Marzo Aprile 2024 - In depth review

New Treatment Strategies in Patients with Heart Failure with Reduced Ejection Fraction: Beyond Neurohormonal Inhibition

Abstract

Patients affected by heart failure (HF) with reduced ejection fraction (HFrEF) are prone to experience episodes of worsening symptoms and signs despite continued therapy, termed “worsening heart failure” (WHF). Although guideline-directed medical therapy is well established, worsening of chronic heart failure accounts for almost 50% of all hospital admissions for HF with consequent higher risk of death and hospitalization than patients with “stable” HF. New drugs are emerging as cornerstones to reduce residual risk of both cardiovascular mortality and readmission for heart failure.
The following review will debate about emerging definition of WHF in light of the recent clinical consensus released by the Heart Failure Association (HFA) of the European Society of Cardiology (ESC) and the new therapeutic strategies in cardiorenal patients.

Keywords: Heart Failure, Worsening Heart Failure (WHF), Cardiorenal Syndrome, Vericiguat

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Introduzione

Lo scompenso cardiaco (HF) rappresenta, allo stato attuale, una condizione morbosa tra le più incidenti e prevalenti nel mondo occidentale e non solo e la cui pericolosità non risiede solamente nel suo carattere progressivo e degenerativo, bensì nella sua capacità di andare incontro a episodi di riacutizzazione (WHF, worsening heart failure) sempre più severi e impattanti sull’outcome dei pazienti [1].

I pazienti affetti da scompenso cardiaco con ridotta frazione d’eiezione (HFrEF), più in particolare, rappresentano sostanzialmente il 50% di tutta la popolazione di pazienti affetti da HF [2].

È, inoltre, noto come gli ultimi 10-15 anni siano stati caratterizzati da tutta una serie di cambiamenti in termini di linee guida e di gestione del trattamento dello scompenso: beta bloccanti (BB), inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACEi), associazione antagonisti recettoriali dell’angiotensina II/inibitori della neprilisina (ARNI), antagonisti recettoriali dei mineralcorticoidi (MRAs) e inibitori del cotrasportatore sodio/glucosio di tipo 2 (SGLT2i) sono tutti farmaci che hanno cambiato la storia e il decorso clinico dei pazienti affetti da HF.

Ma, come accaduto in altri contesti clinici, tutto ciò spesso non basta per eliminare del tutto il rischio residuo di morte per cause cardiovascolari ovvero di recidiva di ricovero ospedaliero per HF.

Proprio alla luce di quanto appena affermato non è peregrino affermare che il principale obiettivo di tutti i trial clinici, condotti con nuove molecole sullo scompenso, è diventato proprio quello di azzerare ovvero ridurre al minimo il rischio cardiovascolare residuo.

 

Decorso clinico

Quando si parla di decorso clinico di HF non si può prescindere dal capire su come interpretare, e quindi limitare, gli episodi di riacutizzazione di uno HFrEF tornando, quindi, alla definizione di WHF che, nella sua accezione più accreditata, può essere definito come la comparsa di un peggioramento di segni e sintomi di HF in pazienti già sottoposti allo “standard of care” ma che necessitano di un’intensificazione del trattamento farmacologico.

La stessa definizione di WHF si è evoluta nel tempo prendendo ora in considerazione non solo l’evento relativo alla recidiva di ricovero ospedaliero, bensì anche ciò che avviene clinicamente in ambito domiciliare e ambulatoriale.

Alla luce di quest’aggiornamento non esclusivamente di natura semantica, il concetto di WHF è entrato pesantemente anche nei principali studi clinici randomizzati (Tabella 1).

Trial clinico

Farmaco

Criteri di inclusione

PIONEER-HF (881 pazienti)

sacubitril/valsartan vs enalapril

Pazienti ospedalizzati per scompenso cardiaco de novo con segni e sintomi di sovraccarico volemico, randomizzati dopo circa 24 ore dall’ammissione in ospedale fino a 10 giorni dalla presentazione iniziale durante la degenza in ospedale. La stabilità dei pazienti era definita da una pressione arteriosa sistolica >100 mmHg nelle 6 ore precedenti la randomizzazione in assenza di ipotensione sintomatica, nessuna intensificazione della terapia diuretica endovenosa o utilizzo di vasodilatatori endovenosi nelle ultime 6 ore, assenza di somministrazione di inotropi endovenosi nelle 24 ore prima della randomizzazione

AFFIRM-HF (1110 pazienti)

Carbossimaltosio ferrico vs placebo

 

Pazienti ospedalizzati per scompenso cardiaco acuto che nel corso della degenza avevano ricevuto almeno 40 mg di furosemide per via endovenosa

VICTORIA (5050 pazienti)

 

vericiguat vs placebo

 

Pazienti con worsening heart failure ospedalizzati nei 6 mesi precedenti la randomizzazione o che hanno ricevuto terapia diuretica endovenosa senza essere stati ospedalizzati nei 3 mesi precedenti la randomizzazione

GALACTIC-HF (8256 pazienti)

 

omecamtiv mecarbil vs placebo

 

Pazienti di età compresa tra i 18 e 85 anni che sono stati ospedalizzati per scompenso cardiaco o hanno eseguito una visita urgente presso il pronto soccorso o sono stati ospedalizzati per scompenso cardiaco entro 1 anno dalla randomizzazione

SOLOIST-WHF (1222 pazienti con diabete mellito tipo 2)

sotagliflozin vs placebo

Pazienti di età compresa tra i 18 e 85 anni ospedalizzati per segni e/o sintomi di scompenso cardiaco che hanno ricevuto terapia diuretica endovenosa

EMPULSE (530 pazienti)

empagliflozin vs placebo

Pazienti ospedalizzati per scompenso cardiaco acuto, randomizzati dopo una iniziale stabilizzazione (pressione arteriosa sistemica ≥ 100 mmHg, assenza di ipotensione sintomatica nelle precedenti 6 ore, nessuna intensificazione della terapia diuretica endovenosa nelle 6 ore precedenti la randomizzazione, nessuna terapia endovenosa con vasodilatatori (inclusi i nitrati) nelle 6 ore precedenti la randomizzazione, nessuna terapia con inotropi per via endovenosa nelle 24 ore precedenti la randomizzazione

Tabella 1. Recenti trial clinici sullo scompenso cardiaco e i rispettivi criteri di inclusione. Modificato da Lavalle C, Di Lullo, L. et al. J Clin Med. 2023 Nov 7;12(22):6956.

Come già scritto nel paragrafo introduttivo, il decorso clinico dello scompenso cardiaco si connota per un andamento progressivo caratterizzato, inoltre, da periodi più o meno ravvicinati di riacutizzazioni che, alla resa dei conti, ne determinano l’evoluzione verso una fase terminale [3].

Se vogliamo analizzare il concetto dal punto di vista opposto, i pazienti ricoverati per una condizione di WHF su una diagnosi di HF de novo, presentano un fenotipo piuttosto caratteristico: si tratta, generalmente, di pazienti più giovani, con minori comorbidità, a eziologia prevalentemente di natura ischemica, prevalentemente ipertesi ma con una funzione renale migliore al basale e che presentano, al momento della dimissione, un outcome cardiovascolare migliore dei pazienti con una diagnosi consolidata di HF [4].

Ma cosa accade a questa tipologia di paziente in un setting ambulatoriale? Le opzioni sono sostanzialmente due: continuare, in ambiente ambulatoriale dedicato, la terapia diuretica per via endovenosa ovvero implementare un doppio regime di trattamento basato su una terapia diuretica per via orale associata a quella con farmaci ad azione vasodilatatoria [5].

Ma se l’opzione della terapia diuretica per via endovenosa ha dimostrato di poter essere utile nel trattare gli episodi di riacutizzazione, non si può dire altrettanto della terapia ambulatoriale con diuretici per os il cui impiego, in questo contesto, è gravato da un rischio maggiore di morbidità e mortalità [1].

Sempre a riguardo della definizione di WHF, uno dei limiti della stessa è che non sempre la contemporanea assenza di segni e sintomi clinici è indicativa di un rischio più contenuto; a questo proposito, infatti, è stato suggerito di considerare la riduzione della portata di segni e sintomi piuttosto che gli stessi in senso lato [1].

Lo scompenso cardiaco congestizio può manifestarsi sia con i segni dell’edema polmonare (congestione polmonare), sia con quelli di una congestione sistemica. La prima evenienza è il risultato di elevate pressioni di riempimento ventricolare sinistro in grado di provocare sintomi (dispnea, ortopnea, astenia) e segni (ritmo di galoppo all’auscultazione, crepitii polmonari, versamento pleurico) piuttosto caratteristici.

Nel caso in cui si palesi un quadro di congestione sistemica, conseguenza di un incremento della pressione venosa centrale da scompenso cardiaco destro, la sintomatologia si caratterizza per la presenza di edema periferico, incremento del peso corporeo, distensione delle vene giugulari, epatomegalia e ascite [6].

Un aiuto utile a discernere tra congestione e WHF può arrivare anche dall’analisi delle variazioni nei livelli sierici dei biomarcatori, soprattutto nelle fasi precoci di malattia. Le concentrazioni sieriche di peptide natriuretico atriale (BNP) ovvero del frammento N terminale del pro-BNP (NT-proBNP) sono fortemente predittive in termini di prognosi in quanto le loro variazioni riflettono lo stato di stress transmurale delle pareti cardiache ma non delle condizioni funzionali del cuore destro [7].

Quando si parla di scompenso cardiaco destro (RVHF, right ventricle heart failure), l’esame ecocardiografico resta il “gold standard” per una corretta valutazione degli indici funzionali riguardanti le sezioni destre e non solo. L’ecocardiografia consente, grazie alla valutazione del diametro della vena cava inferiore (IVC) e della pressione arteriosa polmonare, di valutare sia la funzione diastolica (rapporto E/E’) che le pressioni di riempimento ventricolare. Più in particolare, il diametro di IVC riflette la pressione atriale destra, mentre l’incremento di volume e la riduzione della collassabilità dell’atrio destro sono patognomici di congestione sistemica [8].

 

La terapia farmacologica e le nuove strategie per la riduzione del rischio residuo di eventi avversi

Negli ultimi 30 anni sono stati proposti diversi schemi di trattamento per la gestione dei pazienti affetti da HFrEF allo scopo di ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari e di ricoveri per scompenso cardiaco [9].

Nonostante tutto, però, gli outcome clinici per questa popolazione di pazienti restano tuttora non soddisfacenti in quanto una certa percentuale di rischio cardiovascolare residuo permane anche in presenza di una terapia massimale con i cosiddetti 4 “pilastri” del trattamento farmacologico: β-bloccanti, inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAASi), antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi (MRAs), inibitori del cotrasportatore sodio/glucosio di tipo 2 (SGLT2i) [10, 11].

L’obiettivo principale nel trattamento del paziente affetto da HF è rimasto, finora, quello di antagonizzare i meccanismi fisiopatologici di natura neuro-ormonale e, a questo proposito, la scelta di introdurre una molecola come sacubitril/valsartan (associazione tra inibitore della neprilisina e antagonista recettoriale dell’angiotensina, ARNI) risulta essere particolarmente indovinata [12].

Nel 2014 i dati dello studio PARADIGM-HF hanno dimostrato come l’associazione sacubitril/valsartan fosse risultata superiore a enalapril nel ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari e di ospedalizzazioni per HF in pazienti con HFrEF e frazione d’eiezione ventricolare sinistra ≤ 40%, superando, quindi, i limiti dei RAASi tradizionali.

Ma, evidentemente, c’è anche dell’altro al di là del ruolo dell’inibizione neurormonale…

Più recentemente, gli inibitori del cotrasportatore sodio/glucosio di tipo 2 (SGLT2i) si sono ritagliati un ruolo di primo piano nella gestione dei pazienti affetti da HF, pur essendo nati come farmaci ad azione ipoglicemizzante grazie alla loro capacità di inibire il riassorbimento di glucosio a livello del tubulo prossimale renale. Gli studi DAPA-HF ed EMPEROR-Reduced, condotti rispettivamente con Dapagliflozin ed Empagliflozin in pazienti affetti da HF a frazione d’eiezione ridotta, hanno evidenziato di poter contribuire in maniera significativa a una riduzione degli eventi cardiovascolari contribuendo, allo stesso tempo, a un rallentamento della progressione del danno renale cronico [13].

Alla luce delle suddette evidenze, gli SGLT2i fanno ormai parte dei 4 “moschettieri” impiegati per riduzione degli eventi cardiovascolari e dell’incidenza di ospedalizzazione in pazienti affetti da HFrEF e classe NYHA II-IV [6].

La ricerca ci propone, però, nuovi “attori” in uno scenario sicuramente già affollato ma che, tuttavia, è ancora orfano di una molecola in grado di minimizzare il cosiddetto “rischio residuo” cardiovascolare in questa popolazione di pazienti.

Ed ecco quindi le nuove prospettive affidate a due molecole quali Omecantiv mecarbil (OM) e Vericiguat che, come gli SGLT2i, non impattano direttamente sulla modulazione neurormonale come evidenziato nei due trial clinici GALACTIC-HF e VICTORIA [14, 15].

L’OM è un attivatore diretto della miosina che ha come target il deficit contrattile a livello miocardico e differisce dai classici farmaci ad azione inotropa positiva in quanto favorisce la contrattilità senza alterare l’omeostasi del calcio ovvero comportare un incremento della domanda di ossigeno a livello miocardico. Nello studio GALACTIC-HF i pazienti (sia ambulatoriali che ricoverati per HF con LVEF ≤ 35% per un periodo superiore a 30 giorni, classe NYHA II-IV, elevati livelli plasmatici di NT-proBNP ed eGFR ≥ 29 ml/min/1,73 m2) sono stati randomizzati a ricevere OM ovvero placebo. I risultati dello studio sono stati, però, poco significativi in quanto non è stata evidenziata una differenza nell’endpoint composito (eventi cardiovascolari e ricovero ospedaliero per HF) tra i due gruppi di pazienti e, per tale motivo, la FDA non ha approvato il farmaco per il trattamento dei pazienti con HFrEF cronico [14].

Vericiguat, di contro, è il primo farmaco approvato dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) e testato in pazienti con WHF già in trattamento con il gold standard della terapia per HF, in quanto con comprovata efficacia nel ridurre eventi clinici significativi [15].

Nei pazienti affetti da HFrEF risulta essere presente un evidente riduzione d’attività della via metabolica ossido nitrico (NO) – guanilato ciclasi solubile (sGC) – guanosina monosfosfato ciclico (cGMP): l’incremento dello stress ossidativo, la disfunzione endoteliale e l’incremento dello stato infiammatorio concomitante causano una riduzione dei livelli di NO con conseguenti effetti negativi a carico del tono vascolare, incremento della rigidità (stiffness) miocardica e del grado di fibrosi. Vericiguat agisce come stimolatore diretto della sGC favorendo la sintesi di cGMP indipendentemente dai livelli disponibili di NO con evidenti effetti positivi in termini di riduzione del grado di ipertrofia ventricolare sinistra e di fibrosi miocardica agendo, al contempo, come potente agente vasodilatatore [16].

Il trial VICTORIA ha randomizzato i pazienti a ricevere un dosaggio pari a 10 mg di Vericiguat vs placebo includendo pazienti con classe NYHA II-IV, LVEF < 45%, anamnesi positiva per ricovero ospedaliero per HF negli ultimi 6 mesi ovvero in terapia con farmaci diuretici per via endovenosa (in regime ambulatoriale) negli ultimi 3 mesi.

VICTORIA ha, quindi, arruolato pazienti con rischio cardiovascolare molto elevato: la maggior parte dei pazienti era in classe NYHA III-IV con livelli basali di NT-proBNP decisamente superiori a quelli dei pazienti arruolati in altri trial clinici [17]. I risultati dello studio hanno documentato come Vericiguat sia stato in grado di ridurre l’outcome primario di malattia cardiovascolare e ricovero ospedaliero per HF in una misura pari al 10%. La riduzione del rischio assoluto (ARR) di outcome primario è stato di 4,2 eventi/100 pazienti/anno con un NNT (number needed to treat) di 24, un dato da rimarcare in maniera decisa anche alla luce di quanto accaduto in altri trial che hanno arruolato pazienti persino con rischio cardiovascolare inferiore (tabella 1).

A fronte di un’evidente riduzione dell’endpoint composito primario, la terapia con Vericiguat non ha dimostrato di impattare sull’incidenza della sola malattia cardiovascolare ma va anche considerato il breve periodo di follow-up, sempre confrontato con quello degli altri studi clinici.

Lo studio VICTORIA ha arruolato un numero consistente di pazienti con WHF, i quali rappresentano una popolazione di per sé con prognosi infausta; i dati del trial mostrano come i pazienti che potrebbero beneficiare del trattamento con Vericiguat sono coloro i quali si presentano “relativamente stabili” e con valori basali di NT-proBNP più bassi [12, 17].

I pazienti con HFrEF a rischio cardiovascolare minore saranno, invece, oggetto di studio nel trial di fase III VICTOR, tuttora in corso ma, alla luce dei dati positivi emersi dal VICTORIA, le linee guida 2021 della Società Europea di Cardiologia (ESC) per la diagnosi e il trattamento dello scompenso cardiaco acuto e cronico raccomandano l’impiego di Vericiguat nei pazienti trattati con la terapia standard e con recenti episodi di WHF (Classe IIb, livello di evidenza B) [6].

 

Rallentare la progressione dello scompenso cardiaco: mission “possible?”

Come già anticipato in precedenza, i pazienti affetti da HF devono continuamente destreggiarsi tra momenti di relativa calma piatta e altri caratterizzati dal riacutizzarsi della malattia di base e relativi ricoveri ospedalieri [17].

Allo stato attuale, pochi farmaci sono stati testati in pazienti che si trovano in una fase vulnerabile della malattia, ossia quella a ridosso della dimissione ospedaliera in quanto la maggioranza dei trial randomizzati (RCTs) ha arruolato pazienti ambulatoriali con HF cronico ma stabile e con terapia farmacologica invariata per almeno tre mesi [18].

D’altro canto altri grandi trial sono stati condotti in una fase di pre-dimissione ovvero dopo il ricovero ma non hanno raggiunto gli endpoint primari ovvero hanno evidenziato risultati neutrali [19, 20].

Nell’ambito di questi RCTs, lo studio PIONEER-HF ha reclutato pazienti ricoverati per scompenso cardiaco acuto randomizzati a ricevere sacubitril/valsartan ovvero enalapril; i risultati hanno evidenziato come il primo gruppo di pazienti sia andato incontro a una maggiore decongestione come evidenziato da una riduzione maggiore dei livelli di NT-proBNP e dell’incidenza di nuove ospedalizzazioni per HF [21].

Gli studi EMPULSE e SOLOIST-WHF hanno invece dimostrato come l’impiego, rispettivamente, di Dapagliflozin e Sotagliflozin abbiano comportato, rispetto a placebo, una riduzione di eventi cardiovascolari acuti, ospedalizzazione per HF e richiesta di viste ambulatoriali urgenti per HF [22, 23].

Allo stato attuale, il trial VICTORIA rimane l’unico tra gli RCTs disegnato proprio per arruolare pazienti con HFrEF in peggioramento in fase post- dimissione [15]. Nell’analisi secondaria del VICTORIA è stato dimostrato come il rischio di eventi clinici in pazienti con HF sia più elevato al momento della dimissione e nei successivi tre mesi anche se poi Vericiguat si è dimostrato efficace in tutti i pazienti indipendentemente dalla giornata di ricovero ospedaliero [24, 25].

 

Vericiguat e malattia renale cronica: limiti e possibilità

La malattia renale cronica (CKD) rappresenta una delle principali comorbidità nei pazienti affetti da patologia cardiovascolare e il declino della funzione renale nel paziente ricoverato per HF, oltre a rappresentare un fattore negativo in termini di outcome clinico, diventa sovente un limite nell’ottimizzazione della terapia per HF.

Già le linee guida ESC del 2021 e il successivo aggiornamento del 2023 per la gestione della terapia farmacologica nel paziente con HF sia acuto che cronico avevano sottolineato come sia fondamentale il controllo dei fattori comorbidi [6, 26].

Ad esempio il Finerenone, un nuovo antagonista recettoriale non steroideo dei mineralcorticoidi, è stato raccomandato per ridurre il rischio di ospedalizzazione per HF in pazienti affetti da nefropatia diabetica con anamnesi negativa per HF. I dati che supportano tale indicazione arrivano dai trials clinici FIDELIO-DKD e FIGARO-DKD [27, 28]. Gli studi in oggetto confermano l’effetto cardioprotettivo di Finerenone (finanche a considerarne un ruolo di primo piano nella prevenzione di insorgenza di uno scompenso cardiaco sintomatico) in pazienti affetti da malattia renale diabetica di tipo 2, una popolazione a rischio molto elevato dal punto di vista cardiovascolare [29].

I pazienti con diagnosi accertata di HF presentano un rischio più elevato, rispetto alla popolazione generale, di deterioramento della funzione renale in conseguenza della progressione di entrambe le patologie di base [8]. Inoltre, il peggioramento della funzione renale si accompagna frequentemente a iperkalemia, una situazione concomitante che porta il clinico a ridurre il dosaggio (fino alla sospensione) dei RAASi con conseguente aumento del rischio di eventi cardiovascolari e ricovero ospedaliero per HF [30].

In questo sorta di “loop” estremamente pericoloso, Vericiguat potrebbe agire come farmaco assolutamente sicuro anche in pazienti con compromissione severa della funzione renale (fino a valori di eGFR pari a 15 ml/min) [15], considerato anche il fatto che, rispetto ad altri trial clinici condotti su pazienti affetti da scompenso cardiaco, sono stati inclusi pazienti con valori di eGFR fino a 15 ml/min/1,73 m2 (tabella 2). Allo stato attuale, nessun trial clinico ha arruolato, invece, pazienti in trattamento dialitico cronico ovvero già sottoposti a trapianto renale ed in terapia immunosoppressiva.

VALORI LIMITE DI eGFR PER ARRUOLAMENTO PARADIGM-HF DAPA-HF EMPEROR-Reduced VICTORIA

> 60

30

20

15

< 15

No dati No dati No dati No dati
Tabella 2. Pazienti arruolati nei più recenti trial clinici sullo scompenso cardiaco in base al valore di eGFR (in verde i pazienti arruolati, in rosso i pazienti non arruolati).

Nello sviluppo della CKD, il deficit di cGMP sembra possa rappresentare uno dei meccanismi fisiopatologici responsabili della progressione della CKD: la stimolazione diretta della sGC potrebbe, quindi, diventare un bersaglio terapeutico fondamentale per il trattamento della CKD grazie all’azione vasodilatatrice a livello delle arteriole glomerulari e alla conseguente riduzione del grado di disfunzione endoteliale [15].

Un articolo piuttosto recente ha valutato la relazione tra l’efficacia di Vericiguat e le eventuali modificazioni della funzione renale nei pazienti arruolati nel trial VICTORIA [31]. I dati hanno documentato come in pazienti con HF, grave compromissione della LVEF e rischio cardiovascolare molto elevato, le curve relative all’andamento dei parametri di funzione renale sono sostanzialmente sovrapponibili nei pazienti trattati con il farmaco rispetto a quelli trattati con placebo. Inoltre, l’endpoint composito (morte per cause cardiovascolari e ricovero ospedaliero per HF) era ridotto nel gruppo di pazienti trattato con Vericiguat, rispetto a placebo, nell’ambito di un range di eGFR da 15 a 60 ml/min.

Gli effetti favorevoli di Vericiguat sembrano essere sovrapponibili sia in pazienti con una funzione renale sostanzialmente preservata (eGFR > 60 ml/min), sia in coloro i quali è presente un quadro di CKD in stadi più avanzati (eGFR < 30 ml/min) [31]. In aggiunta, il trattamento con Vericiguat non impatta sui livelli di kalemia e, quindi, il farmaco può essere somministrato anche in quei pazienti per i quali è controindicata la terapia con RAASi [31].

I risultati del trial VICTORIA, se esaminati alla luce dei dati sulla sopravvivenza renale, evidenziano chiaramente come Vericiguat non impatti sulla funzione renale, persino negli stadi più avanzati.

Al momento non ci sono dati disponibili nei pazienti affetti da malattia renale cronica terminale (eGFR < 15 ml/min) ovvero in coloro i quali sono sottoposti a trattamento dialitico. Ma è altrettanto documentato come, in quest’ultima tipologia di pazienti, i sintomi correlati alla presenza di un HF refrattario possono essere gestiti grazie all’impiego delle tecniche di depurazione intra- ed extracorporee (emodialisi ovvero dialisi peritoneale). I trials clinici UNLOAD ed AVOID-HF hanno chiaramente dimostrato come l’impiego dell’ultrafiltrazione può determinare la risoluzione della sintomatologia clinica [32, 33].

 

Conclusioni

In conclusione, da quanto emerso nel corso della review, risulta abbastanza chiaro come il trattamento della WHF rappresenti una sfida di cruciale importanza per il clinico pratico in quanto impatta non solo sulla sopravvivenza del paziente ma anche sull’incidenza dei ricoveri ospedalieri. A tutt’oggi mancano risposte positive dai grandi trial clinici in merito alla gestione delle recidive di scompenso, soprattutto nei pazienti con malattia cardiorenale. Allo stato attuale, quindi, la disponibilità di una molecola come Vericiguat potrebbe aprire nuovi scenari nella gestione delle recidive di HF riducendo, in modo particolare, l’incidenza delle riacutizzazioni e dei ricoveri per HF.

 

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