Denosumab and fracture risk in kidney transplant - GIN

Novembre Dicembre 2022 - Articoli originali

Denosumab and fracture risk in kidney transplant

Abstract

Background: Kidney transplant patients bear a higher risk of bone disease. The monoclonal antibody Denosumab (Den), by binding RANKL, reduces osteoclastic activity and increases mineral density (BMD), thus limiting the risk of bone fractures. We evaluated the efficacy and safety of Den in kidney transplant patients who developed bone fractures.
Methods: Thirteen kidney transplant recipients (aged from 50 to 79 years 7M and 6F, with an average 9,9 years follow up after transplantation, and nearly normal renal function (GFR 62±15 ml/min/1.73m2), who developed low-energy vertebral fractures (21 dorsal and 1 lumbar) after transplantation, had been evaluated for 2 years with Dual-energy X-ray absorptiometry (DEXA) and morphometric absorptiometry (MXA) while receiving Den (four 60-mg doses). Data for vertebral heights and posterior-anterior height ratios (P/A), and BMD values for vertebral, femoral, and radius were obtained. The immunosuppressive regimen consisted of CNI and MMF, and 8 out of 13 were taking prednisone. A fixed dose of 450.000 UI-year of cholecalciferol was prescribed to all patients. Whole-PTH, 25-OHD3, and alkaline phosphatase (ALP) were also evaluated.
Results: After 2 years of Den treatment, we observed a significative increase in vertebral T-score (from -2.12±0.35 to -1.67±0.35; p< 0.02), while T score of femoral neck and radius did not show significative variation (-1.86±0.21 versus -1.84±0.23 and -3.04±0.42 versus -3.19±0.45, respectively). We found a lower incidence of fracture/patient-year pre and post Den 0.17 [95 CI 0.11-0.24] vs 0.07 [95% CI 0.02-0.3] respectively. No significative variations were observed in whole-PTH (89.31±19.9 pg/ml versus 68.38±9.8 pg/ml), 25OHD3 (24.02±2.75ug/L versus 26.67±2.29 ug/L) and alkaline phosphatase (78.46±12.73UI/L versus 56.77±7.14UI/L). No adverse events were registered. Conclusions: Treatment with Den improve BMD in vertebral bone and possibly reduces the risk of low-energy vertebral fractures in kidney transplant patients.

Keywords: Denosumab, low-energy fracture, transplant osteopathy

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Introduzione

Le fratture scheletriche costituiscono una complicanza severa e disabilitante del trapianto renale (Tx) con un’incidenza fratturativa da 5 a 34 volte (M versus F) superiore a quanto rilevato nel soggetto normale [1].

Il Tx contribuisce solo in parte a migliorare i disturbi del metabolismo minerale, perché la possibile persistenza di elevati livelli di PTH e di FGF-23 [2], l’allungamento dei tempi di mineralizzazione insensibile agli effetti della vitamina D [3] e, soprattutto, l’interferenza degli immunodepressori sul metabolismo osseo [4, 5] inducono una costante perdita della densità e della qualità minerale scheletrica, aumentando il rischio fratturativo.

Il denosumab (Den), un anticorpo monoclonale umanizzato che si lega con alta affinità al RANKL, bloccando l’interazione tra RANK e RANKL, inibisce l’osteoclastogenesi e l’attività osteoclastica con conseguente aumento della densità minerale ossea, mimando l’effetto fisiologico dell’osteoprotegerina. Il suo utilizzo nell’osteoporosi postmenopausale è ormai consolidato, con un’efficacia superiore ai bifosfonati nel migliorare la densità minerale e nel ridurre il rischio di fratture low-energy [6, 7]. Nei Pazienti sottoposti a trapianto renale, tuttavia, mancano le evidenze di una reale riduzione del rischio fratturativo, a fronte di un sensibile e documentato miglioramento della densità minerale scheletrica [8].

Nel presente studio è stato valutato, oltre alla BMD, il rischio fratturativo mediante morfometria vertebrale con DEXA dopo 2 anni di trattamento con denosumab, somministrato ad una coorte di pazienti sottoposti a trapianto di rene con fratture singole o multiple low-energy del rachide dorso-lombare, ad alto rischio di nuove fratture [9].

 

Pazienti e metodi

Lo studio, della durata di 2 anni, veniva effettuato in pazienti sottoposti a trapianto di rene. A tutti i pazienti veniva richiesto un consenso scritto in accordo con le regole del Comitato Etico locale. Sono stati trattati con Den 13 pazienti (7 M – 6 F in post-menopausa; età: 50-79 aa), sottoposti a trapianto di rene con un follow-up medio di 9,9 anni, con funzione renale normale o solo lievemente ridotta (creat. 1.1±0.31 mg/dl – GFR [CKD-EPI] 62±15 ml/min/1.73m2), affetti da fratture vertebrali low-energy (21 dorsali ed 1 lombare), identificate mediante morfometria assorbitiva (MXA) associata a DEXA vertebro-femorale (Hologic DQR-4500A), e con elevato rischio di sviluppare nuove fratture. Tutti i pazienti assumevano CNI e MMF; 8 soggetti assumevano prednisone (Tabella 1).

I criteri di esclusione erano costituiti da un’insufficienza renale stabilizzata (creat.> 1.5 mg/dl), un severo iper o ipoparatiroidismo (whole PTH > 400 pg/ml o < 10 pg/ml) o una condizione di ipo o ipercalcemia (Ca tot. < 8 o > 10.5 mg/dl).

I pazienti venivano trattati con denosumab (Prolia 1 ff s.c. da 60 mg ogni 6 mesi per 2 anni consecutivi). A tutti i soggetti venivano prescritti sali di calcio (1 gr/die) e vitamina D nativa (450.000 UI all’anno).

La morfometria vertebrale consentiva di valutare 9 corpi vertebrali, misurando le altezze vertebrali anteriori e posteriori e il loro rapporto (P/A). Per soglia di frattura veniva considerata una riduzione di 4 mm dell’altezza globale del corpo vertebrale o una riduzione > 20% delle altezze vertebrali confrontate tra loro (anteriore/media/posteriore). Nel contempo, mediante DEXA, veniva misurata la BMD vertebrale, femorale e radiale. Le misurazioni mediante MXA e la BMD venivano effettuate a tempo zero e dopo due anni dalla somministrazione di Den.

La funzione renale veniva misurata utilizzando la formula CKD-EPI e venivano inoltre dosati whole PTH (Diasorin; v.n. 6-36 pg/ml), 25OHD3; fosfatasi alcalina (v.n. 5-130 UI/L), calcemia e fosforemia con metodiche routinarie.

Sesso BMI (kg/m2) aa dal Tx IS eGFR ml/min/1.73m2 FRAX

score %

PTH

pg/ml

Ca tot

mg/dl

P

mg/dL

25-OHD3

Ug/L

ALP

(UI/L)

M 27,1 10 Tac MMF 82 20 31 8,6 2,5 29 58
M 28 26 Eve MMF dC 55 24 6070 9,3 2,9 19 64
F 27,8 3 Cya MMF 43 16 70 9,4 4 14 150
F 33,3 2 Tac MMF dC 67 36 25 8,8 2 15 73
M 27,1 7 Tac MMF dC 83 18 30 8,6 3,2 14 100
M 25,3 23 Tac MMF dC 57 23 43 8,9 2,2 29 103
M 38,3 2 Tac MMF dC 50 12 141 9,3 2,1 20 116
F 26,3 13 Cya MMF 75 16 26 8,9 2,9 38 37
M 23,9 12 Tac MMF dC 85 16 21 9 3 27 64
F 20,2 3 Tac dC 49 33 40 9,5 2,8 45 52
M 26,8 12 Tac MMF dC 54 21 32 9,5 2 24 60
F 26,4 15 Cya MMF dC 45 34 70 9,3 3 22 39
F 23,1 1,5 Tac MMF

dC

71 26 36 8,7 3,8 30 45
Media 27,2 9,9 62 22,7 48 9 2,8 25 73,9
Tabella 1: Caratteristiche cliniche e bioumorali. IS: terapia immunosoppressiva; BMI: body mass index; Ca:calcio totale; P: fosforemia; PTH: paratormone; 25-OHD3: calcidiolo; ALP: fosfatasi alcalina; Tac: Tacrolimus; CyA: ciclosporina; MMF: micofenolato mofetile; dC: prednisone.

 

Analisi statistica

Il test dei ranghi con segno di Wilcoxon è stato utilizzato per confrontare le variazioni dei dati densitometrici, e dei parametri del metabolismo minerale. L’incidenza di fratture/paziente-anno di trapianto pre e post Den è stato confrontato dopo 2 anni di trattamento. L’analisi statistica è stata effettuata mediante IBM SPSS version 20 (Armonk NY).

 

Risultati

Durante il periodo di osservazione, abbiamo rilevato 2 fratture con un tasso di incidenza di 0.07 fratture/pazienti-anno [95% CI 0.02-0.3] rispetto al periodo precedente al Den, dove si sono rilevate 22 fratture nell’arco di un periodo medio di dieci anni, con un tasso di incidenza di 0.17 fratture/pazienti-anno [95 CI 0.11-0.24] (Tabella 2).

La valutazione della BMD vertebrale dopo 2 aa di Den dimostrava un significativo aumento della densità minerale (da 0.816±0.19 a 0.95±0.16 gr/cm2; p<0.01) con un consensuale aumento del T-score vertebrale (da -2.12±0.35 a -1.67±0.35; p<0.02), mentre la BMD del femore e del radio non si modificavano (0.73±0.1 a 0.77±0.1 e 0.46±0.06 a 0.46±0.06 gr/cm2 e con essi i relativi T score femorale e radiale (-1.86±0.21versus -1.84±0.23-3.04±0.42 versus -3.19±0.45) (Tab.2). Nessuna modificazione significativa di Whole-PTH (89.31±19.9 versus 68.38±9.8pg/ml), 25OHD3 (24.02±2.75versus 26.67±2.29ug/dl) e fosfatasi alcalina (78.46±12.7versus 56.77±7.14UI) veniva rilevata.

T-score pre post p
BMD vertebrale (gr/cm2) 0.8160.19 0.950.16 0.01
T-score vertebrale (-2,12±0,35) (-1,67±0,35) 0.02
BMD femorale

(gr/cm2)

0.73±0.1 0.77±0.1 ns
T-score femorale (-1,86±0,21) (-1,84±0,23) ns
BMD radiale

(gr/cm2)

0.46±0.06 0.46±0.06 ns
T-score radiale (-3,04±0,42) (-3,19±0,45) ns
Low-energy fracture

(fratture/pazienti-anno)

0,17 CI 95% [0,11-0,24] 0,07 CI 95% [0,02-0,3]
Tabella 2: Valori del metabolismo minerale osseo.

 

Discussione

In questo studio, della durata di 2 anni, abbiamo analizzato l’effetto del denosumab sulla BMD vertebrale, femorale e radiale, e ne abbiamo valutato l’impatto sul rischio fratturativo in pazienti sottoposti ad allotrapianto di rene de novo, portatori di fratture vertebrali low-energy. L’osteopatia post trapianto è una malattia ossea complessa, derivante dalle interazioni tra l’evoluzione dei processi patologici ereditati dall’uremia e i fattori peculiari relativi al trapianto di rene [1012]. A queste eterogenee alterazioni si può affiancare la presenza di un’osteoporosi post-menopausale o senile, in quanto l’opzione trapianto è ormai allargata anche ai soggetti attempati.

Le lesioni istopatologiche rilevate nelle fasi precoci risentono delle alte dosi di steroide e la riduzione della densità minerale (tra il -3% e il -5% nei primi 6 mesi) rispecchia la riduzione e il malfunzionamento sia della quota cellulare osteoblastica che di quella osteoclastica, per l’effetto biologico dei corticosteroidi [13, 14]. Le lesioni istologiche osservate invece nel trapianto di lunga durata sono diverse. L’analisi comparata dei dati istomorfometrici e istodinamici degli studi bioptici evidenzia un dato comune, costituito dalla mineralizzazione costantemente ritardata, malgrado livelli di calcitriolo rinormalizzati, presumibilmente per l’effetto sul turn-over osseo degli inbitori della calcineurina (aumento della matrice osteoide che non tende a mineralizzarsi correttamente) [15, 16].

Denosumab è un anticorpo monoclonale che si lega al RANKL e ne blocca l’attività, riducendo la sintesi, l’attività biologica e la sopravvivenza degli osteoclasti e in tal modo riduce il riassorbiento osseo. Benché i bifosfonati riducano in modo evidente la perdita di massa ossea [17], il loro utilizzo nei trapiantati è limitato per il rischio di nefrotossicità, per la scarsa compliance e perché sono controindicati in caso di deficit anche moderato della funzione renale; è inoltre controversa la reale efficacia nel prevenire le fratture.

Sporadici sono gli studi sull’uso del denosumab nel trapianto di rene: Bonani M. et al. in una coorte di 46 pazienti, nell’ambito di uno studio aperto, prospettico e randomizzato, dimostravano un significativo incremento della BMD lombare (+4,6% nell’arco di 12 mesi) rispetto al gruppo di controllo (44 Pz: -0.5%) e un parziale miglioramento della BMD al femore e alla misurazione con QCT ad alta definizione di radio e ulna [18]. La brevità del follow-up non consentiva però una valutazione del rischio fratturativo. Brunova J. et al. utilizzavano Den in 63 pazienti osteoporotici sottoposti a trapianto d’organo, di cui 15 diabetici con trapianto combinato rene-pancreas, 14 pazienti con trapianto di fegato e 34 pazienti sottoposti a trapianto di rene. La durata della terapia (iniziata nel 2012 e protratta sino al 2017) era comunque, nella media, pari a 1.65±0.7 aa. L’aumento della BMD lombare rilevata mediante DEXA, dopo la somministrazione di Den, era significativo e molto sostenuto (+10.4±6.1%) con un declino considerevole dell’osteocalcina e dei beta-crosslaps [8]. In entrambi gli studi gli effetti collaterali erano stati modesti; in particolare, un incremento degli episodi di cistite nel primo studio e una lieve transitoria ipocalcemia nel secondo.

Nessuna segnalazione di osteonecrosi della mandibola (ONJ) viene riportata in letteratura nei pazienti con trapianto di rene, sebbene sia stata segnalata una incidenza di 0.0028 ONJ/pazienti-anno [95% CI 0.002-0.004] nei soggetti trattati per osteoporosi, soprattutto in pazienti oncologici che avevano ricevuto alte dosi di bisfosfonati e successivamente il denosumab [19].

Nel nostro studio durante il periodo di osservazione, il tasso di incidenza fratture/persone-anno si è ridotto, mentre la BMD e il T-score vertebrale sono aumentati. Modesti erano gli effetti rilevati sulla BMD femorale e del radio.

Il nostro studio risente della scarsa numerosità della coorte trattata, ma la scelta di selezionare i soli 13 pazienti con fratture low-energy nell’ambito della popolazione sottoposta a trapianto in follow-up nel nostro centro veniva fatta per cercare di minimizzare questa severa e invalidante complicanza, con un farmaco che garantisse compliance e sicurezza d’uso. Va sottolineato inoltre che il Den non va sospeso, perché la discontinuazione del farmaco induce una rapida perdita della massa ossea guadagnata [20].

 

Conclusioni

Il denosumab si è dimostrato un farmaco efficace nell’aumentare la massa ossea, ma sembra anche ridurre il rischio fratturativo nei pazienti trapiantati. Studi prospettici su larga scala dovranno essere condotti per confermare tali effetti nei pazienti trapiantati, anche attraverso un confronto diretto tra denosumab e bifosfonati, in termini di sicurezza ed efficacia nel prevenire le fratture nel lungo termine.

 

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