Supplemento S77 - Articoli originali

Steroidi tra necessità e tossicità

Abstract

Steroid minimization has always been one of the most desired goals regarding immunosuppressive therapy after renal transplantation. Following the introduction of cyclosporine different steroid-free protocols became available, but their implementation was limited due to the high risk of acute rejection. In the last few years, the use of a very low dose of prednisone (5 mg/day) has been deemed to guarantee a good balance between steroid toxicity and efficacy. However, high interpatient variability in prednisolone exposure prevented the standard low dose to be as safe as expected in all patients. Therefore, steroid side effects can still be observed in a variable percentage of patients. In this setting, the personalization of steroid dosage might prevent an over exposure to the drug, but this strategy is not available yet. Thus, steroid withdrawal remains the only available strategy to limit side effects. In the last 40 years, we learned that steroid free protocols are associated with a higher risk of acute rejection, but they do not reduce graft survival. Hence, patients at higher risk for acute rejection or recurrence of their primary renal disease are usually excluded from these protocols. Early steroid withdrawal (within 7 days after transplantation) has been widely used and also suggested by American guidelines. However, steroid withdrawal 3-4 months after transplantation has been preferred by many Authors and deemed equally efficient. In addition, early but not late steroid withdrawal should always be associated to induction therapy. Lastly, Tacrolimus plus Mycophenolic Acid has become the most used association in steroid minimization protocols.

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Introduzione

I glucocorticoidi di sintesi, introdotti alla fine degli ’50 insieme alla Azatioprina, sono i farmaci utilizzati da più tempo dopo trapianto di rene. Insieme, questi due farmaci resero il trapianto di rene una procedura terapeutica e non più sperimentale. All’inizio il prednisone o i suoi equivalenti, furono somministrati una o due volte al giorno, alla dose di 15 mg [1]. I primi studi documentarono subito due aspetti importanti relativi al loro impiego clinico: il primo fu che gli steroidi risultavano efficaci nel prevenire il rigetto acuto solo se utilizzati in associazione con altri farmaci, e non quando utilizzati da soli. Il secondo riguardava la comparsa di gravi effetti collaterali quando utilizzati per più tempo. Quest’ultimo problema risultò talmente importante che divenne oggetto di molti studi, e presto vennero proposti nuovi schemi terapeutici (posologia singola o a giorni alterni) con lo scopo di contenere questa problematica che riduceva la qualità di vita dei pazienti [2]. Negli anni ‘70 lo steroide faceva parte integrante della terapia immunosoppressiva e la posologia “standard” era di 8-10 mg/die. Nel 1975 Tourcotte et al [3] segnalarono tre punti essenziali della terapia steroidea dopo trapianto di rene, punti che si confermano attuali anche ai giorni nostri: 1° non c’è consenso su quale debba essere la dose minima necessaria di steroide, 2° la dose minima necessaria può essere diversa da soggetto a soggetto, 3° la riduzione progressiva dello steroide comporta un aumento del rischio di rigetto acuto.

 

La sospensione dello steroide diventa una possibilità terapeutica

L’avvento della Ciclosporina diede inizio ad un nuovo filone di ricerca clinica basato sulla possibilità di attuare protocolli immunosoppressivi senza steroide [4]. Questo venne subito accolto con grande interesse da parte dei clinici perché permetteva di eliminare, o ridurre, i noti effetti collaterali legati all’uso protratto dello steroide [5]. Questa opportunità, che però risultò molto meno praticabile del previsto, aprì un ventaglio di proposte terapeutiche che ancora oggi sono oggetto di discussioni. Infatti, dopo 40 anni, esistono poche certezze e molti dubbi ancora. Sappiamo che protocolli senza steroide vengono utilizzati “solo” nel 20-30% dei pazienti, con grande differenza da centro a centro e da nazione a nazione. Non esistono dubbi sul fatto che i protocolli senza steroide aumentino il rischio di rigetto acuto, calcolato tra il 58%-77% [6], ma, nello stesso tempo, sappiamo che  non riducono la sopravvivenza del trapianto, almeno entro i primi 5 e 10 anni [6-7]. Purtroppo, non riducono neppure la mortalità del paziente, come invece atteso, vista la riduzione significativa di alcuni tra i principali fattori di rischio di malattia cardiovascolare (diabete, ipertensione, dislipidemia), sempre segnalata in questi casi [7]. Partendo da queste evidenze, ritengo che i protocolli senza steroide, oggi debbano porsi come unico obiettivo principale quello di evitare i noti effetti collaterali, al fine di migliorare la qualità di vita del paziente, migliorare la sua aderenza alla terapia e ridurre la morbilità cardiovascolare.

 

Basse dosi di steroide o sospensione dello steroide?

A questo punto si apre il problema di quale sia la reale incidenza e gravità di questi effetti collaterali ai giorni nostri.  Oggi, rispetto ai decenni scorsi, la posologia giornaliera del prednisone o dei suoi equivalenti si è ridotta progressivamente, fino a 5 o 4 mg die. Quindi, è lecito chiedersi se una dose così bassa sia comunque tossica per il paziente, oppure sia priva di effetti collaterali importanti, al punto da rendere la sospensione inutile, o perlomeno non vantaggiosa. In pratica si ritorna all’annoso quesito, mai risolto: esiste una dose minima di steroide che sia efficace ma non tossica? Cercare di dare una risposta a questa domanda è molto importante, oggi più di ieri, perché può giustificare o meno il ricorso a protocolli immunosoppressivi senza steroide in epoca di basse dosi.

 

Effetti collaterali e basse dosi di steroide

Nel 2015 Pirsch e coll, pubblicarono uno studio randomizzato che valutava il rischio di diabete dopo 5 anni dal trapianto in pazienti trattati con basse dosi di steroide (5 mg/die) oppure con sospensione dello steroide al 7° giorno di trapianto. Tutti i pazienti ricevevano Tacrolimus e Micofenolato Mofetile. Lo studio dimostrò che 5 mg di steroide al giorno, rispetto alla sospensione, non aumentavano  il rischio di diabete mellito [8]. Questa conclusione confermava uno studio precedente che aveva valutato l’effetto di dosi diverse di steroide sulla resistenza periferica all’insulina, sempre in pazienti con di trapianto renale. Lo studio dimostrò che la sensibilità all’insulina migliorava con il progressivo ridursi delle dosi, partendo da una dose di 30 mg die, ma una volta raggiunta la posologia di 5 mg, ulteriori riduzioni non comportavano alcun miglioramento del parametro misurato [9].  Questi lavori sembrerebbero confermare l’ipotesi che 5 mg di steroide non siano sufficienti ad aumentare il rischio di diabete, riducendo quindi i vantaggi di una eventuale sospensione. Questi risultati furono però contraddetti dallo studio Harmony, pubblicato nel 2016 [10]. Si tratta di un trial randomizzato, multicentrico (615 pazienti) il cui obiettivo secondario riguardava l’incidenza di diabete in un gruppo di pazienti (gruppo controllo) che utilizzava dosi di steroide molto basse (2,5-5.0 mg/die) rispetto a due gruppi che sospendevano lo steroide in 8a giornata, dopo una terapia di induzione con rATG  o con Basiliximab. Tutti i pazienti dello studio assumevano Tacrolimus + MMF, con le stesse modalità. L’induzione nel gruppo di controllo era stata effettuata con Basiliximab. Tutti i pazienti erano a basso rischio immunologico.  A 12 mesi, l’incidenza di diabete (diagnosticato secondo i criteri ADA) risultò significativamente superiore nel gruppo con basse dosi di steroide (39%) rispetto ai due gruppi con sospensione precoce (23% e 24% rispettivamente, p<0.0004). In precedenza, altri studi era giunti a questa stessa conclusione [11].  Quindi, anche dosi basse di steroide possano condizionare la comparsa di diabete, specie se assunto per un lungo periodo di tempo e se assunte in associazione con altri farmaci pro-diabetogeni come ad esempio il Tacrolimus.

Un altro effetto collaterale che potrebbe trarre giovamento dalla sospensione dello steroide riguarda la patologia ossea, in particolare l’osteoporosi, segnalata, dopo trapianto, anche in più del 50% dei pazienti. Com’è noto, questa patologia comporta un alto rischio di fratture spontanee vertebrali o periferiche, con gravi ripercussioni sulla qualità di vita del soggetto. C’è accordo nel sostenere che la perdita maggiore di densità ossea si verifichi durante i primi 6-12 mesi di trapianto, periodo in cui le dosi di steroide sono solitamente maggiori [12].  E’ stato calcolato che evitare lo steroide può ridurre significativamente il rischio di osteoporosi (HR 0.69; 95% CI 0.59-0.81), ma non di eliminarlo completamente, visto il ruolo patogenetico svolto anche da altri fattori come il sesso femminile, l’età anagrafica superiore a 50 anni, il diabete, la lunga durata della terapia dialitica, l’obesità [13]. Ma, a questo punto si ritorna la domanda iniziale: 5 mg di prednisone, o dosi equivalenti, sono comunque lesive al metabolismo osseo, oppure sono necessarie dosi maggiori, come quelle utilizzate in passato? La risposta ci può venire da uno studio inglese condotto su 244.235 pazienti con patologia di varia natura, prevalentemente polmonare cronica, e pubblicato nel 2000 [14]. I pazienti in studio assumevano regolarmente steroide e furono confrontati con 244.235 pazienti di controllo, che non assumevano steroide per bocca, selezionati in base all’età anagrafica e sesso. Lo scopo dello studio fu di verificare gli effetti della dose giornaliera di steroide sul rischio di fratture vertebrali e periferiche.  Lo studio documentò che ad una dose giornaliera compresa tra 2,5-7,5 mg corrispondeva un incremento di rischio del 18% (CI 95%, 1,11-1,26) per le fratture periferiche e del 54% (CI 95%, 1,29-1,84) per quelle vertebrali. Con dosi superiori, il rischio aumentava del 44% (CI 95%, 1.34-1,54) e del 235% (CI 95%, 2.35-3.40) rispettivamente.  Quindi, utilizzare basse dosi di steroide riduce il rischio di osteoporosi, ma non si può sostenere che equivalga a non utilizzarlo. Anzi, l’incremento del rischio si mantiene significativo anche a basse dosi, e probabilmente risulterà ancora maggiore nelle categorie di soggetti più esposti. Un altro dato emerso da questo studio, è che il rischio di fratture indotto dallo steroide non si incrementa nel corso della terapia, e si riduce rapidamente dopo la sua sospensione [15].

Un altro aspetto su cui soffermarci ci viene offerto dalla pratica clinica quotidiana. E’ esperienza comune che ad una stessa dose di steroide, anche se bassa, possono corrispondere effetti collaterali molto diversi da paziente a paziente. Questa evidenza dovrebbe suggerire la necessità di personalizzare la dose di steroide, esattamente come stiamo facendo con altri immunosoppressori. Purtroppo, chi si è occupato di questo aspetto ha documentato che il problema non è di facile soluzione.

 

Alcuni aspetti di farmacocinetica

Nel campo della trapiantologia i due glucocorticoidi di sintesi più utilizzati sono il prednisone ed il prednisolone. Quest’ultimo è il principale corticosteroide presente nel plasma, ed è l’unico in grado di attraversare la membrana cellulare e produrre gli effetti farmacologici attesi. Infine, il prednisolone è l’unico glucocorticoide di sintesi utilizzato per gli studi di farmacocinetica. Il prednisone ed il prednisolone hanno entrambi un assorbimento intestinale rapido (tmax=1-3 ore); entrambi hanno una alta biodisponibilità: prednisolone (86,1±9,1%), prednisone (93,6±9,2%); il cibo rallenta ma non riduce il loro assorbimento; il prednisone, nel fegato, viene convertito rapidamente a prednisolone; entrambi sono eliminati dal metabolismo epatico (t1/2= 2-4 ore). In questo processo risulta coinvolto anche il sistema del Citocromo P450 (CYP3A4 e CYP3A5). Dopo 24 dalla assunzione, l’esposizione al farmaco risulta quasi assente. Il prednisolone viene in parte eliminato anche dal rene (12-26%) e 5 ore di emodialisi eliminano 7-17,5% della dose assunta. Dopo trapianto, la eliminazione del prednisolone viene rallentata dall’uso concomitante di più farmaci, tra questi sicuramente la ciclosporina; una ridotta funzione renale  riduce la clearance del prednisolone  di circa il 26% con conseguente aumento del T1/2 (+53%), e dell’AUC  (+34%); nei giovani il T1/2  è più breve (esposizione minore); nel sesso femminile l’esposizione risulta  maggiore per una clearance del farmaco ridotta, condizione accentuata dall’uso  di contraccettivi. La eliminazione del farmaco non è costante, si riduce dopo il primo anno [16]. Queste note di farmacocinetica documentano la complessità del metabolismo steroideo a cui corrisponde una ampia variabilità inter-individuale, e di conseguenza  una tossicità diversa da soggetto a soggetto.

 

La personalizzazione della terapia steroidea, una esigenza mai soddisfatta

Molti studi, soprattutto in passato, hanno valutato se esistesse una correlazione tra grado di esposizione al prednisolone e comparsa di uno o più effetti collaterali. In questo ambito, una delle complicanze più indagate è stata la Sindrome di Cushing, molto presente in passato, talvolta con manifestazioni così severe da porre in discussione i vantaggi del trapianto. Oggi, nonostante le basse dosi di steroide, la possiamo ancora osservare seppure in una percentuale minore di pazienti, e con manifestazioni che possono ridurre il senso di benessere percepito dal paziente e la sua riabilitazione.  E’ stato ipotizzato che la comparsa di queste manifestazioni potrebbe dipendere da una maggiore esposizione al farmaco nonostante dosi giornaliere ugualmente basse. Questo dovrebbe significare che in alcuni pazienti sono sufficienti dosi minori per ottenere l’effetto farmacologico desiderato. In effetti, alcuni studi di farmacocinetica hanno confermato una correlazione tra alta esposizione al prednisolone (Cmax elevato, t½ prolungato, AUC maggiore) e comparsa di effetti collaterali “tipo Cushing” [17]. Questi riscontri, di sicura rilevanza clinica, hanno trovato conferme [18-20] ma anche smentite da parte di altri studi [21-23], e quindi il problema rimane aperto ad interpretazioni diverse.  Una maggiore esposizione allo steroide (AUC +23%) è stata segnalata anche nei soggetti che sviluppavano un diabete dopo trapianto [24]. Studi di farmacodinamica effettuati su colture di linfociti periferici hanno inoltre riscontrato una sensibilità all’azione dello steroide molto diversa da soggetto a soggetto. Di conseguenza, dovrebbero essere necessarie dosi diverse di farmaco per ottenere uno stesso effetto farmacologico [25]. Tutti questi aspetti ci dimostrano la complessità del problema e come la sola riduzione empirica della dose di prednisolone non possa garantire la stessa efficacia e sicurezza a tutti i pazienti.  A questo punto sorge spontanea una domanda: perché non dosare i livelli plasmatici di prednisolone libero per cercare di personalizzare la posologia dello steroide? Anche questo aspetto è già stato affrontato, ma con risultati poco incoraggianti. Il dosaggio plasmatico del prednisolone libero, teoricamente utile per dare una misura della sua esposizione, non ha dato risultati attesi, per diversi motivi, tra questi:  riscontro di un “indice terapeutico” molto ampio, un t1/2 biologico molto più lungo di quello plasmatico, assenza di  una correlazione lineare tra dose assunta e concentrazione plasmatica di farmaco libero [16].

A questo punto, sorge spontanea un’altra domanda: considerata la difficoltà a personalizzare la posologia dello steroide e visto che anche basse dosi possono essere causa di effetti collaterali non trascurabili, perché non cercare di evitare l’uso del farmaco, quando possibile?

 

Terapia immunosoppressivi senza steroide, come procedere

Il primo quesito da porsi, qualora si decida di applicare un protocollo senza o con sospensione dello steroide, riguarda a quale categoria di pazienti proporlo. Su questo aspetto esiste un “consensus” consolidato.  Infatti, tutti gli studi clinici che si sono occupati della sospensione dello steroide hanno sempre escluso pazienti ad alto rischio immunologico. Segnalo tuttavia una recente meta-analisi che ha riportato risultati a favore della sospensione dello steroide anche in soggetti considerati ad alto rischio immunologico [26].  Comunque, in attesa di ulteriori conferme, ancor’oggi vengono esclusi da questi protocolli pazienti con PRA > 30%-50%, con ritrapianto, se il primo risulta fallito per rigetto acuto nei primi 6-12 mesi, con malattia sistemica e con malattia di renale sostenuta da una Glomerulonefrite primitiva. Rispetto a quest’ultimo punto va ricordato che solo da pochi anni si è giunti ad una discreta condivisione nel considerare la GN-IgA una controindicazione alla sospensione dello steroide. Infatti, fu nel 2011 che venne segnalata un’associazione tra sospensione dello steroide ed aumentato rischio di recidiva di GN-IgA [27]. In seguito, molti altri studi hanno confermato questo riscontro [28-30], mentre pochi altri lo hanno escluso [31].  In attesa di ulteriori studi, oggi la maggioranza degli autori tende ad evitare la sospensione dello steroide in presenza di una GN primitiva, compresa la GN-IgA. Il trapianto da vivente AB0 incompatibile rappresenta una delle controindicazioni alla terapia senza steroide in quanto considerato a maggior rischio di rigetto acuto. Segnalo una esperienza retrospettiva danese in cui lo steroide venne sospeso al 3° mese in 50 pazienti selezionati per assenza di precedenti rigetti acuti. La sospensione fu ottenuta nell’86% dei pazienti con una incidenza di rigetto acuto del 19% [32].  Si tratta di una incidenza non trascurabile che dovrebbe suggerire molta cautela quando ci si trova in presenza di questo particolare tipo di trapianto.

 

Sospensione dello steroide precoce o tardiva

Un punto di grande discussione, riguarda quale sia il momento migliore per sospendere lo steroide: subito dopo il trapianto (avoidance/immediata), durante i primi 7-10 giorni (sospensione precoce), dopo 3 o 6 mesi (sospensione tardiva).  Negli ’80 e ’90 la sospensione tardiva era la modalità più diffusa, in seguito la sospensione precoce e quella immediata divennero sempre più frequenti. In questi ultimi 40 anni, molti studi randomizzati si sono dedicati a questo aspetto, ma non è stato possibile giungere ad una conclusione condivisa. Questo per le diverse sfaccettature del problema. Oggi sappiamo che la sospensione tardiva ha un indubbio vantaggio, quello di selezionare i pazienti ai quali sospendere lo steroide e questo si traduce in una minore incidenza di rigetto acuto rispetto alla sospensione precoce [33]. La selezione consiste nell’escludere dalla sospensione i pazienti con uno o più episodi di rigetto acuto o con funzione renale compromessa o instabile. In alcuni protocolli è prevista anche una biopsia renale di controllo prima di sospendere lo steroide [34]. Tuttavia, a fronte di questo vantaggio, altri aspetti ne possono limitare l’applicabilità: possibile comparsa di effetti collaterali da steroide durante i 3-6 mesi di terapia, necessità di riattivare una fase di controlli ambulatoriali molto ravvicinati durante il periodo di sospensione che solitamente richiede 2-3 mesi. Rischio, sempre per il paziente, di sviluppare sintomi riferibili ad un ipocorticosurrenalismo, possibilità di osservare un lieve peggioramento della funzione renale, difficile da interpretare, anche biopticamente. necessità di aumentare la dose di ICN per una riduzione dell’attività metabolica del sistema citocromo P450 (lo steroide, anche a basse dosi può comportarsi da induttore). Quindi, nella pratica clinica, la sospensione tardiva dello steroide si traduce in una maggiore difficoltà di gestione ambulatoriale del paziente, proprio in periodo in cui si dovrebbe invece iniziare a semplificare le procedure di monitoraggio. La sospensione precoce permette di evitare molti dei limiti sopra riportati e quindi finisce con semplificare la gestione clinica del paziente, a fronte, come già detto, di un maggior rischio di rigetto acuto. Segnalo tuttavia che nelle sospensioni precoci gli episodi di rigetto acuto si verificano soprattutto durante il primo mese, quando i controlli ambulatoriali sono frequenti e quindi senza ripercussioni sulle normali procedure.  Oggi, la sospensione precoce viene preferita alla sospensione immediata (avoidance) perché facilità la gestione clinica dell’immediato post trapianto e riduce il rischio di rigetto acuto [35]. Quest’ultimo punto è stato ulteriormente confermato da un recente studio randomizzato che ha confrontato le due diverse modalità di evitare lo steroide avendo come obiettivo primario l’incidenza di diabete, risultata sovrapponibile. In questo studio, l’incidenza di rigetto acuto biopticamente accertato è risultata significativamente superiore nel gruppo con sospensione immediata (13,6%) rispetto al gruppo con sospensione al 10° giorno (8,7%) (p=0.006) [36].

 

Sospensione dello steroide e terapia di induzione

Un ulteriore aspetto da considerare riguarda la necessità o meno di una terapia di induzione nei soggetti candidati a sospendere lo steroide dopo trapianto. Ricordo che questi pazienti rientrando nella categoria “a rischio immunologico standard” potrebbero anche non necessitare di una specifica induzione per la prevenzione del rigetto acuto. Tuttavia, una terapia di induzione viene fortemente consigliata dalle attuali linee guida nei casi in cui si preveda una sospensione precoce dello steroide [37] ed è sempre stata inclusa in tutti i protocolli proposti nel corso degli anni. Nei casi di una sospensione tardiva, la forza della raccomandazione viene meno, sebbene potrebbe rivelarsi utile ad aumentare la percentuale di soggetti eleggibili alla sospensione, grazie ad una probabile minore incidenza di rigetti acuti e ad una migliore funzione renale. Per quanto riguarda il tipo di induzione, un recente studio randomizzato, multicentrico, ha riconfermato che, in questo ambito, l’utilizzo dell’inibitore monoclonale del recettore dell’IL-2 (Basiliximab) offre gli stessi risultati di quelli ottenuti con le Timoglobuline (rATG) [10].

 

Sospensione dello steroide a terapia immunosoppressiva di mantenimento

L’ultimo aspetto da considerare riguarda la scelta dei farmaci immunosoppressori da utilizzare nei soggetti candidati alla sospensione dello steroide (sia immediata, precoce o tardiva). La Ciclosporina ha rappresentato il farmaco di riferimento per molti anni, a partire dal 1980. In seguito, con l’avvento del Tacrolimus, i vari protocolli immunosoppressivi senza steroide utilizzarono indifferentemente uno dei due immunosoppressori, senza specifiche raccomandazioni.  Negli ultimi anni, numerosi studi hanno riportato una incidenza significativamente minore di rigetti acuti, dopo sospensione dello steroide, con Tacrolimus rispetto che con la Ciclosporina [38].  Pertanto, il Tacrolimus è diventato il farmaco di prima scelta in questo specifico ambito. Per quanto riguarda i farmaci antiproliferativi di associazione, tutti i protocolli proposti hanno sempre utilizzato l’acido micofenolico, che rappresenta quindi il farmaco di riferimento. In alcuni studi, tra questi anche uno italiano [39], l’Azatioprina ha dato risultati equivalenti, ma è stata comunque progressivamente abbandonata dalla maggioranza degli autori. Ad oggi, non disponiamo di studi randomizzati che abbiano valutato l’efficacia degli mTOR-I in questo specifico ambito.

 

Conclusioni

Dopo 40 anni dai primi protocolli immunosoppressivi senza steroide, possiamo affermare che il mondo trapiantologico rimane diviso tra chi li supporta con grande convinzione e chi invece li rifiuta con altrettanta determinazione.  I risultati ottenuti non permettono di giungere ad una conclusione unica e definitiva, a cause dei molti aspetti coinvolti, ed ai quali può essere data più o meno rilevanza.  In sintesi possiamo comunque affermare che:

La tossicità dello steroide è un effetto complesso, difficile da misurare con un unico parametro. Può infatti interessare, in misura diversa, più sistemi biologici di uno stesso individuo

La elevata variabilità inter-individuale della farmacodinamica del prednisolone dovrebbe suggerire una personalizzazione della terapia. Purtroppo, il monitoraggio farmacologico «tradizionale» non è praticabile per specifiche caratteristiche di farmacocinetica

La riduzione  a 5 mg della dose giornaliera di prednisone o dei suoi equivalenti ha sicuramente ridotto il grado di tossicità del farmaco, ma non ha eliminato il problema degli effetti collaterali e del loro impatto sulla qualità di vita di molti pazienti e sul loro profilo di rischio cardio-vascolare

La soluzione migliore al problema potrebbe essere offerta dalla sospensione (meglio precoce?) del farmaco, possibile in molti pazienti classificabili “a basso rischio immunologico”. In questi pazienti, il maggior rischio di rigetto acuto potrà essere ampiamente compensato dai benefici derivanti dalla assenza della tossicità steroidea.

 

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