Left atrial appendage occlusion as replacement of coumarin anticoagulants in calciphylaxis

Abstract

Calcific uremic arteriolopathy (CUA), often referred to as calciphylaxis, is a rare condition potentially life-threatening seen in 1-4% of patients with kidney failure on chronic dialysis. Pathogenesis is not clear, but several risk factors have been identified, one of the most known among them is coumarin anticoagulants therapy (tAC). When CUA occurs, tAC is contraindicated: the left atrial appendage occlusion, in dialysed patients affected by non-valvular atrial fibrillation, could be contemplated in replacement of tAC, that should be considered by nephrologist and discussed by a multidisciplinary team including cardiologists.

Keywords : Calciphylaxis, Warfarin, anticoagulant therapy, left atrial appendage occlusion, chronic kidney disease

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Introduzione

L’arteriolopatia uremica calcifica, nota anche come calcifilassi, è una patologia calcifica vascolare caratterizzata da occlusione dei piccoli vasi del tessuto adiposo sottocutaneo e del derma, e si accompagna ad un elevato tasso di mortalità. Colpisce prevalentemente i pazienti affetti da malattia renale cronica (MRC) terminale in trattamento renale sostitutivo, popolazione già di per sé predisposta all’insorgenza di calcificazioni extra scheletriche.

La CUA si manifesta con ischemia e necrosi cutanea secondaria alla deposizione di calcio nella tonaca media delle arteriole con conseguente fibrosi dell’intima, riduzione del lume vascolare e trombosi del vaso. Il decorso è  caratterizzato da due fasi della malattia, spesso coesistenti: la fase d’esordio, insidiosa, è distinta dalla comparsa di semplice eritema laminare; la seconda fase invece è rapidamente progressiva, con evoluzione ischemica e conseguente necrosi tessutale. Nella maggior parte dei casi, il pattern di distribuzione delle lesioni è di tipo “centrale” (addome e glutei) dove si dispone la maggior parte del tessuto adiposo, alternativamente può avere un pattern “distale” (arti), anche se la malattia teoricamente può colpire qualsiasi distretto corporeo [1, 2, 3].

I principali fattori di rischio noti comprendono: alterazione del prodotto calcio-fosforo, l’iper- e l’ipoparatiroidismo, la terapia con anticoagulanti cumarinici, gli stati di ipercoagulabilità, la malnutrizione o l’obesità.

La diagnosi si basa clinicamente sulla triade data da malattia renale avanzata/trattamento dialitico, due o più ulcere necrotiche dolenti e pattern di presentazione tipico; per la conferma diagnostica ci si avvale di imaging radiografico, che documenta le calcificazioni dei piccoli vasi, e dell’accertamento bioptico quando possibile.

La diagnosi differenziale si pone con numerose altre patologie, tra cui: necrosi da warfarin, vasculiti, embolizzazione colesterinica, porpora fulminante, vasculite da ossalati, crioglobulinemie.

Il trattamento si fonda su tre cardini:

  • gestione delle lesioni cutanee: antidolorifici, curettage chirurgico, terapia iperbarica, gestione del rischio infettivo;
  • modificazione dei fattori di rischio, ove possibile: sospensione della tAC, ottimizzazione del metabolismo calcio-fosforo, sospensione della vitamina D e dei suoi metaboliti, sospensione dei chelanti del fosforo a base di calcio;
  • inibizione/chelazione del processo di calcificazione: utilizzo off label del sodio tiosolfato (STS) [1, 2, 3]; attualmente in fase di studio il SNF472 [4].

 

Caso clinico

Riportiamo il caso di una donna caucasica di anni 60, affetta da malattia renale cronica di causa misconosciuta, in trattamento dialitico peritoneale per 6 anni e successivamente passata a trattamento emodialitico (dapprima con ritmo trisettimanale, quindi quadri-settimanale per elevati incrementi ponderali interdialitici) da fistola artero-venosa nativa a maggio 2020. In anamnesi si segnala: ipertensione arteriosa di lunga data, cardiopatia ipertensiva ad evoluzione ipocinetica (potatrice di ICD), stenosi aortica moderato-severa, FANV parossistica in tAC da maggio 2020, obesità. La terapia domiciliare della paziente era costituita da: Amiodarone 200mg, Amlodipina 10mg, Atorvastatina 40mg, Calcio carbonato 500mg 2cpx2, Doxazosina 4mgx2, Carvedilolo 25mgx2, Colecalciferolo 30gocce/settimana, Enalapril 10mg, Furosemide 250mgx2, Cinacalcet 60mg, Omeprazolo 20mgx2, Pregabalin 25mg, Warfarin 5mg secondo INR; la terapia intradialitica prevedeva somministrazione della regolare eparina ed Epoetina-zeta 6000UI tutte le dialisi.

Nel mese di gennaio 2021, ai regolari esami eseguiti in regime di dialisi, veniva registrato uno spiccato iperparatiroidismo accompagnato da grave iperfosforemia; inoltre la paziente lamentava agli arti inferiori intenso dolore, insorto da qualche tempo, e per il quale era stata valutata dal chirurgo vascolare, che consigliava utilizzo di calze elastiche (presidio che la paziente ha adottato senza benefici). All’osservazione del medico dializzatore gli arti inferiori della paziente presentavano lesioni cutanee necrotiche e circostante livedo reticularis ai polpacci bilateralmente; nel sospetto di CUA, la paziente veniva ricoverata. All’ingresso in reparto si prendeva atto della recente autosospensione da parte della paziente della terapia con calcio-mimetici, e dai recenti esami ematochimici si evidenziava una marcata alterazione del metabolismo calcio-fosforo (calcemia totale pari a 11.2 mg/dL – v.n. 8.8-10.2 mg/dL, fosforemia 7.8mg/dL – v.n. 2.5-4.5 mg/dL, e di paratormone 1660ng/L – v.n. 15-65ng/L). Ai restanti dati di laboratorio si segnala: quadro di anemia normocitica normocromica (Hb 9.8mg/dL – v.n. 11.8-17.5g/dL), conta e formula leucocitaria nella norma, lieve rialzo della PCR (1.89 mg/dL – v.n. 0.03-0.5 mg/dL), elettroforesi proteica nei limiti. I parametri di efficienza dialitica al momento del ricovero erano discreti con un valore Kt/V pari a 1.43 (Formula logaritmica di Daugirdas per la misurazione del Kt/V(urea)). All’esame obiettivo si confermava la presenza di ulcere dolenti ad entrambi i polpacci, di dimensioni variabili (max 5 x 3cm), con fondo necrotico ed eritema laminare circostante e con tendenza alla confluenza, già in progressione rispetto all’osservazione medica precedente. Veniva eseguito ecocolor-doppler degli arti inferiori che descriveva un asse vascolare, seppur calcifico, pervio, escludendo così ischemie dei vasi maggiori.

Nell’ipotesi di CUA venivano prontamente sospesi la tAC (sostituita dalla calciparina sottocute), i farmaci contenenti metaboliti attivi della vit-D ed i chelanti del fosforo a base di calcio; venivano reintrodotti calcio-mimetico orale (cinacalcet 60mg/die) e chelanti del fosforo privi di calcio. Successivamente si sostituiva calcio-mimetico orale con farmaco endovena (etelcalcetide cloridrato 2,5mg) nei giorni di dialisi; si avviava inoltre trattamento antalgico con bruprenorfina transdermica (20mcg/h) e morfina orale al bisogno. Sulla base del quadro clinico, la paziente iniziava trattamento con sodio tiosolfato endovena trisettimanale in infusione lenta durante l’ultima ora di dialisi con graduale titolazione del farmaco a partire da 12,5 g fino a un massimo di 25 g, quest’ultimo dosaggio mal tollerato per insorgenza di nausea e vomito, per cui proseguiva la terapia alla posologia di 18 g. Non è stato necessario aumentare la frequenza delle sedute emodialitiche in quanto la paziente era già sottoposta a un programma di quattro trattamenti settimanali (per il compromesso quadro cardiovascolare), ritenuti sufficienti, ponendo attenzione al bagno dei bicarbonati per il possibile quadro di acidosi metabolica che il sodio tiosolfato può indurre, monitorandone l’andamento con emogasanalisi venose pre- e post-dialisi.

Nelle settimane successive, malgrado il rapido intervento medico, la malattia presentava un’evoluzione rapidamente progressiva con l’estensione delle lesioni ischemiche di entrambi i polpacci fino ad impossibilità di deambulazione autonoma; si predisponeva così il trasferimento dal reparto di nefrologia a un centro riabilitativo specializzato, presso il quale venivano eseguite biopsie cutanee incisionali a cuneo, di 6 differenti siti, il cui referto risultava compatibile con il quadro di calcifilassi in 5 delle lesioni biopsiate (Fig. 1).

Fig. 1: Biopsia cutanea:
Fig. 1: Biopsia cutanea: Campioni di cute con necrosi tessutale ed ulcerazione, associata a calcificazioni dermo-ipodermiche, a sede prevalentemente vascolare, con liponecrosi del tessuto adiposo ipodermico e abbondante infiltrato infiammatorio misto subacuto, con ricca componente istiocitaria e granulocitaria neutrofila, tessuto di granulazione e fibrosi riparativa. Non evidenza di microrganismi PAS+. Reperti istologici coerenti con calcifilassi.

In aggiunta alla terapia medica, sempre presso lo stesso centro, veniva effettuato curettage chirurgico delle lesioni ed innesti cutanei sintetici bioinduttivi HMPA (esametilfosforammide) con successive periodiche medicazioni. Dopo circa due mesi di terapia combinata medica e chirurgica, si assisteva ad un progressivo miglioramento delle lesioni (Fig. 2), sino a sospensione di terapia antalgica ed a ripresa dell’autonoma deambulazione.

Fig. 2: Evoluzione delle lesioni dall’inizio del trattamento:
Fig. 2: Evoluzione delle lesioni dall’inizio del trattamento: A) Tempo 0, alcune iniziali lesioni necrotiche circoscritte con eritema laminare circostante; B) dopo 6 settimane, nonostante la tempestiva terapia, i piccoli vasi del sottocutaneo ormai trombizzati hanno causato l’espansione delle lesioni necrotiche ai polpacci con progressiva tendenza alla confluenza; C) dopo 30 settimane, grazie a curettage chirugico, innesti cutanei sintetici bioinduttivi e rimozione delle graft metalliche chirurgiche (in quasta fase grafts già assorbiti e cicatrizzati), possiamo parlare di risoluzione di malattia acuta; si possono tuttora apprezzare queste estese cicatrici bilateralmente.

In corso di ricovero e nel post degenza si assisteva a una rapida normalizzazione dei valori di paratormone, calcio e fosforo (Tabella 1). Nel mese di marzo, in concomitanza all’intervento di curettage chirurgico, si registrava rialzo degli indici di flogosi (PCR 10.63mg/dL) per sovrainfezione batterica (frequente complicanza e causa di decesso nella CUA) da E. Cloacae e S. Aureus, trattata efficacemente con terapia antibiotica secondo antibiogramma. I parametri di efficienza dialitica post ricovero erano Kt/V 1.88 (Formula logaritmica di Daugirdas per la misurazione del Kt/V(urea)).

  11/01/2021 01/02/2021 15/02/2021 01/03/2021 15/03/2021 12/04/2021
Calcio (v.n. 8.8- 10.2mg/dL) 11.2 8.75 9.63 9.63 9.28 9.53
Fosforo (v.n. 2.5 4.5 mg/dL) 7.8 5.4 1.9 4 3.1 1.8
PTH (v.n. 15-65 ng/L) 1661 880 238 320 398
PCR (v.n. 0.03-0.5 mg/dL) 1.89 1.96 4.71 10.63 1.74

RICOVERO OSPEDALIERO

Tabella 1: Andamento degli esami ematochimici nel tempo.

Superata la fase acuta della malattia si discuteva collegialmente il caso clinico con gli specialisti cardiologi per stabilire se ci fosse o meno la necessità di proseguire la terapia anticoagulante. Alla luce della rivalutazione strumentale attraverso l’esame ecocardiografico ed il monitoraggio elettrocardiografico continuo, un CHA(2)DS(2)-VASc score =7 (se ≥2 nelle donne rischio moderato-alto di stroke/TIA/embolismo sistemico), si confermava l’indicazione al trattamento anticoagulante per l’elevato rischio di recidiva aritmica.

Vista l’associazione della tAC alla CUA e l’elevato rischio emorragico della paziente che presentava un HAS-BLED score pari a 4 (se ≥3 rischio elevato di sanguinamenti maggiori, per cui è consigliato valutare alternative alla terapia anticoagulante), per ovviare ad una terapia anticoagulante orale sine die, si optava per l’intervento di LAAO (Fig. 3), che la paziente accettava; la procedura veniva eseguita senza complicanze successive ed in questo modo si poneva definitivamente fine alla tAC, con indicazione ad avvio di temporanea doppia antiaggregazione post procedurale (cardioaspirina e clopidogrel).

Fig. 3: Intervento di LAAO effettuato sulla paziente.
Fig. 3: Intervento di LAAO effettuato sulla paziente.

 

Discussione

La FANV è l’aritmia cardiaca più comune nella popolazione generale, le cui principali complicanze sono l’ictus e l’aumentata mortalità generale; la terapia con anticoagulanti cumarinici o anticoagulanti orali diretti (DOACs) è il cardine del trattamento della FANV nei pazienti con elevato rischio cardio embolico (CHA2DS2VASc >1 negli uomini e >2 nelle donne) [5].

I pazienti con malattia renale avanzata sottoposti a dialisi hanno un’elevata prevalenza ed incidenza di fibrillazione atriale, associata a sua volta ad elevata mortalità. Sappiamo inoltre che questa popolazione ha di per sé un elevato rischio di sanguinamento legato allo stato uremico. Nei pazienti affetti da malattia renale cronica avanzata, ed in trattamento emodialitico, attualmente la tAC rimane ancora la terapia di prima scelta in quanto i DOACs si associano ad un’aumentata mortalità e ad eventi emorragici e, per tale motivo, ne è sconsigliato l’utilizzo [5]. Alcuni studi però hanno sollevato dubbi in merito al reale vantaggio dell’utilizzo della tAC per la popolazione dializzata nella prevenzione dell’evento cardioembolico, e di come questa possa essere addirittura più dannosa che di reale beneficio [6]; allo stato attuale tuttavia non esistono trial randomizzati controllati in dialisi che valutino rischi e benefici della tAC rispetto alla no-therapy. Le stesse linee guida non forniscono precise indicazioni sulla terapia per la FAVN nei pazienti in trattamento emodialitico, lasciando spesso alla valutazione del nefrologo e/o cardiologo la decisione di intraprendere l’anticoagulazione sul singolo caso. Nel 2021 è stato pubblicato un’interessante studio randomizzato controllato multicentrico che ha comparato gruppi di pazienti emodializzati terapia con tAC vs Rivaroxaban 10mg, in una mediana temporale di 1.88 anni, con risultato di un rischio di stroke similare per i due gruppi ma un aumentato rischio di mortalità, eventi non cardiovascolari e di eventi emorragici maggiore per i pazienti in tAC, a supporto dell’ipotesi di come la tAC possa essere di maggior danno che beneficio nell’emodialisi e addirittura debba essere evitata, aprendo forse così la strada per il trattamento con DOACs nei pazienti emodializzati cronici [7].

Inoltre, come osservato nel nostro caso clinico, la tAC è anche uno dei principali fattori di rischio per l’insorgenza di calcifilassi a causa della down regolazione della Gla-protein matrix (MPG), una proteina prodotta dalla cellula muscolare liscia nella tonaca media della parete vascolare, la quale previene la trans differenziazione della stessa cellula muscolare in cellula osteoblastica, ed inoltre interagisce con i cristalli di idrossiapatite prevenendo così le calcificazioni. La MPG è attivata da un meccanismo di carbossilazione mediante la gamma-glutamil carbossilasi, un enzima vitamina K dipendente; la vitamina K quindi previene le calcificazioni vascolari fungendo da cofattore alla carbossilazione di MPG. Bassi livelli di MPG, inoltre, si sono visti associati ad aumentati livelli di Bone Morphogenetic Protein-2 (BMP2), la quale appartiene alla superfamiglia dei fattori di crescita, ed è coinvolta nell’induzione della differenziazione osteoclastica delle cellule muscolari, creazione ex novo di calcificazioni e calcificazioni extra vascolari. Gli antagonisti della vitamina K, quali il warfarin, interferendo con questi meccanismi, sono così promotori del processo di calcificazione extra scheletrica, in sinergia con altri fattori di rischio già di per sé presenti nel paziente con insufficienza renale cronica avanzata (come la flogosi cronica e il rialzo delle citochine infiammatorie, il calo della fetuin-alpha in quanto inibitore delle calcificazioni extra vascolari) [1, 2, 8, 9].

Secondo le recenti linee guida cardiologiche, la LAAO può rappresentare un’alternativa sicura e di efficacia non inferiore all’anticoagulazione orale nei pazienti affetti da FANV con elevato rischio cardioembolico e controindicazione assoluta alla terapia anticoagulante orale a lungo termine [10].

L’auricola sinistra è un reliquato embrionale che, grazie alla sua ottima capacità di adattarsi ai sovraccarichi pressori o di volume, contribuisce al riempimento diastolico ventricolare grazie alla sua funzione di reservoir; inoltre ha anche un’importante funzione endocrina, contribuendo alla produzione di peptidi natriuretici atriali (ANP) e cerebrali (“brain”, BNP). Il remodeling dell’auricola promuove la stasi ematica e, in sinergia ad altri pathways molecolari favorevoli allo stato pro-trombotico (infiammazione, fattori di crescita, ossido nitrico, asse renina-angiotensina-aldosterone), aumenta così il rischio di eventi tromboembolici [11]. La LAAO, oltre al vantaggio della sospensione dell’anticoagulazione, si è vista associata ad una riduzione dei valori di ANP e di BNP  [12, 13].

La LAAO si esegue per via percutanea con accesso venoso femorale in anestesia generale (più raramente può essere utilizzato un approccio ibrido epicardico/endocardico); mediante puntura transettale e guida ecocardiografica transesofagea si accede all’atrio sinistro e si posiziona il device, una struttura tubulare trabecolata, variabile di dimensione e forma [5].

I pazienti candidabili alla LAAO sono: coloro con controindicazione alla terapia anticoagulante cronica per aumentato rischio emorragico (HAS-BLED ≥3); con rischio di sanguinamento sottostimato dall’HAS-BLED (es. tumori, trombocitopenia); prolungata tripla terapia antiaggregante; che hanno avuto precedenti sanguinamenti maggiori gastrointestinali con fonte non passibile di risoluzione (es. diffuse angiodisplasie intestinali); nella malattia renale avanzata o in trattamento emodialitico; che non possono adempiere la compliance al trattamento medico anticoagulante prolungato (demenza, patologia psichiatrica, continue interruzioni di terapia per eventi emorragici); nei pazienti che hanno sviluppato un evento ictale nonostante la terapia orale. Ancora in fase di valutazione sono altre indicazioni cardiologiche come la compresente indicazione ad ablazione cardiaca o in prevenzione primaria per chi presenta elevato rischio di insorgenza di fibrillazione atriale [14, 15, 16, 17].

Un imaging pre-procedurale ottimale è necessario per analizzare l’anatomia e le dimensioni dell’auricola ed eventuali trombi al suo interno, così da permettere di scegliere il miglior accesso per la puntura transettale ed il device migliore per il singolo paziente. I gold standard per l’imaging pre-procedurale sono l’ecocardiografia transesofagea (TEE) per lo studio della presenza di eventuali trombi presenti, e l’angiografia coronarica con tomografia (CCTA), che permette una ricostruzione fedele in 3D dell’anatomia dell’auricola [5].

Per quanto riguarda i rischi peri-procedurali, recenti metanalisi hanno riportato le seguenti complicanze: un 2% di fallimento della procedura, 1% di ictus, 2% di tamponamento cardiaco, un tasso di mortalità del 0.28%, ed un’incidenza di sanguinamento severo ed effusione pericardica rispettivamente dell’1.71% e del 3,25%. Sono raccomandati nel post-operatorio controlli imaging con TEE o CCTA a 6-24 settimane per valutare la presenza di eventuali trombi relati al device e leak peri-device [18].

La doppia terapia farmacologica antiaggregante post impianto riduce il rischio di trombogenesi device-relato e deve essere proseguita da 1 a 6 mesi. I leak peri-device invece aumentano il rischio di immissione in circolo di eventuali trombi: leak <5mm sono irrilevanti, leak di dimensioni maggiori invece richiedono terapia anticoagulante orale o un reintervento di chiusura (anche se non pare avere un chiaro vantaggio questa seconda opzione) [19]; l’incidenza di leak patologici varia dagli studi, dall’1% dei casi a tre mesi [20], al 32% a un anno [18].

Una recente metanalisi dei pazienti affetti da FANV ha combinato i dati dei due maggiori studi clinici randomizzati (PROTECT-AF [18] e PREVAIL [21]) che comparavano la non inferiorità della sicurezza e dell’efficacia della LAAO rispetto alla tAC in termini di evento ictale, embolismo sistemico e morte cardiaca; è stata dimostrata una minor incidenza nella LAAO di stroke emorragico (HR: 0.20), ictus con disabilità severa (HR: 0.45), e mortalità cardiovascolare/morte inspiegata (HR: 0.59).

Nell’ambito dell’utilizzo della terapia anticoagulante nei pazienti affetti da malattia renale cronica, occorre fare una precisazione tra la popolazione in trattamento conservativo e in trattamento renale sostitutivo.

Nella popolazione generale e nell’MRC fino al III stadio con FANV, i DOACs sono attualmente riconosciuti dalle linee guida come terapia di prima linea per maggior sicurezza ed efficacia; le metanalisi [21, 22] descrivono la LAAO inferiore nella prevenzione dell’ictus ischemico rispetto ai DOACs, anche se la LAAO pare per alcuni essere più efficace nella prevenzione degli eventi emorragici rispetto sia ai DOACs che al trattamento antiaggregante [23].

Nella popolazione emodializzata attualmente non disponiamo ancora di studi multicentrici randomizzati, ma la procedura di LAAO si sta facendo sempre più spazio e sta guadagnando interesse, in considerazione delle molteplici comorbidità e degli effetti collaterali della tAC nella popolazione dializzata. Uno studio prospettico italiano multicentrico [24] ha messo a confronto tre coorti di pazienti emodializzati con fibrillazione atriale: il primo gruppo sottoposto a LAAO per elevato rischio emorragico o controindicazione alla tAC (n=92); il secondo gruppo in terapia con tAC (n=114); il terzo costituito da pazienti che non assumevano nessun tipo di terapia (n=148). Gli endpoint primari considerati sono stati l’incidenza di complicanze peri-procedurali, l’incidenza di eventi tromboembolici o emorragici a 2 anni, e la mortalità a 2 anni. Nel gruppo sottoposto a LAAO sono state riportate 2 complicanze maggiori peri procedurali e nessun evento tromboembolico nei 2 anni di follow-up, invece, per quanto riguarda il rischio di sanguinamento (considerando che i pazienti dopo l’impianto assumono doppia terapia antiaggregante), non ci sono state differenze statisticamente significative rispetto al gruppo in tAC nei primi 3 mesi; diversamente, nei successivi 21 mesi si è vista una maggior incidenza di sanguinamenti i coloro che assumevano tAC (HR 6.48). La mortalità generale è stata maggiore nei pazienti in tAC (HR 2.76) e nei no-therapy (HR 3.09) rispetto alla coorte LAAO, con un’incidenza di eventi cardiovascolari non fatali significativamente inferiore per quest’ultimo gruppo rispetto alle altre coorti. Dato l’elevato rischio di eventi emorragici post-procedura di LAAO, è in fasi di discussione la reale necessità di una doppia terapia antiaggregante e di come la monoterapia possa essere già di per sé sufficiente non solo nella LAAO, ma anche nell’evento ischemico miocardico [25, 26, 27, 28, 29].

Anche in termini di farmaco-economia, un recente studio ha mostrato come l’intervento di chiusura dell’auricola sinistra sia vantaggioso nel lungo tempo in termini di spesa sanitaria rispetto alla tAC ed i DOACs [30].

 

Conclusioni

Nei pazienti con FANV e malattia renale terminale, sottoposti a dialisi cronica, i DOACs attualmente rimangono ancora controindicati e la tAC non previene completamente gli eventi embolici, procurando al contempo un elevato rischio di sanguinamento. Pertanto, la LAAO pare essere un’alternativa sicura ed efficace per quei pazienti con elevato rischio di sanguinamento o controindicazione alla terapia anticoagulante cronica, come nei casi di calcifilassi. La procedura di chiusura dell’auricola sinistra ha dei limiti, quali l’attuale ridotta diffusione nei centri cardiovascolari, la necessità di un buon expertise da parte dei cardiologi interventisti, ed il suo costo relativamente elevato. Il nefrologo dovrebbe tenere in considerazione questa possibilità terapeutica, soprattutto nei pazienti in terapia cronica con anticoagulanti cumarinici, valutando gli opportuni rischi e benefici in collaborazione con l’equipe cardiologica di riferimento. Attualmente persiste la necessità di maggiori dati in merito alla sicurezza a lungo termine della procedura di chiusura dell’auricola sinistra, e di nuove analisi sulla popolazione emodializzata.

 

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Anticoagulanti orali non Vitamina K Dipendenti (NOACs) nei pazienti affetti da Malattia Renale Cronica e fibrillazione atriale non valvolvare

Abstract

La fibrillazione atriale (FA) rappresenta l’aritmia più comune nei pazienti con malattia renale cronica (CKD) in cui si associa, come nella popolazione generale, ad un aumento del rischio tromboembolico e di stroke con il progressivo ridursi del filtrato glomerulare (GFR). In tali pazienti, e soprattutto in quelli sottoposti a terapia dialitica (RRT), è presente inoltre un incremento del rischio emorragico, soprattutto a carico del tratto gastroenterico.

Gli anticoagulanti orali costituiscono la forma di tromboprofilassi  più efficace nei pazienti con FA che presentino un rischio maggiore di stroke. Tuttavia, le limitate evidenze scientifiche riguardanti la loro efficacia, nonché l’aumento del rischio emorragico ed alcuni aspetti riguardanti l’uso del warfarin in CKD hanno spesso portato ad un loro scarso utilizzo in tali pazienti.

Un crescente numero di studi sembra suggerire che nei soggetti con normale funzione renale i farmaci anticoagulanti orali non vitamina K dipendenti (NOACs) riducono significativamente il rischio di stroke, emorragia intracranica e mortalità, con riduzione dei sanguinamenti maggiori in confronto agli antagonisti della vitamina K (come il warfarin). Pertanto, essi sono raccomandati nei pazienti con FA a rischio di stroke. Tuttavia, dal momento che loro escrezione è fortemente influenzata dal livello di funzione renale, attualmente disponiamo di scarse informazioni sul loro utilizzo nei pazienti con clearance della creatinina inferiore a 25 ml/min poiché essi stati esclusi da tutti i trial di fase 3 riguardanti l’impiego dei NOACs.

Scopo della presente review è quello di puntualizzare i principali aspetti di farmacocinetica nonché le evidenze note, anche prospettiche, relativamente ai NOACs nei pazienti con malattia renale cronica in fase conservativa (clearance della creatinina < 25 ml/min) ed in quelli sottoposti a trattamento dialitico.

Key words: Anticoagulation therapy, Atrial fibrillation, Chronic kidney disease, Nonvitamin D oral anticoagulants (NOACs)

INTRODUZIONE

La fibrillazione atriale (FA) rappresenta l’aritmia più comune nei pazienti con malattia renale cronica (CKD) e si associa ad aumento del rischio tromboembolico e dell’insorgenza di stroke [1] [2].[3]. Le attuali evidenze scientifiche dimostrano che nei pazienti con FA e funzione renale normale la terapia anticoagulante rappresenta la più efficace forma di profilassi per l’aumentato rischio tromboembolico e/o  per l’insorgenza di stroke  [4]. Per contro, nei pazienti con CKD, in particolar modo quelli sottoposti a terapia dialitica (RRT), l’aumento del rischio emorragico nonché la mancanza di prove sicure a favore di un efficace rapporto rischio/beneficio ed infine il potenziale ruolo degli antagonisti della vitamina K nella patogenesi delle calcificazioni vascolari [5] hanno portato ad un ridotto utilizzo degli anticoagulanti in tali soggetti.

Pur in attesa di validazione nei pazienti con CKD, le attuali linee guida sembrano incoraggiare il ricorso al CHA2DS2-VASc score (algoritmo basato su fattori di rischio quali: insufficienza cardiaca congestizia, ipertensione, età, diabete mellito, pregressi episodi di stroke o TIA o tromboembolismo, vasculopatie, sesso) e all’HAS-BLED score (algoritmo basato su fattori di rischio quali: ipertensione, grado di compromissione della funzione renale ed epatica, età, pregressi episodi di stroke o sanguinamenti maggiori, INR instabile, contemporanea assunzione di farmaci che possano predisporre a complicanze emorragiche; uso di alcool e droghe) nella valutazione del rischio di stroke ischemico o emorragico e dell’indicazione all’impiego dei farmaci anticoagulanti nei pazienti con FA. Sono raccomandate periodiche valutazioni per la stima del rischio di sanguinamenti e stroke [4]. Il numero di pazienti con FA in trattamento con NOACs è in progressivo aumento poiché questi farmaci si sono rivelati altrettanto efficaci quanto il warfarin e di utilizzo più semplice e sicuro non necessitando del monitoraggio routinario dei parametri emocoagulativi [713]. Nel 2013, le nuove prescrizioni di NOACs  negli  Stati Uniti sono aumentate di circa il 62% [7].  È interessante notare che tale incremento si è avuto anche nei pazienti con CKD avanzata ed in quelli sottoposti a trattamento emodialitico, nonostante l’esiguità dei dati disponibili su efficacia e sicurezza in tali popolazioni [12]. Sebbene la superiorità dei NOACs v/s gli antagonisti della vitamina K sia ben documentata, essi presentano comunque alcune limitazioni, soprattutto legate alla limitata esperienza e disponibilità di antagonisti, nonchè al loro impiego nelle fasi avanzate della CKD e, non ultimo, ai costi. Di conseguenza, il loro utilizzo non dovrebbe essere incoraggiato in particolari gruppi di pazienti, quali quelli con compromissione della funzione renale. La riduzione del GFR costituisce, infatti, un limite al loro impiego nei pazienti cardiopatici, nei quali essi possono potenzialmente accumularsi con conseguente aumento del rischio emorragico. Ciò dev’essere particolarmente considerato nei soggetti con clearance della creatinina inferiore a 20 ml/min che, in conseguenza di ciò, sono stati ampiamente esclusi da tutti i trial registrativi con i NOACs: tali pazienti, infatti, presentano già di per sè un aumentato rischio di sanguinamento, dovuto all’uremia e correlato sia ad alterazioni piastriniche sia della cascata coagulativa [13,14]. Inoltre, nei pazienti con malattia renale cronica «end stage» (ESRD) in trattamento emodialitico l’impiego dei NOACs è ancor più complicato dall’ulteriore rischio di sanguinamento associato con: la periodica venipuntura dell’accesso vascolare, il contatto sangue/membrana, lo scarso controllo dei valori pressori e l’anticoagulazione del circuito nel corso della seduta dialitica. In conseguenza della scarsa disponibilità di dati, le recenti linee guida (2014) dell’American Heart Association (AHA)-American College of Cardiology (ACC) e dell’Heart Rhythm Society (HRS) nonché l’European Society of Cardiology (ESC) [6] raccomandano il warfarin come anticoagulante di scelta per il paziente con FA affetto da CKD avanzata o ESRD [8]. Ciononostante la prescrizione dei NOACs sta progressivamente aumentando tra i pazienti in CKD [12,15]. Studi preliminari documentano come il 23.5% e l’11.6% dei pazienti con FA in CKD stadio III-IV e rispettivamente in dialisi sono trattati con NOACs, principalmente apixaban (10.4%) e rivaroxaban (9.5%) [].

La presente review ha  l’obiettivo di puntualizzare i principali aspetti farmacologici dei NOACs ed analizzare i dati a favore e quelli contrari al loro impiego nei pazienti con CKD.

 

PROFILO FARMACOCINETICO DEGLI ANTICOAGULANTI ORALI NEI PAZIENTI CON CKD

La compromissione della funzione renale condiziona le  proprietà farmacocinetiche di numerosi farmaci e degli stessi NOACs  (Tabella 1). Infatti, l’ESRD si associa ad alterazioni del trasporto proteico plasmatico con conseguente aumento della frazione libera del farmaco. Allo stesso modo, il loro metabolismo renale e biotrasformazione sono influenzati  da modificazioni dei processi biochimici di idrolisi e riduzione [16,17]. L’eliminazione renale dei farmaci avviene principalmente per filtrazione glomerulare e, meno frequentemente, per secrezione e riassorbimento tubulare. In caso d’insufficienza renale si assiste ad una complessiva riduzione di tali funzioni, cui consegue  una ridotta eliminazione dei farmaci con prolungamento della loro emivita [18]. Pertanto, al fine di contrastarne la ridotta escrezione, essi dovrebbero essere somministrati a dosaggi più bassi o con un intervallo di tempo tale da prevenirne l’accumulo [11]. Il riassunto delle caratteristiche del prodotto (SmPCs) suggerisce l’aggiustamento posologico dei NOACs in corso di CKD (Tabella 2).

Sulla scorta delle evidenze finora disponibili, il dosaggio dei NOACs dovrebbe essere modulato in base ai valori di clearance della creatinina (CrCl) stimata attraverso la formula di Cockroft e Gault, l’algoritmo utilizzato nella fase 3 dei trials sui NOACs [19]. Dev’essere tuttavia sottolineato che la formula di Cockroft e Gault sovrastima il GFR rispetto a quelle utilizzate nello studio Modification of Diet in Renal Disease (MDRD) e Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration (CKD-EPI) [2021] il che può condurre ad una erronea valutazione della funzione renale qualora si utilizzino formule differenti [22].

Per quanto riguarda i pazienti sottoposti a trattamento emodialitico, la rimozione dei farmaci è strettamente dipendente: dalle dimensioni delle molecole, dalla percentuale legata alle proteine plasmatiche nonché dalle proprietà fisico-chimiche del dializzatore. Le molecole di piccole dimensioni (PM < 1500 Da) sono facilmente rimosse dai filtri impiegati per metodiche ad alti flussi, mentre quelle legate alle proteine plasmatiche non possono essere eliminate attraverso la dialisi, così come ogni altra molecola che possegga un ampio volume di distribuzione ed un’ elevata affinità tissutale [16]. In tal modo, il Warfarin ed i NOACs sono scarsamente eliminati per clearance dialitica.

 

WARFARIN

Il Warfarin fu inizialmente impiegato come rodenticida (nel 1948); successivamente, dimostrata la sua efficacia e relativa sicurezza nella prevenzione dei fenomeni trombotici venne approvato (1950) il suo utilizzo clinico come farmaco anticoagulante [15]. Essendo legato per il 99% alle proteine plasmatiche, il Warfarin non è dializzabile e viene eliminato per via epatica [17,23]. Nei pazienti con ESRD o sottoposti a RRT è spesso richiesta una riduzione del dosaggio a causa della contemporanea compromissione del metabolismo epatico [24]. Studi sperimentali in ratti con CKD hanno dimostrato in tali animali una significativa down-regulation (40-85%) dell’attività del citocromo P-450 che riveste un ruolo chiave nel metabolismo epatico del Warfarin, di svariati alimenti e di altri principi farmacologici [242526]. Il Warfarin, come altri anticoagulanti, deve esse somministrato con cautela nei pazienti emodializzati in cui l’eparina è routinariamente utilizzata al fine di prevenire la coagulazione del circuito extracorporeo. Poiché l’eliminazione di Warfarin è solo in minima parte influenzata dal livello di funzione renale essa non risente affatto dell’eventuale presenza di insufficienza renale. Il basso costo e l’ampia disponibilità di antagonisti, quali la vitamina K, il plasma fresco congelato e le preparazioni di fattori della coagulazione utilizzabili nei casi di sovradosaggio del farmaco o di gravi emorragie rappresentano le principali ragioni del diffuso utilizzo del Warfarin nei pazienti con CKD [27]. Ciononostante, le evidenze in favore della sicurezza ed efficacia del Warfarin in questi pazienti sono assai limitate [5]. Con il ridursi della funzione renale Warfarin aumenta significativamente il rischio di sanguinamento. Pazienti con GFR stimato (eGFR) < 30 ml/min/m2 presentano un aumento del rischio emorragico di 4-9 volte rispetto a quelli con funzione renale normale [28]. Ancor meno rassicuranti sono i dati sulla prevenzione dello stroke. Nessun trial clinico randomizzato (RCT) ha ancora testato l’efficacia e la sicurezza del Warfarin in corso di ESRD. Studi osservazionali hanno fornito risultati contrastanti che vanno da significativi benefici a potenziali danni associati al suo impiego nei pazienti sottoposti a dialisi cronica [5]. Inoltre, una crescente messe di dati sembrano suggerire che i farmaci antagonisti della vitamina K inibendo la sintesi di numerose proteine vitamina K-dipendenti – quali matrix-gla-protein (MGP) – possano essere coinvolti nella genesi della calcificazioni vascolari e nella loro progressione [5]. Numerosi studi attualmente in corso stanno tentando di definire il ruolo della tossicità cardiovascolare degli antagonisti della vitamina K nonché il potenziale impatto delle loro supplementazioni in soggetti con funzione renale normale e con CKD [29].

 

ANTICOAGULANTI ORALI NON VITAMINA K  DIPENDENTI (NOACs)

La Food and Drugs Administration (FDA) ha finora approvato l’utilizzo di quattro anticoagulanti orali non vitamina K dipendenti (NOACs) per la prevenzione dello stroke nei pazienti con FA: Apixaban, Rivaroxaban ed  Edoxaban che agiscono inibendo il fattore Xa ed il Dabigatran che inibisce il fattore IIa. La Tabella 1 riassume i dati relativi alle clearance renali, al comportamento dialitico, alla eventuale disponibilità di antidoti nonché al rischio di stroke e sanguinamento dei NOACs nei confronti del Warfarin. Tali risultati si riferiscono alla popolazione affetta da CKD con CrCl < 50 ml/min arruolati nella fase 3 dello studio pilota di confronto NOACs-Warfarin.

 

APIXABAN

Apixaban è un inibitore del fattore Xa  escreto per circa il 27% attraverso il rene  (Figura 4A). Nello studio AVERROES (5.599 soggetti arruolati, con creatininemia < 2.5 mg/dl) tutti i soggetti con FA non idonei ad assumere Warfarin venivano randomizzati ad Aspirina ovvero Apixaban 5 mg due volte al giorno o Apixaban 2.5 mg due volte al giorno a seconda della presenza o meno di 2 dei seguenti criteri: creatininemia compresa tra 1.5 e 2.5 mg/dl, età > 80 anni e peso corporeo < 60 kg. I risultati ottenuti confermano la superiorità di Apixaban rispetto all’Aspirina nella profilassi dello stroke o dell’embolizzazione sistemica senza peraltro significative differenze nella percentuale di sanguinamenti maggiori tra i due gruppi [30]. A conclusioni simili si è giunti per i pazienti con compromissione della funzione renale da moderata a severa (es. CrCl compresa tra 25 e 50 ml/min 1.73 m2) [30].

Nel trial ARISTOTLE (Apixaban for Reduction in Stroke and Other Thromboembolic Events in Atrial Fibrillation: 18.201 soggetti con creatininemia < 2.5 mg/dl) i pazienti sono stati randomizzati ad Apixaban 5 mg due volte al giorno o a Warfarin. In una ridotta percentuale di casi Apixaban è stato somministrato al dosaggio di 2.5 mg bis in diem utilizzando gli stessi criteri adottati per lo studio AVERROES. Nelle conclusioni gli Autori affermano che Apixaban è in grado di ridurre significativamente il rischio di stroke e di embolizzazione sistemica, come pure i sanguinamenti maggiori, nei confronti del Warfarin (7). È interessante notare come nei soggetti con CrCl compresa tra 25 e 50 ml/min Apixaban abbia mostrato, rispetto a Warfarin, un trend favorevole, sebbene non statisticamente significativo, nella riduzione del rischio di stroke e una diminuzione delle complicanze emorragiche [31,32]. Sulla scorta di tali dati, nel Dicembre 2012 la FDA ha approvato Apixaban nella prevenzione dello stroke e dell’embolismo sistemico nei pazienti con FA non valvolare ai dosaggi di 5 mg due volte al giorno e, rispettivamente, 2.5 mg bis in diem in quelli con due dei seguenti criteri: creatininemia compresa fra 1.5 e 2.5 mg/dl, età > di 80 anni e peso corporeo < 60 kg. Al momento dell’approvazione, Apixaban non era raccomandato per pazienti con GFR < 25 ml/min. Tuttavia, nel 2014 in un successivo aggiornamento dell’SmPC la FDA non ritenne opportuno alcun aggiustamento del dosaggio (da 5 mg a 2.5 mg ,bis in diem) nei pazienti con ESRD, ad eccezione di quelli con età superiore ad 80 anni e di quelli con peso corporeo al di sotto di 60 kg [31,32].  Sebbene i pazienti con creatininemia > 2.5 mg/dl e CrCl < 25 ml/min/1.73 m2 o sottoposti a trattamento dialitico cronico siano stati esclusi dallo studio ARISTOTLE un piccolo trial di farmacocinetica (PK ) condotto in 8 pazienti dializzati trattati con Apixaban in singola dose v/s 8 soggetti con funzione renale normale ha confermato le raccomandazione della FDA [33]. In questo studio la somministrazione di 5 mg di Apixaban a fine dialisi determinava un incremento di circa il 36% delle concentrazioni del farmaco  rispetto ai soggetti  normofunzione renale. In un secondo trial, in cui Apixaban veniva somministrato alla dose unica di 10 mg in 24 pazienti con CKD di grado lieve-moderato e in 8 con funzione renale normale l’esposizione totale al farmaco, determinata attraverso un modello di regressione, risultava complessivamente maggiore del 44% nei soggetti con CrCl di 15 ml/min/1.73 m2 rispetto ai controlli sani [34]. Di conseguenza, i pazienti con insufficienza renale avanzata e/o ESRD mostrano un incremento dei livelli del farmaco di circa il 40% superiore. Tuttavia, ulteriori studi sono necessari al fine di stabilire il dosaggio ottimale di Apixaban in tale popolazione allo scopo di evitarne un utilizzo a dosaggio ridotto ovvero elevato. Per quel che riguarda i pazienti sottoposti a trattamento emodialitico, solo il 6.7% di Apixaban viene rimosso da una sessione standard di 4 ore  (QD: 500 ml/min; QB 300-500 ml/min; no eparina) [33]; pertanto, in caso di sovradosaggio del farmaco o di gravi fenomeni emorragici in corso di trattamento con Apixaban  la dialisi non rappresenta un’ efficace procedura per la sua rimozione dal circolo [33].

 

RIVAROXABAN

Rivaroxaban è un inibitore diretto del fattore Xa. Circa il 36% di esso viene eliminata attraverso il rene; la quota restante viene convertita in composti inattivi ad opera del fegato (Figura 4B) [35]. Nello studio randomizzato controllato ROCKET-AF, comprendente 14.264 pazienti con FA, rischio di stroke moderato-alto e CrCl > 30 ml/min, Rivaroxaban (20 mg/die) si è dimostrato non inferiore a Warfarin nella prevenzione dello stroke e dell’embolismo sistemico senza alcuna significativa differenza tra i 2 gruppi relativamente alle complicanze emorragiche. Il gruppo di pazienti con CKD lieve-moderata (CrCl compresa tra 30 e 39 ml/min) cui vennero somministrati 15 mg/die di Rivaroxaban non mostrò differenze, in termini di outcome, rispetto alla coorte con normale funzione renale trattata con 20 mg/die di Rivaroxaban [36]. Il rischio di sanguinamenti maggiori era praticamente sovrapponibile nella popolazione con CKD trattata con Warfarin o Rivaroxaban [36]. Rivaroxaban è stato approvato dalla FDA nel Novembre 2011 per l’utilizzo in pazienti con funzione renale normale ed in quelli affetti da CKD con CrCl compresa fra 15 e 50 ml/min al dosaggio di 20 mg e 15 mg una volta al giorno, rispettivamente. Un aumento di circa il 52% delle concentrazioni plasmatiche e del 26% del picco di concentrazione furono riscontrati in 8 pazienti con CKD (eGFR medio di 43 ml/min/m2) dopo una singola somministrazione di 10 mg di Rivaroxaban (35). Tuttavia, non si è avuto nessun aumento del rischio emorragico nei pazienti con CKD moderata trattati con 15 mg al giorno di Rivaroxaban rispetto al Warfarin [35].

Attualmente Rivaroxaban non viene raccomandato per i pazienti con ESRD (CrCl < 15 ml/min) o sottoposti a trattamento dialitico cronico, in quanto solo una piccola parte del farmaco viene rimosso con i trattamenti ad alti flussi [37].

 

EDOXABAN

Edoxaban è il più recente fra gli inibitori diretti del fattore Xa approvato come anticoagulante negli Stati Uniti d’America. Circa il 50% di Edoxaban viene eliminato immodificato per via renale. Le concentrazioni plasmatiche del farmaco aumentano di circa il 32%, 72% e 74%, rispettivamente, nei pazienti con compromissione della funzione renale, lieve, moderata e grave [38]. Il trial ENGAGE AF-TIMI, in cui sono stati arruolati 21.105 pazienti con FA e CrCl > 30 ml/min ha dimostrato la non inferiorità di Edoxaban al dosaggio di 60 mg/die (30 mg/die in quelli con CrCl compresa fra 30 e 49 ml/min e peso corporeo < 60 Kg) nei confronti di Warfarin nella prevenzione dello stroke o dell’embolismo sistemico in pazienti con FA [39]. Degno di nota il fatto che il rischio emorragico (sanguinamenti maggiori) risultava significativamente ridotto nei pazienti trattati con Edoxaban [39]. Per quanto riguardava invece i pazienti con CKD con CrCl < 30 ml/min un’analisi post-hoc ha dimostrato un rischio di stroke e sanguinamento sovrapponibili rispetto ai soggetti con funzione renale normale [41]. Uno studio prospettico sulla sicurezza ( 93 pazienti) ha mostrato  un tasso simile di sanguinamenti a tre mesi sia nei pazienti con CKD IV stadio trattati con Edoxaban 15 mg/die che in quelli con CrCl media di 70 ml/min che ne assumevano 30 o 60 mg/die [41]. Come per gli altri NOACs, la clearance dialitica di Edoxaban  è scarsa avendosi una riduzione della sua concentrazione plasmatica di appena il 9% dopo una sessione dialitica ad alti flussi  della durata di 4 ore [42]. In conseguenza dell’aumentato  rischio di stroke ischemico nei confronti di Warfarin osservato nei trial registrativi, la FDA ha posto una controindicazione all’utilizzo di Edoxaban nei soggetti con funzione renale normale verso i limiti alti (CrCl > 95 ml/min) [43]. Le ragioni di ciò non sono ancora state chiarite e necessitano di ulteriori studi.

 

DABIGATRAN

Dabigatran è stato il primo NOAC ad essere introdotto nella pratica clinica. Diversamente dagli altri, Dabigatran non inibisce il fattore Xa esplicando la sua azione attraverso l’inibizione del fattore II (trombina). È stato approvato dalla FDA per l’utilizzo al dosaggio di 150 mg e 110 mg due volte al giorno in pazienti con CrCl > di 50 ml/min e, rispettivamente, fra 30 e 50 ml/min. Dabigatran viene principalmente escreto dal rene (80%) e la sua eliminazione è strettamente dipendente dalla funzione renale (Figura 4C). Nello studio RE-LY (Randomized Evaluation of Long-Term Anticoagulation Therapy) Dabigatran si è rivelato nettamente superiore al Warfarin nella prevenzione dello stroke e dell’embolismo sistemico nei soggetti con FA e 1 o più fattori di rischio addizionali per stroke (HR: 0.66: 95% CI: 0.53-0.82) senza peraltro aumento del rischio di sanguinamenti maggiori (HR: 0.93; 95% CI: 0.81-1.07) [9]. Tuttavia, essendo la sua eliminazione strettamente dipendente dalla funzione renale, le innumerevoli linee guida consigliano precauzioni nel suo impiego nonchè un aggiustamento delle dosi in caso di CrCl compresa tra 30 e 50 ml/min, controindicandone l’impiego nei pazienti con gli stadi più avanzati di CKD [44]. Inoltre, in accordo con l’SmPC statunitense, la contemporanea somministrazione di Dabigatran con farmaci che inibiscono la P-glicoproteina dovrebbe essere evitata a causa del potenziale rischio di un suo accumulo. Dabigatran è l’unico NOACs dializzabile. Una seduta emodialitica della durata di 4 ore rimuove una percentuale del farmaco compresa fra il 50 ed il 60%. Tuttavia,  è possibile un rebound post-dialitico di circa il 10% in conseguenza dell’ampio volume di distribuzione di Dabigatran [45]. Sebbene uno studio abbia segnalato un incremento di 6 volte dei livelli plasmatici di Dabigatran in pazienti con CrCl < 30 ml/min rispetto a individui sani [33], la FDA ha approvato nel 2010 la riduzione del dosaggio di Dabigatran (75 mg 2 volte al giorno) solo per i pazienti con CrCl compresa fra 15 e 30 ml/min [42,44].

 

FIBRILLAZIONE ATRIALE NEI PAZIENTI CON CKD:  SCOAGULARE O NON SCOAGULARE?

I pazienti affetti da CKD presentano un aumento del rischio di aritmie e morte cardiaca improvvisa [46].  Nei soggetti con ESRD ed in quelli sottoposti a RRT la FA rappresenta l’aritmia più comune [46], manifestandosi in circa 1 paziente su 10  (prevalenza 11%; range: 5.4-27%) (1).

Trial clinici randomizzati evidenziano, nella popolazione generale, come la somministrazione di Warfarin riduce il rischio di stroke di circa il 64% nei pazienti con FA rispetto al placebo [47]. Tuttavia gli effetti dei VKA nei pazienti affetti da ESRD ed in quelli sottoposti a trattamento dialitico sono ancora in attesa di convalida; inoltre, è necessario chiarire nei primi (eGFR < 15 ml/min/1.73 m2) il ruolo di Warfarin e/o dei NOACs nel ridurre il rischio di stroke senza modificare il rischio emorragico [48]. Attualmente, non sono disponibili trial clinici randomizzati sulla sicurezza ed efficacia della terapia anticoagulante nei pazienti con ESRD ed i pochi studi osservazionali condotti per valutare il rischio di stroke e/o morte associati all’impiego di anticoagulanti hanno fornito dati contrastanti [5]. Di questi, alcuni hanno fatto rilevare un’associazione tra impiego di Warfarin ed aumento del rischio di stroke embolico [49505152] mentre altri, viceversa, sembrano dimostrare come i VKA prevengano l’insorgenza di stroke in questa popolazione [2]. I dati aggregati, peraltro, sembrano suggerire che gli anticoagulanti aumentano il rischio emorragico di almeno il 20% nei pazienti con CKD avanzata ed in quelli dializzati [35,36.39]; peraltro, alcuni AA affermano che tali pazienti presentano una mortalità più elevata in conseguenza di eventi emorragici piuttosto che di stroke embolico [5]. Diverse ragioni potrebbero spiegare perché l’anticoagulazione è meno efficace in questi pazienti, in cui le sopravvenute alterazioni emocoagulative e la disfunzione piastrinica vengono a rivestire un ruolo protettivo nei confronti degli eventi trombotici. Pertanto, il rischio relativo di stroke ischemico nei pazienti con CKD viene ad essere complessivamente più basso mentre altre comorbidità vengono ad influenzare la loro sopravvivenza indipendentemente dagli eventi tromboembolici o dallo stroke ischemico [53]. Mediamente, l’aspettativa di vita in dialisi è di circa 5 anni, mentre il 24% dei pazienti in stadio 4 CKD e il 45% di quelli in stadio 5 muore entro 5 anni [54,55].

Il problema relativo al profilo di sicurezza degli anticoagulanti orali nei pazienti con FA in trattamento dialitico è ulteriormente complicato dall’uso dell’eparina per l’anticoagulazione del circuito che aumenta, a sua volta, il rischio emorragico [32]. Inoltre, l’utilizzo degli anticoagulanti anti-vitamina K sembrerebbe favorire l’insorgenza e la progressione delle calcificazioni vascolari [5]. Al momento, sono in corso almeno sette trial volti ad analizzare l’impatto delle supplementazioni di vitamina K e/o dell’impiego di VKA sulle calcificazioni vascolari che tenteranno anche di far luce sul postulato link tra vitamina K e aterosclerosi [29].

In conseguenza dei dubbi relativi al rapporto rischio/beneficio della terapia anticoagulante nei pazienti affetti da CKD o dializzati con FA le diverse linee guida suggeriscono differenti approcci. Le linee guida AHA-ACC e HRA pubblicate nel 2014 e relative al trattamento dei pazienti con FA giustificano la prescrizione del Warfarin (target terapeutico: INR compreso tra 2 e 3) nei pazienti con FA di origine non valvolare, con CHA2DS2-VASc score ³ 2 e eGFR < 15 ml/min/1.73 m2 o in trattamento emodialitico (14). Per contro le linee guida KDIGO affermano che l’impiego routinario dell’anticoagulazione nei pazienti dializzati con FA per la prevenzione primaria dello stroke non è indicato.

 

VKA v/s NOACs NEI PAZIENTI CON CKD

Il rapporto rischio/beneficio degli anticoagulanti per la profilassi dello stroke nei pazienti con FA e compromissione della funzione renale non è stato ancora ben definito. Pertanto, le linee guida AHA-ACC e HRS indicano la terapia con il Warfarin come gold standard in corso di CKD stadio 4 (eGFR compreso fra 15 e 30 ml/min/1.73m2 ) e 5 (eGFR < 15 ml/min/1.73 m2) come pure in corso di trattamento dialitico. Tali suggerimenti sembrano essere conseguenza del variabile grado di clearance renale dei  diversi NOACs [14]. Analogamente, le linee guida della European Heart Rhythm Association sull’impiego dei NOACs nei pazienti con FA non valvolare raccomandano di non utilizzarli nei pazienti sottoposti a trattamento dialitico ed in quelli con CrCl < 30 ml/min per la mancanza di trial randomizzati nella popolazione con CKD [44]. Le più recenti linee guida ESC (European Society of Cardiology) [57[ sul trattamento con anticoagulanti della FA confermano la sicurezza e l’efficacia dell’impiego dei NOACs nei pazienti con CKD di grado moderato (CrCl 30-49 ml/min). Tuttavia, negli stadi più avanzati di CKD (CrCl < 20 ml/min) e in dialisi il Warfarin dovrebbe essere preferito ai NOACs, almeno fin quando non saranno disponibili dati di trial clinici randomizzati.

 

Tabella 3

TABELLA 3 – Raccomandazione della Società Europea di Cardiologia (ESC) per l’utilizzo dei NOACs nei pazienti con CKD (70)

 

PAZIENTI CON FIBRILLAZIONE ATRIALE NON VALVOLARE E CrCl 30-49 ml/min

 

Prima scelta –          Apixaban 5 mg due volte al giorno (o 2.5 mg 2 volte al giorno in presenza di uno o più dei seguenti criteri: 1. Età ³ 80 anni; 2. Peso corporeo £ 60 Kg; 3. Creatininemia ³ 1.5 mg/dl).

–          Rivaroxaban: 15 mg in unica somministrazione giornaliera

–          Edoxaban: 30 mg in unica somministrazione giornaliera

 

Seconda scelta  Dabigatran: 110 mg 2 volte al giorno
Non raccomandato Dabigatran: 150 mg 2 volte al giorno

Rivaroxaban: 20 mg in unica somministrazione giornaliera

Edoxaban: 60 mg in unica somministrazione giornaliera

PAZIENTI CON FIBRILLAZIONE ATRIALE NON VALVOLARE IN TRATTAMENTO EMODIALITICO

 

 

Prima scelta Non ritenuta adeguata terapia anticoagulante
Non raccomandato Dabigatran, Rivaroxaban, Apixaban* o Edoxaban

 

*Approvato dall’FDA per i pazienti emodializzati

PAZIENTI CON FIBRILLAZIONE ATRIALE NON VALVOLARE E CrCl > 95 ml/min

 

Prima scelta Dabigatran 150 mg, due volte al giorno, Rivaroxaban 20 mg in unica somministrazione giornaliera o  Apixaban 5 mg due volte al giorno
Non raccomandato Edoxaban 60 mg in unica somministrazione giornaliera (non raccomandato negli USA sulla base delle indicazioni della FDA)

 

La progressione della malattia renale cronica è frequentemente caratterizzata da oscillazioni dei livelli sierici di creatinina come pure da episodi di danno renale acuto che potendo condizionare la clearance renale dei NOACs espongono i pazienti ad aumento del rischio emorragico. Di conseguenza, si dovrebbe prestare estrema attenzione all’utilizzo dei NOACs nei pazienti con CKD, in particolar modo in quelli con CrCl < 20 ml/min, anche se negli USA il SmPCs dei NOACs permette l’uso di Apixaban e Edoxaban negli stadi avanzati di CKD [60]. Studi prospettici randomizzati sono ulteriormente necessari per stabilire l’efficacia e la sicurezza dei NOACs in questa pazienti. La terapia con NOACs nei nefropatici con CrCl < 20 ml/min necessita di uno stretto monitoraggio della funzione renale, almeno ogni 2-3 mesi, mentre in presenza di danno renale acuto è necessario sospenderla.

Accanto alle complicanze emorragiche, sono stati messi in evidenza alcuni aspetti relativi alla Nefropatia anticoagulazione-correlata (ARN) ed alla progressione della CKD secondaria all’uso dei NOACs [61,62]. I dati provenienti dai registri suggeriscono che il sovradosaggio di anticoagulanti potrebbe indurre episodi di danno renale acuto (ARN) e che il ripetersi di questi, a loro volta, acceleri la progressione della CKD facendone presagire una prognosi sfavorevole [61]. Per quanto preliminari, i dati provenienti da trial in fase III su 20.172 pazienti trattati con NOACs o Warfarin suggeriscono una progressione simile della CKD con ambedue le classi di  anticoagulanti [61]. A fronte del limitato numero di dati a sostegno dell’efficacia e della sicurezza del loro impiego, l’uso dei NOACs nei pazienti dializzati sta progressivamente aumentando così come gli effetti collaterali, specialmente quelli di natura emorragica. In un recente studio Chan et al hanno riportato un significativo aumento del rischio di ospedalizzazione o morte,  dal 38 al 48% in più,  conseguenti a complicanze emorragiche sopravvenute in corso di trattamento con Dabigatran e Rivaroxaban rispetto al Warfarin [15]. In caso di utilizzo dei NOACs, la dose di Apixaban suggerita nei pazienti con CKD avanzata o in dialisi è di 2.5-5.0 mg bis in diem; anche Rivaroxaban o Edoxaban a dosaggio ridotto possono essere utilmente impiegati nelle fasi avanzate della CKD. Per quanto riguarda , invece, Dabigatran questo risulta meno efficace a causa della sua stretta dipendenza dalla clearance renale e dell’elevato rischio di sanguinamenti maggiori in caso di CrCl inferiore a 50 ml/min. Infine, nei pazienti dializzati, quest’ultimo potrebbe accumularsi in caso di mancato trattamento contribuendo così ad alcuni dei riportati  rischi di sanguinamento occorsi in tale popolazione [15].

I NOACs potrebbero diventare una valida alternativa terapeutica nei pazienti con CKD poichè i VKA sembrano essere associati a progressione delle calcificazioni vascolari come pure ad arteriolopatia calcifica uremica (calcifilassi) [63,5]. A tale proposito, successivi trial clinici valuteranno gli effetti di tre differenti regimi terapeutici (VKA vs Rivaroxaban vs Rivaroxaban + supplementazioni di vitamina K) sulle calcificazioni coronariche nei pazienti con CKD [29]. Ulteriori strategie per la prevenzione dello stroke ischemico, quali la chiusura per via percutanea dell’auricola sinistra, potrebbero essere presi in considerazione nei pazienti intolleranti al Warfarin o non idonei alla terapia anticoagulante. Sebbene non ancora dimostrato, questo approccio si è rivelato particolarmente accattivante nei pazienti con ESRD in special modo alla luce della significativa riduzione del rischio emorragico che esso realizza. [65,12].

 

SANGUINAMENTI DA NOACs NEI PAZIENTI  DIALIZZATI E CON CKD

I fenomeni emorragici possono divenire una importante emergenza in corso di ESRD, in particolar modo nei pazienti emodializzati, come  conseguenza dell’impiego dell’eparina per l’anticoagulazione del circuito. Come premesso, trial clinici di fase III volti a valutare i profili di sicurezza ed efficacia di Rivaroxaban, Edoxaban e Dabigatran come pure di Apixaban hanno escluso il loro impiego nei pazienti con CrCl < 30 ml/min e 25 ml/min, rispettivamente [666768697071727374]. Pertanto, non è ancora ben chiaro fino a quale livello di funzione renale i NOACs possano essere impiegati. Una review sistematica e metanalisi delle evidenze disponibili hanno riassunto e valutato criticamente l’impatto dei NOACs nei confronti dei VKAs relativamente al rischio di stroke emorragico e sanguinamenti maggiori nei pazienti con diverso grado di compromissione della funzione renale [75]. I risultati ottenuti da 9 trial clinici randomizzati indicano, complessivamente, che l’utilizzo dei NOACs nei pazienti con CKD è associato ad un rischio minore di stroke emorragico rispetto a Warfarin. Tuttavia, l’analisi di Bayesan sembra suggerire una differenza sostanziale tra i vari NOACS nei pazienti con CrCl < 50 ml/min e che Apixaban sarebbe associato con rischio di sanguinamenti maggiori significativamente più basso quando confrontato con le altre molecole. È ragionevole ritenere che questo differente profilo di rapporto rischio/beneficio sia basato sulle proprietà farmacocinetiche di Apixaban che viene solo minimamente escreto attraverso il rene ( circa il 27% di Apixaban, 35% di Rivaroxaban, 50% di Edoxaban, 80% di Dabigatran sono eliminati per via renale). Dabigatran è, tra i NOACs, quello maggiormente dipendente dalla clearance renale (circa 80%) per la sua eliminazione. Diversamente dalle altre molecole, è notevolmente dializzabile, venendo rimosso dal plasma per una percentuale variabile dal 50 al 60% in una seduta emodialitica della durata di quattro ore [76]. Tuttavia, essendovi un rebound della sua concentrazione plasmatica al termine della dialisi, tale metodica non è utilizzabile in caso di sovradosaggio del Dabigatran. In caso di necessità immediata di un suo antagonista è possibile ricorrere all’Idarucizumab il quale si è rivelato in grado di neutralizzare gli effetti anticoagulanti del Dabigatran [77].  L’eliminazione di Idarucizumab è parzialmente dipendente da grado di funzione renale (circa il 32% del farmaco viene escreto dal rene entro 6 ore dalla sua somministrazione) ma il suo utilizzo è stato approvato per i pazienti con insufficienza renale.

L’azione anticoagulante di Warfarin, Apixaban, Rivaroxaban e Edoxaban può essere antagonizzato dalla somministrazione di un concentrato del complesso fattore IV-protrombina che è in grado di rimpiazzare i fattori della coagulazione assai più rapidamente del plasma fresco congelato e con un minor sovraccarico di volume [81]. Tuttavia, antidoti specifici dei NOACs sono attualmente ancora in fase di sviluppo e saranno verosimilmente disponibili sul mercato in un prossimo futuro [82].

 

CONCLUSIONI

Nonostante le raccomandazioni dell’AHA-ACC e dell’European Heart Rhythm Association e i suggerimenti delle linee guide ESC circa l’utilizzo del Warfarin come anticoagulante di scelta nei pazienti con CKD avanzata (CrCl) e FA non valvolare l’uso dei NOACs in questi pazienti sta progressivamente aumentando [12]. Al momento vi sono scarsi  dati provenienti da trial clinici randomizzati e da studi osservazionali sui NOACs in pazienti con CKD avanzata o sottoposti a trattamento dialitico cronico. Tuttavia il rapporto rischio/beneficio associato all’uso dei NOACs, così come emerge dai trial clinici di fase III effettuati nei pazienti affetti da CKD con CrCl compresa fra 25-50 ml/min, appaiono simili a quelli osservati in altre popolazioni ad alto rischio, quali gli anziani ed i soggetti con basso peso corporeo. Anche se incoraggianti, alcuni aspetti legati all’eccessivo rischio emorragico, soprattutto nei dializzati, restano ancora irrisolti. In considerazione della stretta dipendenza dei NOACs dall’eliminazione renale appare fondamentale la correzione della dose che consenta l’ottimizzazione della prevenzione dello stroke insieme con la riduzione del pericolo di sanguinamenti.

In conclusione, il miglioramento del profilo di sicurezza dei NOACs rispetto al Warfarin nella popolazione generale rappresenta uno stimolo al miglioramento della strategie anticoagulanti anche per i pazienti affetti da CKD. Nello stesso tempo, per il loro particolare profilo metabolico e per l’elevato rischio di sanguinamento e trombosi sono necessari ulteriori studi nelle fasi più avanzate della CKD e nella popolazione dialitica.

 

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  82. Bellasi A, Di Lullo L, Melfa G, Minoretti C, Ratti C, Campana C, Volpi M, Mangano S, Di Iorio B, Cozzolino M. New oral anticoagulants (NOAC) in nephrology. G Ital Nefrol 2016, Jul – Aug 33 (4)
Tabella 1

TABELLA 1 – PRINCIPALI CARATTERISTICHE DEL WARFARIN E DEI NOACs

 

 

 

Parametri Warfarin Dabigatran Apixaban Rivaroxaban Edoxaban
Clearance renale < 1% 80% 27% 36% 50%
Volume di distribuzione

(litri)

8 50-10 2 50 107
Legame proteico plasmatico (%) 99 35 87 95 54
Emivita plasmatica (ore) 20-60 7-17 8-15 7-13 9-11
Rimozione dialitica per singola seduta

(durata: 4 ore)

< 1% 50-60% 7% < 1% 9%
Antagonisti disponibili Vitamina K,

FFP, 4F-PCC

Idarucizumab 4F-PCC 4F-PCC 4F-PCC
Valore di GFR minimo consentito dalla

FDA per la prescrivibilità

Prescrivibile nel

paziente dializzato

15 < 15* 15 15
HR (95%) di stroke rispetto a Warfarin

(CrCl < 50 ml/min)

Reference 0.56 (0.37-0.85) 0.79 (0.55-1.14) 0.88 (0.65-1.19) 0.87 (0.65-1.18)
HR (95%) di sanguinamenti maggiori

rispetto a Warfarin

(CrCl < 50 ml/min)

Reference 1.01 (0.79-1.30) 0.50 (0.38-0.66) 0.98 (0.84-1.14) 0.76 (0.58-0.98)

 

Legenda: CrCl: clearance della creatinina; FDA: Food and Drug Administration; FFP: Plasma Fresco Congelato; 4F-PPC: Complesso Protrombinico Umano a 4 Fattori; HR: hazard ratio; * Nei pazienti con CrCl < 15 ml/min è consigliabile utilizzare apixaban al dosaggio di 5 mg due volte al giorno come emerge da studi di farmacocinetica e farmacodinamica. Studi riguardanti l’efficacia clinica e la sicurezza a lungo termine non sono stati effettuati in tali popolazioni; pertanto si consiglia di utilizzare apixaban con prudenza nei pazienti con ESRD.

Tabella 2

TABELLA 2 – Adeguamento del dosaggio dei NOACs ai valori di GFR

 

 

PRINCIPIO ATTIVO CRITERIO PER LA RIDUZIONE DEL DOSAGGIO DOSAGGIO RIDOTTO
Dabigatran CrCl < 50 ml/min/m2 110 mg due volte al giorno (raccomandazioni ESC)
Rivaroxaban CrCl < 50 ml/min/m2 15 mg una volta al giorno
Apixaban 2 di 3 dei seguenti criteri: 1) età ³ 80 anni; 2) peso corporeo £ 60 Kg; 3) creatinina ³ 1.5 mg/dl 2,5 mg due volte al giorno
Edoxaban CrCl < 50 ml/min/m2 30 mg una volta al giorno

 

Legenda:  CrCl: clearance della creatinina; GFR: filtrato glomerulare.