Supplemento S77 - Articoli originali

Immunosoppressivi alternativi ai CNI: Schemi terapeutici e tossicità

Abstract

In un’ottica di preservazione del danno acuto e cronico del graft, negli ultimi anni sta emergendo una nuova filosofia terapeutica per i pazienti affetti da trapianto renale che contempli l’utilizzo combinato di tutti i farmaci immunosoppressivi disponibili in commercio e la minimizzazione/sospensione degli inibitori della calcineurina. Lo scopo di questa nuova visione (immunosoppressione sostenibile) è quello di contrastare lo sviluppo di comorbidità ed evitare un drammatico impatto negativo sulla sopravvivenza dei pazienti nefro-trapiantati. L’utilizzo degli inibitori di mTOR e di nuovi agenti biologici (come Belatacept e il nuovissimo Iscalimab) potrebbe aiutarci a raggiungere questo obiettivo e superare il classico approccio alle cure “organo-centrico” verso quello “paziente-centrico”.

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Introduzione

Negli ultimi anni, l’aggiornamento degli schemi immunosoppressivi e la concomitante ottimizzazione delle procedure chirurgiche e di preservazione dell’organo da trapiantare hanno significativamente ridotto l’incidenza delle problematiche cliniche dell’immediato post-trapianto (incluso il danno da ritardata ripresa funzionale e il rigetto acuto), ma hanno inciso poco nella minimizzazione/rallentamento della evoluzione del danno cronico e sulla sopravvivenza a lungo termine del graft. Al momento, infatti, circa il 40-50% dei reni trapiantati sono persi dopo 10-15 anni dal trapianto [1].

E’ emerso, poi, un nuovo concetto di cronicità d’organo. Anche le aree di fibrosi, un tempo considerate semplici e “passive aree di cicatrizzazione parenchimale”, hanno assunto un ruolo fisio-patogenetico più importante ed è stato rivalutato il ruolo e l’impatto sulla sopravvivenza dell’organo dell’infiltrato immuno-infiammatorio localizzato specificatamente in queste aree.

Tutto questo si accompagna alle già consolidate evidenze circa la relazione tra insorgenza di rigetto cronico anticorpo mediato (CAMR) e perdita precoce del graft [2].

In aggiunta, la letteratura internazionale continua a sottolineare l’importanza della corretta gestione delle tante comorbidità associate al trapianto (cardiologiche, infettivologiche, oncologiche) che incidono drammaticamente sulla qualità della vita dei pazienti. Basti pensare alle innumerevoli visite ambulatoriali e controlli strumentali a cui sono sottoposti dopo la diagnosi di tali condizioni [3,4].

Pertanto, la nuova filosofia immunosoppressiva, non più propensa a facili minimizzazioni, deve prendere in considerazione tutte queste osservazioni e pensare ad una gestione farmacologica sempre più personalizzata che contempli, anche, protocolli immunosoppressivi privi degli inibitori della calcineurina (CNI).

In quest’ottica, in una serie di protocolli immunosoppressori, è stato recentemente proposto l’uso degli inibitori di mTOR (mTOR-I) in associazione ai CNI (a basso dosaggio). Questa combinazione terapeutica è efficace nell’indurre un adeguato grado di immunosoppressione accanto ad una minore nefrotossicità [5,6].

 

Inibitori di mtor: un valido ausilio terapeutico per la minimizzazione/sospensione del trattamento con CNI

Caratteristiche biologiche e farmacologiche degli mTOR-I

L’azione farmacologica del sirolimus (SRL) e dell’everolimus (EVE) si espica principalmente attraverso l’inibizione del mammalian target of rapamycin (mTOR), una protein-chinasi citoplasmatica che regola la crescita, la proliferazione, la motilità e la sopravvivenza delle cellule, la sintesi proteica e la trascrizione [7] con effetti considerevoli sulla risposta immunitaria, sui processi di rigenerazione muscolare e neuronale, e sulla crescita tumorale [8-10].

Strutturalmente, mTOR contiene 20 sequenze HEAT (necessarie per l’interazione con altre proteine) nella porzione ammino-terminale e il dominio chinasico e quello di legame del complesso FKBP-rapamicina (FRB) nella porzione carbossi-terminale. Insieme ad altre proteine, è parte integrante di 2 complessi intracitoplasmatici distinti: mTORC1 e mTORC2 [11].

mTORC1 è costituito da mTOR, mammalian lethal with Sec13 protein 8 (mLST8), proline-rich Akt substrate of 40 kDa (PRAS40) e da una proteina regolatoria chiamata  regulatory-associated protein of mTOR (RAPTOR). I substrati di mTORC1 sono S6 chinasi (S6K) e eukaryotic translational initiation factor 4E (eIF4E)-binding protein 1 (4EBP1). mTORC1 attiva S6K e inibisce 4EBP1 per promuovere la traduzione e la crescita cellulare. Questo complesso è sensibile alla inibizione da parte della rapamicina, la quale si lega alla immunofillina FKBP12 e il complesso FKBP12-rapamicina si lega, a sua volta, al dominio FRB su mTOR. Poiché questo dominio è situato in prossimità del sito catalitico, il complesso FKBP12-rapamicina inibisce allostericamente l’attività chinasica di mTORC1.

mTORC2, invece, è un complesso costituito da mTOR, mLST8, proline-rich protein 5 (PRR5), mitogen-activated protein kinase-associated protein 1 (SIN1) e rapamycin-insensitive companion of mTOR (RICTOR). La sua sensibilità alla rapamicina è influenzata dalla cronica esposizione al farmaco e dal livello di espressione di diverse forme di FKBP [12].

Questi due complessi regolano risposte cellulari diverse. mTORC1 attiva la sintesi proteica, la biogenesi dei ribosomi, il trasporto dei nutrienti, la sintesi lipidica e altri processi in risposta a nutrienti, fattori di crescita e disponibilità energetica della cellula. mTORC2 regola l’organizzazione del citoscheletro [13] e ha una notevole importanza nella biologia dei tumori, in quanto è implicato nella motilità e invasività delle cellule tumorali e nello sviluppo di metastasi tumorali [14]. Inoltre, mTORC2 attiva diverse chinasi della famiglia delle AGC chinasi, tra le quali AKT [15], serum/glucocorticoid-regulated kinase 1 (SGK1) [16] e varie protein chinasi C (PKC) [17]. AKT è una importante oncoproteina che induce programmi anti-apoptotici per la sopravvivenza cellulare; SGK1 regola il metabolismo energetico e dipendente dal segnale insulinico.

La regolazione di mTOR è complessa e avviene attraverso una serie di feedback loop e sfruttando molteplici sistemi di regolazione intracellulare basati sulla fosforilazione/defosforilazione proteica [19]. Questo fine processo di regolazione mantiene attive le diverse funzioni dei complessi mTORC1 e mTORC2 e permette il mantenimento di un corretto bilancio tra crescita e divisione cellulare.

mTOR è, poi, coinvolto nella transizione epitelio-mesenchimale (EMT) [20], un processo attraverso il quale le cellule epiteliali del tubulo renale, se adeguatamente stimolate, iperesprimono una serie di marker mesenchimali (come la vimentina, la fibronectina e l’actina muscolare liscia-α) [21] e, acquisendo un fenotipo fibroblastico o miofibroblastico, sono in grado di migrare nell’interstizio dove svolgono un ruolo chiave nel processo patogenetico che porta al danno renale cronico [22].

 

Utilizzo degli mTOR-I nella pratica clinica

Numerosi studi clinici randomizzati hanno valutato gli effetti della conversione dal trattamento con CNI a quello con mTOR-I nel post-trapianto [23-26]. Watson e coll., hanno dimostrato che in pazienti portatori di trapianto renale con funzione renale non ottimale, la conversione dal CNI al SRL era associata ad un significativo miglioramento della velocità di filtrazione glomerulare (GFR) a 3 e 12 mesi dopo la conversione farmacologica [27].

Altri autori hanno osservato che nei riceventi affetti da nefropatia cronica del trapianto, la conversione da CNI a SRL comportava un miglioramento della sopravvivenza del trapianto [28]. Le biopsie eseguite 2 anni post-conversione rivelavano lesioni croniche più lievi e una minore espressione intra-parenchimale di actina muscolare liscia-α che suggeriva un effetto protettivo anti-fibrotico degli mTOR-I [28]. In aggiunta, i risultati del trial CONVERT hanno mostrato che questa conversione farmacologica era particolarmente efficace nei pazienti con GFR ≥ 40 ml/min e rapporto urinario proteine/creatinina ≥ 0.1179 [23]. Comunque, nonostante questi incoraggianti risultati, lo studio  CONCEPT, pubblicato nello stesso anno, mostrava una maggiore incidenza di rigetti acuti nei pazienti convertiti al SRL [25]. Questa condizione è stata confermata da studi successivi [29,30].

In aggiunta, è da sottolineare che, la terapia di mantenimento con gli mTOR-I è associata ad una ridotta incidenza di tumori post-trapianto rispetto alle altre terapie immunosoppressive [31,32] rappresentando uno strumento utile nella minimizzazione delle comorbidità neoplastiche nei pazienti nefro-trapiantati. E’ noto, infatti, che questi pazienti presentano un rischio di sviluppare una neoplasia da 3 a 5 volte maggiore rispetto alla popolazione generale e che questa complicanza rappresenta la prima causa di morbidità/mortalità post-trapianto [33,34].

Inoltre, è largamente descritto che, rispetto ai CNI, l’utilizzo di SRL o EVE determina un minor rischio di insorgenza di infezioni virali (principalmente citomegalovirus e BK virus) [35-37] poichè inibiscono la sintesi proteica e le vie metaboliche utilizzate da questi virus per replicarsi nelle cellule ospiti [38-40].

Diversi studi hanno anche dimostrato che questa categoria farmacologica, se somministrata correttamente, svolgendo un effetto anti-ipertensivo ed antagonizzando i meccamismo fisio-patologici responabili dell’ipertrofia ventricolare sinistra, è in grado di svolgere significativi effetti  cardioprotettivi [41,42].

 

Eventi avversi degli mTOR-I

Sebbene l’uso di questa categoria farmacologica abbia dimostrato analoghe potenzialità immunosoppressive rispetto alla standard care (MPA+CNI+steroidi) [37], il suo impiego clinico è ancora limitato da alcune esperienze cliniche che evidenziano una maggiore insorgenza di effetti avversi, spesso associati alle alte dosi [43,44].

Le più frequenti reazioni avverse indotte dagli mTOR-I sono:

Tossicità renale: E’ stato osservato che gli mTOR-I sono in grado di incrementare la nefrotossicità da CNI nell’immediato post-trapianto aggravando il danno da ischemia-riperfusione e ritardando la risposta adattativa/riparativa parenchimale al danno post-ischemico [45]. Inoltre, come dimostrato da Stallone e coll., [46], possono causare una desertificazione dose-correlata di alcuni elementi strutturali chiave dello slit diaphragm della barriera di filtrazione glomerulare (come nefrina, podocina) con genesi di proteinuria [47]. In aggiunta, soprattutto se somministrati in associazione con i CNI, possono attivare la cascata coagulativa e l’aggregazione piastrinica nel graft con sviluppo di microangiopatia trombotica [48].

Tossicità ematologica: Sono state descritte neutropenia e trombocitopenia da soppressione midollare (con una frequenza, rispettivamente, di circa il 20% e il 40% dei pazienti trattati). Tale effetto mielosoppressivo è più evidente se tali farmaci sono associati a citostatici come Micofenolato Mofetile (MMF) e acido micofenolico  [49]. Inoltre, è stata riportata anemia microcitica nel 30-40% dei pazienti trattati con EVE. Il meccanismo sembra essere legato all’effetto antiproliferativo sulle cellule progenitrici del midollo osseo e ad un diretto effetto sull’omeostasi del ferro. In aggiunta, sembra esserci una forte correlazione tra lo stato di infiammazione cronica e l’anemia correlata agli mTOR-I [50].

Tossicità muco-cutanea: L’incidenza di eruzioni acneiformi e follicoliti nei pazienti con trapianto renale in trattamento con mTOR-I varia dal 13 al 46% [51-53]. Tali effetti avversi sembrano maggiormente prevalenti nel sesso maschile. In una percentuale estremamente variabile (dal 3 al 68%) sono stati descritti esantemi transitori [53]. Inoltre, in pazienti trattati cronicamente con questa categoria di farmaci è stata descritta una dermatite esfoliativa dose-indipendente che richiede l’interruzione rapida del trattamento [54]. Dal 30% al 60% dei pazienti trattati con alte dosi di mTOR-I, utilizzati da soli o in associazione con citostatici, è stata riportata l’insorgenza di stomatite aftosa della durata di qualche settimana. Tali effetti possono essere modulati attraverso la modifica dello schema terapeutico o con l’utilizzo di terapia steroidea topica. Raramente sono state descritte vasculiti leucocitoclastiche SRL-associate.

Disordini metabolici: Sono di comune riscontro in corso di terapia con mTOR-I un lieve innalzamento della glicemia ed un’alterazione dell’assetto lipidico ematico [6]. In particolare la dislipidemia, ampiamente associata all’utilizzo di mTOR-I, costituisce il maggior fattore di rischio per eventi cardiovascolari post-trapianto [55,56]. In una percentuale variabile tra il 40 e il 75% dei pazienti trattati con questa categoria farmacologica si registra un aumento delle lipoproteine ad alta densità (HDL), lipoproteine a bassa densità (LDL), colesterolo e trigliceridi [57,58]. Morrisett e coll. hanno registrato l’aumento dei livelli di colesterolo e trigliceridi dopo 2-4 settimane dall’inizio della terapia e un ritorno ai livelli di normalità entro 8 settimane dall’interruzione del trattamento [59]. Gli inibitori della 3-idrossi-3-metilglutaril Coenzima A (HMG-CoA) reduttasi (statine) da sole o in combinazione con un farmaco di seconda linea resta la principale opzione terapeutica per l’iperlipidemia indotta dal trattamento con mTOR-I [60].

Infertilità: L’utilizzo di mTOR-I è stato associato allo sviluppo di infertilità e sterilità primariamente dovuta al loro effetto antiproliferativo. Inoltre, nei pazienti trattati con SRL sono stati rilevati ridotti livelli di testosterone e un aumento degli ormoni gonadotropici (FSH e LH) [61-63].

Ritardata guarigione delle ferite: Nei pazienti trattati con mTOR-I è stata riscontrata una ridotta attività dei fibroblasti e un’alterazione nelle concentrazioni ed efficacia di alcune citochine [64], meccanismi che potrebbero spiegare una ritardata guarigione delle lesioni in questi pazienti [65,66]. Tali fenomeni sono dipendenti dall’interferenza che gli mTOR-I hanno su molteplici vie di trasduzione del segnale.

Tossicità polmonare: Si tratta di una frequente reazione avversa che si manifesta con una incidenza compresa tra il 5 e l’11%, con un esordio dei sintomi tra 1 e 51 mesi dopo l’inizio della terapia [67-70]. Tale condizione ha manifestazioni cliniche eterogenee e la diagnosi all’esordio può risultare difficile a causa della non specificità dei segni e sintomi iniziali. Il paziente, infatti, può presentare febbre, affaticabilità, tosse e dispnea. Dal punto di vista istologico sono state descritte varie forme di danno polmonare, tra cui la pneumopatia interstiziale linfocitaria, l’alveolite linfocitaria, la bronchiolite obliterante in corso di pneumopatia organizzativa e la fibrosi polmonare focale [71,72]. Queste tre entità possono sovrapporsi e presentarsi simultaneamente. Sono stati, inoltre, riportati episodi di emorragia alveolare diffusa in seguito all’utilizzo di questi farmaci [73,74]. Generalmente, la biopsia polmonare è in grado di discriminare i vari aspetti istologici tipici come granulomi epiteliodi intralveolari non necrotizzanti, infiltrazione linfocitica dell’interstizio ed un pattern focale di polmonite organizzata [75]. Il meccanismo patogenetico della tossicità polmonare associata all’utilizzo di mTOR-I non è ancora stato pienamente compreso. È  stata suggerita sia una tossicità diretta, dose dipendente, che una tossicità secondaria ad una risposta autoimmunitaria o ad una reazione da ipersensibilità di tipo ritardato scatenata dall’esposizione agli mTOR-I in presenza o meno di antigeni polmonari criptici [68,76]. Infine, alte dosi di mTOR-I inducono EMT delle cellule epiteliali bronchiali verso un fenotipo simil-fibroblastico [77,78]. Il trattamento di queste affezioni polmonari è complesso e richiede un approccio multidisciplinare (pneumologi, infettivologi, nefrologi). Generalmente questo tipo di pneumopatia regredisce dopo la sospensione o riduzione del farmaco.

 

Nuovi agenti terapeutici

Negli ultimi anni sono stati introdotti nuovi farmaci immunosoppressori tra cui sembrano essere promettenti quelli che  agiscono sulle molecole di costimolazione.

In particolare, la ricerca clinica trapiantologica si è soffermata sul ruolo del belatacept, una proteina di fusione solubile ricombinante costituita dall’associazione della porzione extra-cellulare della molecola recettoriale CTLA-4 con la componente Fc di una IgG1 modificata in modo tale da non fissare il complemento. Questo farmaco agisce bloccando la costimolazione del segnale necessaria per completare l’attivazione antigene-specifica del linfocita T naive [79].

Il belatacept ha mostrato, in una serie di trial clinici (in particolare, BENEFIT, BENEFIT-EXT) [80,81], un miglior impatto sul graft e sul profilo cardiovascolare (pressione arteriosa, diabete e dislipidemia) rispetto alla standard care con i CNI. Si evidenziava, però, una maggiore incidenza di rigetti acuti che hanno richiesto adeguato trattamento e una maggiore incidenza di PTLD nel primo anno dopo il trapianto, soprattutto in riceventi Epstein–Barr virus (EBV) neg e/o trattati con timoglobuline (ATG) [79]. Lo stato sieronegativo di EBV era il più forte fattore di rischio associato alla PTLD (aumento di nove volte del rischio). Pertanto, la Food and Drug Administration (FDA) aveva rapidamente emanato un warning contro l’uso del belatacept nei pazienti sieronegativi per l’EBV (controindicato) e sottolineava che, nei primi anni, questo farmaco può aumentare il rischio di malattie infettive tra cui la TBC e il CMV. Inoltre, vari studi avevano osservato un rischio maggiore di trombosi del graft. Tuttavia, nel follow-up di sette anni, era stato osservato solo un caso di PTLD dopo i primi 24 mesi di terapia nel gruppo Belatacept [80].

Pertanto, in USA, dopo i risultati del BENEFIT, il belatacept è stato utilizzato (e raccomandato) solo nei pazienti trapiantati a basso rischio immunologico (e non come prima scelta) [81].

A mio avviso, il belatacept dovrebbe essere introdotto nei pazienti a rischio basso/standard con sierologia EBV positiva attivando, se possibile, un programma di valutazione bioptica protocollare e con una attenta misurazione dei livelli di anticorpi anti-HLA donatore-specifici (DSA) e un adeguto follow-up laboratoristico-strumentale atto a misurare il rischio infettivologico.

Un’altra novità della terapia immunosoppressiva è l’Iscalimab (CFZ533-Novartis), un nuovo anticorpo monoclonale completamente umano che si lega con altissima affinità al CD40 e impedisce il signaling/attivazione della pathway (CD40-CD40L) attivata da questa proteina di costimolazione espressa sulle cellule presentanti l’antigene con conseguente impatto sull’immunita innata (e successivamente su quella adattativa) [82,83].

Sia su modelli animali sia in pazienti portatori di trapianto renale, l’iscalimab ha mostrato importanti effetti positivi sulla funzione renale e una inibizione dello sviluppo della nefropatia cronica del trapianto e il profilo degli eventi avversi (sicurezza) dei pazienti in trattamento con iscalimab era simile a quello del gruppo di pazienti trattati con TAC+MMF [84,85].

Inoltre, l’iscalimab, come il belatacept, essendo somministrato in vena, rappresenta una importante arma contro la mancanza di aderenza terapeutica.

In futuro potrebbero essere disponibili nuovi agenti immunosoppressori (tra cui IdeS, Alefacept, Efalizumab) altamente efficaci nel prevenire il danno acuto immuno-mediato e lo sviluppo di alterazioni croniche indotte dalla infiammazione tissutale.

 

Conclusione

Al momento, vista la carenza di ricerca farmacologica e di trial clinici (soprattutto in Italia), non possiamo ritenere superata l’era CNI [86] nel trapianto renale, ma appare chiara la necessità, in un’ottica terapeutica moderna e paziente-centrica, di ridurne le dosi per minimizzare il rischio di tossicità e sviluppo di comorbidità. Per ottenere questo obiettivo è opportuno combinare questi farmaci con gli altri agenti terapeutici presenti in commercio (primi fra tutti gli mTOR-I).

 

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