Supplemento S83 - In depth review

Hypoxia-Inducible Factor Prolyl Hydroxylase Enzyme Inhibitors: A Novel Therapy for Anemia Treatment in CKD Patients

Abstract

Anemia is a major complication of chronic kidney disease (CKD). Its prevalence increases with advancing age and progression of kidney disease. The main cause of anemia linked to CKD is represented by the reduction erythropoietin secretion. The increase in cardiovascular risk and mortality is strongly associated with the presence of anemia, and grows with the severity of the anemia, as described in numerous studies. The main therapies for the control of anemia have so far been represented by iron supplementation, the use of synthetic erythropoietin and blood transfusions. Despite the availability of adequate therapies, the prevalence of anemia in CKD continues to be significant. Drugs that inhibit the enzyme prolyl hydroxylase of hypoxia inducible factor (HIF-PHi) are able to mimic a condition of hypoxia and increase the production of endogenous erythropoietin. HIF-PHi therefore represents an important therapeutic alternative for the control of anemia linked to CKD. Numerous studies have confirmed the ability of HIF-PHi to correct anemia and maintain hemoglobin at adequate values; they also highlighted other potential beneficial pleiotropic factors on cholesterol control and iron homeostasis. Further studies are needed to confirm the safety of the drug, especially regarding cardiovascular risk, vascular thrombosis and neoplastic growth. This document highlights the mechanism of action, effects and pharmacological characteristics of HIF-PHi.

Keywords: anemia, chronic kidney disease, HIF, Roxadustat

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Introduzione

L’anemia è una delle complicanze della malattia renale cronica (MRC). La sua prevalenza nei pazienti affetti da MRC è il doppio rispetto alla popolazione generale, e aumenta con la progressione della MRC, colpendo fino all’85-95% dei pazienti in dialisi [1-4]. Lo sviluppo di anemia espone i pazienti affetti da MRC a un aumentato rischio di complicanze, tra cui eventi cardiovascolari (CV), mortalità CV e per tutte le cause, progressione della malattia renale e ospedalizzazioni [5-8]. Inoltre, indipendentemente dallo stadio di MRC e dalle comorbidità, i sintomi dell’anemia possono portare a una riduzione delle attività fisiche, sociali e lavorative, e avere un impatto negativo sulla qualità della vita dei pazienti [9, 10].

Per lungo tempo, le principali opzioni terapeutiche per la gestione dell’anemia nella MRC consistevano nella supplementazione di ferro, l’utilizzo di agenti stimolanti l’eritropoiesi (ESA), e la terapia trasfusionale [11]. Tuttavia, nonostante la sua prevalenza e le sue significative conseguenze, alcuni studi hanno mostrato che l’anemia è un problema sotto-diagnosticato e sotto-trattato nei pazienti con MRC [4, 12, 13], possibilmente a causa dei costi degli ESA, ai problemi legati alla loro somministrazione per via parenterale, e alle controversie sui livelli target di emoglobina da ottenere con il trattamento [11].

Recentemente, l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) hanno approvato l’utilizzo degli inibitori dell’enzima inibitore della prolil-idrossilasi del fattore inducibile da ipossia (HIF-PHi) come alternativa agli agenti stimolanti l’eritropoiesi (ESA) per il trattamento dell’anemia nella MRC [14]. Ad oggi la classe di farmaci HIF-PHi comprende sei molecole: roxadustat, daprodustat, vadadustat, molidustat, desidustat, ed enarodustat. In Italia, l’unica molecola attualmente disponibile è il roxadustat (Evrenzo®), mentre daprodustat e vadadustat sono tra i medicinali in valutazione da parte di EMA nel 2023 [15]. Questa revisione riassume il meccanismo di azione degli HIF-PHi, i risultati dei principali studi clinici sulla loro sicurezza ed efficacia, e il loro ruolo nella gestione dell’anemia nei pazienti affetti da MRC.

 

Meccanismo d’azione

Il fattore inducibile dall’ipossia (HIF) è un fattore di trascrizione presente in tutte le cellule del corpo umano e responsabile della risposta adattativa in caso di diminuzione dell’ossigeno disponibile nell’ambiente cellulare. È un eterodimero composto da una subunità α (HIF-1α o HIF-2α) altamente inducibile dall’ipossia e una subunità β costituiva (HIF-1β) [16]. Tale complesso è regolato da un complesso di enzimi inibitori della idrossilazione prolinica (PH) che, in presenza di ossigeno, idrossilano HIF-α indirizzandolo alla degradazione proteasomica. Viceversa, in condizioni di ipossia, l’attività degli enzimi PH viene soppressa e HIF-α sfugge alla degradazione proteasomica, trasloca nel nucleo cellulare e si lega ad HIF-1β, formando l’eterodimero che attiva la trascrizione dei geni bersaglio [17-19] (Figura 1).

I principali effetti di questa attivazione riguardano l’eritropoiesi e il metabolismo del ferro [20, 21]. Infatti, le cellule renali deputate alla produzione di eritropoietina (EPO) si trovano nell’interstizio peri-tubulare in una zona relativamente ipossica, dove anche lievi diminuzioni del contenuto di ossigeno possono attivare il sistema HIF, con conseguente induzione della trascrizione genica e aumento della sintesi di EPO [22-24]. Oltre ad incrementare i livelli circolanti di EPO, l’attivazione del sistema HIF porta all’aumento dei recettori dell’EPO, con conseguente aumento dell’internalizzazione del ferro da parte dei proeritrociti e promozione della maturazione degli eritrociti [24]. A livello intestinale, l’attivazione del sistema HIF aumenta l’espressione del citocromo B duodenale (DCYTB), enzima responsabile della riduzione del ferro trivalente a bivalente, e del trasportatore di metalli bivalenti (DMTI), responsabile del trasporto del ferro bivalente dal lume intestinale all’interno dell’enterocita [23]. Infine, a livello epatico l’attivazione del sistema HIF inibisce la sintesi di epcidina, ormone che riduce la biodisponibilità del ferro intrappolandolo negli enterociti e nelle cellule del sistema reticoloendoteliale, solitamente elevato nei pazienti affetti da MRC a causa dell’uremia e dell’infiammazione cronica [25].

In questo sistema, gli inibitori di HIF-PH, anche detti stabilizzatori di HIF, agiscono inibendo la degradazione proteosomica di HIFα, anche in assenza di ipossia, e portano all’attivazione del sistema HIF con conseguente stimolazione dell’eritropoiesi e promozione dell’assorbimento e dell’utilizzo del ferro [26-28].

 

Utilizzo degli HIF-PHi nella gestione dell’anemia da MRC

Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia degli HIF-PHi nel correggere e mantenere i livelli di emoglobina nei pazienti affetti da MRC sia in fase pre-dialitica, sia in pazienti dializzati.

Nei malati con MRC non ancora in dialisi, sia roxadustat che daprodustat si sono rivelati superiori al placebo nel raggiungere e mantenere i livelli di emoglobina entro i target (10-12 g/dL o 11-12 g/dL a seconda degli studi) nel lungo termine (fino a 4 anni), riducendo la necessità di emotrasfusioni o di terapia con ESA [29-33]. In particolare, una metanalisi sui risultati degli studi ALPS [32], ANDES [30] e OLYMPUS [31] ha mostrato un aumento dell’emoglobina nei pazienti trattati con roxadustat di 1.9 g/dL, rispetto all’aumento di 0.2 g/dL nel gruppo placebo [34]. Oltre che la loro efficacia rispetto al placebo, diversi studi clinici hanno convalidato la non inferiorità degli HIF-PHi rispetto agli ESA nel migliorare e mantenere i livelli di emoglobina entro i target, sia nei pazienti che erano già in terapia con ESA, sia nei pazienti ESA-naive [35-42]. Inoltre, in alcuni di questi studi si è osservato addirittura un aumento molto rapido dell’emoglobina in corso di terapia con HIF-PHi, tale da richiedere un aggiustamento precoce della posologia [39, 41, 43].

Anche negli studi su pazienti con MRC in dialisi, la terapia con HIF-PHi ha mostrato un’efficacia non inferiore alla terapia con ESA nella correzione e nel mantenimento dei valori di emoglobina, sia nei pazienti che iniziano la dialisi [43-47] che nei pazienti prevalenti [33, 37, 38, 45, 46, 48-52]. Tuttavia, è da segnalare che in alcuni di questi studi i pazienti randomizzati a HIF-PHi hanno avuto maggior bisogno di “terapia di salvataggio” con emotrasfusioni o somministrazione di ESA [37, 44, 45, 50].

 

Altri effetti benefici associati all’utilizzo di HIF-PHi

Dagli studi clinici effettuati, l’utilizzo di HIF-PHi si è dimostrato associato anche ad ulteriori effetti benefici, oltre alla correzione dell’anemia e al mantenimento dei livelli di emoglobina entro i target. Tra questi sono stati descritti effetti sull’omeostasi del ferro, l’infiammazione, il metabolismo lipidico, la progressione di malattia renale e la qualità di vita.

Riguardo all’omeostasi del ferro, la terapia con HIF-PHi ha mostrato un mantenimento dei livelli di sideremia e una riduzione dei livelli di ferritina maggiore rispetto al placebo [30, 31, 33] e simile o talvolta maggiore rispetto a quella osservata nei pazienti trattati con ESA [36-39, 41, 43-51, 53], secondaria all’aumento dell’eritropoiesi e della mobilizzazione del ferro. Inoltre, i pazienti trattati con HIF-PHi hanno mostrato una maggiore riduzione dei livelli di epcidina sia rispetto ai pazienti trattati con placebo [30], che rispetto ai pazienti trattati con ESA [33, 36-39, 41-47, 49-53]. Minori livelli di epcidina consentono un maggior assorbimento di ferro dall’intestino e una maggior mobilitazione del ferro dal sistema reticolo-endoteliale, rendendolo più disponibile per l’eritropoiesi. Infatti, in alcuni studi l’utilizzo di HIF-PHi si è anche associato a una minore necessità di supplementazione marziale per via endovenosa sia rispetto al placebo [30] sia rispetto alla terapia con ESA [36, 38, 42, 44-47, 50-53], anche se questo dato non è emerso in maniera uniforme in tutti gli studi.

Nonostante la presenza di infiammazione possa generalmente peggiorare il quadro di anemia, l’efficacia della terapia con HIF-PHi si è mantenuta costante anche in presenza di livelli elevati di proteina C reattiva (PCR) [30, 35, 37, 42, 44, 46, 47, 49, 50, 53]. Inoltre, tra i pazienti con PCR elevata, quelli trattati con HIF-PHi hanno mostrato una risposta emoglobinica superiore a quelli trattati con ESA [33, 45], o una risposta simile ma con necessità di incremento della posologia nei pazienti trattati ESA [44, 46, 52]. Questi dati suggeriscono un possibile ruolo della terapia con HIF-PHi nei casi di iporesponsività agli ESA nel contesto di quadri infiammatori, ma vanno interpretati con cautela perché i pazienti con stato infiammatorio cronico sono stati esclusi dalla maggioranza degli studi clinici condotti finora.

L’utilizzo di HIF-PHi ha mostrato degli effetti vantaggiosi anche dal punto di vista del metabolismo lipidico. Infatti, in diversi studi si è osservata una significativa riduzione delle lipoproteine a bassa densità (LDL) e un aumento delle lipoproteine ad alta densità (HDL) nei pazienti trattati con HIF-PHi rispetto a placebo o a ESA [30, 33, 36, 39, 43-46, 50, 53]. In particolare, nella metanalisi condotta da Provenzano et al. nei pazienti trattati con roxadustat si è osservata una riduzione dei valori di LDL di -17.3 mg/dL rispetto a +2.6 mg/dL nel gruppo placebo [35]. Questo fenomeno è verosimilmente dovuto all’effetto di HIF sul metabolismo glico-lipidico. Infatti, in presenza di ipossia il sistema HIF riduce il consumo mitocondriale di ossigeno inducendo l’espressione di enzimi glicolitici e inibendo l’espressione dell’acetil coenzima A, riducendo quindi collateralmente la sintesi del colesterolo [53].

Alcuni studi sperimentali hanno evidenziato che il sistema HIF svolge un ruolo regolatore anche nella riparazione del danno renale, modulando la guarigione fibrotica del parenchima renale dopo danno ischemico che porterebbe ad una riparazione incompleta ed allo sviluppo e alla progressione della malattia renale cronica [54]. Queste evidenze hanno fatto ipotizzare che l’utilizzo di HIF-PHi potrebbe regolare la risposta fibrotica e avere un’azione nefroprotettiva. Tuttavia, i risultati degli studi clinici sono disomogenei riguardo al dato di progressione di malattia renale. Infatti, la maggior parte degli studi che hanno valutato l’andamento del filtrato renale non hanno dimostrato un rallentamento della progressione di MRC con HIF-PHi rispetto alla terapia con placebo ed ESA [31, 32, 38, 40]. Solo lo studio SYMPHONY-ND [37] ha mostrato un tasso più lento di declino dell’eGFR nei pazienti trattati con enarodustat rispetto a quelli trattati con darbepoetina nell’arco di 24 settimane, con una variazione media dell’eGFR di -0.28 ml/min/1.73m2 rispetto a -1.57 ml/min/1.73m2. Al contrario, nello studio MIYABI ND-C [55], il gruppo di pazienti trattati con molidustat ha mostrato un’incidenza di declino della funzione renale lievemente maggiore rispetto al gruppo di pazienti trattati con darbepoetina (19.5% vs 11.4%). Per chiarire il possibile effetto nefroprotettivo degli HIF-PHi sono quindi necessari ulteriori studi, possibilmente disegnati con l’obiettivo primario di valutare la progressione del danno renale.

Risultati contrastanti si sono ottenuti anche in merito all’impatto dell’utilizzo degli HIF-PHi sulla qualità di vita correlata alla salute (HRQoL). Tra gli studi di comparazione tra HIF-PHi e placebo, solo lo studio ASCEND-NHQ [34] ha riportato un aumento del punteggio di vitalità SF-36 nei pazienti trattati con daprodustat rispetto al gruppo placebo (7.3 rispetto a 1.9 punti), mentre altri studi non hanno evidenziato cambiamenti nei parametri di HRQoL [30-32]. Allo stesso modo, negli studi di comparazione tra HIF-PHi ed ESA, solo nello studio PYRENEES [50] si è osservato un miglioramento della HRQoL nei pazienti trattati con roxadustat rispetto ad ESA, mentre i due trattamenti risultavano simili in altri studi [36, 53].

 

Sicurezza della terapia con HIF-PHi

Per quanto riguarda il profilo di sicurezza di tali farmaci e l’insorgenza di possibili effetti collaterali, negli studi comparativi con placebo l’incidenza di eventi avversi è risultata simile tra placebo e HIF-PHi e il tasso di sospensione della terapia a causa di eventi avversi è stato superiore nei gruppi placebo [30, 31, 33, 34]. Anche negli studi con comparatore attivo l’incidenza complessiva di eventi avversi è stata simile nei due bracci di trattamento, sebbene nei gruppi di pazienti trattati con HIF-PHi di sia osservata una maggior incidenza di disturbi gastrointestinali [32, 44, 49, 50, 53, 56] e una maggiore probabilità di ritirarsi dallo studio a causa di eventi avversi [33, 36, 37, 40, 41, 45-47, 50, 52, 53]. In particolare, gli studi condotti finora hanno indagato la sicurezza degli HIF-PHi per quanto concerne il rischio di mortalità da tutte le cause, mortalità da cause CV, incidenza di eventi CV, eventi trombotici, neoplasie, retinopatia e ipertensione arteriosa.

Per quanto riguarda il rischio di mortalità, la terapia con HIF-PHi non ha comportato maggior rischio in nessuno degli studi clinici, e questo dato è stato confermato anche da tre metanalisi che hanno analizzato congiuntamente i dati degli studi clinici disponibili [35, 57, 58].

Evidenze riguardo a un maggior rischio di eventi cerebrovascolari e tromboembolici nei pazienti con policitemia dovuta a mutazioni genetiche del sistema HIF [27], nonché a una maggiore accelerazione della calcificazione vascolare in corso di attivazione del sistema HIF [11], hanno fatto emergere dei leciti dubbi sulla sicurezza CV della terapia con HIF-PHi. Tuttavia, la maggior parte degli studi di fase 3 dimostrano una non inferiorità della terapia con HIF-PHi rispetto sia al placebo che alla terapia con ESA per quanto concerne l’insorgenza di eventi CV [31, 35, 36, 38, 44-46, 48, 50, 60]. Successivamente, una metanalisi di otto studi clinici comprendenti 3839 pazienti con MRC in dialisi e 4406 con MRC non ancora in dialisi, ha mostrato un’incidenza di eventi avversi CV maggiori (MACE) significativamente minore nei pazienti trattati con daprodustat rispetto a ESA (RR 0.89, IC al 95% 0.89-0.98) nei pazienti dializzati, ma non nella coorte di pazienti con MRC in terapia conservativa [59]. Questo dato però non si è confermato in altre metanalisi che non hanno osservato differenze significative, come quella che ha confrontato daprodustat con ESA in tre studi giapponesi condotti su pazienti con dializzati e non [60], e il lavoro condotto da Xiong et al. che ha confrontato vadadustat con placebo (4 studi) o darbepoetina alfa (6 studi) in pazienti dializzati e non [58]. Al contrario, negli studi PRO2TECT [40] e MIYABI ND-C [42] i pazienti non dializzati trattati con HIF-PHi hanno mostrato un rischio più elevato di MACE rispetto ai pazienti trattati con darbepoetina alfa. Tuttavia, nel primo studio questa differenza risultava principalmente determinata dal sottogruppo di pazienti con un target di emoglobina più elevato (10-12 g/dL rispetto a 10-11 g/dL), così come potrebbe essere spiegata nel secondo studio in cui il target di emoglobina preposto era di 11-13 g/dL. I risultati sono quindi eterogeni, e ulteriori studi sono necessari per valutare in modo mirato il rischio di eventi CV sulla base del tipo di terapia, della comorbidità e dei livelli di emoglobina ed ematocrito.

Particolare attenzione va posta sul rischio di eventi trombotici. Infatti, alcuni studi e metanalisi hanno mostrato che la terapia con HIF-PHi può associarsi a un aumento di rischio di trombosi dell’accesso arterovenoso [35, 38, 44-46], trombosi venosa profonda [35, 45, 61] e tromboembolia polmonare [35]. Tuttavia, questi dati non si sono confermati in altri studi e metanalisi che hanno riscontrato tassi di eventi tromboembolici simili o addirittura inferiori in corso di terapia HIF-PHi rispetto ad ESA [33, 49, 51].

Alcuni studi hanno anche analizzato eventuali associazioni dell’utilizzo di HIF-PHi con il rischio di eventi neoplastici. Infatti, l’attivazione del sistema HIF può portare all’espressione di fattori con potenziale effetto pro-oncogenico, come il fattore di crescita vascolare endoteliale (VEGF) [27]. Finora, solo due studi hanno mostrato dati che supportano tale associazione. Nello studio ASCEND-ND [38] il rischio di esiti correlati a neoplasia (comprensivi di morte per tumore o progressione o recidiva del tumore) era più alto nei pazienti trattati con daprodustat rispetto a quelli trattati con ESA (RR 1.47; IC 95% 1.03-2.10). Nello studio MIYABI HD-M [37] si è registrata una maggiore incidenza di neoplasie nel braccio molidustat rispetto a darbepoetina (9.8 rispetto a 5.3%). Tuttavia, né la metanalisi condotta da Provenzano et al. sui pazienti con MRC non in dialisi randomizzati a roxadustat o placebo, né quella condotta da Nangaku et al. su pazienti con MRC dializzati e non, randomizzati a daprodustat o ESA, hanno confermato l’aumentato rischio per neoplasie maligne o eventi correlati [35].

È stato anche ipotizzato che l’effetto di neovascolarizzazione indotto dall’attivazione di HIF-PHi, e verosimilmente mediato da VEGF, peggiori alcune patologie oculari, come la retinopatia diabetica [11, 27]. Anche a questo riguardo, i risultati degli studi a disposizione sono contrastanti. Da un lato gli studi SYMPHONY-ND [37], SYMPHONY-HD [49], MIYABI HD-M [37] e ASCEND-ID [48] hanno evidenziato un aumento degli eventi avversi oculari nei pazienti trattati con HIF-PHi. Viceversa, altri studi e metanalisi non hanno rilevato differenze nel rischio di eventi oculari né aggravamento di malattie retiniche pre-esistenti [37, 39, 41].

Così come per l’utilizzo di ESA, anche la terapia con HIF-PHi sembra associarsi a una maggiore incidenza di ipertensione arteriosa rispetto al placebo, come evidenziato dalla metanalisi di Provenzano et al. (RR 1.37; IC 95% 1.13-1.65) [35]. Infatti, nella maggior parte degli studi comparativi di HIF-PHi ed ESA non si sono osservate significative differenze nello sviluppo di ipertensione, né nei pazienti con MRC in terapia conservativa né in dialisi [37, 38, 40, 43, 44, 46, 49, 50, 52]. Tuttavia, alcuni studi suggeriscono un effetto benefico dell’utilizzo di HIF-PHi rispetto all’ESA dimostrato da una minore richiesta di titolazione della terapia antipertensiva, il che sarebbe coerente con un possibile effetto di riduzione della pressione arteriosa da parte degli HIF-PHi come sembrava emergere dai precedenti studi di fase 2 [33, 39, 41, 51-53].

 

Conclusioni e prospettive future

Gli HIF-PHi offrono un nuovo approccio farmacologico efficace per la correzione dell’anemia in corso di MRC. Tuttavia, il sistema HIF è ubiquitario e svolge diverse funzioni, ancora non del tutto conosciute. Quindi oltre alla correzione dell’anemia, la stabilizzazione del sistema HIF media anche una serie di percorsi metabolici e di espressione genica con alcuni effetti favorevoli, ma anche sfavorevoli. Tra gli altri effetti benefici si annoverano la migliore biodisponibilità delle riserve di ferro e la riduzione dei livelli di colesterolo (sebbene non sia ancora noto se questo possa avere un impatto sul rischio CV). Inoltre, gli HIF-PHi potrebbero avere un ruolo nefroprotettivo nei confronti del danno renale ipossico, ma ulteriori studi sono necessari per testare questa ipotesi. Tra i possibili svantaggi dell’utilizzo di questi farmaci vanno invece annoverati il rischio di una maggior incidenza di eventi CV, tromboembolici, retinici e tumorali. Sebbene siano stati pubblicati diversi ampi studi di fase 3, questi valutano gli eventi avversi in un numero relativamente limitato di pazienti e in un periodo di trattamento relativamente breve (52-104 settimane), e ulteriori evidenze emergeranno con il loro progressivo utilizzo nel lungo termine. Inoltre, alcuni gruppi specifici di pazienti, tra cui i pazienti trapiantati, quelli con gravi malattie CV, e quelli con malattie infiammatorie, sono stati esclusi dagli studi clinici di fase 3 ad oggi disponibili e l’efficacia e sicurezza dell’utilizzo di HIF-PHi in queste popolazioni devono ancora essere verificati.

Regolazione dell’attività di HIF-1 in condizioni di normossia e ipossia.
Figura 1. Regolazione dell’attività di HIF-1 in condizioni di normossia e ipossia. Abbrev: PHDs: prolil-idrossilasi; pVHL: proteina Von Hippel Lindau; OH: proline idrossilate; HRE: elementi di risposta all’ipossia; Ub: ubiquitina; CBP: proteina legante gli elementi di risposta dell’adenosina monofosfato ciclico.

 

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