Thrombotic microangiopathy: atypical hemolytic uremic syndrome

Abstract

Atypical hemolytic uremic syndrome is an ultra-rare disease characterized by acute kidney injury, thrombocytopenia, and microangiopathic hemolytic anemia (thrombotic microangiopathy) that occurs with a reported incidence of approximately 0.5 per million per year.

At least 50% of patients with aHUS have an underlying inherited and/or acquired complement abnormality, which leads to dysregulated activity of the alternative pathway at the endothelial cell surface.

Until recently, the prognosis for aHUS was poor, with the majority of patients developing end-stage renal disease within 2 years of presentation. However, with the introduction of eculizumab, a humanized monoclonal antibody against C5, effective to inhibit complement-mediated thrombotic microangiopathy, it is now possible to control the renal disease and prevent development of end-stage renal disease.

Dosing schedule and treatment duration remain controversial and should be rigorously studied.

On this regard, C5b-9 endothelial deposition assay may represent an advance to monitor complement activity in aHUS and to individualize therapy, but currently it can be performed in only specialized laboratories.

 

Keywords: Atypical hemolytic uremic syndrome, complement, anti-C5 monoclonal antibody, C5b-9 assay

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Introduzione

Il termine sindrome emolitico-uremica (SEU) atipica è stato utilizzato per molto tempo per definire qualsiasi forma di SEU non causata da Shiga-tossina (SEU tipica). Le attuali classificazioni riflettono una maggiore comprensione dei meccanismi della malattia, compreso l’impatto del background genetico e dei fattori scatenanti [1]. L’indagine per Shiga-tossina dovrebbe essere comunque di routine in tutti i pazienti con presunta SEU atipica, poiché circa il 5% dei casi di SEU da Shiga-tossina non ha diarrea prodromica, mentre il 30% dei casi di SEU atipica mediata dal complemento ha diarrea o gastroenterite concomitanti.

Attualmente si usa spesso il termine di SEU atipica primaria quando si sospetta fortemente un’anomalia genetica (o acquisita) della via alternativa del sistema del complemento e sono state escluse altre cause di SEU secondaria. Tuttavia, anche in alcuni di questi ultimi casi può venire identificata un’anomalia del complemento. In molti pazienti con un sottostante fattore di rischio del complemento, è inoltre necessario un fattore scatenante per la manifestazione della SEU atipica [2]. Fattori scatenanti possono includere condizioni autoimmuni, trapianto, gravidanza, infezioni, farmaci e condizioni metaboliche [3].

La dimostrazione che la SEU atipica è una malattia associata ad anomalie del complemento ha aperto la strada a trattamenti complemento-specifici, come l’eculizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro il fattore C5 del complemento [4], che ha migliorato notevolmente la prognosi a lungo termine di questa patologia modificandone drasticamente la storia naturale.

 

Implicazioni delle anomalie genetiche nella SEU atipica

Studi su centinaia di pazienti con SEU atipica hanno permesso di comprendere i fattori genetici della malattia e fornito informazioni in merito alle correlazioni genotipo-fenotipo predittive della progressione della malattia, della risposta alla terapia e del rischio di recidiva dopo il trapianto [5].

Il pannello base di geni da analizzare nello screening genetico della SEU atipica (attualmente mediante Next generation sequencing) dovrebbe comprendere CFH, CD46, CFI, C3, CFB, THBD, CFHR1 e DGKE [611]. Questa analisi dovrebbe includere anche la genotipizzazione per gli aplotipi di rischio CFH-H3 e MCPggaac [12], che rappresentano fattori genetici di suscettibilità per la SEU atipica, spesso presenti in concomitanza con una variante patogenetica.

Nella SEU atipica, le varianti patogenetiche compromettono in modo specifico la capacità di proteggere le cellule endoteliali e le piastrine dell’ospite dal danno o dall’attivazione del complemento [1315]. È inoltre chiaro che la combinazione di diverse varianti patogenetiche e/o la combinazione di varianti patogenetiche e degli aplotipi di suscettibilità in CFH e MCP determinano il rischio e la predisposizione genetica individuale alla SEU atipica [12, 1618].

Le analisi genetiche devono inoltre includere tecnologie adeguate (quale la metodica MLPA, Multiplex Ligation-dependent Probe Amplification) per rilevare la variazione del numero di copie dei geni CFHR, i geni ibridi e altri complessi riarrangiamenti genomici nella regione genomica di CFH/CFHR [1921]. La presenza della delezione in omozigosi dei geni CFHR3-CFHR1 rappresenta un fattore di rischio per la formazione di anticorpi anti-Fattore H, identificati nel 5-10% dei casi di SEU atipica (specialmente bambini) e solitamente associati con questa delezione in omozigosi [22].

L’identificazione di una variante genetica patogenetica in un paziente con SEU atipica rafforza la diagnosi e stabilisce con precisione la causa della malattia, facilitando la gestione del paziente [5].

L’analisi genetica è inoltre essenziale nel trapianto di rene da donatore vivente [23]. La raccomandazione generale nella SEU atipica è che il trapianto da donatore consanguineo di rene dovrebbe essere preso in considerazione solo nel caso in cui fattori genetici chiaramente identificati nel ricevente siano assenti nel donatore consanguineo. In questo contesto, la presenza nel donatore degli aplotipi di suscettibilità CFH-H3 o MCPggaac non costituisce una controindicazione alla donazione [5].

Questo livello di comprensione supporta un approccio individualizzato alla gestione e al trattamento del paziente basato sull’interpretazione esperta dei profili genetici e richiede la diagnostica molecolare in ogni paziente. I tempi per ottenere i risultati dagli studi genetici non dovrebbero peraltro posticipare il trattamento, poiché il trattamento precoce è fondamentale per preservare la funzione renale ed evitare sequele irreversibili [24].

 

Trattamento della SEU atipica

La dimostrazione che la SEU atipica è una malattia associata ad anomalie del complemento ha aperto la strada a trattamenti complemento-specifici.

L’introduzione di eculizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro il fattore C5 del complemento [4], ha cambiato la storia naturale della SEU atipica. Prima di eculizumab, nella maggior parte dei pazienti con SEU atipica la malattia progrediva verso l’insufficienza renale terminale, momento in cui il processo di microangiopatia trombotica di solito cessava [25]. Con la terapia inibitoria del complemento, la perfusione glomerulare e la funzione renale vengono invece mantenute.

Tutti i pazienti con una diagnosi clinica di SEU atipica primaria sono eleggibili per il trattamento con un inibitore del complemento. Viene raccomandato di seguire lo schema posologico riportato negli studi [4], sebbene siano state prese in considerazione due possibili opzioni per modificare il dosaggio: la dose minima richiesta per ottenere il blocco del complemento, e uno schema posologico di allungamento dell’intervallo delle infusioni fino all’interruzione del trattamento [4]. Non ci sono però dati a supporto di nessuna delle due opzioni ed entrambe richiedono il monitoraggio dell’attività del complemento. Non è comunque raccomandata l’interruzione della terapia che blocca la via terminale del complemento durante una malattia intercorrente, una situazione ad alto rischio di recidiva di SEU atipica.

Se l’accesso alla terapia con eculizumab non è disponibile, è possibile utilizzare il plasma. Il trattamento con plasma-exchange dovrebbe essere preso in considerazione anche per la SEU atipica associata ad anticorpi anti-Fattore H e nel trattamento di emergenza di pazienti critici con grave microangiopatia trombotica (ad es. coma o convulsioni) e un forte sospetto di porpora trombotica trombocitopenica, fino a quando non si dimostra che l’attività di ADAMTS13 sia superiore al 10% [26].

L’utilizzo di plasma-exchange quando l’eculizumab è disponibile può essere associato a qualche miglioramento del quadro clinico, ma può esserci il rischio che ritardare l’inizio della terapia con eculizumab possa portare a un risultato terapeutico non ottimale.

La durata del trattamento con eculizumab è controversa e ad oggi non ci sono prove a sostegno di una terapia permanente in tutti i pazienti affetti da SEU atipica. Gli esperti sono comunque a favore di un periodo minimo di trattamento per consentire un recupero renale ottimale senza recidive precoci [5]. Non ci sono infatti studi prospettici controllati in pazienti con SEU atipica per definire i criteri per l’interruzione della terapia con eculizumab. L’interruzione del trattamento può essere presa in considerazione caso per caso nei pazienti dopo almeno 6-12 mesi di trattamento e almeno 3 mesi di normalizzazione (o stabilizzazione in caso di malattia renale cronica residua) della funzionalità renale. Una interruzione anticipata (a 3 mesi) può essere presa in considerazione nei pazienti (soprattutto bambini) con varianti patogenetiche nel gene MCP, se si è verificata una rapida remissione e recupero della funzione renale [5]. Nei pazienti sottoposti a dialisi, la terapia con eculizumab deve essere mantenuta per almeno 4-6 mesi prima di considerare l’interruzione. Nei pazienti che hanno subito un trapianto, in particolare quelli che hanno perso precedenti trapianti, l’interruzione non è raccomandata [27, 28].

Gli studi prospettici sono fondamentali per valutare parametri predittivi di recidiva e per definire in che modo la genetica, la qualità del recupero renale, l’età, la presenza o assenza di un evento scatenante e biomarcatori correlati all’attivazione del complemento e/o al danno delle cellule endoteliali possano dare informazioni utili per decidere in merito alla sospensione della terapia con eculizumab.

Se la terapia con eculizumab deve essere interrotta, è comunque fondamentale un attento e periodico monitoraggio della funzionalità renale e dei parametri ematologici.

 

Trapianto di rene nella SEU atipica

Il trapianto di rene dovrebbe essere posticipato fino ad almeno 6 mesi dopo l’inizio della dialisi poiché può verificarsi un minimo recupero renale diversi mesi dopo l’inizio della terapia con eculizumab [29, 30]. La risoluzione dei segni ematologici della microangiopatia trombotica e delle manifestazioni extrarenali è un prerequisito per il trapianto. La decisione di utilizzare la terapia di inibizione del complemento per il trapianto dovrebbe essere basata sul rischio di recidiva [5].

La donazione di rene da vivente può comportare un rischio di recidiva nel ricevente e un rischio di malattia de novo nel donatore se il donatore è portatore di una variante genetica di rischio. Dovrebbero essere quindi esclusi potenziali donatori con evidenza di attività anomala della via alternativa del complemento. Se il potenziale donatore vivente non è portatore di una variante patogenetica in un gene del complemento e non ha evidenza di un’attivazione anomala del complemento, la donazione è invece possibile [5].

 

Test di deposizione endoteliale del complesso terminale del complemento C5b-9

Nella SEU atipica si verifica un’attivazione del complemento ristretta all’endotelio e la remissione clinica si basa su un’efficace inibizione del complemento a livello endoteliale.

Nel 2014 Noris M., Galbusera M. e collaboratori hanno analizzato un gruppo di 44 pazienti affetti da SEU atipica per testare nuovi saggi di attivazione del complemento e per trovare uno strumento per il monitoraggio dell’efficacia di eculizumab [31].

Nel 50% dei pazienti vi erano normali livelli nel circolo di C3, C5a o di C5b-9 solubile, anche durante la fase acuta della malattia, il che indicava che questi non erano utili marcatori di attivazione del complemento nella malattia. Invece, il siero prelevato in fase acuta di SEU atipica, ma non il siero in fase di remissione, induceva un’aumentata deposizione di C5b-9, rispetto al siero di controllo, su cellule endoteliali microvascolari umane non stimolate (HMEC). Inoltre, nelle cellule HMEC attivate con adenosina difosfato anche il siero raccolto in remissione induceva un eccesso di depositi di C5b-9 nella maggior parte dei pazienti.

I risultati di cui sopra confermavano precedenti studi in vitro con proteine mutanti del complemento, indicando che l’attivazione del complemento sulle cellule endoteliali piuttosto che in fase fluida svolge un ruolo patogenetico nella SEU atipica [8, 3234].

Inoltre in 8 pazienti affetti da SEU atipica trattati con eculizumab, i depositi di C5b-9 endoteliali si normalizzavano dopo il trattamento, in parallelo o addirittura precedendo la remissione, e guidavano il dosaggio e la tempistica del farmaco.

Questi risultati indicavano che per il trattamento della SEU atipica è necessaria un’efficace inibizione del complemento a livello endoteliale, che permette di proteggere dalla trombosi microvascolare, e che i depositi endoteliali di C5b-9 indotti dal siero ex vivo sono uno strumento sensibile per monitorare l’attivazione del complemento e l’efficacia di eculizumab nella SEU atipica.

Nel 2019 Galbusera M. e collaboratori valutavano inoltre l’utilità del test di deposizione endoteliale di C5b-9 ex vivo per differenziare la SEU atipica attiva dalla remissione, monitorare l’efficacia della terapia con eculizumab, e identificare le recidive della malattia durante la riduzione graduale del dosaggio di eculizumab e dopo l’interruzione del trattamento [35]. I test con cellule HMEC attivate con adenosina difosfato mostravano depositi di C5b-9 elevati per i pazienti con SEU atipica non in trattamento con eculizumab, indipendentemente dall’attività della malattia, mentre i test con cellule HMEC non stimolate mostravano depositi di C5b-9 solo nella malattia attiva. I depositi di C5b-9 indotti dal siero sull’endotelio attivato e su quello non stimolato si normalizzavano durante il trattamento con eculizumab. La maggior parte dei pazienti trattati con eculizumab a intervalli di somministrazione estesi di 3 o 4 settimane dimostravano normali depositi di C5b-9 sull’endotelio attivato. Durante la riduzione graduale del dosaggio di eculizumab o dopo l’interruzione del trattamento, tutti i pazienti che manifestavano ricadute della malattia avevano depositi di C5b-9 elevati sull’endotelio non stimolato.

Sulla base di questi risultati, il test di deposizione endoteliale di C5b-9 (eseguito però solo in laboratori specializzati) può rappresentare un utile marcatore per monitorare l’attività della SEU atipica e personalizzare la terapia con eculizumab.

 

Conclusioni

I test genetici dovrebbero essere effettuati in tutte le persone con sospetta SEU atipica primaria, nei pazienti candidati a trapianto renale per SEU atipica e nei pazienti in cui si sta valutando l’interruzione della terapia con eculizumab.

Nonostante i notevoli progressi nella nostra comprensione dei meccanismi patologici sottostanti coinvolti nella SEU atipica, molto resta da imparare sul trattamento. L’eculizumab ha modificato la storia naturale della SEU atipica, ma sono sorte controversie in diverse aree del trattamento, in particolare il dosaggio e la durata del trattamento rimangono da stabilire e dovrebbero essere rigorosamente studiati.

A tale proposito, lo studio dei depositi endoteliali di C5b-9 potrebbe aiutare a monitorare l’efficacia di eculizumab, e potrebbe essere uno strumento utile per regolare la dose di eculizumab e l’estensione dell’intervallo tra le dosi per mantenere bloccato il complemento a livello endoteliale.

Il test di deposizione endoteliale C5b-9 può rappresentare quindi un aiuto nella capacità di monitorare l’attività del complemento nella SEU atipica e nel personalizzare la terapia.

Il limite è rappresentato dal fatto che questo test può essere eseguito solo in laboratori specializzati. I risultati sulla riduzione graduale del dosaggio di eculizumab devono inoltre essere confermati con studi di monitoraggio della deposizione di C5b-9.

Dovrebbero inoltre essere condotti studi prospettici prima di poter raccomandare questo test nella pratica clinica.

Un biomarcatore predittivo rappresenterebbe comunque una preziosa salvaguardia per la riduzione graduale del dosaggio o per l’eventuale interruzione del trattamento con eculizumab perché porterebbe alla ripresa precoce del trattamento prima di una recidiva conclamata di SEU atipica e/o al mantenimento del trattamento nei pazienti a rischio di recidiva.

 

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Acute HCV-induced hepatitis in a patient affected by atypical hemolytic uremic syndrome (aHUS) treated with Eculizumab – case report

Abstract

Atypical hemolytic uremic syndrome (aHUS) is a rare and heterogenous disease caused by a disregulation of the alternative pathway of the complement cascade. Specifically, microvascular damage is produced that can lead to acute kidney disease, hemolytic anemia and thrombocytopenia. It accounts for 10% of all hemolytic uremic syndromes and can result in death or in end stage renal disease since the first episode [1,2]. We can differentiate two forms of aHUS: a sporadic form (80%), affecting adult people, and a familial form (20%) that usually became manifest during infancy [1, 4]. In the acute phase of the disease, frequent and severe anemia requires multiple blood transfusions, exposing patients to the risk of catching an infective disease. HCV hepatitis is the most prevalent chronic hepatitis worldwide, with approximately 170 million chronically infected individuals – many of which are unaware of their condition. The evolution of the HCV infection is variable: almost 20% of patients spontaneously clear the infection over time (Anti HCV positive, HCV RNA negative patients); 80% of patients cannot control the virus and develop chronic infection (Anti HCV positive; HCV RNA positive patients) that can evolve into liver cirrhosis and hepatocellular carcinoma [12, 15]. The aim of this paper is to describe a clinical case of acute HCV hepatitis in a patient with aHUS treated with Eculizumab.

Keywords: atypical hemolytic uremic syndrome, aHUS, hepatitis C virus, HCV, Eculizumab, acute hepatitis

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Descrizione del caso clinico

Nel presente articolo discutiamo il caso clinico di un paziente di 75 anni ricoverato presso il nostro Reparto per tre volte nel corso di sei mesi e giunto per la prima volta alla nostra osservazione con un quadro clinico di grave insufficienza renale acuta associata a crisi ipertensiva, grave anemia e polmonite lobare superiore sinistra.

 

Primo ricovero

Il paziente viene trasferito presso il nostro reparto con un quadro di insufficienza renale acuta ingravescente (Creatininemia = 7,96 mg/dl; Azotemia = 231 mg/dl) associata a pancitopenia (HB 7.0 g/dl; GB 3630/mcL; PLT 84000/mcL) ed a segni di ematuria e proteinuria all’esame estemporaneo delle urine.  Alla TAC Torace ed Addome senza mdc si rilevava la presenza di un ispessimento interstiziale peribroncovasale, prevalente al lobo superiore sx a cui si associava una iperdensità a vetro smerigliato e versamento pleurico bilaterale; i reni erano morfo-volumetricamente nei limiti della norma e non si rilevavano dilatazioni delle vie urinarie. L’anamnesi patologica remota era positiva solo per lieve anemia, la cui etiopatogenesi non era mai stata indagata; il paziente riferiva che nel corso dell’ultima settimana aveva presentato ematuria associata a cefalea, nausea, vomito ed intensa astenia.

Nel tentativo di definire l’eziopatogenesi dell’insufficienza renale, furono effettuati esami immunologici quali C-ANCA, P-ANCA, ANA, Anti-DNA, ENA profile che dettero tutti esito negativo mentre il dosaggio dei fattori C3 e C4 del complemento evidenziavano un consumo della componente C3 (0,55 gr/L).

In seconda giornata, in virtù dell’ulteriore peggioramento degli indici di funzionalità renale (Creatininemia = 9,47 mg/dl; Azotemia = 240 mg/dl), si sottopose il paziente a trattamento emodialitico sostitutivo. Al fine di individuare la causa della grave anemia, si richiese il riscontro del sangue occulto fecale (SOF) su tre campioni che risultò negativo nonché si sottopose il paziente ad EGDS che risultò nei limiti della norma; si eseguirono inoltre Test di Coombs diretto ed indiretto anch’essi negativi, mentre l’aptoglobina risultava lievemente ridotta e l’LDH lievemente aumentata.

Ci si orientò così su una microangiopatia trombotica e, dopo aver escluso che potesse trattarsi una porpora trombotica trombocitopenica previo dosaggio dell’ADAMTS13 Ag (che risultava ridotto) e della Attività della ADAMTS13 (nella norma 77%), si ebbe il sospetto clinico che potesse trattarsi di una Sindrome Uremico Emolitica atipica.

Fu così sottoposto a trattamenti plasmaferetici per tre giorni, ottenendo una parziale remissione dell’insufficienza renale dopodiché fu trasferito presso altra struttura al fine di effettuare una biopsia renale.

Nel corso del primo ricovero, le ripetute e gravi anemizzazioni richiesero plurime emotrasfusioni di emazie concentrate.

 

Secondo ricovero

Il paziente ritorna alla nostra osservazione dopo aver eseguito biopsia renale che evidenziava la presenza, sull’unico frustolo prelevato e contenente otto glomeruli, di segni compatibili con microangiopatia trombotica. In particolare, all’esame strutturale si rilevavano su due glomeruli la presenza di “lumi pervi, membrane basali libere da depositi e di spessore segmentale aumentato per espansione della lamina rara interna; tale espansione si associa a presenza di materiale amorfo-granulare; collasso di anse capillari con ripiegamento marcato della membrana basale; endotelio con perdita di fenestratura e distacco della membrana basale; nulla di importante a carico del mesangio; assenti depositi granulari elettrondensi; presente materiale marcatamente elettrondenso riferibile a fibrina o frammentazione di eritrociti; fusione dei pedicelli dei podociti che mostrano anche aspetti di microvillarizzazione”. Agli esami ematochimici su rilevava una Creatininemia = 5,48 mg/dl; Azotemia = 225 mg/dl; Hb = 8,6 gr/dl; WBC= 2750 /mmc; PLT= 102000.

Si iniziarono cicli di trattamento con Eculizumab alla dose di 900 mg/settimana per le prime quattro settimane e, dalla quinta settimana, alla dose di 1200 mg/14 giorni. Nel corso dei giorni si evidenziò un ulteriore recupero della funzionalità renale ed una riduzione della necessità di ricorso alle emotrasfusioni. Venne dimesso in sedicesima giornata con una Creatininemia = 3,87 mg/dl.

 

Figura 1: Variazioni della creatininemia e dell’emoglobina (Hb) nel corso di un follow up di 42 settimane. Viene inoltre rappresentata la tempistica dei ricoveri e dei principali interventi
Figura 1: Variazioni della creatininemia e dell’emoglobina (Hb) nel corso di un follow up di 42 settimane. Viene inoltre rappresentata la tempistica dei ricoveri e dei principali interventi

 

Terzo ricovero

Circa cinque mesi dopo il primo ricovero, quattro dopo l’inizio della terapia con Eculizumab, il paziente riferiva la comparsa di intensa cefalea associata a facile affaticabilità ed a palpitazioni. Su consiglio del medico di Medicina Generale aveva eseguito esami di controllo che avevano evidenziato una grave anemizzazione (Hb = 6,6 gr/dl) associata a movimento delle transaminasi (AST = 159 UI/L, ALT = 254 UI/L); indici di funzionalità renale stabili con Creatininemia = 2,2 mg/dl; veniva così nuovamente indirizzato alla nostra attenzione e ricoverato presso il nostro Reparto.

All’ingresso, oltre alla grave anemia per la quale furono trasfuse due sacche di emazie concentrate, si rilevava una grave leucopenia (WBC = 1400 c/mcL con Neutrofili = 650/mcL) ed una piastrinopenia (PLT = 54000/mcL), motivo per il quale fu intrapresa terapia con granulokine per tre giorni e nel contempo, vista la stabilità degli indici di funzionalità renale (Creatininemia = 2,2 mg/dl), furono ricercate cause terze di possibile blocco della produzione midollare. Si richiesero così markers per infezione da CMV, Parvovirus, Herpes Virus e Virus dell’epatite, con riscontro di positività agli anti HCV (paziente politrasfuso).

La ricerca Quali-Quantitativa dell’HCV riscontrò una discreta carica virale (HCV RNA real time PCR Abbott: 2.255.652 UI/ml) diHCV RNA genotipo: 2a/2c.

Per la potenziale interazione dell’Eculizumab con i meccanismi biologici atti alla difesa dell’ospite contro l’infezione da HCV, si decise di sospendere il trattamento con lo stesso; si eseguì consulenza infettivologica che dichiarò possibile il trattamento con i nuovi farmaci antivirali, ipotizzando che il contagio si potesse esser realizzato circa sei mesi prima; si consigliò pertanto l’esecuzione di un Fibroscan.

Una settimana dopo, il paziente fu sottoposto ad esame ecografico con Fibroscan che refertava: “Fegato di volume ancora conservato e ad ecostruttura lievemente disomogenea. Non si evidenziano lesioni focali. La glissoniana è lineare e continua come di norma, in tutti i segmenti. All’elastografia shear wave, il valore medio di stiffness del parenchima è di 18.0 kPa. Tale valore elevato (che corrisponde ad un grado di fibrosi F4) nel caso specifico è con maggior verosimiglianza espressione di flogosi nella fase subacuta più che di fibrosi, non essendo rilevabili deformazioni nodulari sulla parete dei vasi intraepatici o sulla glissoniana (solo nel VI° segmento si rileva un accenno di pattern micro nodulare). Normali le strutture vascolari intraepatiche e la vena porta. Colecisti contratta. Normali le vie biliari intra ed extraepatiche. Pancreas non esplorabile per il meteorismo. Milza notevolmente aumentata di volume (Diametro longitudinale di circa 20 cm, ma ad ecostruttura omogenea e con stiffness aumentata (valore medio = 32 kPa). Reni in sede, normali per volume ed ecostruttura, con corticale normalmente rappresentata. Bilateralmente non si evidenziano immagini da calcoli o da dilatazioni delle vie urinarie”.

Qualche giorno dopo, si iniziò terapia con Maviret 100/40 mg (100 mg di Glecaprevir e 40 mg di Pibrentasvir) 3 cp/die da protrarre per tre mesi ma già dopo il primo mese di terapia, l’HCV RNA non era rilevabile ed i livelli di transaminasi erano rientrati nei limiti della norma.

I valori di funzionalità renale nel corso del primo mese di terapia antivirale rimasero stabili e solo dopo questo periodo, fu ripreso il trattamento con Eculizumab alla dose di 1200 mg diluiti in una soluzione fisiologica da 250 ml ogni due settimane.

In questo periodo, giunsero i risultati dello studio di genetica molecolare sui campioni di sangue inviati prima dell’effettuazione della plasmaferesi che identificarono una variante c.136C>T in eterozigosi nel gene CFHR5 ed aplotipi a rischio in eterozigosi sul gene MCP e CFH.

Infine, si inviò una informativa dell’accaduto alla Direzione Sanitaria ed al Centro Trasfusionale al fine di eseguire uno screening per la ricerca dell’HCV sui donatori delle sacche di sangue trasfuse.

 

Discussione

Il sistema del complemento è uno dei principali meccanismi effettori dell’immunità umorale oltre che un importante mediatore della risposta innata. Il suo nome deriva dagli esperimenti che furono condotti a partire dal 1894 dal Dottor Jules Bordet, presso l’Istituto Pasteur di Parigi, nei quali si dimostrava che se si incubavano, a temperatura fisiologica, dei batteri con del siero contenente anticorpi specifici, i batteri venivano lisati; al contrario se il siero veniva riscaldato ad una temperatura superiore ai 56°C prima che venissero aggiunti i batteri, esso perdeva la propria capacità litica. La perdita di tale capacità non poteva dipendere dalla denaturazione degli anticorpi (termostabili) ma doveva esser legata alla presenza nel siero di un’altra componente, termolabile, che “complementava” l’azione litica degli anticorpi. Oggi sappiamo che tale componente, definita Complemento, è costituita da numerose proteine solubili e di membrana, che interagiscono tra loro e con altre componenti del sistema immunitario in maniera strettamente regolata, generando proteine funzionali all’eliminazione dei microrganismi.  Il Complemento presenta tre vie di attivazione: la via classica, la via della Lectina e la via alternativa. Quest’ultima viene attivata dal legame del C3b alla superficie dei microrganismi o ad anticorpi ad essa associati. Il C3b interagisce a sua volta con il Fattore B, generando la C3bBb che viene identificata come la C3 Convertasi della via alternativa. La C3 convertasi agirà amplificando il clivaggio del fattore C3, contribuendo alla formazione della C5 Convertasi (C3bBbC3b) che, a sua volta, innescherà le tappe successive del processo di attivazione del Complemento che, comuni alle tre vie, porteranno alla formazione del complesso MAC (Complesso di adesione alla Membrana) ed alla lisi del microrganismo. Tale sistema è finemente regolato per cui, se in condizioni normali il C3b si depositasse sulle cellule dell’ospite, quali ad esempio le cellule endoteliali, esso verrebbe immediatamente inattivato da fattori regolatori quali il Fattore H, Il Fattore I, il cofattore MCP (CD46), il DAF o la Protectina (CD59). Una mutazione genetica di uno solo di questi fattori regolatori o la formazione di auto anticorpi contro di essi o contro la C3 convertasi (C3Nephritic Factor) causerà l’attivazione incontrollata della via alternativa del complemento con conseguenti danni per l’ospite [2,3]. Questo è quello che accade nella aHUS, nella quale le cellule endoteliali diventano bersaglio della risposta immunitaria mediata dalla continua deposizione del C3b sulla loro superficie.   Ciò comporterà la lisi delle cellule endoteliali, il loro distacco dalla membrana basale, la successiva attivazione piastrinica con formazione di trombi endoluminari che ridurranno ulteriormente il calibro delle arteriole e dei capillari [3,4].  Si svilupperà così l’anemia emolitica microangiopatica, indotta dal trauma che le emazie subiranno nel passaggio nelle arteriole e nei capillari così distorti (Anemia emolitica – Coombs negativa) nonché la piastrinopenia (da consumo). L’Eculizumab è un anticorpo monoclonale IgG umanizzato in grado di legarsi al Fattore C5 del complemento impedendone la scissione nei due frammenti C5a e C5b, rendendo così impossibile la formazione del complesso MAC. In virtù di tale meccanismo di azione, tutte e tre le vie di attivazione del complemento saranno bloccate ed i pazienti in trattamento con Eculizumab saranno così più suscettibili alle infezioni opportunistiche, in particolare dovute a Neisseria e batteri capsulati. Ma il sistema del complemento svolge un’azione fondamentale anche nel corso delle infezioni virali tanto che l’evoluzione verso la guarigione o la cronicizzazione dell’infezione acuta dipende dalla capacità di interazione di tale sistema con l’immunità adattativa dell’ospite [5, 6, 11].

In generale, la cooperazione tra l’immunità innata e l’adattativa consente ai mammiferi di avere una efficace protezione nei confronti dei patogeni ed allo stesso tempo di limitare i danni da essi causati.

La risposta immunitaria innata agisce immediatamente dopo l’avvenuta infezione, attraverso la produzione di citochine infiammatorie e mediando la presentazione dell’antigene alle cellule T e B; è così in grado di neutralizzare direttamente l’infezione, di scatenare una risposta infiammatoria, di opsonizzare i patogeni e di modulare la risposta adattativa, grazie all’interazione tra la propria  componente cellulare (Monociti, Cellule Dendritiche, Piastrine, Cellule Natural Killer e cellule NKT) e le cellule dell’immunità adattativa (Linfociti T e B).

Le componenti cellulari dell’immunità innata sono in grado di riconoscere, attraverso specifici recettori definiti PRRs (Pattern Recognition Receptors), le proteine antigeniche definite PAMPs (Pathogen Associated Molecular Patterns) presenti sulla superficie del virus infettante o sulla superficie delle cellule infettate.

Dal canto suo, il sistema del complemento è in grado di riconoscere i patogeni sia direttamente che attraverso il legame al frammento cristallizabile degli immunocomplessi (Cross-linked) ancorati alla superficie virale o alla membrana delle cellule infette. Il sistema del complemento può quindi mediare la lisi diretta dell’envelope virale o della membrana delle cellule infettate dal virus, previo la formazione del complesso MAC e la conseguente lisi osmotica di queste ultime.

Gli epatociti sono i principali produttori delle componenti della cascata del Complemento, dei mannose-binding lectin (MBL) e delle L ed H-ficoline. Le MBL, le L ed H-ficoline attivate, si legheranno alle MBL associated Serin Proteasi (MASP 1 e MASP 2), dando il via alla cascata del Complemento attraverso la via della Lectina.

L’attivazione del Complemento a seguito di un’infezione virale può avvenire attraverso cinque meccanismi:

  • Legame del C1q al frammento cristallizabile di almeno due anticorpi (IgG o IgM) complessati ad antigeni presenti sulla superficie virale o delle cellule infette (epatociti). Tale legame medierà l’attivazione del C1r e del C1s che sono delle serin-proteasi in grado di clivare il C4 nelle subunità C4a (frammento più piccolo, rilasciato in fase fluida dove svolge un’azione proinfiammatoria) e C4b (frammento maggiore, in grado di legarsi alla superficie antigenica o all’anticorpo ad esso complessato). Il frammento C4b ha inoltre la capacità di legare la componente C2 del complemento e, grazie all’azione litica del C1s, scinderlo nei frammenti C2a e C2b. Il C2a si legherà covalentemente al C4b andando così a formare la C4bC2a che rappresenta la C3 Convertasi della via Classica.
  • Legame diretto del C1q alla superficie virale, in assenza di immunoglobuline.
  • Le Ficoline e le MBL si legheranno alle proteine glicosilate presenti sulla superficie del patogeno mediando così il reclutamento delle MBL associated Serin Proteasi (MASPs) che a loro volta cliveranno il C4 dando il via all’attivazione della via classica del Complemento.
  • Deposizione spontanea del C3b sulle particelle virali. Il C3b ha multiple attività antivirali: ha una azione opsonizzante attraverso il reclutamento delle cellule presentanti l’antigene sulla superficie virale; in associazione alla C4bC2a (C3 convertasi della via classica) o alla C3bBb (C3 convertasi della via alternativa) formerà la C5 Convertasi.
  • Legame del C1q alle pentraxina 3 presenti sulla superficie virale o alle HBD (Human B Defensine) inserite nella membrana delle cellule infettate dell’ospite.

Diversi fattori saranno in grado di prevenire l’attacco al self. Il fattore H è uno dei principali regolatori del sistema: esso agisce da cofattore al C3bBb e, legandosi ai glicosaminoglicani presenti sulla superficie cellulare dell’ospite, inibisce l’azione della C3 convertasi. La deposizione delle componenti del complemento sulle cellule dell’ospite è inoltre inibita dall’espressione della proteina CD55 (Decay Accelerating Factor) e del CD59 (Protectina) che, rispettivamente, inibiscono la deposizione del C3bBb e del complesso di attacco alla membrana (complesso MAC). Inoltre, la proteina MCP (CD46) presente sulla superficie dell’ospite, funge da cofattore per il Fattore I, che a sua volta inattiva il C3b ed il C4b [2].

 

Figura 2: Schema di attivazione delle tre vie del complemento con relativi meccanismi di regolazione
Figura 2: Schema di attivazione delle tre vie del complemento con relativi meccanismi di regolazione

 

Figura 3: Meccanismi di escape dell’HCV dalla risposta immunitaria innata
Figura 3: Meccanismi di escape dell’HCV dalla risposta immunitaria innata

 

Il virus dell’epatite C utilizza una serie di meccanismi per evadere le difese dell’ospite. Il virione dell’HCV, grazie alla codifica di specifiche glicoproteine, circola nel sangue legato a lipoproteine quali le Apolipoproteine E, C1 e B; tale legame rende il virus meno riconoscibile dal sistema immunitario. È stato inoltre dimostrato che l’HCV è in grado di internalizzare nel proprio pericapside il CD 59 [14], impedendo così la formazione del complesso MAC (C5-9) sulla superficie del virione; le proteine del core e la proteina NS5a del virus sono in grado di inibire la trascrizione del C4 nonché l’HCV è in grado di ridurre l’espressione dell’RNA messaggero del C2 e di aumentare la trascrizione del Fattore H [7,8]. Inoltre, l’interazione delle proteine del core con il gC1q-R sopprime l’attivazione delle cellule T CD8 + [13], deputate al riconoscimento delle cellule epatiche infette ed alla loro distruzione.

Nel corso delle prime 2-5 settimane dall’infezione, la risposta immunitaria sarà legata all’attivazione del complemento e di linfociti T (2-5 settimane) specifici mentre la produzione degli anticorpi Anti-HCV si avrà solo dopo 6-8 settimane [6,12].

Il rilievo di cellule T CD8+ citotossiche specifiche per i multipli epitopi dell’HCV, presenti nel sangue e nel fegato della persona infettata, avviene tra l’ottava e la dodicesima settimana ed è proprio dall’entità della risposta che tali cellule saranno in grado di mettere in atto e dalla quantità di interferone gamma prodotto, che si potrà ottenere la risoluzione spontanea o meno dell’infezione. In questa fase sarà possibile verificare variazioni nelle concentrazioni dell’HCV RNA e delle ALT. Circa il 20 % delle infezioni acute da HCV sono “self limiting” grazie a tale risposta; nel restante 80%, l’infezione cronicizza.

La nostra scelta di interrompere il trattamento con Eculizumab è stata dettata dalla consapevolezza che il prosieguo della terapia avrebbe potuto ulteriormente compromettere la naturale capacità di risposta del paziente, in una condizione nella quale lo stesso virus tentava di indebolire l’efficacia della risposta immunitaria innata. Solo dopo otto settimane, ovvero un mese dopo l’inizio della terapia con antivirali diretti, fu ripreso il trattamento con Eculizumab; nel corso di queste otto settimane non si osservò mai un peggioramento degli indici di funzionalità renale.

In conclusione, potremmo consigliare, in pazienti immunocompromessi quali quelli affetti da aHUS in trattamento con Eculizumab, che nel corso della loro storia clinica abbiano ricevuto molteplici emotrasfusioni, di considerare cause terze di anemizzazione. Nel nostro caso, una trasfusione di emazie concentrate, prelevata da un donatore che doveva vivere nel periodo finestra dell’infezione da HCV ha verosimilmente causato il contagio del nostro paziente e lo sviluppo di una epatite acuta. Considerare inoltre che il test immunoenzimatico per il rilievo degli Anti-HCV potrebbe esser negativo nelle primissime settimane di una infezione acuta e nei pazienti immunocompromessi, motivo per il quale sarebbe utile ripetere i markers virali per l’HBV e l’HCV a distanza di circa tre mesi dall’esecuzione delle emotrasfusioni e, nei pazienti immunocompromessi, eseguire il dosaggio dell’HCV RNA quantitativo.

 

Bibliografia

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Atypical Hemolytic Uremic Syndrome: experience of a pediatric center

Abstract

In the last two years we admitted in our Hospital  38 children with acute renal failure (ARF). Six of them were affected by hemolytic uremic syndrome (HUS) atypical. The aHUS is diagnosed in the presence of thrombotic microangiopathy (MAT), renal insufficiency (GFR 5%).

The clinical presentation of our children has been varied and so also its evolution. Patients observed were all male, aged 2 to 12 years, and no one had a family history of kidney disease. In four patients we documented alterations of complement factors (MCP deficiency and factor H and presence of anti factor H). Repeated blood transfusions were required in 4 patients and in 3 patients the platelet count was slightly reduced. In 5 patients we did plasmapheresis and in 3 patients dialysis (hemodialysis and peritoneal dialysis). In three patients in whom the diagnosis was not clear, renal biopsy was performed to confirm the diagnosis. Eculizumab was administered in 3 patients resistant to plasma exchange. We obtain a rapid response on MAT with normalization of platelet count. The effect on renal function was variable (complete remission in a patient, partial improvement in another, and unresponsiveness in the last). The last had on Kidney biopsy signs of severe impairment and we documented the presence of antibodies to eculizumab. HUS is a rare condition, but probably much more common than reported. In children with ARF and microangiopathic anemia is necessary evaluated  complement factors as early to obtain an improved clinical response to treatment with eculizumab.

Keywords: atypical hemolytic uremic syndrome, acute renal failure, pediatric, eculizumab.

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Introduzione

La sindrome emolitico uremica atipica (aSEU) è una rara forma di microangiopatia trombotica dalle manifestazioni cliniche pleiotropiche. Essa è caratterizzata da insufficienza renale acuta (IRA), anemia emolitica (AE), piastrinopenia, assenza di Shiga-toxin nelle feci (a differenza della SEU tipica) e con livello di ADAMTS-13 superiore al 5%, contrariamente alla porpora trombotica trombocitopenica idiopatica con cui la aSEU presenta delle analogie (1). 

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Complement factor B mutation in atypical hemolytic uremic syndrome. Rare cause of rare disease

Abstract

Hemolytic uremic syndrome (HUS) is a rare disease characterized by microangiopathic hemolysis, platelet consumption and multiple organ failure with predominant renal involvement. In the most of cases (85-90%), it is associated with enteric infection due to Shiga-toxin or verocytotoxin (STEC-VTEC)-producer Escherichia coli. Rarely, in about 10-15% of cases, HUS develops in the presence of a disorder of alternative complement pathway regulation and it is defined atypical (aHUS).

We describe the case of a 65-year-old man who came to our attention with a clinical presentation of aHUS and a clinical course characterized by rapidly progressive acute renal failure (ARF), which required renal replacement treatments, and by a stable clinical picture of hematological impairment as a marker of a non-severe and self-limiting form. The clinical and laboratory course allowed us not to perform specific therapies such as plasma exchange and/or block of the complement with eculizumab. Less than two weeks after hospital admission, there was a gradual recovery of renal function with spontaneous diuresis and hematological remission.

Genetic screening has revealed a heterozygous mutation in the complement factor B (CFB) that is not described in the literature and therefore not yet characterized in the genotype/phenotype correlation, also for the extreme rarity of the forms associated with CFB alteration. In conclusion, the presence of a new mutation in the CFB, such as the one described in our case, is probably associated with the development of aHUS but has not led to a poor prognosis, as generally reported in the literature for known variants of the CFB.

Key words: Acute kidney injury., Atypical hemolytic uremic syndrome, Complement factor B mutations, Thrombotic microangiopathy

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Introduzione

La Sindrome Emolitico-Uremica (SEU) è una patologia rara caratterizzata sul piano clinico da emolisi microangiopatica, consumo piastrinico e danno multiorgano con prevalente interessamento renale e sul piano istologico da una microangiopatia trombotica sistemica (1).

Nella maggior parte dei casi (85-90%), la SEU è associata a un’infezione enterica da ceppi di Escherichia coli produttori di Shiga-like o verocitotossine (STEC-VTEC); tale forma interessa prevalentemente l’età pediatrica e viene definita come forma “tipica” (2).

Più raramente, in circa il 10-15% dei casi, la SEU non è causata da batteri produttori di verocitotossine ed è definita atipica (SEUa); essa riconosce, più spesso, come meccanismo patogenetico un disordine della regolazione della via alternativa del complemento. Questa forma può manifestarsi a qualsiasi età della vita e si presenta maggiormente in forma sporadica e solo nel 20% in forma familiare. In più della metà dei casi, la SEUa è associata a mutazioni in eterozigosi a carico dei geni che codificano per le proteine regolatrici del complemento come Fattore H (CFH), Fattore I (CFI), Cofattore proteico di membrana (MCP), Fattore B (CFB) e C3 (3 – 5). In aggiunta a tali mutazioni genetiche, la SEUa può essere causata da anticorpi anti-FH (AbAnti-FH) che interferiscono con la regione C-terminale del CFH determinando una deficienza funzionale acquisita del CFH; lo sviluppo di tali anticorpi è associato a una delezione in omozigosi del gene CFHR1, responsabile della sintesi di una molecola altamente omologa al CFH (6, 7). Inoltre, nelle SEUa sono state identificate mutazioni anche a livello del sistema di attivazione della coagulazione con particolare riguardo alla trombomodulina (8) e al plasminogeno (9) e, recentemente, a carico della diacil-glicerolo-chinasi epsilon (DGKe), una chinasi espressa a livello endoteliale con funzione regolatrice nell’attivazione piastrinica e nella coagulazione, caratterizzate da una precoce manifestazione, generalmente entro il primo anno di vita (10).
 

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