Supplemento S83 - In depth review

Gliflozins: Proteinuria Control, and Nephroprotection

Abstract

In recent years, the prevalence of chronic kidney disease (CKD) has significantly increased, with an estimated 843.6 million individuals affected in 2017 [1]. This rise is closely linked to the growing incidence of risk factors such as diabetes mellitus and obesity. Patients with diabetic kidney disease (DKD), one of the most common complications of diabetes, are characterized by high cardiovascular morbidity and mortality. Recent evidence indicates that sodium-glucose cotransporter 2 inhibitors (SGLT2i) play a crucial role in reducing the progression of both DKD and CKD, thanks to its nephroprotective and cardioprotective effects. SGLT2i work by decreasing glomerular hyperfiltration, improving tubulo-glomerular feedback, and reducing blood glucose levels.

Keywords: CKD, SGLT2i, nephroprotection, proteinuria, hyperfiltration

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Introduzione

Attualmente, a livello globale, si stima una prevalenza di 537 milioni pazienti diabetici, numero destinato ad aumentare fino a 643 milioni entro il 2030 e a 783 milioni entro il 2045 [2]. L’obesità e il diabete rappresentano un riconosciuto fattore di rischio per la CKD e il link fisiopatologico che lega tali patologie, spesso coesistenti sul piano clinico, è rappresentato dall’iperfiltrazione [3]. Negli ultimi anni, numerose molecole sono state studiate al fine di rallentare la progressione della CKD, queste, sebbene differenti da un punto di vista biochimico, sono accomunate dall’effetto sull’iperfiltrazione. Tra queste, gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2i) hanno rappresentato una vera e propria svolta grazie ai loro effetti nefro e cardio protettivi e attualmente sono farmaci di prima linea per il trattamento della DKD e della CKD. . Numerosi studi clinici, tra cui CREDENCE, DAPA-CKD ed EMPA-KIDNEY [4–6], hanno dimostrato l’efficacia degli SGLT2i nel ridurre il rischio di progressione della CKD nei pazienti diabetici e non diabetici. Inoltre, ricerche recenti suggeriscono che gli SGLT2i possano avere effetti benefici anche nei pazienti affetti da glomerulonefriti e nei trapiantati di rene. Questi risultati supportano l’impiego degli SGLT2i come trattamento di prima linea nella gestione della DKD e della CKD.

 

Il ruolo degli SGLT2i nella DKD e nella CKD

La nefropatia diabetica è una patologia multifattoriale che coinvolge diversi processi fisiologici, emodinamici e infiammatori. Tra i fattori che giocano un ruolo predominante nella DKD, vi è sicuramente l’iperglicemia, infatti, è stato dimostrato che i pazienti con emoglobina glicata in range di normalità non sviluppano DKD [7]. L’iperglicemia induce l’aumento dell’attività del cotrasportatore SGLT2, responsabile di circa il 90% del riassorbimento del glucosio e della maggior parte del riassorbimento del sodio nel tubulo prossimale. Questo meccanismo ha un ruolo centrale nello sviluppo della DKD, infatti, a livello renale, l’assorbimento di glucosio non è mediato dallo stimolo insulinico (come per muscoli, adipociti ed epatociti), ma aumenta in proporzione alla concentrazione di glucosio nel plasma. Nel contesto del diabete di tipo II, questo assorbimento non regolato di glucosio induce un aumento di glucosio nelle cellule glomerulari e dei tubuli renali e devia il glucosio verso vie non glicolitiche, con conseguente glicosilazione delle proteine ​​e generazione dei prodotti di glicazione avanzata. I prodotti finali di queste vie promuovono la disfunzione mitocondriale, lo stress ossidativo e l’infiammazione [8].

Nella fisiopatologia della DKD un ruolo fondamentale è rivestito anche dall’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS) e attori fondamentali della nefroprotezione sono gli ACE inibitori e gli ARB [9,10]. L’effetto nefroprotettivo dei bloccanti del RAAS si esplica sia nella riduzione dell’ipertensione arteriosa ma, soprattutto, nella riduzione dell’elevata pressione intraglomerulare, e della conseguente iperfiltrazione, caratteristica della DKD [9–12]. Tuttavia, i bloccanti del RAAS non annullano completamente la progressione della DKD, probabilmente a causa del fenomeno dell’aldosterone breakthrough, che porta ad un aumento dell’attività della renina a seguito di una prolungata inibizione del RAAS [13]. Ormai numerose evidenze hanno dimostrato come gli SGLT2i abbiano un effetto additivo a quello dei bloccanti del RAAS nel ridurre la progressione della DKD [14,15].

Gli SGLT2i riducendo i livelli di glucosio plasmatico sia a digiuno che postprandiali [16], riducono il glucosio nelle cellule glomerulari e nei tubuli renali e la conseguente produzione dei prodotti di glicazione avanzata. Gli SGLT2i riducono la soglia renale per l’escrezione del glucosio da ~10 mmol/l (180 mg/dl) a ~2,2 mmol/l (~40 mg/dl) [17] e la glicosuria che ne risulta, oltre a ridurre la concentrazione media di glucosio plasmatico, migliora la glucotossicità, con conseguente miglioramento della funzione delle cellule β pancreatiche che si traduce in una maggiore sensibilità all’insulina [16–18].

L’azione degli SGLT2i si esplica attraverso il ripristino del feedback tubulo-glomerulare, infatti, è ormai noto come il rilascio del cloruro di sodio alle cellule della macula densa dell’apparato iuxtaglomerulare giochi un ruolo centrale nella regolazione della frazione di filtrazione glomerulare (GFR) e della pressione intraglomerulare [19,20]. Nello specifico, una riduzione nel rilascio di cloruro di sodio a livello nella macula densa, attraverso la vasodilatazione della arteriola afferente aumenta e la pressione intraglomerulare. Al contrario, un aumento del rilascio di cloruro di sodio nella macula densa riduce la GFR e la pressione intraglomerulare attraverso la riattivazione del feedback tubulo-glomerulare. Alcuni studi su modelli animali hanno dimostrato come il diabete scarsamente controllato, inducendo un aumento del carico filtrato di glucosio, porti a un aumento del riassorbimento del glucosio accoppiato al sodio da parte del tubulo prossimale e ad una diminuzione del rilascio di sodio alla macula densa [21,22]. Questa diminuzione dell’apporto di sodio alla macula densa determina l’attivazione intrarenale del RAAS, la vasocostrizione dell’arteriola efferente, l’ipertensione glomerulare e l’iperfiltrazione renale [19,21,22]. Inoltre, il ridotto apporto di sodio alla macula densa inibisce la conversione dell’ATP in adenosina che ha a sua volta un effetto vasocostrittore, questo genera la vasodilatazione dell’arteriola afferente e l’aumento del flusso plasmatico renale, con conseguente aumento della pressione intraglomerulare e dell’iperfiltrazione [23].

Anche a questo livello gli SGLT2i giocano un ruolo fondamentale, infatti, aumentando il ​​rilascio di sodio alla macula densa favoriscono la conversione dell’ATP in adenosina con conseguente vasodilatazione dell’arteriola efferente, diminuzione del flusso plasmatico renale, riduzione dell’ipertensione glomerulare e, a lungo termine, attenuano la progressione della DKD anche in pazienti con efficace inibizione del RAS [24]. Gli effetti sul feedback sono alla base del calo iniziale del GFR osservato nei pazienti che iniziano SGLT2i, e che risulta simile a quello osservato dopo l’inizio della terapia con antagonisti del RAS. La riduzione dell’iperfiltrazione si traduce in riduzione della proteinuria con conseguente miglioramento dell’outcome renale e cardiovascolare [25]. (Figura 1)

Figura 1. Azione degli SGLT2i sull’emodinamica glomerulare.
Figura 1. Azione degli SGLT2i sull’emodinamica glomerulare.

Ulteriori meccanismi sono coinvolti nella progressione della DKD tra cui: l’aumento dello stato infiammatorio, la disfunzione e la perdita sia delle cellule endoteliali che del podocita. In tutti questi meccanismi gli SGLT2i svolgono un ruolo protettivo fondamentale, infatti, alcuni studi hanno dimostrato la loro capacità di ridurre i markers di infiammazione [26,27], la disfunzione endoteliale e la perdita della funzionalità del podocita [9,28].

Negli ultimi anni diversi studi hanno dimostrato che gli effetti nefroprotettvi degli SGLT2i non si esplicano solo nella DKD ma anche nella CKD; infatti, gli effetti sull’emodinamica renale possono offrire una nefroprotezione efficace indipendente dai livelli ematici di glicemia [29]. L’iperfiltrazione secondaria all’alterazione del meccanismo di feedback tubuloglomerulare è infatti un meccanismo comune nella patogenesi sia nella CKD che nella DKD [30]. Nella CKD, l’iperfiltrazione rappresenta un meccanismo inizialmente di tipo adattativo secondario alla riduzione della popolazione dei nefroni funzionanti al fine di compensare le richieste metaboliche ma che diventa successivamente maladattativo favorendo la progressione del danno renale. In entrambe le condizioni patologiche, Il ridotto apporto di sodio alla macula densa induce la vasodilatazione dell’arteriola afferente e l’aumento della pressione intraglomerulare[31–33]. L’inibizione del SGLT2, anche nella CKD, aumenta il rilascio distale di sodio, che a sua volta promuove il feedback tubuloglomerulare portando al ripristino della pressione intraglomerulare.

 

La nefroprotezione mediata dagli SGLT2i nei trial clinici

Nell’ultimo decennio, gli SGLT2i sono stati studiati in numerosi trial clinici randomizzati con outcome primario incentrato sugli eventi cardiovascolari, dimostrando un’efficacia nella riduzione del rischio di eventi cardiovascolari maggiori nei pazienti trattati. Inoltre, le analisi secondarie di questi studi hanno dimostrato un effetto protettivo sulla progressione della DKD e CKD.

Lo studio CREDENCE, pubblicato nel 2019, ha rappresentato una vera svolta nella storia della CKD e degli SGLT2i, infatti, è stato il primo trial creato per valutare l’effetto degli SGLT2i, e precisamente del canaglifozin, sull’outcome renale. In questo studio vennero arruolati 4401 pazienti diabetici di tipo II con malattia renale cronica (eGFR di 30-90 mL/min/1,73 m2) e albuminuria (UACR di 300-5000 mg/g) già in terapia stabile con inibitori del RAS alla massima dose tollerata. La terapia con canaglifozin dimostrò, in un follow up medio di 2,6 anni, di ridurre significativamente il rischio dell’outcome composito (progressione della CKD fino allo stadio terminale, raddoppio della creatinina sierica o morte per cause renali) (HR [IC al 95%] 0,66 [0,53–0,81]) [4]. I risultati furono così incisivi da causare l’interruzione prematura per il raggiungimento dei criteri di efficacia prespecificati, inoltre, dopo la pubblicazione dello stesso, le linee guida KDIGO per la gestione del diabete nella CKD raccomandarono l’uso di SGLT2i come trattamento di prima linea associato alla metformina [34].

Dopo la pubblicazione dello studio CREDENCE, diversi studi hanno valutato l’efficacia degli SGLT2i nella CKD cercando di rispondere alla domanda se questi farmaci potessero avere un ruolo anche nei pazienti affetti da CKD non diabetici.

Nello studio DAPA-CKD, vennero arruolati 4.304 pazienti diabetici e non diabetici con CKD (eGFR di 25–75 mL/min/1,73 m2 e UACR da 200 a 5.000 mg/g) già in trattamento stabile con inibitori del RAS [46]. Lo studio dimostrò la netta superiorità del dapaglifozin, pari al 39%, nel ridurre il rischio dell’endpoint primario combinato (declino del GFR > 50%, malattia renale allo stadio terminale o morte per cause renali o cardiovascolari). Inoltre, la superiorità veniva mantenuta anche quando le componenti dell’endpoint primario venivano considerate separatamente (HR [IC al 95%] 0,56 [0,45-0,68]). Lo studio dimostrò, inoltre, che il dapaglifozin era efficace nel ridurre il rischio di endpoint primario (HR [IC al 95%] 0,50 [0,35-0,72]) anche nei pazienti con CKD non diabetici [5]. Anche questo studio venne interrotto precocemente dopo 2,4 anni per dimostrata efficacia.

L’azione nefroprotettiva degli SGLT2i è stata, inoltre, confermata dallo studio EMPA-KIDNEY. Questo trial, su 6609 pazienti con CKD (eGFR tra 20 e 90 ml/min/1,73 m2 e UACR >200 mg/g) diabetici e non con un follow-up medio di 2 anni, dimostrò l’efficacia dell’empaglifozin di ridurre il rischio dell’endpoint primario composito (diminuzione dell’eGFR ≥40% rispetto al basale, malattia renale allo stadio terminale o morte per cause renali) e morte cardiovascolare (HR [IC al 95%] 0,72 [0,64–0,82]) [6]. Inoltre, fu osservata una riduzione del rischio di progressione renale del 29% e una riduzione significativa dell’ospedalizzazione per qualsiasi causa (HR [IC 95%] 0,86 [0,78-0,95]). Inoltre, estendendo i criteri di inclusione fino alla CKD IV stadio ha dimostrato come l’effetto protettivo di questi farmaci si mantenga anche nei pazienti con malattia renale cronica avanzata [6].  (Tabella 1)

  CREDENCE DAPA-CKD EMPA-KIDNEY
Intervento Canaglifozin 100mg/die Dapaglifozin 10 mg/die Empaglifozin 10 mg/die
Popolazione 4.401 pazienti diabetici in terapia con RAAS inibitore 4.304 pazienti diabetici e non in terapia con RAAS inibitore 6.609 pazienti diabetici e non in terapia con RAAS inibitore
eGFR (ml/min) da 30 a 90 da 25 a 75

da 20 a 45

da 45 a 90 con albuminuria

Albuminuria (mg/gr) 300-5.000 200-5.000 >200
Outcomes primari

Composito:

ESKD, raddoppio della creatinina dal basale, morte per cause renali o cardiache

Composito:

Riduzione sostenuta del 50% dell’eGFR, insorgenza ESKD, morte per cause renali o cardiache

Progressione della malattia renale o morte per cause cardiache
Outcomes secondari

1.     Composito: ospedalizzazione per morte cardiaca o scompenso

2.     Composito: ESKD, raddoppio della creatinina dal basale o morte per cause

3.     Morte per cause cardiache

4.     Morte per tutte le cause

1.     Composito renale: Riduzione sostenuta del 50% dell’eGFR, insorgenza ESKD, morte per cause renali

2.     Composito cardiaco: ospedalizzazione per scompenso o morte cardiaca

3.     Morte per tutte le cause

Composito: ospedalizzazione per scompenso cardiaco, morte per cause cardiache, tutte le cause di ospedalizzazione, morte per tutte le cause
Tabella 1. Studi sugli SGLT2i con outcomes primari renali. ESKD (insufficienza renale terminale)

Un aspetto da considerare nei trial con SGLT2 è che in tutti è stato osservato un calo acuto del GFR (DIP), che successivamente si stabilizza. Un’analisi pre-specificata dello studio DAPA-CKD ha osservato una differenza tra dapaglifozin e placebo nel dip del GFR di 2,61 ml/min nei pazienti diabeti e di 2,01 ml/min per 1,73 m2 nei pazienti non diabetici [35]. Il declino acuto (DIP) del GFR si presenta circa intorno alla seconda settimana di trattamento con una stabilizzazione del GFR fino alla fine del follow up [36]. La riduzione nello slope (la pendenza del calo del filtrato) è maggiore nei pazienti con diabete di tipo 2, emoglobina glicata più elevata e UACR più elevata [36].

Infine, una metanalisi di 13 trial clinici randomizzati (SMART-C), su 90413 pazienti, ha confermato che l’introduzione in terapia degli SGLT2i riduce il rischio di progressione della malattia renale cronica del 37 %, questo effetto può essere osservato sia nei pazienti diabetici che no. Precisamente, l’aggiunta in terapia di un SGLT2i ha dimostrato di ridurre il rischio di progressione di malattia del 40% nei pazienti affetti da nefropatia diabetica, del 30% nei pazienti con malattia renale ischemica/ipertensiva, del 40% nei pazienti con glomerulonefrite e del 26% nei pazienti con CKD ad eziologia sconosciuta. Le analisi di sensitività hanno inoltre suggerito che questo beneficio non dipenda dalla funzionalità renale basale e dall’albuminuria, e che la terapia con SGLT2i protegga anche dal rischio di insufficienza renale acuta ed eventi cardiovascolari [37].

Questi dati sono stati confermati, nella real-life, anche da uno studio di coorte scandinavo, su 29887 pazienti che hanno intrapreso la terapia con SGLT2i, in cui è stato dimostrato che l’uso di questi farmaci, rispetto agli inibitori della dipeptidil peptidasi-4 (DPP4), è stato associato a un rischio ridotto di eventi renali gravi (2,6 eventi per 1.000 anni-persona vs 6,2 eventi per 1.000 anni-persona; HR 0,42 (IC 95%,  0,34  0,53), una riduzione della necessità di terapia sostitutiva renale [HR 0.32 (IC 95%, 0.22 0.47)],  di ospedalizzazione per cause renali [HR 0,41 (IC 95%, 0,32 0,52)] e di morte per cause renali  [HR 0,77 (IC 95%, 0,26  2,23)] [38].

 

Gli SGLT2i nel trattamento delle glomerulonefriti

I trial condotti con l’utilizzo degli SGLT2i nella CKD includevano anche un gran numero di pazienti con nefropatie glomerulari.

Nello studio DAPA-CKD, 270 pazienti erano affetti da nefropatia da IgA in terapia con inibitori del RAS, di questi solo il 14,1% era anche diabetico e l’eGFR e l’UACR medi erano rispettivamente 43,8 mL/min/1,73 m2 e 900 mg/g. Un’analisi secondaria prespecificata sui pazienti con IgAN confermata alla biopsia renale ha dimostrato che il dapagliflozin riduceva significativamente il rischio di progressione della CKD, insufficienza renale o morte per cause renali (HR [95% IC] 0,23 [0,09–0,63]) [39]. Come nello studio principale, questo effetto non differiva tra i sottogruppi definiti dalle categorie eGFR e UACR al basale. È stata inoltre osservata, nei pazienti randomizzati a dapaglifozin, una riduzione dell’UACR del 26% e un rallentamento della progressione della CKD, con una differenza di eGFR tra i bracci di trattamento di 2,4 ml/min/1,73 m2 per anno [39].

Al contrario, lo studio EMPA-KIDNEY non prevedeva di condurre analisi in sottogruppi con glomerulonefriti, ma nella popolazione di studio erano presenti 817 pazienti con IgAN. La metanalisi SMART-C, condotta successivamente, ha dimostrato, attraverso la combinazione dei risultati di EMPA-KIDNEY e DAPA-CKD, una riduzione del 51% del rischio di progressione della CKD nell’IgAN nei pazienti trattati con empaglifozin o dapaglifozin[37].

Per quanto riguarda l’impatto degli SGLT2i nei pazienti con glomerulosclerosi focale segmentale (FSGS) i risultati sono stati meno soddisfacenti. Nello studio DAPA-CKD sono stati arruolati 115 soggetti affetti da FSGS di cui il 90% con diagnosi istologica [40],  l’endpoint renale primario però non differiva significativamente tra i bracci di trattamento. Questo è probabilmente dovuto al basso numero di eventi, tuttavia, la differenza tra i gruppi nell’UACR è stata del 19,7% a favore di dapagliflozin, e i tassi di declino cronico dell’eGFR erano di -1,9 e -4,0 mL/min/1,73 m2 per anno rispettivamente nel braccio dapagliflozin e placebo [40].

In questo ambito è da sottolineare la post-hoc analisi dei dati dell’EMPA-REG, comprendente 112 pazienti con proteinuria in range nefrosico (definita come UACR ≥2200 mg/g al basale), che ha dimostrato un beneficio nella riduzione della progressione della CKD nei pazienti trattati con empaglifozin.  Infatti, è stata osservata una riduzione dell’UACR ≥ del 50%, rispetto al basale, più frequentemente nei pazienti trattati con empaglifozin rispetto a placebo [58,8% vs 26,2%; HR 2.48; (95% IC 1.27−4.84)]. Inoltre, l’outcome composito renale (raddoppio della creatinina sierica accompagnati da un eGFR di ≤45 mL/min/1.73 m2, inizio della terapia sostitutiva renale o morte per malattia renale) è stato osservato nel 20,6% dei pazienti trattati con empaglifozin rispetto al 33.3% dei pazienti trattati con placebo [28].

 

Gli SGLT2i nel trapianto di rene

Nonostante le numerose prove di efficacia e sicurezza dell’utilizzo degli SGLT2i nella popolazione generale con CKD secondaria a nefropatia diabetica e non, pochi studi sono stati effettuati nei pazienti trapiantati di rene con diabete di tipo II o diabete post-trapianto; infatti, persistono delle riserve relate soprattutto all’aumentato rischio di infezioni micotiche genitali e delle vie urinarie. Uno studio multicentrico osservazionale, su 339 pazienti trapiantati in terapia con SGLT2i, ha dimostrato, tra il basale e 6 mesi, una riduzione significative del peso corporeo [-2,22 kg (IC 95% da -2,79 a -1,65)], della pressione sanguigna, della glicemia a digiuno, dell’emoglobina [-0,36% (IC 95% da -0,51 a -0,21)]. Inoltre, seppur sia stata osservata una riduzione non significativa dell’UACR [da 164 mg/g (IQR 82–430) a 160 (IQR 80–347), p 0.006], quando i pazienti sono stati stratificati in base a un UACR al basale inferiore o superiore a 300 mg/g, è stato osservato un miglioramento significativo nei pazienti che avevano un UACR al basale ≥ 300 mg/g [da 760 mg/g (IQR 454–1594) a 534 (IQR 285–1092); p<0,001]. Il 26% dei pazienti ha avuto un evento avverso di cui il più frequente è stato l’infezione delle vie urinarie (14%); i fattori di rischio erano un precedente episodio di infezione nei 6 mesi precedenti [[OR] 7,90 (IC 3,63–17,2)] e il sesso femminile [OR 2,46 (IC 1,19–5,03)]. Da sottolineare che una post hoc analisi ha osservato che l’incidenza di infezione delle vie urinarie a 12 mesi era simile tra i pazienti trapiantati con SGLT2i e quelli non trattati (17,9% contro 16,7%) [41]. Questi dati sono stati confermati da uno studio randomizzato controllato su 44 pazienti trapiantati trattati con empaglifozin o placebo, in cui è stata osservata, nel gruppo di trattamento, una riduzione significativa dell’emoglobina glicata [-0.2% (-0.6, -0.1) vs 0.1% (-0.1,0.1), ‘p 0.025] e del peso corporeo [-2.5 Kg (-4.0, -0.05) vs +1 Kg (0.0, 2.0), p 0.014] ma non una differenza significativa in termini di eventi avversi, eGFR e livelli dei farmaci immunosoppressori [42].

 

Conclusioni

La terapia con SGLT2i, negli ultimi anni, ha rappresentato una rivoluzione nel trattamento della nefropatia diabetica e nella riduzione della progressione della malattia renale cronica. I profili di efficacia e sicurezza di questi farmaci sono stati testati in numerosi trial e confermati da evidenze di real-life, questi dati incoraggianti li hanno resi un pilastro delle strategie di nefroprotezione applicabili nella CKD.

La nuova sfida sarà quella di agire sulla progressione della CKD e della DKD attraverso un approccio incentrato su un intervento farmacologico mirato ai diversi meccanismi di progressione. L’associazione con nuove molecole come gli antagonisti dei mineralcorticoidi, gli inibitori dell’aldosterone sintetasi, gli antagonisti del recettore dell’endotelina e gli agonisti recettoriali del GLP permetterà di massimizzare ulteriormente l’efficacia nefroprotettiva degli SGLT2i.

 

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