Supplemento S83 - In depth review

Nutritional Therapy in the Management of Chronic Kidney Disease

Abstract

La terapia nutrizionale è un punto fondamentale nella cura della malattia renale e si integra perfettamente con la terapia farmacologica attualmente in uso, che si basa sul trattamento dei sintomi e segni principali della MRC (ipertensione, anemia, acidosi, squilibri del metabolismo calcio-fosoforo, etc.). I dati della letteratura raccolti in questi ultimi decenni hanno pertanto elevato quella che un tempo era impropriamente chiamata “dieta ipoproteica” alla nuova definizione di “terapia nutrizionale” che entra quindi a buon diritto nel portafoglio dei trattamenti che come nefrologi abbiamo a disposizione per la cura della MRC. I trattamenti nutrizionali sono da considerarsi, alla luce anche dei numerosi dati della letteratura, terapie efficaci per ritardare l’inizio della dialisi, per ridurre segni e sintomi dell’insufficienza renale e per mantenere lo stato di nutrizione. Un’implementazione di successo richiede motivazione da parte del paziente, e una stretta interazione tra i pazienti e i membri di quello che è il team interdisciplinare ideale, che comprende al suo interno nefrologi, infermieri, dietisti e assistenti sociali, al fine di ottenere le massime possibilità di efficacia e sicurezza.

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La terapia nutrizionale nella gestione della malattia renale cronica

La prevalenza della MRC nella popolazione generale è stata stimata, sia in studi internazionali che in studi nazionali, essere compresa fra il 7% e il 10% della popolazione generale [1-3]. Una strategica alimentazione, il trattamento farmacologico delle comorbidità che accompagnano la MRC e il corretto stile di vita hanno un ruolo chiave nella prevenzione e nel trattamento della insufficienza renale cronica.

Fin dal XIX secolo era stato intuito che la sindrome uremica fosse causata dalla ritenzione di molecole e tossine derivanti dal catabolismo delle proteine ingerite. Nel 1964, grazie allo studio di Giovannetti e Maggiore [4], viene evidenziato come attraverso l’utilizzo di una dieta ipoproteica era possibile ridurre i livelli di intossicazione uremica. Ancora oggi la terapia nutrizionale, sebbene con sfumature diverse, ha un ruolo centrale e in alcuni casi insostituibile nel trattamento conservativo della malattia renale cronica. Nelle fasi precoci di malattia può contribuire a rallentare la progressione della malattia, mentre nelle fasi più avanzate può prevenire e/o correggere segni e sintomi uremici e ritardare l’inizio della dialisi. La terapia dietetica è essenziale anche nella prevenzione e nel trattamento della malnutrizione, degli squilibri idro-elettrolitici e acido-base, e delle alterazioni del metabolismo minerale.

Nel 2020 sono state pubblicate le nuove Linee Guida per la nutrizione nella malattia renale cronica [5]. Per i pazienti non diabetici clinicamente stabili con malattia renale cronica in stadio 3-5 non dialisi, si raccomanda un apporto proteico di 0,55-0,60 g/kg/d o una dieta fortemente ipoproteica 0,28-0,43 g/kg/d integrata con aminoacidi essenziali e cheto analoghi. Lo stesso livello di raccomandazione non è stato raggiunto per i pazienti diabetici con nefropatia, per i quali si suggerisce una restrizione proteica meno spinta (0,6-0,8 g/kg/d).

L’apporto energetico, da sempre considerato di 30-35 Kcal/kg/d, è stato rivisto abbassando il valore minimo a 25 Kcal/kg/d che meglio si adatta alla odierna popolazione dei pazienti nefropatici, sempre più anziana, comorbida e sedentaria.

Recentemente è stato anche evidenziato come la DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension) o la “dieta mediterranea”, sono in grado di ridurre l’incidenza di malattia renale cronica ed il rischio cardio-vascolare [5]. La TDN ha il suo cardine nella riduzione dell’apporto proteico ma non si limita a questo: comprende anche un adeguato apporto calorico, il controllo dell’apporto di sodio e di potassio e la riduzione dell’apporto di fosforo. Oltre agli aspetti quantitativi, il supporto dietetico prevede anche la modifica della qualità degli alimenti, in particolare favorendo cibi di origine vegetale che inducono effetti favorevoli sul metabolismo del fosforo e sull’equilibrio acido-base con miglior controllo della pressione arteriosa e dell’emodinamica renale.

 

Le diete ipoproteiche

Sebbene diversi tipi di regimi ipoproteici siano possibili nella pratica clinica, le seguenti tipologie sono quelle più frequentemente riportate nella letteratura medica, almeno nei paesi occidentali [6]:

– La Dieta Ipoproteica standard apporta 0,6 g/kg/die di proteine, di cui almeno il 60% ad alto valore biologico, come, pesce e carne. Il fabbisogno energetico è garantito dai carboidrati (55-60% dell’apporto energetico totale) e lipidi (30-35% dell’apporto energetico totale). Limitando gli alimenti ricchi di proteine e fosforo ​​(come latticini e alimenti trasformati o con conservanti), la dieta è anche ipofosforica (600-700 mg/giorno) e iposodica (5-6 grammi di sale da cucina). Nel contempo, aumentando l’assunzione di cibi di origine vegetale, interi, freschi o poco lavorati (frutta e verdura fresca, cereali e granaglie), questa dieta aggiunge i benefici derivanti dall’elevato apporto di fibre e alcali, questi ultimi necessari a migliorare il quadro dell’acidosi presente nella malattia renale cronica per ridotta produzione di basi a livello renale. Conciliare un basso apporto proteico con un apporto energetico da normale ad elevato è possibile grazie ai prodotti artificiali aproteici, che rappresentano la fonte energetica principale e ideale per il nefropatico. Questi prodotti includono pasta, tagliatelle, pane, biscotti, farina, minestre e dolci precotti: sono costituiti da carboidrati e pressoché privi di proteine e fosforo, e con basso contenuto di sale. Essi sono compresi nei nuovi LEA e dispensati dalla Regione come alimenti a fini dietetici speciali.

– La Dieta ipoproteica vegan con proteine complementari fornisce 0,7 g/kg di peso corporeo di proteine. È un’opzione quando non sono disponibili o accettati i prodotti aproteici. Per coprire il fabbisogno di aminoacidi essenziali si utilizzano combinazioni di cereali e legumi. Infatti, cereali e legumi sono rispettivamente poveri di lisina e metionina; tuttavia, poiché i cereali sono ricchi di metionina mentre la lisina è ben rappresentata nei legumi, le miscele di cereali e legumi sono complementari e adeguate dal punto di vista nutrizionale.

Nel caso di una LPD vegana con l’assunzione di proteine ​​non selezionate, si ricorre alla integrazione di aminoacidi essenziali e/o chetoacidi (Ketosteril®), nella misura di 1 compressa ogni 10 kg di peso corporeo. I chetoacidi sono aminoacidi senza il gruppo aminico, che viene rimpiazzato da un atomo di calcio: nell’uomo è possibile la loro transaminazione al corrispettivo amino acido. In questo modo si riduce ulteriormente la sintesi (e la ritenzione) di urea grazie al diverso destino del gruppo aminico.

– La dieta a bassissimo contenuto proteico apporta 0.3-0.4 g/kg/die di proteine, esclusivamente vegetali e non selezionate, e per questo viene obbligatoriamente supplementata con aminoacidi essenziali e chetoacidi (Ketosteril®, 1 compressa ogni 5 kg di peso corporeo). Questo regime dietetico richiede grande motivazione e impegno da parte dei pazienti e dei care-giver, ed è solitamente limitato a pazienti selezionati con CKD molto avanzata e con elevata aderenza alle restrizioni dietetiche [6]. Viene generalmente implementato quando la dieta ipoproteica convenzionale o vegana non è sufficiente per mantenere un buon compenso metabolico e per procrastinare nel tempo, per scelta o necessità, l’inizio della dialisi.

 

Obiettivi terapeutici della terapia dietetica nutrizionale (TDN)

Le LPD funzionano perché riducono la produzione di prodotti di scarto derivati ​​​​dalle proteine (animali in particolare) ed eliminati per via renale, con conseguente minore ritenzione di tossine uremiche​, di fosforo, di sale ​​​e di acidi fissi nel paziente affetto da malattia renale cronica. Rispetto alle proteine animali, e a parità di quantità, le proteine vegetali hanno effetti favorevoli sull’emodinamica glomerulare e sulla proteinuria, generano un minore carico acido e apportano un fosfato meno biodisponibile; inoltre l’elevato apporto di carboidrati complessi e fibre contribuisce a stabilire un favorevole equilibrio del microbiota intestinale, favorendo specie batteriche benefiche con predominanza del metabolismo saccarolitico.

Recentemente è stato preparato, discusso e condiviso fra nefrologi, dietisti (ANDID) e dei pazienti (ANED) un documento che in 20 punti essenziali definisce l’approccio nutrizionale al paziente con insufficienza renale cronica [7].

  1. Nel paziente con MRC al 4-5 stadio (severa, velocità di filtrazione glomerulare 15-29 ml/min-terminale, <15 ml/min), una dieta non controllata nell’apporto di calorie, proteine, sale e fosforo anticipa e aggrava le alterazioni clinico metaboliche proprie dell’insufficienza renale cronica avanzata, dato che si ha una progressiva incapacità di eliminare carichi elevati di sodio, acqua, potassio, fosforo e ioni idrogeno con tendenza alla loro ritenzione. Pertanto, l’apporto deve essere controllato per evitare la comparsa delle alterazioni metaboliche e cliniche proprie dello stato uremico: ipertensione, edemi e scompenso cardiaco in caso di eccesso di sodio e acqua; iperparatiroidismo secondario e calcificazioni arteriose e delle valvole cardiache dovuto all’assunzione eccessiva di fosforo; acidosi metabolica per la ridotta capacità di eliminare un carico di acidi fissi, derivati dal catabolismo delle proteine. Particolare attenzione va rivolta all’acidosi metabolica in quanto è un forte stimolo al catabolismo proteico e muscolare, alla demineralizzazione ossea, all’insulino-resistenza, all’iperpotassiemia, etc. La riduzione delle riserve proteiche ed energetiche dell’organismo configura il quadro della protein-energy wasting (PEW) e della cachessia, a loro volta causa di aumentata ospedalizzazione e mortalità. Contribuiscono alla deplezione proteico-energetica la progressiva riduzione dell’attività fisica e uno stato microinfiammatorio, che sono più frequenti nella MRC in fase avanzata.
  2. Nel paziente con MRC 4-5, una dieta non controllata nell’apporto di calorie, proteine, sale e fosforo può ridurre l’efficacia della terapia farmacologica o richiederne l’aumento di posologia. Se c’è aumento di peso con dislipidemia e con resistenza all’insulina, va implementata la terapia con ipolipidemizzanti ed ipoglicemizzanti; così come se c’è un elevato apporto di sale riduce l’effetto della terapia antiipertensiva.
  3. Il mancato compenso metabolico con comparsa di segni e sintomi uremici rappresenta un’indicazione all’inizio del trattamento dialitico, a parità e indipendentemente dal livello di funzione renale residua.
  4. L’insufficienza renale cronica non trattata conduce alla iponutrizione per la comparsa di inappetenza, nausea e anoressia. La storia naturale dell’insufficienza renale cronica porta il paziente a ridurre l’apporto dietetico di calorie e proteine con la progressiva riduzione della funzione renale residua. Le alterazioni proprie dell’insufficienza renale compromettono l’appetito e lo stato nutrizionale conducendo alla cachessia e alla malnutrizione. Perdita di appetito, anoressia, nausea o vomito possono essere causati dalla tossicità uremica e dallo stato di acidosi metabolica scompensata che sono indicatori per l’inizio del trattamento sostitutivo dialitico.
  5. In considerazione della fisiopatologia della insufficienza renale cronica avanzata, una terapia dietetica nutrizionale corretta si basa pertanto sulla riduzione dell’apporto proteico, che a sua volta comporta la riduzione dell’apporto di fosforo; sulla riduzione dell’apporto di sodio e di potassio.
  6. La riduzione dell’apporto proteico con un adeguato apporto calorico prevede l’utilizzo dei prodotti aproteici, costituiti da carboidrati e pressoché privi di proteine, fosforo, sodio e potassio. Essi consentono di elevare l’apporto energetico lasciando più spazio ad alimenti ricchi in proteine ad alto valore biologico per garantire l’apporto di amino acidi essenziali. Si ottiene col loro utilizzo una migliore efficacia terapeutica con minor rischio di inadeguatezza nutrizionale.
  7. Le compresse di aminoacidi essenziali e chetoanaloghi costituiscono una fonte di integrazione aminoacidica nella MRC 4-5 e sono la necessaria supplementazione nella dieta fortemente ipoproteica.
  8. Per assicurare l’adeguatezza della terapia dietetica nutrizionale dell’insufficienza renale cronica è necessario verificare il rispetto delle seguenti condizioni:

– soddisfacimento del fabbisogno calorico;

– adeguato apporto di amino acidi essenziali;

– correzione dell’acidosi metabolica;

– buon controllo glicometabolico.

I principali obiettivi delle TDN sono:

  • allontanamento nel tempo dell’inizio della terapia sostitutiva renale (dialisi, trapianto)
  • prevenzione e il trattamento di segni e sintomi dell’insufficienza renale
  • prevenzione della malnutrizione
  • riduzione del rischio di squilibri idro-elettrolitici

A questi si aggiunge anche un effetto additivo alla gestione farmacologica della proteinuria, ipertensione arteriosa, dislipidemia, metabolismo calcio-fosforo.

Il ritardo nell’inizio della terapia sostitutiva renale è un obiettivo primario delle LPD, che si può ottenere attraverso due modi: riducendo l’iperfiltrazione del singolo nefrone, della proteinuria e del carico acido, si può rallentare il declino della funzione renale residua e la restrizione proteica migliora l’assetto metabolico, riduce la sintomatologia uremica e mantiene lo stato nutrizionale permettendo così di posticipare la dialisi, a parità di funzione renale residua.

Questi benefici non sono necessariamente mediati dall’effetto della restrizione proteica, ma anche dalla riduzione del carico di sodio, fosforo e di acidi che derivano dalle proteine ​​animali e da alimenti ultraprocessati. Invece, diete ricche di alimenti vegetali, forniscono un maggiore apporto di fibre, componenti bioattivi, vitamine, antiossidanti e una maggior carico di alcali. Ciò può avere implicazioni favorevoli nel controllo della pressione sanguigna e nella gestione dei disturbi metabolici come l’iperfosfatemia, l’iperpotassemia, l’acidosi metabolica e la dislipidemia. Inoltre, nei pazienti con insufficienza renale avanzata, un apporto di elevato fibre derivante da cibi vegetali è associato a una minore concentrazione di tossine uremiche derivanti dal microbiota intestinale, quali p-cresil solfato e indoxyl solfato.

 

Controindicazioni ed effetti indesiderati delle diete ipoproteiche

Come per le terapie farmacologiche, anche per le diete ipoproteiche esistono controindicazioni assolute o relative. Le malattie acute gravi o condizioni di stress si caratterizzano per ipercatabolismo proteico, aumentando così il fabbisogno proteico e rappresentano per questo una controindicazione assoluta. Alti livelli circolanti di citochine e molecole proinfiammatorie aumentano il catabolismo proteico per far fronte all’evento acuto. In questi contesti, un basso apporto proteico può attenuare la risposta allo stress e aumentare la perdita di massa magra. I disturbi del comportamento alimentare o una malnutrizione conclamata sono considerate controindicazioni assolute alla dieta ipoproteica. Infine, nelle cure di fine vita, l’avvio di una dieta ipoproteica è considerato inutile, a meno che non sia finalizzato al controllo dei sintomi.

Tra le controindicazioni relative possono rientrare la maggior parte delle cosiddette barriere (economiche, culturali, mancanza di supporto familiare o sociale, …) all’implementazione della dieta ipoproteica, disturbi psichiatrici, diabete scarsamente controllato, trattamento cronico con steroidi, malattie gastrointestinali croniche, inclusi disturbi della masticazione e breve aspettativa vita. Queste condizioni devono essere valutate e laddove possibile corrette prima di intraprendere una restrizione proteica.

Gli effetti indesiderati comprendono la perdita di massa grassa, a causa di un inadeguato apporto energetico; perdita di massa magra a causa di un inadeguato apporto proteico ed energetico; inoltre depressione, problemi relazionali, disagio psicologico, eccessiva restrizione proteica o mancata restrizione proteica.

La perdita di peso indesiderata è una delle preoccupazioni più importanti nei pazienti in trattamento con dieta ipoproteica. La riduzione del peso corporeo, quando non attribuita a disidratazione, è espressione di un apporto energetico inadeguato che è invariabilmente associato ad un aumento del fabbisogno di azoto; questo impedisce il mantenimento del bilancio azotato neutro o positivo che dovrebbe caratterizzare una dieta ipoproteica ben condotta. La perdita di massa magra può verificarsi sia quando l’apporto proteico e aminoacidico è inadeguato, sia quando l’apporto proteico è adeguato ma l’apporto energetico è insufficiente. È importante sottolineare che la perdita di massa magra può derivare anche da inattività fisica o stile di vita sedentario che devono sempre essere contrastati.

Comunque, i dati della letteratura confermano che una LPD, correttamente prescritta e applicata, non comporta malnutrizione, anzi permette un migliore compenso metabolico e clinico della CKD.

Il punto centrale per ottenere gli effetti attesi e nello stesso tempo la sicurezza nutrizionale di una dieta ipoproteica è porre attenzione alle abitudini alimentari, impiegare un approccio graduale con stretto follow-up e personalizzare i piani dietetici. Tutto questo in particolare nei casi di diabete mellito, obesità e sindrome nefrosica, che richiedono particolari aggiustamenti dietologici.

 

Conclusione

La terapia nutrizionale è un elemento centrale che si integra perfettamente con quella farmacologica nella gestione del paziente con restrizione proteica. Le diete ipoproteiche sono terapie efficaci per ritardare l’inizio della dialisi, per ridurre segni e sintomi del’insufficienza renale e per mantenere lo stato di nutrizione. Come per tutte le terapie farmacologiche, le diete ipoproteiche hanno indicazioni e controindicazioni e possono comportare il rischio di effetti collaterali indesiderati che devono essere affrontati e risolti tempestivamente. Un’implementazione di successo richiede motivazione e una stretta interazione tra i pazienti e i membri di un team interdisciplinare che comprende medici, infermieri, dietisti e assistenti sociali, al fine di ottenere le massime possibilità di efficacia e sicurezza.

 

Bibliografia

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  4. S Giovannetti , Q Maggiore . A low-nitrogen diet with proteins of high biological value for severe chronic uremia. 1964 ;1:1000-3
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  7. A Cupisti, G Brunori, B R Di Iorio, C D’Alessandro  et al. Nutritional treatment of advanced CKD: twenty consensus statements. J Nephrol 2018; 31: 457-473.