Ci sono molti elementi su cui riflettere in questo periodo storico che di fatto appaiono contrastanti e spesso di non facile inquadramento. Questo tempo configura una nefrologia interessata da molteplici spunti che possono imprimere un radicale rinnovamento nel profilo professionale della figura del nefrologo. Il fiorire di convegni mette in luce una serie di novità che sembrano preludere ad un radicale nuovo approccio al paziente con rischio nefrologico.
Certamente glifozine, nuovi antialdosteronici a base non steroidea, nuovi farmaci anti-potassiemici, stabilizzatori del fattore ischemia inducibile, svariati monoclonali che insieme con la voclosporina possono modificare il panel terapeutico di approccio alla nefropatia lupica, sono tutte opportunità terapeutiche di imminente inserimento nel prontuario terapeutico delle patologie renali, senza dimenticare i potenziali nuovi principi farmacologici che potrebbero aggiungersi, mantenendo e sviluppando le premesse attuali, al panel di possibili nuove opportunità in termini terapeutici quali i GLP-1 agonisti nella malattia renale cronica o nelle forme di sclerosante focale su base adattativa o gli anti-interleuchina 6 nel trapiantato di rene, per fare solo due esempi.
Rispetto a qualche tempo fa, il contesto di approccio alla malattia renale cronica e ad alcune patologie di pertinenza nefrologica, sembra poter offrire incredibili, fino a poco tempo fa, opportunità di terapia per i nostri pazienti. Se questo è il lato buono del periodo storico odierno emerge di contraltare un fenomeno, di cui da tempo parliamo, che è il basso appeal che la branca specialistica mostra di avere sulle nuove generazioni di medici. In Italia non è tanto la carenza di medici il problema ma è la carenza di specialisti, ed è generalizzata in tutti gli ambiti della medicina.
Fa riflettere l’indagine promossa dalla ANAAO pubblicata recentemente su Il Sole 24 Ore – Sanità in cui si analizza l’insieme dei contratti non assegnati e di quelli abbandonati, suddivisi per Scuola di Specializzazione. Se si fa eccezione per branche come anestesia e rianimazione, malattie infettive, cardiochirurgia e per tante altre branche di medicina di servizio, e si analizzano le sole branche medico-specialistiche, la nefrologia risulta la branca con meno appeal con oltre il 21% dei contratti o non assegnati o abbandonati; segue la ematologia con oltre il 13%, poi la reumatologia con quasi l’8%, le malattie dell’apparato respiratorio con oltre il 6%, l’endocrinologia con il 4%, la gastroenterologia con poco più del 2% ed infine la cardiologia con poco più dell’1%. Si tratta di una analisi che non lascia spazio a dubbi e che definisce un giudizio sulla nostra branca in termini di capacità di rappresentare un ambito di interesse per le nuove generazioni di medici. Una responsabilità che parte da lontano e che è riconducibile al fatto che la specializzazione in nefrologia non è stata in grado di rappresentare nell’immaginario collettivo un chiaro ambito di malattie di riferimento. Non certo possiamo dire che al pari di cuore, polmone, apparato gastroenterico, il rene non sia un organo ben identificabile e fortemente connesso con la percezione di grave rischio nel momento in cui questo si ammali. È quindi debole il messaggio che viene dato del come sia possibile tutelarsi dall’ammalarsi di questo organo e di che cosa serva per poter effettuare una prevenzione, nonché un trattamento terapeutico.
Non posso non rimanere stupito nel pensare a questo limite, se considero la bellezza, l’insieme di elementi clinico-conoscitivi che sono contenuti nel core curriculum della nostra branca. Evidentemente sono prevalenti altri aspetti che ne limitano il fascino nelle nuove generazioni. Vorrei con poche ulteriori note definire una possibile serie di obiettivi che dobbiamo darci per garantire ai nostri pazienti una adeguata possibilità terapeutica tramite un approccio che contrasti con una idea generalista dell’approccio alle patologie renali, ma che sia basato su profili professionali di competenza e di appropriatezza.
È fondamentale:
- Estendere la competenza del nefrologo su componenti diagnostico-strumentali atte al monitoraggio macro-dimensionale del rene e delle vie urinarie che avvenga in forma qualificata, specifica e codificata per tutti quelli che entrano nella professione in nefrologia.
- Mantenere una elevata competenza sulle nefropatie secondarie e non solo su quelle primitive attraverso una assunzione di responsabilità sul decorso clinico delle alterazioni renali quando il rene costituisca il bersaglio prevalentemente colpito, senza trascurare il ricorso al dato istologico in maniera efficace in termini diagnostici, terapeutici e di follow-up.
- Approcciare in maniera non casuale ma ragionata il momento attuale nel paziente con malattia renale cronica, accogliendo esaustivamente le novità terapeutiche attraverso linee di approccio comuni e fortemente orientate alla modifica dei setting terapeutici attuali.
- Realizzare un reale approccio di rete con una nefrologia efficace nel territorio ma non autoreferenziale e strettamente legata a sedi di secondo e terzo livello, queste ultime in grado di offrire una sponda efficace alle competenze territoriali che però non possono essere esautorate completamente dalla gestione del paziente ma che devono trovare nei centri hub solo un supporto qualificato non sostitutivo.
- Privilegiare un approccio che mostri la nefrologia sempre più come un insieme di competenze in cui ciascun nefrologo risulti ben caratterizzato sul suo profilo professionale, inquadrando un contesto polispecialistico all’interno della stessa branca in modo da garantire alti livelli di competenza sui diversi settori che compongono il nostro ambito assistenziale un po’ come avviene in cardiologia.
Ma, e questo riguarda la SIN nei suoi organi direttivi, anche e soprattutto:
- Individuare criteri valutativi di outcome esponendosi alla valutazione degli organi di monitoraggio aziendali e regionali attraverso indicatori specifici di efficacia che possano mettere in luce i nostri limiti ma che, al contempo, possano rappresentare un elemento di riferimento per il sistema sanitario nel consolidare quei livelli minimi di riferimento che possano inquadrare la nostra branca come un elemento strutturale del sistema.
- Individuare regole precise che siano portate avanti sui piani nazionale e regionale per garantire adeguata presa in carico dei malati nefropatici secondo tempi e sedi di trattamento idonei, in modo da evitare quella modalità che ha garantito una sorta di “assenza” delle nostre competenze da quanto deve essere assicurato ai pazienti seguiti nel Servizio Sanitario Nazionale.
È chiaro pertanto che è necessario un lavoro di squadra che innanzitutto faccia leva sul criterio di responsabilità. È evidente che i principali interessati dall’insieme dei correttivi che è necessario apportare sono le nuove generazioni, spesso usate come forza lavoro con compiti basati più sulla quantità che sulla qualità delle prestazioni richieste. È per questa ragione che il rinnovamento parte innanzitutto da noi attraverso una maggiore capacità di investire sulle nuove generazioni immaginando un contesto in cui non sia appena il dare lavoro l’opzione di riferimento, ma quella di offrire responsabilità e qualificazione come parole chiave della loro introduzione nel mondo del lavoro. Viste le premesse e le potenzialità del nostro tempo le opportunità non mancheranno.