Gennaio Febbraio 2017 - Editorial

La prevenzione della corruzione nel “sistema delle 3A”

La corruzione in ambito sanitario: i rapporti coi privati accreditati

La centralità del tema della corruzione in ambito sanitario è testimoniata, oltre che dalle numerose inchieste giudiziarie che investono il settore, dai frequenti allarmi che la Corte dei Conti ha più volte espresso in relazione ai costi degli illeciti. A ciò si aggiungono i dati a campione rilevati dall’Anac nello studio dei Piani di prevenzione della corruzione adottati dagli enti del settore nel 2015 e 2016. L’analisi del problema ha indotto l’Autorità anticorruzione ad avviare uno stringente monitoraggio, dedicando approfondimenti specifici sia nell’aggiornamento del Piano nazionale anticorruzione (Pna) 2013-2016 che nel nuovo Piano. In particolare, con la collaborazione di Agenas e del Ministero della Salute, si è cercato di individuare i settori nevralgici, procedendo ad una prima, anche se non esaustiva, identificazione delle aree ritenute potenzialmente più a rischio: rapporti con le case farmaceutiche, i decessi in ambito ospedaliero, la gestione delle liste d’attesa e i rapporti con i privati accreditati. Aspetto, quest’ultimo, nei confronti del quale lo stesso Pna sottolinea la necessità di approfondimenti in vista dei successivi aggiornamenti del Piano, per programmare ulteriori analisi sia sulla portata del fenomeno che sulle possibili misure di contrasto.

La rilevanza del fenomeno e i principali rischi corruttivi

Una delle maggiori difficoltà che incontra la lotta alla corruzione in ambito sanitario è data dalla pluralità dei centri decisionali e dalla varietà dei soggetti e dei modelli organizzativi che sono coinvolti nell’erogazione delle prestazioni. La necessità di presidiare con particolare attenzione quest’area di rischio si comprende anche alla luce della rilevanza che l’attività dei privati accreditati riveste all’interno dell’offerta del Sistema sanitario nazionale: circa 550 strutture su un totale di 1200 ospedali, ovvero oltre 48mila posti letto su un totale di circa 250mila, nei quali vengono ricoverati ogni anno 1 milione e 400mila persone. Il numero di ricoveri corrisponde al 23% del totale, con differenze significative tra regione e regione, dal 2% in Basilicata al 48% nel Lazio. Queste strutture danno lavoro a oltre 83mila addetti, tra cui 20.596 medici e 24.632 infermieri, per una spesa complessiva pari al 19% di quella sanitaria [1].

Specialmente a seguito delle riforme introdotte a partire dagli anni ‘90 con l’affermazione del modello dello “Stato minimo”, ispirato almeno nella prima fase alle riforme avviate dal governo Thatcher nel Regno Unito, si è sviluppato in Italia un sistema di integrazione del servizio pubblico con servizi erogati da privati, così da consentire “forme di assistenza differenziata per tipologia di prestazioni”. Questa direttrice di riforma è stata accompagnata dal progressivo ampliamento dei poteri delle Regioni, culminato con la riforma costituzionale del 2001.

Si è così delineata nel tempo una notevole differenziazione dei sistemi regionali, passando dal modello “Asl terzo pagante” (remunerazione dei produttori dei servizi in base alle prestazioni rese) a quello della “Asl sponsor” (stipula di accordi con alcuni dei soggetti erogatori presenti sul territorio) fino al modello della “Asl programmatore” (in cui l’Azienda sanitaria definisce, insieme ai produttori, i piani preventivi di attività) [2].

Il tratto comune dei diversi assetti organizzativi è rappresentato dalle principali fasi in cui si articola il rapporto tra committente e privati, che si sviluppano in tre processi fondamentali: autorizzazione, accreditamento e accordo contrattuale (il cosiddetto “sistema delle 3A”, codificato definitivamente con la riforma Bindi del 1999).

Come evidenziato nell’aggiornamento del Piano nazionale anticorruzione 2015, i procedimenti sottostanti a questi tre processi costituiscono snodi decisivi per la prevenzione degli illeciti, specialmente in tema di accreditamento, affidamento e gestione del contratto per l’erogazione delle prestazioni. L’accreditamento richiede la rispondenza a requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti per l’autorizzazione all’esercizio dell’attività, dovendo ottemperare a precisi standard non solo di qualità tecnica e organizzativa, ma anche di funzionalità rispetto alla programmazione regionale. Nel Pna si è evidenziato come si debba dare particolare rilevanza a questi requisiti, programmando controlli e verifiche periodiche ed efficaci all’interno dei Piani di prevenzione della corruzione e della trasparenza. In questo modo l’accreditamento potrebbe rappresentare una solida base per costruire un vero e proprio sistema di qualità.

Il processo più delicato, tuttavia, attiene alla stipula e alla gestione degli accordi contrattuali, che devono specificare i volumi, la tipologia delle prestazioni e l’ammontare complessivo del corrispettivo. I rischi sono molteplici. Fra i maggiori: l’alterazione delle procedure di selezione del contraente, lo sforamento del budget, il mancato rispetto dell’ordine cronologico delle fatture nell’erogazione dei pagamenti e, soprattutto, l’assenza di verifiche sulle modalità e i contenuti delle prestazioni rese.

Recenti inchieste dell’autorità giudiziaria dimostrano la gravità del fenomeno. Ne è un esempio l’inchiesta dalla Procura di Monza riguardante la gestione dei servizi odontoiatrici con diversi centri convenzionati della zona. Gli arresti scaturiti nel corso dell’indagine, nei primi mesi del 2016, hanno portato al commissariamento degli appalti, come previsto dalla legge. Il complesso ma collaudato e diffuso sistema corruttivo che emerge dalla ricostruzione della vicenda ha manifestato la propria capillarità, che si esprimeva col coinvolgimento di soggetti pubblici e privati, in modo da assicurare le aggiudicazioni a favore della società in questione, i cui interessi erano tutelati anche in fase di esecuzione dei contratti. Tutto questo avveniva alterando i controlli amministrativi, limitando la trasparenza e la pubblicità delle procedure, garantendo per lunghi lassi temporali la continuità e la concentrazione dei poteri decisionali in capo ai medesimi soggetti. Questo contesto di maladministration dimostra l’importanza del rafforzamento dei presidi anticorruzione, nella consapevolezza che la vera prevenzione risiede, prima di tutto, in un’amministrazione di cui sia salvaguardato il buon andamento, l’imparzialità e la trasparenza.

Possibili misure di contrasto

La gestione dei rischi di corruzione nell’ambito dei rapporti con i privati accreditati non può prescindere da una maggiore attenzione al fenomeno da parte del legislatore statale e regionale. La legge finanziaria per il 2016, estendendo la norma pre-esistente, ha introdotto la possibilità di commissariare le attività svolte in regime di convenzione col SSN. L’intento è di salvaguardare l’esercizio dell’attività sanitaria, affinché sia possibile garantire la prosecuzione del servizio evitando ulteriori condizionamenti illeciti e un indebito profitto per l’impresa incriminata.

Occorre tuttavia puntare a interventi ancora più incisivi. In primo luogo sarebbe auspicabile prevedere espressamente obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari per i privati accreditati. Ciò consentirebbe di rendere immediatamente monitorabili tutte le transazioni e i pagamenti collegati alla commessa. In secondo luogo, per rendere veramente efficace il contrasto alla corruzione, riveste primaria importanza l’intervento delle Regioni. La riforma del titolo V della Costituzione, determinando uno spostamento dei centri di spesa, non ha previsto un efficace coordinamento tra livello centrale e locale nella ripartizione delle competenze. Occorrerebbe quindi valorizzare la programmazione sanitaria regionale come strumento di governo nei rapporti coi privati, garantendo un controllo più pregnante sull’erogazione delle prestazioni e, progressivamente, una maggiore attendibilità dei budget stanziati, in modo da assicurare la corrispondenza tra finanziamenti programmati e corrispettivi erogati.

Non bisogna trascurare poi quello che già oggi gli enti del Sistema sanitario nazionale possono fare per la prevenzione dei rischi. In particolare, come evidenziato nel Pna, occorre prevedere effettive misure di controllo, rotazione e trasparenza nei Piani anticorruzione di ciascuna Azienda sanitaria, così da garantire un costante monitoraggio dell’attività svolta e l’effettiva rispondenza delle prestazioni rese agli standard minimi.

Proprio a questo fine l’Anac ha istituito insieme al Ministero della salute e all’Agenas un Nucleo operativo di coordinamento (Nuoc) per verificare l’attuazione di queste previsioni attraverso ispezioni su una serie di soggetti scelti a campione. L’obiettivo è di incentivare la collaborazione istituzionale con le amministrazioni chiamate ad adottare i Piani, per rafforzarne la capacità di autovalutazione e acquisire utili indicazioni in vista dei successivi aggiornamenti del Pna. La cura, infatti, come ricorda Jaques Bénigne Bossuet (e la citazione appare quanto mai puntuale in un contesto sanitario) “passa prima per la prevenzione e poi per le medicine”.