Atrial fibrillation, oral anticoagulation and nephroprotection: caution or bravery?

Abstract

Atrial fibrillation (AF) and chronic kidney disease (CKD) are strictly related and share several risk factors (i.e. hypertension, diabetes mellitus, congestive heart failure). As consequence, AF is very common among CKD patients, especially in those with end stage renal disease (ESRD). Moreover, patients with AF and advanced kidney disease have a higher mortality rate than patients with preserved renal function due to an increased incidence of stroke and an unpredicted elevated hemorrhagic risk. The adequate long-term oral anticoagulation in this subgroup of patients represents a major challenging issue faced by physicians in clinical practice. Direct oral anticoagulants (DOACs) are currently contraindicated in patients with ESRD while vitamin K antagonists (VKAs) are characterized by a narrow therapeutic window, increased tissue calcification and an unfavorable risk/benefit ratio with low stroke prevention effect and augmented risk of major bleeding. The purpose of this review is to shed light on the applications of DOAC therapy in CKD patients, especially in ESRD patients.

Keywords: atrial fibrillation, chronic kidney disease, warfarin, direct oral anticoagulants, end stage renal disease, left atrial appendage occlusion

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Introduzione

La prevalenza della fibrillazione atriale (FA) nella popolazione generale oscilla tra lo 0,5 e l’1% con punte massime pari all’8% nei pazienti over 80, nonché in alcune condizioni patologiche ben definite come la malattia renale cronica (CKD, cronic kidney disease) e, soprattutto, nei pazienti sottoposti a terapia renale sostitutiva [1]. Proprio a proposito della condizione di CKD, va ricordato come il paziente nefropatico sia inquadrato come paziente ad alto ovvero altissimo rischio cardiovascolare, come sottolineato dalle recenti linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) [2]. Nei pazienti affetti da CKD, la prevalenza di FA può raggiungere picchi decisamente elevati e, nell’ambito della popolazione affetta da FA, il 40-50% dei pazienti presentano un qualche grado di compromissione della funzione renale [35], mentre fino al 15-20% dei pazienti con CKD è affetto da FA, soprattutto nei pazienti con malattia renale cronica terminale (ESRD, end-stage renal disease) [68]. Una caratteristica fondamentale dei pazienti affetti da CKD è quella di presentare un rischio elevato sia di fenomeni tromboembolici, sia di fenomeni emorragici [913], particolare che complica la gestione di una qualsivoglia terapia anticoagulante. Una percentuale non trascurabile di pazienti con valori di filtrato glomerulare stimato (eGFR) <30 ml/min presentano un importante rischio emorragico dovuto, in primo luogo, alla disfunzione quali/quantitativa della componente piastrinica [1416]. Tra l’altro, una delle maggiori criticità nella valutazione del rischio emorragico/tromboembolico dei pazienti con CKD ed ESRD risiede nel fatto che i calcolatori di rischio più impiegati (HASBLED e CHAD2VASC2) non considerano, per il punteggio definitivo, proprio quei parametri più strettamente legati alla disfunzione renale (alterazioni del sistema della coagulazione, variazioni dell’ eGFR per fare due esempi) [17].

Il rischio trombotico/emorragico nel paziente con CKD

Il primo elemento da prendere in considerazione in termini di fisiopatologia del rischio trombotico ed emorragico è quello relativo alla correlazione tra CKD e FA in termine di condivisione di fattori di rischio quali ipertensione arteriosa, diabete mellito (DM) e sindrome metabolica. Inoltre, come già accennato, il progressivo deterioramento della funzione renale si accompagna ad incremento del rischio di FA con un quadro clinico che si caratterizza per un elevato rischio emorragico e tromboembolico [4, 6]. La presenza contemporanea di FA e CKD delinea una condizione clinica caratterizzata da un rischio tromboembolico molto elevato (ictus cardioembolico, tromboembolismo sistemico e morte) e un inaspettato rischio emorragico elevato, soprattutto nei pazienti in dialisi [14, 15]. Il ruolo centrale della CKD nel rischio tromboembolico elevato è ben noto. Piccini et al. hanno dimostrato che l’alterazione della funzione renale è un importante fattore predittivo di ictus cardioembolico ed embolia sistemica [18]. Pertanto, per una migliore valutazione del rischio tromboembolico, hanno proposto di estendere il punteggio CHADS2 con altri 2 punti per i pazienti con eGFR <60 mL/min, il cosiddetto punteggio R2CHADS2 [18]. Diversi fattori aumentano la propensione alla formazione di trombi nei pazienti con CKD; come illustrato nella Figura 1, tutti gli elementi della triade di Virchow (anomalie nel flusso sanguigno, nella parete dei vasi e nei costituenti del sangue) appaiono anormali. Inoltre, un eGFR ridotto è un fattore predittivo indipendente di bassa contrattilità e velocità di flusso dell’auricola sinistra [19, 20]. Questi elementi promuovono la formazione nell’atrio sinistro di un denso contrasto ecocardiografico spontaneo, che è un indicatore di stasi sanguigna rilevante ed è associato a un aumento del rischio trombogenico [21]. D’altra parte, i pazienti CKD hanno una maggiore suscettibilità all’aterosclerosi con una maggiore velocità dell’onda sfigmica e una ridotta dilatazione endotelio-dipendente mediata dal flusso [22, 23]. Livelli endogeni più elevati di Endotelina-1 e di cAMP plasmatico negli individui affetti da CKD sembrano essere associati a una maggiore suscettibilità tromboembolica [24]. Infine, la CKD è associata a un aumento dei biomarcatori infiammatori e della coagulazione che aumentano l’attività piastrinica e la formazione di coaguli [25, 26]. Il ridotto metabolismo della proteina C-reattiva, l’espressione anomala della glicoproteina Ib, l’aumento dei livelli di proteine pro-infiammatorie (IL-1, TNF alfa, D-Dimero) e di fattori della coagulazione (VII, VIII, fibrinogeno, Von Willebrand, inibitore dell’attivatore del plasminogeno-1) e l’inibizione della plasmina grazie all’aumento dei livelli di lipoproteina(a) sono le più importanti anomalie ematologiche descritte nei pazienti CKD [2730]. Tali fattori sono anche coinvolti in un aumento del rischio emorragico [14]. In particolare, le anomalie piastriniche, le tossine uremiche, l’ipertensione non controllata, le ripetute incannulazioni per la dialisi e le procedure invasive contribuiscono a un rischio di sanguinamento notevolmente elevato (Figura 2). Soprattutto, le disfunzioni piastriniche sembrano essere predominanti e comprendono la riduzione dell’ADP intracellulare, il rilascio alterato della proteina alfa-granulare piastrinica, l’aumento del cAMP intracellulare, il metabolismo anomalo dell’acido arachidonico e l’attività della ciclo-ossigenasi, l’aberrazione dell’attività della GP IIb/IIIa e l’alterazione del fattore von Willebrand che promuove uno stato pro-emorragico [3133]. Inoltre, le tossine uremiche alterano il flusso sanguigno e aumentano la carenza di eritropoietina [33, 34].

Figura 1: Fattori che predispongono alla trombogenesi nei pazienti con CKD
Figura 1: Fattori che predispongono alla trombogenesi nei pazienti con CKD RAAS: sistema renina-angiotensina-aldosterone
Figura 2: Fattori che contribuiscono allo stato pro-emorragico nei pazienti con CKD
Figura 2: Fattori che contribuiscono allo stato pro-emorragico nei pazienti con CKD FANS: antinfiammatori non steroidei; NO: Ossido Nitrico.

 

Nefropatia da anticoagulanti e progressione della malattia renale

Nonostante il crescente uso di anticoagulanti orali negli ultimi 20 anni, solo nel 2009 Brodsky et al. hanno introdotto il concetto di “nefropatia correlata a warfarin” (WRN) [35]. La WRN è una forma particolare di danno renale acuto (AKI) senza alcuna causa sottostante evidente, in un paziente trattato con warfarin con un rapporto internazionale normalizzato (INR) >3,0 ed ematuria microscopica o macroscopica [35]. Brodsky et al. hanno eseguito biopsie renali in nove pazienti con AKI inspiegabile e INR sovraterapeutico; i campioni istologici hanno mostrato un pattern di accumulo eritrocitario diffuso e dismorfo sia nei tubuli renali, alcuni dei quali apparivano ostruiti e dilatati, sia nel glomerulo, soprattutto nello spazio di Bowman [35]. I due principali processi fisiopatologici che spiegano l’AKI sono la rottura della barriera di filtrazione glomerulare che provoca un’emorragia nello spazio di Bowman e l’aggregazione dei globuli rossi, formando dei calchi nei tubuli, che portano alla loro ostruzione e ischemia [35]. L’anticoagulazione sovraterapeutica sembra giocare un ruolo essenziale nell’indurre la WRN, ma è probabile che sia necessario un secondo fattore; un numero notevolmente ridotto di nefroni o un danno acuto ai glomeruli sembrano essere le condizioni che contribuiscono all’emorragia glomerulare in caso di anticoagulazione sovraterapeutica. Cause di danno acuto ai nefroni potrebbero essere l’insufficienza cardiaca congestizia, l’inizio recente di inibitori del sistema renina-angiotensina, la malattia renale tromboembolica, la glomerulonefrite endocapillare proliferativa o i coaguli vescicali che causano un’ostruzione ureterale. In uno studio caso-controllo che ha arruolato 15.258 pazienti che hanno iniziato il warfarin durante un periodo di 5 anni, una diagnosi presuntiva di WRN si è verificata nel 20,5% dell’intera coorte e nel 33,0% della coorte CKD [36]. La mortalità a 1 anno nei pazienti con WRN è stata del 31,1% rispetto al 18,9% nei pazienti senza WRN, il che rappresenta un rischio aumentato del 65% [36]. Nel complesso, la WRN può essere considerata non solo una complicazione comune della terapia con VKAs, ma anche un potente fattore prognostico negativo. Dal 2009, diversi studi hanno confermato l’ipotesi proposta da Brodsky che un’eccessiva anticoagulazione è associata a WRN [3740]. Golbin et al. hanno descritto la più grande serie di casi biopticamente provati di AKI indotta da altri VKAs, in particolare i primi casi di AKI da fluindione e acenocumarolo [41]. Da notare che non sono state riportate differenze cliniche o istologiche nei pazienti trattati con warfarin o fluindione/acenocumarolo [41]. La connessione tra AKI e anticoagulazione è stata estesa anche ai DOACs; pertanto, il termine WRN è stato gradualmente sostituito dal più inclusivo “nefropatia legata all’anticoagulazione” (ARN) [4245].

Data la scarsità di esiti renali riportati negli studi sui DOACs e la mancanza di dati limitati a lungo termine, è possibile che la vera incidenza dell’ARN sia sottovalutata. Due grandi studi retrospettivi hanno dimostrato che apixaban, dabigatran e rivaroxaban sono associati a un rischio inferiore di AKI rispetto al warfarin (Figura 3) [46, 47]. Nel complesso, la somministrazione di VKAs è ancora considerata un importante fattore di rischio per l’AKI, come risultato della calcificazione vascolare dovuta all’inibizione della proteina Gla di matrice (MGP) dipendente dalla vitamina K, come illustrato nella Figura 4 [4851]. Risultati simili sono stati riportati anche in una coorte di pazienti con FA sottoposti a intervento coronarico percutaneo; dopo la somministrazione del mezzo di contrasto, i pazienti che assumevano DOACs, in particolare dabigatran, hanno mostrato un migliore controllo della funzione renale rispetto ai pazienti in warfarin con una tendenza alla riduzione dell’incidenza di AKI [52]. Sebbene le nuove linee guida ESC della FA raccomandino l’uso dei DOACs per l’anticoagulazione orale a lungo termine, e i precedenti studi osservazionali abbiano dimostrato come questi farmaci debbano giocare un ruolo importante nella conservazione della funzione renale, un ampio studio che ha confrontato i DOACs in diversi stadi della funzione renale ha rivelato che la percentuale di pazienti che utilizzano i DOACs diminuisce parallelamente alla diminuzione della funzione renale [53]. Infatti, nei pazienti con eGFR ≥90 mL/min, un DOAC è stato prescritto nel 73,5% dei casi, mentre nei pazienti con eGFR tra 15 e 30 mL/min, un DOAC è stato prescritto solo nel 45,0% dei casi [53]. In particolare, non è stata riportata alcuna differenza in termini di mortalità tra i tre DOAC, e ognuno di essi ha mostrato un’efficacia e una sicurezza almeno equivalenti rispetto al warfarin in tutti gli stadi funzionali dei reni, confermando i risultati promettenti in questo particolare contesto di pazienti [53]. In conclusione, la progressione dell’insufficienza renale rappresenta un problema centrale nella gestione dell’anticoagulazione orale a lungo termine, soprattutto nei pazienti anziani in cui FA e CKD coesistono fino al 25% dei casi [3, 35]. La FA può deteriorare la funzione renale nel tempo, e il peggioramento dell’eGFR è un fattore predittivo indipendente di ictus ischemico/embolia sistemica [5456]. In questi pazienti ad alto rischio tromboembolico ed emorragico, la funzione renale dovrebbe essere monitorata regolarmente, preferibilmente dopo 1 mese inizialmente e almeno ogni 3 mesi in seguito [9].

Confronto tra DOACs e warfarin
Figura 3: Confronto tra DOACs e warfarin in termini di nefroprotezione CI: Intervallo di Confidenza; DOAC: Anticoagulanti Orali Diretti; HR: Hazard Ratio
Calcificazione vascolare, danno vascolare e renale indotto dalla inibizione
Figura 4: Calcificazione vascolare, danno vascolare e renale indotto dalla inibizione della MGP. BMP: proteina morfogenetica dell’osso

 

DOACs, diabete e malattia renale cronica

Per quanto riguarda la progressione della CKD, è fondamentale sottolineare la stretta relazione tra FA, DM e CKD; quasi il 25% dei pazienti con CKD sono anche diabetici [57, 58]. Come descritto nella Figura 5, le complicanze microvascolari nel DM potrebbero peggiorare la funzione renale e contribuire all’insorgenza della malattia renale diabetica (DKD), che colpisce circa un terzo dei pazienti con DM [5962]. La terapia anticoagulante a lungo termine nei pazienti diabetici affetti da FA e CKD può essere più impegnativa perché sia il DM che la CKD sono stati indipendentemente associati a un aumento del rischio tromboembolico e di sanguinamento, che deriva dallo stato pro-trombotico e pro-infiammatorio [6367]. Nei pazienti diabetici, le anomalie metaboliche predispongono le arterie all’aterosclerosi e aumentano la reattività piastrinica e la coagulabilità del sangue [68, 69]. Contemporaneamente, il progressivo peggioramento della funzione renale è associato a un aumento del tasso di FA e a un maggiore rischio di sanguinamento [16, 70]. Dati emergenti suggeriscono che i DOACs possono essere associati a una migliore conservazione della funzione renale rispetto al warfarin [37, 71, 72]. Come descritto in precedenza, i VKAs possono anche indurre un danno renale dovuto all’aumento della calcificazione vascolare derivante dall’inibizione della MGP dipendente dalla vitamina K [4850]. In uno studio di Fusaro et al., la MGP sembrava essere ridotta nei pazienti affetti da DM e CKD, predisponendoli a un outcome renale peggiore quando trattati con VKAs [48, 7377]. Al contrario, rivaroxaban può garantire la nefroprotezione diminuendo l’infiammazione vascolare attraverso la riduzione del signalling di PAR-1 e PAR-2 [78]. I pazienti diabetici con FA trattati con rivaroxaban hanno mostrato un tasso di incidenza inferiore di ospedalizzazione per AKI, progressione allo stadio 5 della CKD o emodialisi rispetto ai pazienti trattati con warfarin [78]. Inoltre, nell’analisi post-hoc ROCKET AF, il rivaroxaban ha mostrato una sicurezza e un’efficacia migliori rispetto al warfarin nei pazienti con FA e DM [79]. L’evidenza del mondo reale supporta i risultati che la funzione renale è meglio preservata nei pazienti con DM che ricevono DOACs piuttosto che warfarin. Un’analisi di sottogruppo dello studio RE-LOAD ha esaminato l’efficacia e la sicurezza del rivaroxaban rispetto al warfarin in pazienti con FA e DM; il rischio di AKI e ESRD è diminuito nei pazienti con DM che assumono rivaroxaban [78]. In un’analisi condotta da Yao W et al. su un’ampia coorte eterogenea di pazienti con FA e DM (Figura 6), il trattamento con DOAC è stato correlato a una minore incidenza di peggioramento della funzione renale, definita come un calo ≥30% dell’eGFR, raddoppio della creatinina sierica o AKI [46]. I dati dono stati poi confermati dallo stesso Yao in una nuova pubblicazione nella quale i pazienti sono stati anche stratificati in base ai livelli di filtrato glomerulare, evidenziando un maggior beneficio della terapia con DOACs (in modo particolare con Rivaroxaban e Dabigatran) rispetto al warfarin [53]. Ulteriori dati a conforto della maggiore efficacia dei DOACs rispetto a warfarin nella rallentare la progressione della malattia renale giungono anche da un recente lavoro pubblicato da un gruppo italiano il quale, non solo ha confermato l’effetto favorevole esercitato da Rivaroxaban sulla progressione delle calcificazioni valvolari cardiache ma anche sulla preservazione della funzione renale probabilmente anche correlata ad un’azione antiinfiammatoria della molecola, come documentato dall’impatto sui livelli sierici di citochine infiammatorie [8082].

Figura 5: Fisiopatologia della malattia renale diabetica ROS: Specie Reattive dell’Ossigeno
Confronto tra DOACs e warfarin
Figura 6: Confronto tra DOACs e warfarin in termini di nefroprotezione nei pazienti diabetici CI: Intervallo di Confidenza; DOAC: Anticoagulanti Orali Diretti; HR: Hazard Ratio

 

DOACs e malattia renale cronica terminale

L’aumento del rischio emorragico e la mancanza di prove certe per un efficace rapporto rischio/beneficio sono le ragioni principali per l’uso limitato degli anticoagulanti nei pazienti con CKD, specialmente quelli sottoposti a terapia renale sostitutiva (RRT) [83, 84]. Nei pazienti sottoposti a RRT, considerando che l’eliminazione dei farmaci è strettamente dipendente dalle dimensioni delle molecole, dalle percentuali legate alle proteine plasmatiche e dalle proprietà fisico-chimiche del filtro di dialisi, il warfarin e i DOACs sono entrambi scarsamente eliminati dalla clearance della dialisi. Mentre la superiorità dei DOACs rispetto al warfarin è ben documentata nei pazienti con funzione renale conservata o CKD moderata, mancano dati attualmente disponibili per i DOAC in pazienti con CKD avanzata o ESRD che possono portare a un aumento del rischio di sanguinamento [85]. Infatti, non ci sono dati di studi randomizzati controllati sull’uso dei DOACs per la prevenzione dell’ictus nei pazienti con FA con CKD grave o in RRT, poiché tutti gli studi di riferimento sui DOACs hanno escluso i pazienti con eGFR <30 mL/min (tranne alcuni pazienti con apixaban con eGFR 25-30 mL/min) [8689]. I dati principali sull’uso dei DOACs nei pazienti con RRT provengono da studi condotti negli USA. Dabigatran 110 o 150 mg due volte al giorno ha prodotto un’esposizione maggiore rispetto ai pazienti RE-LY standard (aumento dell’area sotto la curva da 1,5 a 3,3 volte); dabigatran 75 o 110 mg una volta al giorno ha prodotto esposizioni comparabili a quelle simulate nei tipici pazienti RE-LY. Questi dati sembrano suggerire che il regime a dose ridotta può essere più adatto ai pazienti in emodialisi [90, 91]. Sono disponibili informazioni più dettagliate sulle caratteristiche farmacocinetiche di apixaban. L’ESRD ha portato a un modesto aumento (36%) dell’area sotto la curva di apixaban senza aumento della concentrazione di picco [92]. Apixaban 2,5 mg b/die somministrato a pazienti in emodialisi ha determinato un’esposizione al farmaco simile a quella della dose standard (5 mg b/die) in pazienti con funzione renale conservata, mentre apixaban 5 mg due volte al giorno è associato a livelli sovraterapeutici nei pazienti con ESRD [93]. Inoltre, l’apixaban è altamente legato alle proteine, e in caso di un evento emorragico, si dovrebbe somministrare un concentrato di complesso protrombinico invece di tentare il trattamento con dialisi. Risultati simili sono stati riportati con rivaroxaban 10 mg/die in pazienti in emodialisi rispetto alla dose standard (20 mg/die) in pazienti con funzione renale normale [94]. Sorprendentemente, il deterioramento della funzione renale da grave a ESRD non sembra avere un impatto significativo sulla farmacocinetica di rivaroxaban e sull’effetto anticoagulante rispetto ai cambiamenti osservati con insufficienza renale moderata o grave [95]. Sebbene i dati attuali sull’efficacia e la sicurezza dei DOACs nell’ESRD siano limitati, sono molto incoraggianti (Figura 7) [96]. In uno studio retrospettivo di coorte, apixaban è risultato superiore nei pazienti ESRD sia in termini di sicurezza che di efficacia rispetto al warfarin; sia la dose standard (5 mg/bd) che quella ridotta (2,5 mg/bd) di apixaban erano associate a minori rischi di sanguinamento maggiore, ma solo la dose standard era associata a minori eventi tromboembolici e mortalità [97]. Miao B et al. hanno confrontato rivaroxaban e apixaban in pazienti ESRD. Non sono state riportate differenze significative in termini di rischio tromboembolico ed emorragico [98]; tuttavia, rispetto al warfarin, il rivaroxaban sembra essere associato a una riduzione del sanguinamento maggiore [99]. Inoltre, una meta-analisi che ha arruolato 71.877 pazienti in dialisi a lungo termine e con FA ha mostrato che i pazienti che ricevevano apixaban 5 mg due volte al giorno avevano un rischio di mortalità significativamente inferiore rispetto a quelli che ricevevano apixaban 2,5 mg due volte al giorno, warfarin o nessun anticoagulante e un rischio di sanguinamento inferiore rispetto a quelli che assumevano warfarin, dabigatran o rivaroxaban [100]. Nel complesso, tra i pazienti con CKD avanzata ed ESRD, l’uso di apixaban è stato associato a un minor rischio di sanguinamento maggiore rispetto al warfarin ed è stato efficace nel prevenire l’embolia sistemica [101]. Ad oggi, solo rivaroxaban 15 mg/die e apixaban 5 mg/bd (dose ridotta 2,5 mg/bd nei pazienti di 80 anni o più che pesano 60 kg o meno) sono approvati dalla Food and Drug Administration come anticoagulante orale nei pazienti ESRD. Nonostante la crescente evidenza sulla possibilità di usare i DOACs nei pazienti con eGFR <15 mL/min, le linee guida nefrologiche KDIGO raccomandano ancora il warfarin come farmaco di prima scelta e suggeriscono la possibilità di chiusura percutanea o chirurgica dell’auricola atriale sinistra [102]. Uno studio randomizzato che confronti DOACs e warfarin nei pazienti ESRD potrebbe essere appropriato per chiarire quale sia la terapia di prevenzione dell’ictus a lungo termine più sicura ed efficace nei pazienti ESRD e con FA. Sono in corso studi randomizzati controllati che confrontano i DOACs con il warfarin in pazienti con CKD avanzata o in dialisi. Lo studio AXADIA (Compare Apixaban and Vitamin-K Antagonists in Patients with Atrial Fibrillation and End-Stage Kidney Disease) sta randomizzando i pazienti ad apixaban 2,5 mg/bd o al fenprocumone regolato individualmente a un INR di 2,0-3,0; la data di completamento dello studio è prevista per luglio 2023 (NCT02933697) [103]. Tassi simili di eventi emorragici maggiori e non maggiori clinicamente rilevanti sono stati riportati nello studio RENAL-AF in cui i pazienti sono stati randomizzati ad apixaban 5 mg/bd o warfarin (NCT02942407). Purtroppo, lo studio è stato interrotto presto e ha arruolato solo 154 dei 762 pazienti previsti, quindi la piccola dimensione del campione e il basso tasso di eventi sono limitazioni significative dello studio. Molto incoraggianti i dati dello studio Valkyrie nel quale sono stati arruolati poco più di 100 pazienti suddivisi in tre bracci di trattamento: solo warfarin con target INR compreso tra 2 e 3, Rivaroxaban al dosaggio di 10 mg/die o Rivaroxaban 10 mg/die in associazione a vitamina K2 [104]. I risultati sono stati decisamente incoraggianti con un incremento della sopravvivenza nei pazienti trattati con l’inibitore del fattore Xa e ancor di più in coloro i quali facevano parte del gruppo trattato con Rivaroxaban in associazione a vitamina K2. Inoltre, sempre nei due gruppi trattati con Rivaroxaban, si è osservata una riduzione della progressione delle calcificazioni cardiovascolari, soprattutto a livello di aorta toracica e di circolo coronarico [104].

Confronto tra DOACs e warfarin nei pazienti con FA con malattia renale avanzata o dializzati
Figura 7: Confronto tra DOACs e warfarin nei pazienti con FA con malattia renale avanzata o dializzati CI: Intervallo di Confidenza; DOAC: Anticoagulanti Orali Diretti; HR: Hazard Ratio

 

Prevenzione non farmacologica dello stroke

Considerando la difficoltà della gestione della terapia con VKAs e le evidenze che depongono per un maggior tasso di mortalità nei pazienti trattati con VKAs, i pazienti con ESRD che necessitano di terapia anticoagulante potrebbero giovarsi di procedure interventistiche come, ad esempio, la chiusura dell’auricola dell’atrio sinistro. La chiusura percutanea dell’auricola sinistra (LAAO) è emersa come una potenziale alternativa all’anticoagulazione orale per tutta la vita, perché il 90% o più dei trombi durante la FA sono localizzati nell’appendice atriale sinistra, un residuo dell’atrio sinistro primordiale [105]. Questa strategia è attualmente limitata ai pazienti con un alto rischio tromboembolico e di sanguinamento che non sono idonei per gli anticoagulanti orali a lungo termine. Sulla base dei dati disponibili, l’uso della LAAO probabilmente crescerà enormemente nei prossimi anni perché il tasso di eventi avversi maggiori periprocedurali è molto basso nei pazienti con diverse comorbidità e alto rischio tromboembolico/emorragico [106113]. Nei pazienti con CKD avanzata, la LAAO percutanea sembra avere un rischio simile di complicazioni periprocedurali rispetto ai pazienti senza compromissione renale significativa [114, 115]. Inoltre, studi recenti hanno esplorato la sua efficacia per la prevenzione tromboembolica nei pazienti con malattia renale allo stadio terminale [58, 114, 116121]. Anche se non ancora confermato in studi di grandi dimensioni, questi risultati preliminari sono molto promettenti. Noi crediamo che la LAAO potrebbe essere una valida alternativa all’anticoagulazione a vita nei pazienti con CKD in stadio avanzato con FA, fornendo così un’efficace prevenzione tromboembolica senza aumentare il rischio di eventi emorragici pericolosi per la vita. Lo svantaggio principale della LAAO è il rischio di possibile formazione di trombi sul dispositivo di occlusione. Diverse strategie antitrombotiche sono state empiricamente adottate nella pratica clinica per evitare questa preoccupante complicanza [110, 122125]. Ad oggi, l’approccio più comune si basa sull’uso dell’aspirina, inizialmente con clopidogrel e poi da sola, per prevenire l’attivazione delle piastrine che entrano in contatto con la superficie atriale del dispositivo fino alla completa endotelizzazione [114, 116119, 126]. Sono necessari studi clinici randomizzati per identificare la migliore terapia antitrombotica per prevenire la trombosi legata al dispositivo ed esplorare l’efficacia della LAAO in popolazioni ad alto rischio con un ridotto margine di sicurezza tra la prevenzione dell’ictus e il rischio di sanguinamento (ad esempio, CKD allo stadio finale, anziani).

 

Conclusioni

I pazienti con CKD, specialmente con ESRD già in RRT, rappresentano una popolazione impegnativa per la scelta della terapia anticoagulante a lungo termine; tuttavia, la crescente evidenza suggerisce che i DOACs potrebbero essere un’alternativa migliore del warfarin come risultato della minore incidenza di AKI e WRN e un migliore rapporto rischio/beneficio.

 

Abbreviazioni

AKI: Danno Renale Acuto

ARN: Nefropatia Legata all’Anticoagulazione

BMP: Proteina Morfogenetica dell’Osso

CI: Intervallo di Confidenza

CKD: Malattia Renale Cronica

DKD: Malattia Renale Diabetica

DM: Diabete Mellito

DOACs: Anticoagulanti Orali Diretti

eGFR: Filtrato Glomerulare Stimato

ESC: Società Europea di Cardiologia

ESRD: End-Stage Renal Disease

FA: Fibrillazione Atriale

FANS: Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei

HR: Hazard Ratio

INR: Rapporto Internazionale Normalizzato

LAAO: Chiusura Percutanea di Auricola

NO: Ossido Nitrico

RAAS: sistema renina-angiotensina-aldosterone

ROS: Specie Reattive dell’Ossigeno

RRT: Terapia Renale Sostitutiva

WRN: Nefropatia Correlata a Warfarin

 

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