)E. Sorrentino, M. Sorrentino 

     

  • Relazione sull’attività del Gruppo di Studio sulla Dialisi Peritoneale nell’anno 1997
    A. Verzola, PL. Bedani, P Gilli 

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n. 5 – settembre – ottobre

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n. 6 – novembre – dicembre

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