GLP-1 receptor agonists in the treatment of diabetes mellitus type 2: cardioprotection, and more!

Abstract

Optimal glycemic control in diabetic patients remains a difficult goal to achieve. Hypoglycemia, nausea and weight gain can compromise the patients’ adherence to antidiabetic therapy over time. GLP-1 receptor agonists have been shown to improve glycemic control and reduce the incidence of side effects both when used in monotherapy and in combination with other hypoglycemic drugs. The growing interest of nephrologists in GLP-1 receptor agonists derives from numerous studies showing that not only they positively affect traditional cardiovascular risk factors, but also exert a protective effect on renal function regardless of their hypoglycemic effects, thus delaying the development and progression of diabetic nephropathy. The aim of this paper is to review the latest evidence on pharmacokinetics and pharmacodynamics and the direct and indirect mechanisms through which GLP-1 receptor agonists confer nephroprotection, improving the renal outcomes of diabetic patients.

Keywords: diabetes mellitus type 2, incretins, GLP-1, kidney protection

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Introduzione

Il diabete mellito di tipo 2 (DM2) si associa a complicanze micro- e macro-vascolari che, oltre a provocare gravi disabilità nei pazienti che ne sono affetti, richiedono elevati costi di gestione per il Sistema Sanitario. Il DM2 rappresenta una delle principali cause nel mondo di malattia renale cronica (chronic kidney disease, CKD), con un’incidenza di uremia terminale (end stage renal disease, ESRD) ed inizio di trattamento renale sostitutivo che varia dallo 0,04% all’ 1,8% per anno [1]. Il danno renale correlato al DM2 include alterazioni sia di carattere strutturale (ispessimento della membrana basale glomerulare, espansione mesangiale, fibrosi interstiziale, perdita dell’architettura capillare, ialinosi delle arterie di piccolo e medio calibro) che funzionale (disfunzione della catena respiratoria mitocondriale, over espressione di citochine pro-infiammatorie quali IL-6, IL-8, IL-18, TNF-α, INF-γ) indotte dall’iperglicemia [24]. Le manifestazioni cliniche che ne conseguono configurano la cosiddetta “malattia renale in corso di diabete” (diabetic kidney disease, DKD), caratterizzata da proteinuria selettiva e non selettiva, ipertensione arteriosa e declino progressivo della funzionalità renale.

Ad eccezione degli ACE-inibitori e dei sartani, per tanti anni non sono stati disponibili farmaci con una comprovata efficacia sugli outcomes renali nei pazienti affetti da DKD. Per tale motivo, l’individuazione di nuove molecole capaci di prevenire l’insorgenza e la progressione del danno renale è diventato nel tempo un obiettivo prioritario nell’ambito della ricerca scientifica. Le strategie terapeutiche attuali mirano ad ottimizzare il controllo glicemico attraverso varie modalità: a) incrementando la disponibilità di insulina circolante, mediante la somministrazione di insulina esogena oppure mediante farmaci che promuovono la secrezione di insulina endogena; b) migliorando la sensibilità insulinica dei tessuti; c) ritardando l’assorbimento dei carboidrati a livello intestinale; d) promuovendo l’escrezione urinaria di glucosio. Negli ultimi 10 anni, l’avvento di farmaci quali gli agonisti recettoriali del GLP-1 (GLP-1RA), gli inibitori della dipeptidil-peptidasi 4 (DPP-4) e gli inibitori del co-trasporto sodio-glucosio 2 (SGLT-2) ha dato nuovo slancio all’implementazione della terapia antidiabetica, che oggi va considerata a tutti gli effetti un argomento di interesse multidisciplinare.

Sono ormai numerosi gli studi pubblicati in letteratura che dimostrano l’efficacia dei GLP-1RA nel ridurre l’incidenza degli eventi cardiovascolari maggiori (MACE), nel prevenire l’insorgenza della macroalbuminuria e nel rallentare la progressione del danno renale verso l’ESRD [5,6], stimolando pertanto l’interesse di Endocrinologi, Cardiologi e Nefrologi. Nonostante tali evidenze, i meccanismi attraverso cui i GLP-1RA conferiscono nefroprotezione non sono stati del tutto compresi e il loro utilizzo nella pratica clinica è ancora limitato. Obiettivo di questa review è quello di passare in rassegna le ultime evidenze sulla farmacocinetica, la farmacodinamica e sui meccanismi diretti e indiretti attraverso i quali gli agonisti recettoriali del GLP-1 conferiscono nefroprotezione, migliorando gli outcomes renali dei pazienti diabetici.

 

Ruolo fisiologico delle incretine

A parità di dose, il glucosio assunto per via orale provoca una risposta insulinemica maggiore rispetto alla somministrazione per via endovenosa. Ciò è dovuto al cosiddetto “effetto incretinico” di cui sono responsabili due ormoni peptidici prodotti a livello del tratto gastrointestinale: il GIP (glucose-dependent insulinotropic polypeptide) e soprattutto il GLP-1 (glucagon-like peptide-1). Dopo l’ingestione di un pasto, il glucosio presente all’interno del lume intestinale incrementa la sintesi e il rilascio in circolo di GLP-1 stimolando l’attività del sodium-glucose co-transporter 1 (SGLT-1) espresso sulla membrana delle cellule L del sistema entero-endocrino. Il GLP-1 interagisce con il suo recettore (GLP-1R) espresso sulle cellule β e δ pancreatiche, dove promuove la biosintesi e il rilascio di insulina e di somatostatina, rispettivamente. La somatostatina, a sua volta, è in grado di inibire la secrezione di glucagone da parte delle cellule α pancreatiche per mezzo del recettore della somatostatina 2 (SSTR2). In modelli sperimentali di diabete, GLP-1 si è dimostrato capace di inibire l’apoptosi delle cellule β e promuoverne la proliferazione attraverso il reclutamento di precursori cellulari, contribuendo così ad implementare la disponibilità di cellule β attive dal punto di vista funzionale [7,8]. Oltre ad agire sulle cellule pancreatiche, il GLP-1 contribuisce a regolare il controllo glicemico e a migliorare la sensibilità dei tessuti all’insulina anche attraverso numerosi effetti sistemici indiretti. L’attivazione del GLP-1R nei centri regolatori della fame a livello ipotalamico favorisce la perdita di peso e riduce l’intake di cibo. L’attività coordinata di encefalo, sistema nervoso autonomo e sistema nervoso enterico è riconosciuta come “asse intestino-cervello” (gut-brain axis). Durante il pasto, il GLP-1 stimola le fibre sensitive del nervo vago mediante l’interazione con GLP-1R a livello del tratto intraepatico della vena porta. Il segnale giunge al nucleo del tratto solitario (NTS), situato nel rombencefalo, da cui partono fibre efferenti che agiscono a livello epatico inibendo la gluconeogenesi e riducendo la steatosi e la fibrosi, e a livello del tubo digerente rallentando la velocità di svuotamento gastrico e la peristalsi del piccolo intestino. Il risultato finale sarà un aumentato senso di sazietà e la riduzione dell’appetito [9]. È stato inoltre dimostrato che il legame tra GLP-1 e GLP-1R incrementa il metabolismo e il consumo energetico a livello delle cellule del tessuto adiposo bruno indipendentemente dall’attività motoria e, contestualmente, riduce i depositi lipidici nel tessuto adiposo bianco mediante pathways di trasduzione del segnale che coinvolgono fibre del sistema nervoso simpatico [10]. Dopo circa 1-2 minuti dalla sua immissione in circolo, il GLP-1 viene rapidamente degradato a peptide inattivo dall’enzima dipeptidil-peptidasi 4 (DPP-4). Grazie alla sua breve emivita, l’azione modulatrice del GLP-1 sul controllo glicemico è calibrata e proporzionale al carico di glucosio introdotto con la dieta, pertanto previene situazioni di ipersecrezione di insulina e conseguenti pericolose ipoglicemie. Le azioni fisiologiche del GLP-1 sono riassunte nella Tabella I.

Tabella I: Azioni fisiologiche del GLP-1
Tabella I: Azioni fisiologiche del GLP-1

 

Proprietà farmacologiche e profilo di sicurezza dei GLP-1RA

I GLP-1RA inducono la stimolazione sovra-fisiologica del GLP-1R, mimando il meccanismo d’azione del GLP-1 endogeno e amplificandone gli effetti sia locali che sistemici senza interferire in alcun modo con il GIP. Una caratteristica peculiare riguarda la capacità di aumentare la secrezione insulinica in modalità proporzionale ai valori glicemici: man mano che la glicemia diminuisce, infatti, la secrezione di insulina si riduce. Questo meccanismo insulinotropico glucosio-dipendente spiega la bassa incidenza di eventi ipoglicemici associati alla terapia con GLP-1RA, sia quando sono utilizzati da soli che in duplice o triplice terapia con metformina, sulfoniluree, pioglitazone o insulina. I GLP-1RA possono essere classificati in due gruppi (Fig. 1):

Fig 1. GLP 1RA in base a caratteristiche farmacocinetiche(1)
Figura 1: Classificazione dei GLP-1RA sulla base delle caratteristiche farmacologiche (SC: sottocute; OS: orale)
  1. Incretino-mimetici: Exenatide (Byetta®), Exenatide LAR (long-acting release) (Bydureon®), Lixisenatide (Lyxumia®). Derivano da exendin-4, un peptide isolato dalla saliva del Gila Monster (heloderma suspectum), una lucertola velenosa del sud dell’Arizona. Questi farmaci sono resistenti alla rapida degradazione da parte della DPP-4, ma poiché presentano un’analogia di struttura solamente del 52% rispetto al GLP-1 endogeno, possiedono un maggior potere immunogeno con possibile sviluppo di anticorpi inattivanti. Ad eccezione dell’exenatide in formulazione LAR, da un punto di vista farmacocinetico vengono definiti farmaci a breve durata d’azione (short-acting) in quanto sono caratterizzati da picchi di concentrazione plasmatica di breve durata con periodi intermittenti di concentrazioni molto basse e quasi vicino allo zero, durante le quali i GLP-1R non sono minimamente attivati [11]. In virtù di tali caratteristiche, essi mostrano un effetto più marcato sul rallentamento dello svuotamento gastrico, che si traduce in una maggiore riduzione dell’incremento glicemico post-prandiale, mentre sono meno efficaci sul controllo della glicemia a digiuno, della secrezione basale di insulina e sul mantenimento di valori stabili di emoglobina glicata (HbA1c) [1214]. L’eliminazione di questi farmaci avviene principalmente mediante filtrazione glomerulare, riassorbimento tubulare e conseguente degradazione proteolitica, pertanto il loro utilizzo è controindicato in presenza di eGFR <30 ml/min/1,73m2 (Fig. 2).
  2. Analoghi del GLP-1 umano: Liraglutide (Victoza®, Saxenda®), Dulaglutide (Trulicity®), Semaglutide iniettabile (Ozempic®), Semaglutide orale (Rybelsus®), Albiglutide (Eperzan®, non più in commercio). Sono anche detti a lunga durata d’azione (long-acting) in quanto, una volta raggiunto lo stato stazionario, mantengono concentrazioni ematiche costantemente elevate che determinano una continua stimolazione di GLP-1R e solo fluttuazioni minori tra una somministrazione e l’altra. Questi farmaci presentano un basso potere immunogeno in virtù di un’elevata analogia strutturale con il GLP-1 endogeno. La loro lunga emivita è indotta da specifiche caratteristiche molecolari, quali il legame covalente con l’albumina (albiglutide), con la porzione Fc dell’immunoglobulina (Ig) umana G4 (dulaglutide) o con specifici acidi grassi (liraglutide) [1517], che ne impediscono l’eliminazione per via renale. A seguito di ciò, gli analoghi del GLP-1 umano possono essere utilizzati con sicurezza anche a fronte di valori di eGFR fino a 15 ml/min/1,73m2 (Fig. 2). Il catabolismo di questi farmaci avviene nei tessuti target in modo simile alle proteine di grandi dimensioni, senza che sia stato individuato un organo specifico come principale via di eliminazione. Contrariamente ai GLP-1RA a breve durata d’azione, essi inducono una riduzione più marcata della HbA1c e della glicemia a digiuno e diminuiscono l’incidenza di effetti collaterali quali nausea e vomito; inoltre, hanno dimostrato una maggiore efficacia sulla mortalità e la morbidità cardiovascolare [18,19].
Figura 2: Adeguamento posologico dei GLP-1RA in base al eGFR (espresso in ml/min/1,73 m2)
Figura 2: Adeguamento posologico dei GLP-1RA in base al eGFR (espresso in ml/min/1,73 m2)

I GLP-1RA richiedono generalmente la somministrazione sottocutanea. Al giorno d’oggi, i dispositivi per l’iniezione sottocutanea dei GLP-1RA hanno raggiunto un’evoluzione tecnologica notevole per quel che riguarda frequenza di somministrazione, dimensione degli aghi e facilità di auto-inoculazione del farmaco mediante penne pre-riempite. L’insieme di questi aspetti ha avuto un impatto significativo sulla qualità di vita dei pazienti diabetici ed ha migliorato notevolmente la loro aderenza terapeutica. A partire dal 2020 è disponibile il primo GLP-1RA (semaglutide – Rybelsus®) in formulazione orale, per la quale è prevista la mono somministrazione giornaliera. La serie di trials PIONEER [2029] ha dimostrato che semaglutide orale, messa a confronto con diverse altre classi di farmaci (SGLT-2 inibitore, inibitore di DPP-4, un altro GLP-1RA, insulina, placebo), ha un impatto positivo sui livelli medi di HbA1c, sulla riduzione ponderale e sul profilo di rischio cardiovascolare sia quando usata in mono terapia che in combinazione con metformina ± sulfonilurea. Sulla base dei dati finora raccolti, la compromissione della funzionalità renale, anche di grado severo, non influisce in modo significativo sulla farmacocinetica di semaglutide; il farmaco non è tuttavia raccomandato nei pazienti con nefropatia terminale.

 

La “nefroprotezione” dei GLP-1RA

Una letteratura sempre più ampia [30,31] supporta l’ipotesi che i GLP-1RA siano in grado di conferire nefroprotezione non solamente perché favoriscono la perdita di peso e migliorano il controllo glicemico, ma anche attraverso l’interazione diretta con le cellule renali (Tabella II).

EFFETTI DIRETTI EFFETTI INDIRETTI
Aumentano la diuresi e la natriuresi

▪ Migliorano il controllo glicemico

Ripristinano il normale funzionamento del feedback tubulo-glomerulare

▪ Migliorano il controllo pressorio

Sopprimono l’iperattivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone

▪ Favoriscono la perdita di peso

Abbassano la concentrazione sierica di angiotensina II

▪ Aumentano la sensibilità tissutale all’insulina

Inibiscono l’espansione mesangiale e la fibrosi renale

▪ Riducono la produzione post-prandiale di glucagone

Minimizzano il danno ipossico-ischemico renale

▪ Riducono l’uptake intestinale dei lipidi

Prevengono il danno ossidativo e la formazione di radicali liberi dell’ossigeno

▪ Modificano il microbiota intestinale (?)

Tabella II: Azione nefroprotettiva dei GLP-1RA

Numerosi studi sull’uomo hanno dimostrato la presenza di GLP-1R sia nel glomerulo che nel tubulo renale. I GLP-1RA sembrerebbero in grado di contrastare l’iperfiltrazione glomerulare in quanto inducono un aumento della diuresi e della natriuresi mediante fosforilazione e conseguente inibizione diretta dello scambiatore sodio-idrogeno 3 (NHE3), localizzato sull’orletto a spazzola delle cellule tubulari prossimali [30,31]. Kim et al. [32] hanno inoltre dimostrato che liraglutide promuove la natriuresi anche attraverso un’aumentata secrezione di atrial natriuretic peptide (ANP) da parte dei cardiomiociti. Tali meccanismi spiegano almeno in parte la correlazione tra assunzione cronica dei GLP-1RA e abbassamento dei valori di pressione arteriosa. L’aumentato carico filtrato di sodio che giunge alla macula densa ripristina il normale funzionamento del feedback tubulo-glomerulare, sopprime l’iperattivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone e abbassa la concentrazione sierica di angiotensina II. Inoltre, i GLP-1RA inibiscono l’espansione mesangiale, riducono l’espressione a livello endoteliale di molecole pro-fibrotiche e aumentano la disponibilità di ossido nitrico intraglomerulare, rallentando quindi la progressione della DKD [3334]. Il declino del filtrato glomerulare e la microalbuminuria nei pazienti diabetici fanno parte di un corollario di segni e sintomi sistemici accomunati dalla dislipidemia e dall’aterosclerosi. Secondo alcuni autori [3537], i GLP-1RA conferiscono nefroprotezione attraverso varie proprietà anti-aterogeniche:

  • Riducono la produzione e la secrezione dei chilomicroni intestinali con effetti benefici sui livelli plasmatici di colesterolo totale, LDL e trigliceridi [35];
  • Minimizzano il danno ipossico-ischemico renale in quanto regolarizzano l’attività mitocondriale delle cellule renali [36];
  • Prevengono il danno ossidativo e la formazione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) in quanto aumentano i livelli di cAMP e l’attività della protein-chinasi A, mentre riducono l’attività della NAD(P)H ossidasi, interferiscono con l’espressione dei recettori per i prodotti di glicazione avanzata (AGEs) e sopprimono la via di trasduzione del segnale mediata da F-kB [37].

Infine, un’ipotesi affascinante riguarda il possibile ruolo dei GLP-1RA nel modificare la composizione del microbiota intestinale, la cui disregolazione è oggi correlata all’insorgenza di numerose condizioni patologiche, compresa la CKD. Uno studio condotto su modello animale ha comparato gli effetti di liraglutide e di saxagliptin sulla composizione del microbiota intestinale. Gli autori [38] hanno osservato che liraglutide (ma non saxagliptin) determina una minore espressione dei filotipi correlati all’obesità (tra cui roseburia, erysipelotrichaceae incertae sedis, marvinbryantia, and parabacteroides), mentre al contrario promuove la crescita dei filotipi blautia e coprococcus che sono correlati a un BMI più basso. Una possibile spiegazione deriva dal fatto che liraglutide induce un aumento dei livelli di GLP-1 da 4 a 6 volte superiore rispetto all’inibitore di DPP-4, con significative ripercussioni sul rallentamento dello svuotamento gastrico e del transito intestinale. Tutto ciò contribuisce a modificare il pH e la concentrazione dei diversi nutrienti all’interno del lume intestinale, entrambi fattori determinanti la composizione finale del microbiota. In atto, il meccanismo attraverso cui l’influenza dei GLP-1RA sul microbiota intestinale possa migliorare gli outcomes clinici dei pazienti diabetici è ancora tutto da dimostrare.

 

Outcomes renali nei pazienti diabetici trattati con GLP-1RA: revisione della letteratura

Numerosi studi pubblicati in letteratura hanno indagato gli effetti nefroprotettivi dei GLP-1RA nei pazienti diabetici (Tabella III).

Nome dello studio Farmaco Endpoint renale Risultati
LEADER Liraglutide

vs

placebo

– Macroalbuminuria

– Raddoppio della sCreat

– eGFR <45 ml/min/1,73 m2

– Necessità di dialisi

– Morte per cause renali

– Minore incidenza di nefropatia

– Impatto favorevole sulla macroalbuminuria

– Declino del eGFR più lento nei pazienti con IRC moderata/severa

SCALE Liraglutide

vs

placebo

– Variazioni di UACR

– Maggiore effetto sulla riduzione della UACR

LIRA-RENAL Liraglutide

vs

placebo

– Variazioni di eGFR

– Variazioni di UACR

– Nessuna differenza su eGFR e UACR

SUSTAIN – 6 Semaglutide

vs

placebo

– Macroalbuminuria persistente

– Raddoppio della sCreat

– eGFR <45 ml/min/1,73 m2

– Necessità di dialisi

– Minor incidenza di macroalbuminuria de novo

– Nessuna differenza su incidenza di ESRD e morte per cause renali

ELIXA Lixisenatide

vs

placebo

– Variazioni di UACR

– Rallentata progressione della UACR indipendentemente dall’albuminuria basale

– Nessuna differenza sul declino del eGFR

EXCEL Exenatide LAR

vs

placebo

– Declino del eGFR del 40%

– Necessità di dialisi

– Morte per causa renale

– Macroalbuminuria de novo

– Miglioramento dell’outcome composito renale

– Minor incidenza di macroalbuminuria

AWARD-7 Dulaglutide

vs

glargine

– Variazioni di eGFR e UACR rispetto al baseline

– Rallentamento del declino del eGFR

– Nessuna differenza sulle variazioni di UACR

REWIND Dulaglutide

Vs

Placebo

– Macroalbuminuria de novo

– Declino del ≥30% rispetto al basale

– Necessità di dialisi

– Minore incidenza di macroalbuminuria

– Nessuna differenza su declino del eGFR e sulla necessità di dialisi

sCreat: creatinina sierica

eGFR: velocità di filtrazione glomerulare

UACR: rapporto albumina/creatinina urinarie

Tabella III: Rassegna dei principali trials clinici che hanno analizzato l’impatto dei GLP-1RA sugli outcomes renali

Nel trial LEADER [6], 9340 pazienti diabetici ad alto rischio o con nota malattia cardiovascolare sono stati assegnati in modo randomizzato al gruppo liraglutide vs placebo. Lo studio ha incluso sia pazienti già in terapia con ipoglicemizzanti orali e/o insulina che soggetti naïve. L’endpoint primario è stato il tempo intercorso tra il momento della randomizzazione e l’insorgenza di MACE (morte cardiovascolare, infarto non fatale del miocardio e/o stroke non fatale). Altri endpoints analizzati nello studio includevano: rivascolarizzazione percutanea, ricovero per angina instabile o scompenso cardiaco, morte per tutte le cause, nefropatia (intesa come comparsa di macroalbuminuria, raddoppio della creatininemia, eGFR <45 ml/min/1,73m2, necessità di dialisi o morte per cause renali) e retinopatia. Dopo un periodo medio di follow-up pari a 3,8 anni, nel gruppo liraglutide si è ottenuto una riduzione media dello 0,4% per HbA1c e di 2,3 kg per il peso corporeo. L’endpoint primario ha mostrato un’incidenza più bassa nel gruppo liraglutide (13%) rispetto al placebo (14,9%). Riguardo l’outcome composito renale, nel gruppo liraglutide l’incidenza di nefropatia è stata inferiore del 22% rispetto al placebo con un impatto favorevole soprattutto sulla macroalbuminuria, mentre non sono state registrate differenze significative riguardo gli hard endpoints renali. Il declino del eGFR è risultato più lento nel gruppo liraglutide; tale effetto è stato più evidente nelle sottocategorie di pazienti con CKD moderata (eGFR 30-59 ml/min/1,73m2) o severa (eGFR <30 ml/min/1,73m2).

Il trial SCALE [39] ha reclutato 846 pazienti al fine di valutare l’utilità di liraglutide nel management del peso corporeo nei pazienti diabetici in sovrappeso o obesi. I pazienti sono stati assegnati in modo randomizzato a ricevere liraglutide 3 mg, 1,8 mg o placebo. Alla fine del periodo di studio di 56 settimane, nei bracci dei pazienti trattati con liraglutide si è registrato non solo un calo ponderale significativo, ma anche la riduzione del rapporto albumina/creatinina urinarie (UACR) nella misura del 18,36, 10,79 e del 2,34%, rispettivamente.

Contrariamente ai trials LEADER e SCALE, nel trial LIRA-RENAL liraglutide si è dimostrata inefficace nel migliorare gli outcomes renali su un campione di 279 pazienti diabetici con IRC moderata (eGFR 30-59 ml/min/1,73m2): gli autori non hanno infatti riscontrato alcuna differenza in termini di eGFR e di UACR rispetto al placebo dopo 26 settimane di trattamento [40]. Tale risultato potrebbe essere in parte dovuto all’esiguità del campione e al breve periodo di osservazione.

La serie di trials SUSTAIN [5, 4149] include 10 studi randomizzati controllati finalizzati a valutare l’efficacia di semaglutide sottocutanea settimanale sul controllo glicemico nei pazienti affetti da DM2. Il farmaco è stato somministrato in mono terapia o in combinazione con metformina, sulfonilurea e/o insulina e comparato con i farmaci più comunemente usati per il DM2 (sitagliptin, exenatide, insulina glargine, dulaglutide, canaglifozin e liraglutide). Recentemente, Mann et al. [50] hanno condotto un’analisi post-hoc dei dati relativi agli 8416 pazienti arruolati nei trials SUSTAIN 1-7, al fine di esaminare gli effetti di semaglutide sottocutanea sul eGFR, sulla UACR e sugli eventi avversi renali. Sebbene semaglutide si associ ad un declino del eGFR nelle prime 12-16 settimane di trattamento per poi stabilizzarsi, la differenza globale rispetto agli altri farmaci antidiabetici e al placebo nell’intero periodo di osservazione è risultata statisticamente non significativa; inoltre, i valori di UACR hanno registrato un trend in calo nel gruppo di pazienti trattati con semaglutide. Gli Autori hanno quindi concluso che il trattamento con semaglutide non aumenta l’incidenza di eventi avversi renali rispetto agli altri trattamenti antidiabetici studiati. In particolare, il trial SUSTAIN-6 [5] è stato disegnato allo scopo di dimostrare la non inferiorità di semaglutide rispetto al placebo in termini di sicurezza cardiovascolare su un campione di 3297 pazienti. Anche in questo caso l’endpoint primario è stato l’incidenza dei MACE. Dopo 2,1 anni di follow-up, il braccio dei pazienti trattati con semaglutide ha registrato risultati migliori rispetto al placebo in riferimento ai MACE (6,6% vs 8,9%), al controllo glicemico (valori medi di HbA1c -1,1% vs -1,4%), al calo ponderale (-3,6 vs -4,9 kg) e all’insorgenza o peggioramento della nefropatia (3,8% vs 6,1%). Analogamente a quanto emerso dal trial LEADER, la riduzione della macroalbuminuria (fino al 46%) sembra essere il meccanismo principale attraverso cui semaglutide incide positivamente sugli outcomes renali.

ELIXA [51] è stato uno studio randomizzato, in doppio cieco, a gruppi paralleli disegnato per valutare l’impatto di lixisenatide sul rischio cardiovascolare rispetto a placebo su una popolazione di 6068 soggetti adulti diabetici con recente episodio di sindrome coronarica acuta. L’endpoint primario composito, valutato per la non inferiorità e la superiorità, comprendeva l’incidenza dei MACE. Il periodo medio di osservazione è stato di 108 settimane. Lo studio ha dimostrato che lixisenatide non è inferiore, sebbene non superiore, al placebo riguardo la sicurezza cardiovascolare. In una recente sotto analisi dei risultati del trial ELIXA, Muskiet et al. [52] hanno analizzato gli effetti di lixisenatide sugli outcomes renali. Gli autori hanno dimostrato che lixisenatide riduce la variazione della UACR sia nei pazienti microalbuminurici (-21%) che macroalbuminurici (-39%) al baseline e previene la comparsa di macroalbuminuria nei soggetti inizialmente normoalbuminurici (-1,69%); per contro, il declino del eGFR nei due gruppi è risultato statisticamente non significativo indipendentemente dai valori di albuminuria al baseline.

Nel trial EXSCEL [53], 14752 soggetti diabetici sono stati assegnati in modo randomizzato a ricevere exenatide LAR alla dose di 2 mg settimanali vs placebo per un periodo di osservazione di 3,2 anni. I risultati hanno dimostrato che exenatide è non inferiore rispetto al placebo in termini di sicurezza, ma non è superiore in termini di efficacia sulla prevenzione dei MACE. Tali evidenze sono state confermate in tutte le categorie di pazienti con CKD di diversa gravità (eGFR basale maggiore o minore di 60 ml/min/1,73m2). Sebbene nel trial EXSCEL exenatide non avesse prodotto alcun miglioramento significativo sul declino del eGFR e sull’incidenza di ESRD e di morte per cause renali, un’analisi successiva dei dati aggiustati in base alle caratteristiche demografiche e alle comorbidità presenti al baseline ha invece rivelato un significativo miglioramento dell’outcome composito renale, mediato principalmente da una più bassa incidenza di macroalbuminuria [54].

Lo studio AWARD-7 [55] ha reclutato e randomizzato 577 pazienti diabetici con CKD stadi G3 e G4 in 3 bracci: 1) dulaglutide 1,5 mg settimanali, 2) dulaglutide 0,75 mg settimanali e 3) insulina glargine, tutti in associazione con insulina lispro. L’endpoint primario era il valori di HbA1c a 26 settimane; gli endpoints secondari includevano le variazioni di UACR e di eGFR, quest’ultimo stimato utilizzando sia la creatinina che la cistatina C. Dopo 52 settimane di osservazione, i risultati hanno dimostrato che dulaglutide migliora in modo efficace e sicuro il controllo glicemico nei pazienti diabetici con malattia renale avanzata, con impatto sulle oscillazioni di HbA1c sovrapponibili alla terapia con insulina glargine basale. In merito agli endpoints secondari, dulaglutide si è dimostrata più efficace dell’insulina glargine nell’attenuare il declino della funzionalità renale (riduzione del eGFR pari a -1,1, -1,5 e -2,9 ml/min/1,73m2 nei tre gruppi, rispettivamente), mentre non si sono registrate differenze statisticamente significative sulla riduzione della UACR. È interessante notare come in questo studio le variazioni dell’eGFR siano risultate indipendenti da quelle del peso. In altre parole, gli autori non hanno osservato alcuna correlazione significativa tra la variazione della creatinina (le cui concentrazione sieriche dipendono notoriamente dalla massa muscolare del paziente), della cistatina C (che invece non è influenzata dalla massa muscolare) e quella del peso corporeo. Questo dato conferma indirettamente che il calo ponderale che si registra nei pazienti in trattamento con GLP-1RA è frutto di una perdita di massa grassa e non di massa muscolare.

Il trial REWIND [56] è stato uno studio multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, in cui 9901 pazienti diabetici con precedente evento cardiovascolare o con fattori di rischio cardiovascolare sono stati assegnati casualmente (1:1) a una iniezione sottocutanea settimanale di dulaglutide (1,5 mg) o placebo. L’outcome primario è stato l’incidenza dei MACE con un approccio intention-to-treat. Tra gli outcomes secondari sono stati presi in considerazione un composito di retinopatia, nefropatia (macroalbuminuria de novo, declino del eGFR ≥30% rispetto al basale, necessità di dialisi), i singoli eventi dell’outcome primario, ospedalizzazione per angina instabile o scompenso cardiaco e morte. Durante un periodo mediano di osservazione di 5,4 anni, l’outcome primario composito si è verificato nel 12% nel gruppo dulaglutide vs il 13,4% nel gruppo placebo. La mortalità per tutte le cause non differiva tra i gruppi. Se da un lato l’incidenza di macroalbuminuria è stata del 8,9% vs 11,3% nel gruppo placebo, le percentuali di declino del eGFR ≥30% e di necessità di dialisi hanno invece mostrato un andamento pressoché sovrapponibile nei due gruppi.  

La metanalisi di Palmer et al. [57] ha raggruppato 764 trials randomizzati controllati che hanno comparato gli SGLT-2 inibitori e i GLP-1RA al fine di valutarne l’efficacia nei pazienti diabetici. Gli autori concludono che entrambi i farmaci, quando associati ad altri trattamenti antidiabetici, riducono l’incidenza di infarto miocardico non fatale e di ipoglicemie severe, prevengono lo sviluppo di CKD e abbassano la mortalità in misura proporzionale al profilo di rischio cardiovascolare e renale del paziente al basale (very low, low, moderate, high, e very high). Un’attenta stratificazione del rischio cardiovascolare nei pazienti diabetici è pertanto condizione necessaria al fine di stabilire la strategia terapeutica più adatta. In sintonia con questa visione, le recentissime linee guida della Società Italiana di Diabetologia (SID) e dell’Associazione dei Medici Diabetologi (AMD), pubblicate nel Sistema Nazionale Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità, indicano i GLP-1RA come farmaci di prima scelta (insieme a metformina e SGLT-2 inibitori) per il trattamento a lungo termine in pazienti con DM2 con pregressi eventi cardiovascolari e senza scompenso cardiaco, mentre nei soggetti senza precedenti cardio-vascolari e in quelli con scompenso cardiaco sono da considerarsi di seconda linea.

Sebbene tutti gli studi finora citati concludano che l’azione nefroprotettiva dei GLP-1RA è legata esclusivamente al loro impatto sulla macroalbuminuria, la rivalutazione dei dati del trial REWIND condotta con il metodo della sensitivity analysis ha invece dimostrato che dulaglutide riduce in maniera significativa anche il peggiorare dell’eGFR quando questo è definito come riduzione ≥40% o ≥50%, anziché ≥30% come nel disegno originale dello studio. Analogamente, la revisione dei dati di una recentissima metanalisi [58], in cui la sensitivity analysis ha escluso l’unico trial che ha reclutato pazienti con recente episodio di sindrome coronarica acuta (ELIXA), ha dimostrato che i GLP-1RA non solo riducono l’incidenza dei MACE, dei ricoveri per scompenso cardiaco e della mortalità per tutte le cause, ma migliorano l’outcome renale composito anche in termini di declino del eGFR nel tempo. Nel 2019 è stato avviato il trial FLOW (Effect of Semaglutide Versus Placebo on the Progression of Renal Impairment in Subjects With Type 2 Diabetes and Chronic Kidney Disease) [59], che ha reclutato 3508 pazienti al fine di valutare la capacità di semaglutide di ridurre l’incidenza dell’endpoint primario composito (declino del eGFR ≥50% rispetto al basale, necessità di dialisi, morte per cause renali, morte per malattia cardiovascolare) rispetto al placebo. I risultati dello studio, attesi per il 2024, contribuiranno a definire il ruolo reale dei GLP-1RA come farmaci in grado di rallentare il peggioramento della CKD nei pazienti con DM2.

 

Conclusioni

I GLP-1RA possiedono un ottimo profilo di sicurezza e hanno dimostrato un impatto positivo sulla riduzione del rischio cardiovascolare. I risultati dei trials clinici finora pubblicati concordano nell’attribuire ai GLP-1RA un’azione nefroprotettiva, che si estrinseca attraverso effetti sia indiretti (miglioramento del controllo pressorio e glicemico, perdita di peso) che diretti (ripristino di una normale emodinamica intrarenale, prevenzione del danno ischemico e ossidativo). Ciò si traduce nella riduzione dell’incidenza di albuminuria e nel rallentamento del declino della funzionalità renale. Sebbene l’alto costo rappresenti ad oggi un limite importante per il loro utilizzo come prima scelta terapeutica, questi farmaci potrebbero risultare vantaggiosi rispetto al trattamento insulinico grazie a un minor tasso di effetti collaterali avversi, una migliore aderenza terapeutica da parte dei pazienti e agli effetti benefici sul peso corporeo. Ulteriori studi sono necessari al fine di ampliare le conoscenze sugli effetti nefroprotettivi dei GLP-1RA e sulla loro capacità di implementare a lungo termine gli outcomes cardiovascolari e renali dei pazienti diabetici e, più in generale, dei pazienti con CKD.

 

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