Luglio Agosto 2022 - In depth review

Sonographic artifacts in nephrology

Abstract

The huge spreading of sonography in the field of nephrology led to the use of more performant equipment with construction of better quality images, but with an unfavorable signal/noise ratio, that bring to the generation of artifacts: false signals which creates images not corresponding to reality.

Interaction between ultrasounds and biological structures generates a lot of physical phenomena: reflection, dispersion, absorption and diffraction; these elements create not only the images but also the artifacts.

The artifacts, which don’t correspond to anatomic reality, could be related to the extreme difference of acoustic impedance between the biological structures, or to an error in the settings of B-Mode and color-doppler functions.

Sometimes they can be dangerous and make a diagnosis hard, but most of the time they are useful and pathognomonic of a lesion or physiologic structure.

It’s fundamental for the sonographer being able to discern between real to artifact; the rule is that everything that is repeated in all scans with different insonation angles is true, while what is not repeated in all scans can be an artifact.

Keywords: B-mode artifacts, Colordoppler artifacts, nephrological sonography

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Introduzione

L’utilizzo degli ultrasuoni (US) in ambito nefrologico va considerata una pratica comune: oltre ad essere uno strumento fondamentale in ambito diagnostico, essi rappresentano una guida imprescindibile nelle procedure interventistiche. Nella pratica clinica nefrologica, infatti, nel corso degli anni l’ambito di applicazione ecografico si è sempre più ampliato includendo oltre all’apparato urinario differenti altri organi ed apparati, sia per le molteplici relazioni fisiopatologiche che i reni creano con gli altri organi che per l’evoluzione clinico-interventistica che il nefrologo ha assunto negli ultimi anni. Quindi lo stesso si trova a doversi relazionare con le immagini ecografiche di organi quali polmone e pleura, organi addominali (fegato, colecisti, pancreas), organi della regione cervicale (paratiroidi), strutture vascolari (arterie e vene degli arti superiori e fistole artero-venose).

L’upgrade tecnologico degli ultimi 30 anni ha consegnato al nefrologo strumenti sempre più performanti, capaci di un maggiore potere di risoluzione ma al tempo stesso con un rapporto segnale/rumore sfavorevole.

Il segnale e il rumore

Il segnale è il suono captato dalla sonda ecografica che, una volta elaborato, riproduce un’immagine corrispondente alla realtà anatomica; è una forma di energia meccanica che si trasmette ad un mezzo fisico con onde di compressione e di rarefazione. Viene descritto da tre diversi parametri percettivi: l’altezza, l’intensità e il timbro, rispettivamente definiti da grandezze fisiche quali la frequenza, l’intensità e l’ampiezza [1, 2]. Il rumore, invece, è un suono complesso caratterizzato da un accavallamento casuale di frequenze diverse che non può essere descritto dalle tre grandezze fisiche menzionate. Il rumore, anch’esso captato dalla sonda, una volta elaborato non produce immagini corrispondenti alla realtà anatomica ma genera artefatti, ossia immagini per cui non c’è un corrispettivo anatomico. Sia il segnale che il rumore sono generati dagli stessi fenomeni fisici alla base dell’interazione degli US con i tessuti biologici: la riflessione la diffrazione, la dispersione e l’assorbimento [3, 4]. Il rumore può essere generato anche nelle fasi di elaborazione del segnale, per difetti dell’apparecchiatura, per interferenza elettriche esterne ed infine per un non accurato settaggio dello strumento (un’errata focalizzazione, una non corretta risoluzione, un inadeguato guadagno). Quanto maggiore è il rapporto segnale/rumore, tanto maggiore sarà l’affidabilità dell’immagine generata. Per quanto negli anni le innovazioni tecnologiche hanno cercato di migliorare il rapporto segnale/rumore, anche con gli attuali strumenti ogni volta che gli US interagiscono con le strutture anatomiche, assieme ad immagini corrispondenti alla realtà, generano artefatti. La capacità di discernere ciò che è vero da ciò che un artefatto diventa, quindi, di fondamentale importanza, in tal senso vale la regola per cui è vero tutto ciò che si ripete in tutte le scansioni con angoli di insonazione differenti, mentre può essere un artefatto ciò che non si ripropone in tutte le scansioni.

 

Artefatti

Per quanto sinora detto possiamo definire gli artefatti come dei segnali spuri o falsi originati dal rumore che generano immagini non corrispondenti alla realtà [57]. Va precisato che non sempre questi segnali sono confondenti per la diagnosi, spesso invece sono utili, a volte indispensabili. Nella Tabella 1 sono elencati gli artefatti utili ai fini diagnostici e quelli invece confondenti, fonti di errate interpretazioni.

ARTEFATTO UTILE/DANNOSO MOTIVAZIONE
Effetto pioggia DANNOSO Spot iperecogeni che possono mascherare strutture patologiche (esempio: strutture intravescicali)
Coda di cometa UTILE Capace di riconoscere formazioni di piccole dimensioni ad elevata impedenza acustica (esempio: edema polmonare)
Effetto specchio DANNOSO Duplica strutture anatomiche singole (esempio: ispessimento della parete vescicale)
Rinforzo di parete posteriore UTILE Artefattualità utile per la diagnostica di formazioni cistiche
Cono d’ombra posteriore UTILE Artefattualità utile per la diagnostica di formazioni calcolotiche
Ombre acustiche laterali DANNOSO Artefatto confondenti in quanto simula strutture anatomiche inesistenti (esempio: anomale ombre acustiche a partenza dai poli renali)
Lobi laterali DANNOSO Rappresentazione spaziale errata di immagini atomiche (esempio: sepimenti intracistici)
Aliasing DANNOSO Non corretta delineazione del vaso, non consente una corretta analisi spettrale
Bruit colore DANNOSO Descrive una vascolarizzazione inesistente (esempio: nelle stenosi della FAV)
Jet di eiezione UTILE Consente di riconoscere gli orefizi ureterali intravescicali
Twinkling artifact UTILE Consente di riconoscere strutture calcifiche (esempio: calcoli)
Effetto yin e yang UTILE Permette di riconoscere le variazioni di flusso sanguigno (esempio: pseudoaneurismi)
Tabella 1: Artefatti utili e dannosi nella diagnostica eco color Doppler nefrologica.

 

Riverberazione

Conditio sine qua non affinché gli US generino immagini diagnostiche capaci di differenziare i tessuti, è che questi ultimi non abbiano tra loro una grande differenza di impedenza acustica (la resistenza offerta dalle strutture al passaggio degli US) [810]. Se la differenza di impedenza acustica è grande gli US subiscono una completa riflessione generando uno degli artefatti più frequenti: la riverberazione. Essa si realizza quando gli US attraversano strutture con impedenze acustiche estremamente diverse fra loro come accade quando poniamo la sonda sulla cute senza interposizione di gel ecografico. L’enorme differenza di impedenza acustica tra aria (interfaccia sonda/cute) e tessuti sottostanti genera un rimbalzo di US con echi che ritornano alla sonda ripetutamente. Il risultato è un artefatto caratterizzato da una ripetuta e simmetrica serie di bande iperecogene. Se invece interponiamo tra sonda e cute un mezzo acquoso (gel), gli US attraverseranno il gel, che ha impedenza simile a quella dei tessuti sottostanti, garantendo solo una parziale riflessione degli US, mentre gran parte di essi verranno trasmessi ai tessuti più profondi. Come mostrato nell’esempio in Figura 1, gli US incontrano due diverse interfacce (fegato/rene) che avendo una modesta differenza di impedenza acustica produrranno onde riflesse che tornano alla sonda e, elaborate dal software, genereranno un’immagine diagnostica. Come facilmente immaginabile, la riverberazione è un artefatto confondente, evitabile nel caso dell’interfaccia sonda/aria con l’interposizione di gel, non evitabile tutte le volte che studiamo strutture con grande differenza di impedenza acustica: aria/tessuti molli (Figura 2), adipe fasce/muscolari, tessuti molli/osso.

Figura 1. Scansione sottocostale
Figura 1. Scansione sottocostale in ipocondrio dx condotta senza e con gel per ecografia. Senza l’interposizione di gel l’interfaccia è costituita da aria/cute con una enorme differenza di impedenza che comporta una riflessione pressoché totale degli US; con l’interposizione di un mezzo acquoso (gel) si riduce la differenza di impedenza acustica e gli US vengono in piccola parte riflessi in gran parte trasmessi ai tessuti più profondi.
Riflessione totale degli US in una scansione longitudinale intercostale destra
Figura 2. Riflessione totale degli US in una scansione longitudinale intercostale destra: interfaccia aria/parenchima polmonare.

 

Effetto pioggia

L’interazione degli US con interfacce lineari con grande differenza di impedenza acustica, come accade tra la parete vescicale e la raccolta fluida ivi contenuta, genera riflessioni multiple che tornando alla sonda eccitano i cristalli piezoelettrici e producono segnali spuri che alterano le caratteristiche del fascio US creando una serie di immagini iperecogene, che possono nascondere strutture patologiche intravescicali; questo è il cosiddetto “effetto pioggia”. Lo stesso fenomeno si realizza quando gli US incontrano la parete vascolare, struttura lineare ad alta impedenza acustica, a differenza del sangue che invece ha una bassa impedenza; anche in questo caso si generano riflessioni multiple responsabili di formazioni iperecogene artefattuali visibili nel lume vascolare. In entrambi i casi descritti riducendo il guadagno si otterrà una importante attenuazione dell’artefatto [11] (Figure 3 e 4).

Figura 3. (A) vescica con effetto pioggia; (B) scomparsa dell’artefatto dopo rimodulazione del guadagno.
Figura 3. (A) vescica con effetto pioggia; (B) scomparsa dell’artefatto dopo rimodulazione del guadagno.
Figura 4. Effetto pioggia in una arteria brachiale prima (A) e dopo la regolazione del guadagno (B).
Figura 4. Effetto pioggia in una arteria brachiale prima (A) e dopo la regolazione del guadagno (B).

 

Artefatto a coda di cometa

Nell’ambito degli artefatti da riverberazione il “comet tail artifact” rappresenta un artefatto utile per riconoscere formazioni di piccole dimensioni ad elevata impedenza acustica localizzate nell’ambito di altri tessuti: è il caso di piccole raccolte liquide (edema) o solide (flogosi) nell’ambito del tessuto polmonare, cristalli di colesterolo nella colecisti, corpi di Randall nel rene, bolle di gas nello stomaco e nelle vie biliari. L’artefatto è dovuto ad una riflessione multipla che produce echi paralleli e molto vicini tra loro di forma triangolare la cui intensità si affievolisce allontanandosi dalla formazione che l’ha prodotta [1214] (Figura 5).

Figura 5. Artefatto a coda di cometa
Figura 5. Artefatto a coda di cometa: (A) cristalli di colesterolo in colecisti; (B) edema polmonare acuto in uremico; (C) polmonite da SARS COVID 19.

 

Effetto specchio

Sempre nell’ambito delle riflessioni multiple legate alla interazione degli US con interfacce ad alta impedenza acustica va ricordato l’effetto specchio [15-17]: si tratta di un artefatto legato all’interazione degli US con interfacce ricurve e molto riflettenti situate a ridosso di strutture normoriflettenti che vengono erroneamente duplicate. Ne è un tipico esempio la duplicazione del fegato nello spazio pleurico per interazione degli US con il diaframma iperriflettente e ricurvo; o la duplicazione di un versamento periepatico nello spazio pleurico erroneamente scambiato per versamento pleurico. Mentre l’interazione degli US con la parete anteriore della vescica può generare un’artefattuale duplicazione della stessa simulando un ispessimento di parete che può porre dubbi diagnostici. Infine, l’interazione degli US con la parete laterale della vescica, anch’essa ricurva e iperriflettente, può simulare diverticoli vescicali inesistenti (Figura 6).

Figura 6. Effetto specchio: (A) duplicazione della parete anteriore della vescica
Figura 6. Effetto specchio: (A) duplicazione della parete anteriore della vescica; (B) duplicazione della vescica a simulare un diverticolo vescicale; (C) duplicazione del fegato nello spazio pleurico; (D) duplicazione di un versamento periepatico nello spazio pleurico a simulare un versamento pleurico.

 

Rinforzo di parete posteriore

Il rinforzo di parete posteriore o rinforzo di parete distale è un artefatto utile, non confondente, che ci aiuta nelle diagnosi di formazioni liquide presenti nel contesto di organi o tessuti. Detta artefattualità è legata al passaggio degli US attraverso strutture, generalmente liquide ma non solo, caratterizzate da un basso coefficiente di attenuazione. Il coefficiente di attenuazione è definito come la capacità dei tessuti biologici di rallentare la velocità degli US, correlato alla densità stessa del tessuto. Le formazioni liquide, come le cisti, avendo una bassa densità si lasciano attraversare dagli US con una energia acustica che viene scarsamente attenuata. Quando gli US impattano la prima struttura solida (parete posteriore della cisti) l’energia acustica riflessa sarà significativamente maggiore rispetto ai tessuti circostanti e ciò produrrà una caratteristica iperecogenicità della parete distale utile ai fini diagnostici [1820]. Ne sono un tipico esempio le cisti renali, dove il rinforzo di parete posteriore si accompagna spesso ad una maggiore ecogenicità delle strutture anatomiche situate distalmente rispetto alla parete posteriore della cisti. Anche questo fenomeno è legato alla mancata attenuazione degli US da parte del liquido cistico, l’artefatto risulterà tanto più marcato quanto maggiore è il volume della cisti. L’iperecogenicità delle strutture a valle di raccolte liquide è un fenomeno caratteristico anche di altre raccolte liquide come la vescica e l’idronefrosi; l’artefatto, se non riconosciuto, può rappresentare un fattore di confondimento. Il rinforzo di parete di posteriore, infine, può essere presente anche a valle di strutture solide riccamente vascolarizzate come gli angiomi renali, associandosi anche in questo caso ad un’iperecogenicità delle strutture a valle dell’angioma (Figura 7).

Figura 7. Rinforzo di parete posteriore
Figura 7. Rinforzo di parete posteriore. (A) Cisti polare inferiore rene sinistro, si noti la banda iperecogena della parete posteriore della cisti; (B) idronefrosi destra con rinforzo iperecogeno dei tessuti a valle tale da mascherare l’uretere dilatato; (C) rinforzo della parete posteriore della vescica e dei tessuti a valle; (D) angioma del polo inferiore del rene destro con rinforzo della parete posteriore.

 

Cono d’ombra posteriore

Anche il cono d’ombra posteriore o ombra acustica rientra tra gli artefatti utili. A differenza del rinforzo di parete posteriore, si genera posteriormente a strutture che hanno una grande capacità di assorbimento o di riflessione degli US con conseguente notevole attenuazione dell’energia acustica, tale da aversi un’assenza di echi dietro la struttura [21, 22]. Ne sono un esempio l’aria, l’osso, la cartilagine, le placche ateromasiche, i calcoli. Il cono d’ombra posteriore è uno dei parametri ecografici per poter far diagnosi di calcolosi delle vie urinarie, o di placca ateromasica (Figura 8).

Figura 8. Cono d’ombra posteriore
Figura 8. Cono d’ombra posteriore: (A) Calcolosi renale a stampo; (B) calcolosi della porzione intramurale dell’uretere di sinistra; (D) placca ateromasica dall’arteria brachiale.

Il caratteristico cono d’ombra, legato alla naturale tendenza degli US a divergere, è funzione del tenore calcico del calcolo e delle sue dimensioni. Non avremo cono d’ombra posteriore per calcoli inferiori a 3 mm. L’artefatto, inoltre, non si realizza qualora il calcolo sia ancora prevalentemente costituito da matrice proteica prima che inizi la deposizione del reticolo cristallino. L’ombra acustica posteriore, in alcuni casi, può rappresentare un motivo di confusione, in quanto può nascondere strutture poste nelle zone dell’ombra. Può accadere per una calcolosi vescicale: in questo caso l’ombra acustica prodotta dal calcolo può nasconde la prostata ed eventuali lesioni nel suo contesto. Spesso basterà cambiare scansione per individuare l’organo ed eventuali irregolarità. Una calcolosi renale a stampo può nascondere una idronefrosi. Anche l’aria presente a livello intestinale produce un’ombra acustica, se pur più disomogenea, ma lo stesso capace di nascondere strutture renali ed eventuali lesioni nel loro contesto (Figura 9).

Figura 9. L’ombra acustica posteriore
Figura 9. L’ombra acustica posteriore può rappresentare, in alcuni casi, motivo di confusione in quanto può nascondere strutture poste nella zona dell’ombra acustica. È il caso della prostata (A-B), l’ombra acustica prodotta dal calcolo vescicale nasconde la prostata (A); cambiando scansione (B) si riesce a vedere la prostata che appare disomogenea ed irregolare. Una calcolosi a stampo può nascondere l’ureteronefrosi (C). L’aria presente a livello intestinale produce un’ombra capace di nascondere lesioni eterologhe del polo inferiore del rene di destra (D); cambiando scansione la lesione è visibile (E).

 

Ombre acustiche laterali

Si tratta di banderelle acustiche ipo-anecogene laterali che si originano da strutture tondeggianti sia solide che liquide. Sono spiegabili con due diverse teorie: la prima imputa il fenomeno alla diversa attenuazione che gli US subiscono attraversando il centro della formazione rispetto a quelli che ne attraversano il bordo, questi ultimi subendo una maggiore attenuazione producono un’ombra acustica; la seconda teoria fa risalire il fenomeno alla rifrazione che subiscono gli US quando attraversano il bordo della formazione tondeggiante, essi venendo in parte rifratti producono un’ombra acustica tangenzialmente al bordo [23-25] (Figura 10).

Rappresentazione delle due teorie (v. testo) che possono spiegare il fenomeno dell’ombra acustica laterale.
Figura 10. Rappresentazione delle due teorie (v. testo) che possono spiegare il fenomeno dell’ombra acustica laterale.

L’artefatto non è di alcuna utilità, bisogna conoscerlo perché potrebbe essere un fattore di confondimento nello studio sia di strutture a contenuto liquido come cisti, vesciche e vasi che di strutture solide, come i tumori renali. Anche nella scansione longitudinale del rene, essendo quest’ultimo una struttura curvilinea, si possono formare dei coni acustici ipoecogeni laterali che vanno riconosciuti come un’artefattualità e non confusi con strutture anatomiche realmente esistenti (Figura 11).

Figura 11. Ombra acustica laterale
Figura 11. Ombra acustica laterale: le frecce indicano le banderelle acustiche ipo-anecogene laterali che si originano da una scansione longitudinale del rene di destra (A); da una scansione trasversa della vescica (B) e da una scansione trasversa dell’arteria omerale (C).

 

Artefatto da lobo laterale

Questo artefatto è legato alla natura stessa del fascio US costituito da un fascio centrale (lobo centrale) e una serie di fasci laterali (lobi laterali) di minore intensità. L’artefatto da lobo laterale è dovuto all’interazione di questi fasci laterali con superfici ricurve che costituiscono pareti di raccolte fluide. I lobi laterali colpiscono prima la struttura rispetto al lobo centrale e la rappresentano in un punto spaziale errato. Ne sono esempi la comparsa di falsi sepimenti o di elementi corpuscolati all’interno di cisti renali, o di sedimento nel fondo vescicale (Figura 12). Nel dubbio che il setto o il sedimento non sia reale basterà cambiare l’inclinazione della sonda o far cambiare decubito al paziente per verificare se il segnale si ripropone [26, 27].

Figura 12. Lobo laterale
Figura 12. Lobo laterale: (A) le frecce indicano aree corpuscolate all’interno di una cisti renale che scompaiono cambiando scansione (B); (C) presenza di sepimento al fondo di una vescica che scompare (D) cambiando inclinazione della sonda.

 

Artefatti nell’analisi del segnale Doppler

Così come accade per l’esame ecografico in B-Mode anche per il segnale Doppler si realizzano artefatti che possono risultare utili per la diagnostica o dannosi e confondenti.

L’errata regolazione dello strumento rappresenta sicuramente la più frequente causa di artefatti nell’ambito dell’esame ecocolor Doppler. Nella Tabella 2 sono elencate le necessarie regolazioni da effettuare prima e nel corso dell’esame al fine di evitare immagini color e analisi spettrali di difficile interpretazione [28].

PARAMETRO DA REGOLARE PROBLEMATICA CORRELATA
 VELOCITÀ DI RIPETIZIONE DEGLI IMPULSI (PRF) Regola il limite massimo e minimo delle velocità campionabili. Può essere responsabile di aliasing se troppo bassa o di “vaso fantasma” se troppo alta. Può rappresentare curve velocitometriche sovra o sottodimensionate
 VOLUME CAMPIONE Definisce la porzione di lume vascolare da studiare. Se troppo piccola si rischia di studiare solo il flusso centrale del vaso trascurando i flussi più periferici. Se eccessivamente grande potrebbero essere campionati flussi venosi adiacenti al vaso
 GAIN COLORE Regola l’intensità del segnale color. Un segnale eccessivamente alto mostra falsi flussi extravasali; un segnale basso può dare una falsa immagine di assenza di flusso
BOX COLORE Il box colore individua, nell’ambito dell’area di scansione, il vaso di interesse. Il box colore non deve coprire l’intera area di scansione ma solo la regione di interesse. Maggiore è l’estensione del box maggiore sarà il tempo di raccolta del segnale e minore la qualità dell’informazione
 LINEA DELLO ZERO La linea dello zero deve essere regolata in maniera da poter studiare completamente la curva velocitometrica. Una linea molto bassa, per esempio, potrebbe nascondere l’onda reverse di una arteria ad alta resistenza
ANGOLO Il segnale Doppler è angolo dipendente. Impostando angoli < 30° otteniamo campionamenti di velocità di flusso sicuramente più accurati, perdendo però in qualità di segnale B-Mode. La scelta di angli compresi tra 30° e 60° è un giusto compromesso per ottenere velocità di flusso il più sovrapponibile possibile a quella reale
 FILTRO Il filtro riduce gli artefatti legati al movimento dei tessuti a ridosso dei vasi. Una eccessiva impostazione di filtro potrebbe abolire il segnale
Tabella 2. Settaggio dello strumento prima e durante l’esame ecocolordoppler.

La regolazione della velocità di ripetizione degli impulsi, PRF, è tra le regolazioni fondamentali di un esame colordoppler, e ci consente di avere immagini omogenee che descrivono esattamente il vaso. Una non corretta regolazione è fonte di aliasing, un artefatto confondente che non consente un corretto studio del vaso in esame. L’aliasing a volte può essere utile, si pensi alla presenza di stenosi vascolari nell’ambito di una FAV: la repentina accelerazione del flusso è responsabile di aliasing nel tratto stenotico quando questi viene studiato con la stessa PRF della porzione non stenotica. Questa condizione mette in allarme l’operatore facendo sospettare una stenosi (Figura 13).

Figura 13. Aliasing della porzione prestenotica aneurismatica di una FAV (A); (B) aliasing della stenosi; (C) falso flusso extravascolare.
Figura 13. Aliasing della porzione prestenotica aneurismatica di una FAV (A); (B) aliasing della stenosi; (C) falso flusso extravascolare.

L’aliasing, inoltre, può essere utile nel riconoscere la camera anastomotica di una FAV dove il moto diventa turbolento e deve essere studiato con PRF differenti rispetto al resto del vaso (Figura 14).

Figura 14. Aliasing a carico della camera anastomotica di FAV (A); falso flusso extravascolare (B).
Figura 14. Aliasing a carico della camera anastomotica di FAV (A); falso flusso extravascolare (B).

Al pari della PRF anche la linea dello zero deve essere regolata in maniera tale da comprendere tutta la curva spettrale comprese le onde reverse, pena l’ottenimento di artefattualità spettrali che non descrivono completamente la morfologia dell’onda (Figura 15).

Figura 15. Campionamento di una arteria radiale
Figura 15. Campionamento di una arteria radiale: (A) linea dello zero estremamente bassa, non consente la visualizzazione dell’onda reverse; (B) il corretto posizionamento consente lo studio di tutta la curva velocitometrica compresa l’onda reverse.

L’effetto specchio (Figura 16), già visto per l’esame B-Mode, può manifestarsi anche nell’esame colordoppler, e può essere dovuto ad un guadagno colore molto elevato o ad un angolo molto ampio. La curva velocitometrica con una intensità inferiore viene riproposta, in modo speculare, sul versante opposto della linea dello zero [29].  Anche la regolazione dei gain colore è importante, tanto per lo studio color quanto per l’analisi spettrale. Gain eccessivamente elevati mostrano flussi al di fuori del vaso (Figure 13 e 14); mentre gain eccessivamente bassi possono nascondere sia il flusso che la curva velocitometrica.

Figura 16. Effetto specchio della curva velocitometrica nel campionamento di una arteria renale con angolo di insonazione > 60°.
Figura 16. Effetto specchio della curva velocitometrica nel campionamento di una arteria renale con angolo di insonazione > 60°.

Importante è anche la regolazione del volume campione: un volume campione estremamente piccolo e posto al centro del vaso campionerebbe solo i pacchetti di globuli rossi centrali, i più veloci; mentre un volume campione posto da parete a parete introduce un artefatto da sovracampionamento, in quanto campiona anche flussi presenti al di fuori del vaso in esame e risente delle vibrazioni trasmesse dalle pareti vascolari è il caso dello studio dei vasi intraparenchimali renali, dove la curva velocitometrica registrerà simultaneamente un flusso venoso ed arterioso. Il volume campione deve essere posto in maniera da comprendere tutto il vaso ponendosi appena al di sotto delle pareti (Figura 17).

Figura 17. Corretto posizionamento del volume campione in arteria omerale nel mapping preoperatorio di FAV.
Figura 17. Corretto posizionamento del volume campione in arteria omerale nel mapping preoperatorio di FAV.

Infine, l’angolo di insonazione: un’impostazione scorretta tra fascio US incidente ed asse di scorrimento del sangue è un errore frequente fonte di artefatti dell’analisi Doppler. Il segnale Doppler è angolo dipendente: sarà tanto più intenso quanto più il fascio US è parallelo al vaso; in questo si differenza dal segnale in B-Mode che migliora quanto più il fascio di ultrasuoni è perpendicolare all’organo da studiare. Poiché in uno studio ecocolordoppler l’immagine B-Mode viene acquisita assieme al segnale Doppler, se il fascio di US incidesse parallelamente al vaso il segnale B-Mode perderebbe notevolmente in qualità. Al fine di ottenere un buon segnale Doppler e allo stesso tempo garantire una buona immagine B-Mode si sceglie un compromesso impostando l’angolo di insolazione tra 30° e 60°. L’angolo può essere variato agendo manualmente sul comando che regola l’inclinazione con cui gli US impattano sul vaso; agendo sullo steering, ossia sulla possibilità di eccitare i cristalli piezoelettrici con un ritardo di una frazione di secondo l’uno rispetto agli altri tale da angolare il fascio di US in maniera elettronica, infine possiamo modificare l’angolo cambiando manualmente l’inclinazione della sonda.

Tra gli artefatti della metodica color Doppler, non legati alla regolazione dell’apparecchio, va menzionata la rilevazione di un flusso ematico in strutture anatomiche dove in realtà non è presente. Può essere un fattore di confondimento, ma in alcune situazioni può rappresentare un elemento utile per la diagnosi. Generalmente si tratta di un rumore a bassa frequenza e ad elevata energia ascrivibile ai movimenti dell’operatore, al respiro del paziente, ai movimenti del cuore e dei vasi, che vengono interpretati dalla macchina come strutture in movimento. Una stenosi di una fistola artero venosa (FAV) per emodialisi oltre alle caratteristiche peculiari rilevabili con l’esame Doppler incremento della velocità di picco sistolico, incremento delle resistenze, riduzione del flusso può essere riconosciuta anche dalla presenza di artefatti nei tessuti circostanti la zona di stenosi (Figura 13), caratterizzati dalla presenza di un segnale color che simula un flusso perivasale (artefatto del bruit colore). Il fenomeno è verosimilmente legato alle vibrazioni delle pareti del vaso stenotico che producono un rumore perivasale che viene interpretato come struttura in movimento (Figura 18).

Figura 18. Stenosi della vena cefalica di una FAV:
Figura 18. Stenosi della vena cefalica di una FAV: la vibrazione della parete vascolare si trasmette ai tessuti circostanti producendo l’artefatto Bruit colore.

Lo stesso dicasi per un pseudoaneurisma, il passaggio di sangue attraverso il colletto mette in vibrazione le pareti del vaso ingenerando un segnale nei tessuti circostanti (Figura 19). A questa artefattualità si può ovviare con l’utilizzo di filtri capaci di eliminare artefatti a bassa frequenza (compresi tra 100 e 600 Hz), stando attenti a non superare valori soglia di 400-500 Hz che potrebbero causare la perdita del segnale. Nelle stenosi di FAV, infatti, caratterizzate da segnali di forte intensità che vengono trasmessi ai tessuti circostanti, si produce un rumore eccessivo che richiede l’impostazione di filtri con frequenza di 300-400 Hz.

Figura 19. Pseudoaneurisma di FAV brachio-cefalica da erronea puntura della a. brachiale:
Figura 19. Pseudoaneurisma di FAV brachio-cefalica da erronea puntura della a. brachiale: (A) sacca aneurismatica; (B) colletto; (C) bruit colore.

Tra gli artefatti legati a strutture in movimento va sicuramente ricordato il jet di eiezione, un artefatto utile, capace di descrivere l’arrivo di urina in vescica e quindi la pervietà degli ureteri. Quando l’urina, attraverso l’orifizio ureterale, arriva in vescica, sposta il liquido già presente creando un movimento che viene letto dalla macchina (Figura 20).

Figura 20. Vescica. Jet di eiezione: passaggio di urina dal meato ureterale in vescica.
Figura 20. Vescica. Jet di eiezione: passaggio di urina dal meato ureterale in vescica.

Ma anche lo spostamento di raccolte fluide presenti nello scavo pelvico può simulare un jet di eiezione vescicale. Abbiamo descritto in passato [29] un’errata interpretazione del jet di eiezione in vescica, in realtà si trattava del movimento di fluido, urinoma, raccolto nello scavo pelvico e messo in movimento dal riempimento dall’esterno della vescica mediante catetere di Foley (Figura 21).

Figura 21. Raccolta fluida del retroperitoneo messa in movimento dal riempimento della vescica e scambiata per jet di eiezione.
Figura 21. Raccolta fluida del retroperitoneo messa in movimento dal riempimento della vescica e scambiata per jet di eiezione.
Figura 22. Twinking o artefatto arlecchino:
Figura 22. Twinking o artefatto arlecchino: (A) calcolo della porzione intramurale dell’uretere di destra; (B) calcolo di un calice inferiore del rene di destra; (C) calcificazione prostatica.

Il twinkling artifact, o artefatto arlecchino, simula invece la presenza di flusso quando strutture rugose con deposito di calcio vengono insonate dal segnale color [30] (Figura 22). È la situazione che si verifica a carico di calcificazioni o di calcoli renali, a monte del cono d’ombra e posteriormente alla formazione calcifica. Possiamo definirlo utile come artefatto in quanto può aiutare nella diagnosi di formazioni calcolotiche di dubbia interpretazione. Tale artefatto non è presente per calcoli di urato e ossalato la cui superficie è liscia.

Esistono anche condizioni in cui il flusso non è dimostrabile: flussi ematici con velocità inferiore a 3 cm/s potrebbero non essere rilevate dalla macchina; mentre la presenza di calcificazioni endovascolari con relativo cono d’ombra posteriore, possono nascondere il flusso in quel tratto di vaso e portare ad erronee interpretazioni (Figura 23).

Figura 23. Il cono d'ombra posteriore causato da calcificazioni endovascolari può essere causa di erronee interpretazioni.
Figura 23. Il cono d’ombra posteriore causato da calcificazioni endovascolari può essere causa di erronee interpretazioni.
Figura 24. Mapping preoperatorio di una arteria radiale
Figura 24. Mapping preoperatorio di una arteria radiale: artefatto legato al cambio di direzione del vaso che si approfonda nei piani sottostanti. Viene mostrato un flusso inizialmente in avvicinamento e successivamente in allontanamento dalla sonda.

Infine, artefatti nell’ambito di un esame color Doppler, si possono realizzare per problematiche relative alla direzione del flusso. Un repentino cambio di inclinazione del vaso può mostrare un flusso dapprima in avvicinamento e successivamente in allontanamento dalla sonda (Figura 24). Un altro tipico esempio è il flusso a “bandiera coreana” o “effetto yin e yang” tipico degli pseudoaneurismi generalmente iatrogeni (erronea venopuntura della FAV). Il cambiamento di direzione del flusso all’interno dello pseudoaneurisma genera la tipica immagine riproposta in Figura 25 [3136].

Figura 25. Effetto yin e yang o a bandiera coreana in uno pseudoaneurisma di FAV.
Figura 25. Effetto yin e yang o a bandiera coreana in uno pseudoaneurisma di FAV.

 

Conclusioni

Per chi si approccia all’ecografia è imprescindibile avere nozioni di fisica degli US e della loro interazione con i tessuti biologici. Gli artefatti sono uno dei prodotti di questa interazione: vanno riconosciuti, sfruttati per fare diagnosi, eliminati lì dove lo strumento e l’esperienza dell’operatore lo consentano. Il mancato riconoscimento può comportare errori anche gravi, può portare ad inutili indagini diagnostiche di secondo livello. Se conosciuti possono rappresentare, in molti casi, un ausilio alla diagnosi, a volte essere patognomonici di una lesione.

 

Ringraziamenti

Un doveroso ringraziamento va al Prof. Meola, Maestro di Medicina e di ecografia, per i suoi insegnamenti e per avermi consentito di utilizzare due immagini presenti nel suo testo “Ecografia clinica in nefrologia, Meola M., Eureka editore 2015”

 

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