Abstract
In biochimica i Metalli Pesanti (MP) vengono definiti come composti cationici in grado di formare dei complessi citoplasmatici intracellulari: in tal classificazione rientrano sia gli elementi in traccia come Arsenico, cobalto, ferro e iodio ma anche i MP propriamente detti che sono tossici anche a basse concentrazioni come cadmio, mercurio, cromo e piombo.
Sono oltre 30 i composti metallici in grado di causare danno renale; i MP più comunemente coinvolti nelle patologie renali sono arsenico, bario, cadmio, cobalto, rame, piombo, litio, mercurio platino, tallio; la loro tossicità dipende da fattori fisici (stato fisico, temperatura), da fattori chimici (solubilità e cinetica) ma anche da fattori biochimici come il tropismo per le catene mitocondriali umane.
Il rene è un organo bersaglio per i MP, a causa della sua abilità nello riassorbire e concentrare i metalli divalenti; gran parte degli effetti si esplicano a livello del segmento convoluto del tubulo prossimale. La forma ionizzata del MP è responsabile di tossicità cellulare diretta verso la membrana apicale del tubulo prossimale; la forma non ionizzata o inerte del MP viene coniugata con metallotioneine e glutatione, rilasciata nel sangue dal fegato e infine riassorbita per endocitosi nel semento S1 del tubulo prossimale.
L’entità e la modalità del danno renale dipende dal tipo di metallo, dalla dose e dal tempo di esposizione.
L’approccio terapeutico in presenza di una intossicazione acuta da metalli pesanti prevede misure di supporto (fluidi e.v, supporto inotropo, ventilatorio, emotrasfusioni), la decontaminazione (lavanda gastrica, emetici, carbone attivo), le metodiche depurative extracorporee (quando indicate) e ovviamente la terapia chelante.