Non trascorre giorno che gli opinionisti, i rappresentanti delle diverse forze politiche e gli intellettuali ospiti dei sempre più numerosi talk-show televisivi provino ad immaginare lo scenario che si presenterà alle nostre vite quando la pandemia da Covid-19 sarà terminata. Le loro previsioni scontano però alcuni evidentissimi limiti. Primo: le dimensioni planetarie dell’emergenza pandemica e le sue preoccupanti ricadute sull’economia, sull’occupazione, sul benessere collettivo, sul clima sociale e sulla tenuta dei conti pubblici di tutti gli Stati. Secondo: le scarse conoscenze scientifiche sul nuovo Coronavirus umano, testimoniate dai fallimenti di quasi tutti i modelli previsionali matematici [1] che pur hanno ispirato i decision makers di tutto il mondo (quello più noto, ipotizzato dall’Imperial College di Londra, prevedeva nel nostro Paese oltre mezzo milione di morti se non fosse preso alcun provvedimento e 283 mila decessi applicando, come di fatto è stato fatto, il più rigido lockdown). Terzo: l’esito di ciò che sta accadendo – al di là della virulenza del Covid-19 che non si è modificata, dell’adattamento del virus all’ambiente umano, della curva dei contagi e delle altre prevedibili ondate epidemiche – dipenderà dalla comprensione critica di ciò che è realmente accaduto e da ciò che la comunità mondiale vorrà effettivamente costruire terminata la fase delle restrizioni e del lockdown.
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