Utility of computerized vascular access monitoring: a pilot study

Abstract

The surveillance of a vascular access (VA) is of primary importance for its outcome and for the patients’ survival. However, there is still confusion about its usefulness, who should make it (physician or nurse) and when, and what is the best functional test to use. This retrospective analysis reports our experience of VA monitoring; it is based on the collaboration between concept doctors and nurses and on parameters integration, realized with the help of a software for vascular access monitoring (SMAV) designed by us. The analysis confronts the data gathered on a group of 100 patients, 13 months before the adoption of the SMAV, and another 100 patients, 19 months after. Of these patients, 13 belonged to both groups and were “controls of themselves”. The number of thrombosis and angioplasties (PTA) plummeted in the 19 months in which the SMAV was used, from 10 (10%; 0.008 thrombosis/patient month) to 1 (1%; 0.0005 thrombosis/patient month) (p <0.01) and from 49 (49%; 0.037 PTA/patient month) to 27 (27%; 0.014PTA/patient month) (p <0.05) respectively. In the 13 control patients, a reduction of 70% in the number of PTA (from 26 to 8) was observed. SMAV allowed us to integrate the many functional parameters, making it easy to share information, encouraging teamwork, strengthening professional skills, and favouring the best management of AVs. The result was a reduction in thrombotic events and, surprisingly, a reduction of the need for PTA, most likely thanks to the higher level of attention in the evaluation and puncture of AV.

 

Keywords: arterio-venous fistula, surveillance, SMAV

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Introduzione

A fronte di un continuo aumento della prevalenza dell’insufficienza renale cronica terminale (ESRD), conseguenza sia dell’aumento della popolazione anziana con patologie cardiovascolari legate a diabete mellito ed ipertensione arteriosa sia dell’invecchiamento demografico [1], l’emodialisi costituisce la metodica più frequentemente scelta, dai clinici e dai pazienti, tra le modalità di terapia sostitutiva nei diversi paesi del mondo [2]. Nel 2010 c’erano 2.618.000 di persone al mondo trattate con metodiche emodialitiche [3]. In Italia, secondo i dati del Registro Italiano Dialisi e Trapianto, nel 2017 la prevalenza di emodializzati era di 42.500 [4]. In Lombardia, secondo i dati del Registro Lombardo di Dialisi e Trapianto del 2018 [5], a fronte di una prevalenza di dializzati di 7739 pazienti ed un’incidenza annuale di 1744 pazienti (173,35 per milione di abitanti), si registra che l’83% dei pazienti effettuava un trattamento di emodialisi (1471 pazienti). Di questi pazienti il 62% dializzava tramite una fistola su vasi nativi e il 7% con una protesi; una significativa percentuale di pazienti, il 31%, dializzava tramite un catetere venoso centrale (https://www.nefrolombardia.org/registro/). La fistola su vasi nativi (AVF) è l’accesso vascolare di prima scelta per il trattamento emodialitico, per un maggior tasso di pervietà rispetto alle fistole protesiche (AVGs) [6, 7], un minor rischio infettivo e di mortalità rispetto ai cateteri venosi centrali [8], e per le performances funzionali. Tuttavia, nonostante i notevoli progressi tecnologici dei materiali delle protesi vascolari e l’affinamento della nefrologia interventistica, la frequenza del suo utilizzo è piuttosto variabile tra i vari centri dialisi, in parte per difficoltà di confezionamento dovuto allo scarso patrimonio vascolare di pazienti anziani e pluricomorbidi [9], ma anche per prassi e consuetudini eterogenee (che vanno dalla tempistica del referral alla ottimale gestione della terapia conservativa) e per l’esperienza chirurgica del team nefrologico. Tali criticità sono state pienamente recepite dalla Regione Lombardia [10], che ha dato mandato alle varie ASST di costituire per ogni Nefrologia un team multidisciplinare (nefrologo, chirurgo vascolare, radiologo interventista e infermiere) dedicato al confezionamento e alla gestione degli accessi vascolari. A proposito di quest’ultimo aspetto, è vitale la gestione medico-infermieristica dell’accesso vascolare, effettuata con il monitoraggio mediante esame obiettivo e la sorveglianza con esami strumentali [9, 11]. L’utilità del monitoraggio/sorveglianza della fistola artero-venosa è però alquanto dibattuta. Se da un lato vi sono linee guida che enfatizzano il monitoraggio, più che la sorveglianza, dall’altro i vari studi non hanno consentito di produrre forti evidenze di grado 1-A a favore dell’uno o dell’altro. Inoltre, non ci sono indicazioni chiare su chi deve effettuarli (il medico o l’infermiere?), con quale tempistica e, soprattutto, quale parametro funzionale dell’accesso vascolare è da ritenersi il più predittivo della sua sopravvivenza, o se non sia piuttosto meglio integrare le informazioni date da più test funzionali. 

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