Settembre Ottobre 2019 - In depth review

Non erythropoietic effects of Erythropoietin

Abstract

Over the past two decades it has emerged that, in addition to erythropoietic activity, erythropoietin (EPO) has numerous other functions, including neuro-protective, anti-apoptotic, antioxidant, angiogenetic and immunomodulatory ones. EPO interacts with two different forms of its receptor (EPOR): a homodimer receptor, responsible for the erythropoietic effects, and a heterodimer receptor, responsible for the non-erythropoietic effects. The effects on the heterodimer receptor are responsible for EPO-induced prolongation of organ transplant survival in mice and humans.

The development of new molecules that selectively target the heterodimer EPOR is allowing to test the effect of long-term treatments, without the possible complications related to the increased hematocrit.

 

Keywords: erythropoietin, EPO, ARA290, EPOR

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Introduzione

All’inizio del XX secolo, due scienziati francesi osservarono che il plasma di conigli anemici era in grado di incrementare la produzione di globuli rossi quando iniettato in animali non anemici [1]. I ricercatori ipotizzarono che questa attività eritropoietica fosse causata da una singola proteina plasmatica, alla quale nel tempo vennero attribuiti vari nomi, tra cui “erythropoietic-stimulating factor” e, infine, “eritropoietina”.

Solo negli anni ’50 e ’60, alcuni ricercatori americani dimostrarono in modo definitivo che l’eritropoietina (EPO) viene prodotta principalmente dai reni in risposta ad una ridotta concentrazione circolante di ossigeno e che è in grado di stimolare la produzione di globuli rossi [2].

Dati generati nel corso degli ultimi due decenni hanno dimostrato che, oltre all’attività eritropoietica, l’EPO svolge numerose altre funzioni, tra cui quelle neuro-protettive, anti-apoptotiche, antiossidanti, angiogenetiche [3, 4] e immunomodulanti [5].

 

EPO ed eritropoiesi

Lo stimolo principale per la trascrizione del gene dell’EPO è l’ipossia tissutale, che può indurre un aumento fino a 1.000 volte dei livelli di EPO nel sangue [4]. L’ipossia, generalmente associata all’anemia, induce la trascrizione di HIF-1α (hypoxia inducible factor-1α) nelle cellule interstiziali peri-tubulari renali, dove si lega alla subunità HIF-1β, costitutivamente espressa, e stimola la trascrizione di geni bersaglio, tra cui quello dell’EPO [2]. In seguito al legame con l’EPO, il recettore dell’eritropoietina (EPOR) forma un omodimero capace di attivare l’espressione di geni che promuovono la proliferazione cellulare e prevengono l’apoptosi. A livello midollare, l’EPO stimola la sopravvivenza e la proliferazione dei precursori eritroidi inducendo la loro differenziazione in eritrociti maturi [6, 7]. Il conseguente incremento dell’ematocrito aumenta la capacità di trasportare ossigeno nel sangue [6].

In seguito alla clonazione del gene dell’EPO [8, 9], realizzata nel 1985, è stato possibile sviluppare EPO ricombinante umana per scopi terapeutici. Le due principali indicazioni all’utilizzo dell’EPO autorizzate dalla Food and Drug Administration (FDA) sono l’anemia secondaria a insufficienza renale cronica (IRC) e l’anemia indotta da chemioterapia nei pazienti oncologici [10]. Le altre indicazioni terapeutiche attualmente approvate sono riassunte nella Tabella 1.

 

Funzioni non eritropoietiche dell’EPO

Sebbene il nome originale faccia riferimento principalmente alla sua funzione eritropoietica, l’EPO esercita anche importanti effetti non eritropoietici come citochina e fattore di crescita in grado di agire su numerose popolazioni cellulari, incluse quelle del sistema immune.

Esistono due forme dell’EPOR, una omodimerica, responsabile degli effetti eritropoietici, ed una eterodimerica, composta da una catena di EPOR e da una catena del β-common receptor (βcR, CD131, colony-stimulating factor 2 receptor-β) [11]. Questo secondo recettore è responsabile degli effetti non eritropoietici dell’EPO a livello di numerosi organi tra cui il cuore, il sistema nervoso, l’intestino, l’utero, il rene e le isole pancreatiche [12]. L’attivazione dell’eterodimero EPOR/CD131 richiede concentrazioni di EPO molto più elevate rispetto a quelle necessarie per l’attivazione dell’EPOR omodimerico [13] e determina la trasduzione di segnali in parte condivisi con l’EPOR omodimerico. In particolare, entrambi inducono l’attivazione di PI3K e MAPK, la fosforilazione di STAT5 e la regolazione dell’attività di legame dei membri della famiglia NF-kB [13].

 

Effetti immunomodulatori dell’EPO

L’EPOR è espresso sulle cellule immunitarie, compresi i monociti, le cellule T e B [14] (Figura 1). Report dei primi anni 2000 indicano che l’EPO riduce la severità della malattia in modelli animali di artrite, di colite e di encefalomielite autoimmune (EAE) [1517], attraverso meccanismi che ne implicano l’azione su cellule dell’immunità innata [16, 18] e adattativa [15, 19].

 

EPO e immunità innata

L’EPOR eterodimerico è espresso sulle membrane dei monociti e dei macrofagi e dati in vitro mostrano che l’EPO inibisce la produzione di mediatori infiammatori dei macrofagi murini [16] e umani [20]. In un modello murino di infezione sistemica da Salmonella typhimurium, gli animali trattati con EPO sviluppavano una carica batterica più elevata e una ridotta espressione di mediatori dell’infiammazione (interleuchina-6, tumor necrosis factor e nitric oxide synthase 2) rispetto ai controlli [16]. Studi in vitro hanno poi dimostrato che questo effetto è mediato da un’azione diretta dell’EPO sui monociti attraverso l’EPOR [16].

I macrofagi possono produrre e rilasciare l’EPO in risposta al segnale “find-me” sfingosina 1-fosfato (S1P) emesso dalle cellule che vanno incontro ad apoptosi. Attraverso una segnalazione autocrina, il legame tra l’EPO e l’EPOR espresso dai macrofagi ne stimola la proliferazione e la capacità di clearance delle cellule apoptotiche. La mancata espressione dell’EPOR sui macrofagi determina una loro alterata capacità di fagocitare le cellule apoptotiche, e i topi che non esprimono selettivamente l’EPOR su tali cellule sviluppano sintomi simili al lupus. Il trattamento con EPO nei topi geneticamente predisposti allo sviluppo del lupus, invece, è in grado di rallentare la progressione della malattia [18].

Oltre agli effetti antinfiammatori fin qui citati, è stato dimostrato che, in alcuni contesti, l’EPO può stimolare la risposta immunitaria. In particolare, dati mostrano che l’EPO induce l’espressione delle molecole costimolatrici CD80 e CD86 e di HLA-DR nelle cellule dendritiche (DC) del sangue periferico e nelle DC derivate dai monociti (MoDC) [21]. L’EPO è anche in grado di promuovere la maturazione di MoDC immature [21].

 

EPO e immunità adattativa

Nel 2014, il nostro gruppo ha dimostrato che l’EPO inibisce direttamente la proliferazione delle cellule T convenzionali (Tconv), sia naïve che memoria, attraverso il signaling dell’EPOR omodimerico (Figura 2) [19].

Se non stimolate, le cellule T umane e murine esprimono bassi livelli di EPOR omodimerico sulla loro superficie, che possono aumentare rapidamente in seguito all’attivazione del recettore delle cellule T (TCR). A seguito dell’attivazione del TCR e delle molecole costimolatrici, la cellula T inizia a produrre interleuchina 2 (IL-2) che, con un’azione autocrina, ne alimenta la proliferazione. L’interazione EPO/EPOR inibisce i segnali IL-2-dipendenti trasmessi attraverso la catena β del recettore dell’IL-2 (IL-2R), impedendo in tal modo la produzione di interferon-γ (IFN-γ), l’attivazione e la proliferazione delle cellule T.

Anche la sopravvivenza e la proliferazione delle cellule T regolatrici (Treg), un subset di cellule T implicato nel mantenimento della tolleranza nei confronti del self e degli alloantigeni, dipendono dalla via di segnalazione a valle dell’IL-2R. Tuttavia, a differenza delle cellule Tconv, in cui il signaling è mediato da IL-2Rβ, target dell’EPO, le cellule Treg dipendono dal signaling mediato da IL-2Rγ; quindi, pur esprimendo l’EPOR come le cellule Tconv, le Treg non vengono inibite dall’EPO. Dati in vitro e in vivo nei topi dimostrano che l’EPO promuove la conversione di cellule T CD4+ naïve in Treg attraverso la stimolazione della produzione locale di TGFβ da parte delle cellule presentanti l’antigene (APC). La produzione di TGFβ indotta dall’EPO richiede la presenza dell’EPOR eterodimerico sulle APC [14] (si veda Figura 1). In uno studio di coorte prospettico, l’impiego di EPO per il trattamento dell’anemia si associava ad aumentati livelli di Treg circolanti in pazienti con insufficienza renale cronica, suggerendo che gli effetti rilevati in vitro e in vivo nei topi si applicano anche all’uomo [14].

Utilizzando modelli in vitro ed in vivo abbiamo dimostrato che il legame dell’EPO all’EPOR sulle cellule T CD4+ inibisce direttamente anche l’induzione delle cellule T helper 17 (TH17) e promuove la loro trans-differenziazione in cellule Treg [22].

 

L’EPO nel trapianto d’organo

Grazie ai suoi effetti eritropoietici, protettivi ed immunomodulatori, l’EPO rappresenta una potenziale opzione terapeutica per migliorare gli outcome del trapianto d’organo.

Nel 2012, Cassis et al. hanno dimostrato che il trattamento con EPO in un modello di rigetto cronico di trapianto renale nei ratti è in grado di correggere completamente l’anemia post-trapianto e di prevenire la disfunzione progressiva del graft e la sua fibrosi [23]. Al contrario, la normalizzazione dei livelli di emoglobina post-trapianto tramite trasfusioni di sangue non ha comportato alcun effetto sui danni cronici dell’allotrapianto, indicando che tale effetto protettivo dell’EPO è indipendente dalla correzione dell’anemia. In questo studio, l’azione nefroprotettiva dell’EPO è stata attribuita ad una aumentata espressione del fattore anti-apoptotico Bcl-2 nel graft. Tuttavia, il fatto che il trattamento con EPO fosse inoltre associato ad un ridotto infiltrato di cellule infiammatorie suggerisce che siano coinvolti anche effetti immunomodulatori. Coerentemente con questa ipotesi, abbiamo dimostrato che la somministrazione di EPO prolunga in modo significativo la sopravvivenza del graft in un modello murino di trapianto cardiaco, un effetto associato ad una riduzione delle cellule Tconv alloreattive e ad un aumento delle cellule Treg [14].

Essendo prodotta principalmente dal rene, è possibile che l’EPO sia responsabile delle proprietà pro-tollerogeniche di quest’organo, fornendo una potenziale spiegazione per i tassi più bassi di rigetto acuto nei riceventi di trapianto di rene rispetto ai riceventi di cuore o polmoni [24] (questi organi producono solo minime quantità di EPO [25]) e per i migliori outcome nei riceventi di trapianti combinati di rene e cuore rispetto ai riceventi di trapianto cardiaco isolato [26]. L’immunoregolazione EPO-dipendente potrebbe essere responsabile, inoltre, della tolleranza spontanea che, talvolta, sviluppano i riceventi di trapianto renale, non descritta, invece, nei riceventi di trapianto cardiaco [27].

Un ulteriore dato a supporto della relazione inversa tra livelli di produzione di EPO e immunogenicità dell’organo, è rappresentato dal fatto che il fegato, di cui sono noti gli effetti pro-tollerogenici, è la seconda principale fonte di EPO [28].

In considerazione degli effetti nefroprotettivi e immunomodulatori dell’EPO, 104 riceventi di trapianto renale ad alto rischio di ritardata ripresa funzionale sono stati randomizzati a ricevere quattro somministrazioni di EPO durante le prime due settimane post-trapianto, oppure nessun trattamento. La terapia con EPO è stata ben tollerata, ma i due gruppi non hanno mostrato differenze significative nell’incidenza di ritardata ripresa funzionale, di rigetto acuto o nella funzionalità del graft a tre mesi dal trapianto [29]. In un altro studio, invece, la terapia con EPO prima del trapianto si è dimostrata in grado di ridurre gli episodi di rigetto acuto tardivo e di migliorare la sopravvivenza dell’organo a 5 anni, rispetto ai pazienti che venivano trasfusi o che non ricevevano alcun trattamento [30]. Gli effetti immunomodulanti dell’EPO sono stati anche confermati da altri studi randomizzati, in cui il trattamento con alte dosi versus dosi standard di EPO riduceva significativamente il declino della funzionalità del trapianto [31] e ne aumentava la sopravvivenza a 2 anni [32].

Le discrepanze emerse rispetto all’impatto della terapia con EPO sugli esiti del trapianto [29, 31, 32] possono dipendere dal dosaggio, dalla durata del trattamento e dalle caratteristiche del paziente e giustificano ulteriori studi per definire strategie terapeutiche ottimali.

 

Funzioni dell’EPO in altri organi

L’EPO svolge funzioni protettive in molti tessuti [12] (Figura 3), ad esempio favorendo la neo-angiogenesi, ed esercitando un effetto anti-apoptotico e antinfiammatorio [33]. Questi effetti non ematopoietici sono per lo più mediati dall’EPOR eterodimerico [34].

 

Cuore

La terapia con EPO è stata associata ad un maggiore rischio di sviluppare ipertensione ed eventi cardiovascolari, in larga parte conseguenti all’aumento dell’ematocrito [35]. Tuttavia, dati provenienti da diversi gruppi di ricercatori convergono nell’evidenziare anche un effetto protettivo diretto dell’EPO nel danno da ischemia-riperfusione acuto durante infarto miocardico. Esperimenti in vitro indicano che l’EPO esercita un’azione protettiva sulle cellule cardiache e studi in vivo nei ratti mostrano che la somministrazione di EPO dimezza la perdita di cardiomiociti nell’infarto del miocardio, un effetto sufficiente a normalizzare la funzione emodinamica entro una settimana dalla riperfusione [36].

Sulla base di questi dati sperimentali, uno studio clinico ha valutato gli effetti di un trattamento di breve durata su 529 pazienti con infarto miocardico: non si è osservato un effetto significativo dell’EPO sull’end-point primario (funzione ventricolare a 6 settimane dall’evento acuto), ma le analisi secondarie hanno dimostrato che il trattamento con EPO era sicuro e si associava a una riduzione delle dimensioni dell’area colpita dall’infarto, dell’incidenza delle ostruzioni micro-vascolari e degli eventi avversi cardiovascolari a breve termine [37].

 

Rene

Interagendo con l’EPOR espresso dalle cellule tubulari renali sia prossimali che distali, l’EPO ne previene l’apoptosi e ne facilita la ripresa funzionale dopo un danno [38]. Nel modello di danno renale acuto nei ratti indotto da cisplatino, il trattamento con EPO ricombinante accelera il recupero della funzione renale [39]. Allo stesso modo, nei ratti con ostruzione ureterale unilaterale, sia l’EPO che un suo derivato con azione non eritropoietica (che agisce selettivamente attraverso l’EPOR eterodimerico) diminuiscono l’apoptosi delle cellule tubulari e la fibrosi interstiziale [40].

Nonostante questi incoraggianti dati sperimentali, una meta-analisi di 7 studi clinici non ha rilevato un beneficio significativo del trattamento con EPO nell’incidenza di danno renale acuto nell’uomo [41].

 

Sistema nervoso e retina

Diversi tipi di cellule del sistema nervoso esprimono l’EPOR, comprese le cellule progenitrici neurali (NPC), gli astrociti, i neuroni e gli oligodendrociti. Nei ratti, l’esposizione delle NPC all’EPO promuove la loro proliferazione e differenziazione in astrociti o oligodendrociti, un effetto associato all’attivazione dell’extracellular signal-regulated kinase-1 (ERK1) e nuclear factor-κB (NF-kB) [42]. Le cellule cerebrali producono EPO in risposta all’ipossiemia. L’EPO prodotta localmente o somministrata per via sistemica favorisce la rivascolarizzazione della zona ischemica [43], migliorando l’erogazione di ossigeno al cervello nei ratti.

Una meta-analisi di studi clinici pubblicati in cui EPO veniva impiegata in pazienti con ictus ischemico non ha dimostrato effetti significativi a 90 giorni dall’evento acuto [44], mentre uno studio randomizzato ha riscontrato un miglioramento significativo del deficit neurologico a lungo termine associato alla terapia con l’EPO rispetto al placebo [45].

Studi recenti indicano che l’EPO migliora le funzioni cognitive in modelli murini di morbo di Alzheimer, riducendo la produzione di TNF-α e di interleuchine indotta dall’amiloide e contrastando così l’infiammazione che contribuisce alla progressione della malattia [46].

L’azione dell’EPO è stata ampiamente studiata anche nella prevenzione delle lesioni cerebrali e delle conseguenti disabilità dello sviluppo neurologico nei neonati pretermine [47]. I meccanismi responsabili dell’effetto neuro-protettivo dell’EPO in questo contesto includono la prevenzione dell’apoptosi cellulare e dell’infiammazione, l’attività antiossidante, la promozione della rigenerazione neurale e del normale sviluppo neurologico e la riparazione delle lesioni ischemiche cerebrali. Con il crescente numero di neonati prematuri, l’EPO ricombinante viene sempre più spesso utilizzata come alternativa alle trasfusioni di sangue per i suoi effetti neuroprotettivi [47].

Anche la retina, un tessuto fortemente attivo dal punto di vista metabolico ed estremamente sensibile alle riduzioni della tensione di ossigeno e ai traumi, esprime l’EPOR e produce EPO [48]. Numerosi studi hanno dimostrato effetti protettivi dell’EPO nelle degenerazioni retiniche ereditarie o acquisite [49]. Questo fenomeno, indipendente dall’eritropoiesi, è molto probabilmente mediato dall’EPOR eterodimerico [49].

 

Pancreas e osso

L’EPO esercita un effetto protettivo sulle isole pancreatiche in diversi modelli animali: può promuovere la proliferazione e prevenire l’apoptosi delle cellule nelle isole pancreatiche suine [50], mentre nei topi diabetici l’EPO è in grado di ridurre il danno delle β-cellule tramite effetti anti-apoptotici, antinfiammatori e angiogenetici, e di migliorare il metabolismo glucidico [51].

L’EPO può anche influenzare l’omeostasi ossea. Una delle prime associazioni tra EPO e formazione ossea è stata osservata nei ratti resi anemici mediante sanguinamento controllato. In questi animali, la sintesi di EPO secondaria all’anemizzazione promuove l’attivazione sia del midollo osseo che dell’osso per sé, con un incremento del tasso di apposizione minerale, del numero di osteoblasti e dei livelli sierici del peptide di crescita osteogenico [52].

In modelli murini di riparazione di fratture del femore il trattamento con l’EPO migliora il volume e le proprietà biomeccaniche dell’osso [53]. Anche gli osteoblasti producono EPO come meccanismo di regolazione locale dell’eritropoiesi e del rimodellamento osseo [53].

Complessivamente, questi dati indicano che numerosi tipi cellulari esprimono EPOR e che l’EPO svolge molteplici effetti non eritropoietici.

 

Nuovi agonisti dell’EPOR eterodimerico

L’EPO si lega all’EPOR eterodimerico con un’affinità 1.000 volte inferiore rispetto a quella che ha per il recettore omodimerico. Per questo motivo sono necessarie dosi molto elevate di EPO ricombinante per indurre risposte non eritropoietiche protettive sui tessuti, con conseguente rischio di effetti collaterali come la policitemia [54]. ARA290, (Cibinetide, Araim Pharmaceuticals, Inc., New York, USA), è un agonista selettivo dell’EPOR eterodimerico [54]. Studi in vitro e in vivo sui roditori hanno dimostrato che il trattamento con ARA290 protegge i cardiomiociti dall’apoptosi e migliora l’outcome nell’insufficienza cardiaca [55]. In un modello suino di danno da ischemia-riperfusione renale, la somministrazione di ARA290 si associava ad una riduzione dei livelli di creatininemia e delle lesioni istologiche renali [56]. ARA290 svolge, inoltre, un ruolo neuro-protettivo in vari modelli animali, ad esempio di ictus ischemico [54], di edema retinico indotto dal diabete [57] e di trauma dei nervi periferici [54].

Nell’ambito di studi clinici, ARA290 migliora il profilo metabolico e la neuropatia in pazienti affetti da diabete mellito di tipo 2 [58]; in soggetti con disfunzione neuropatica autonomica e anomalie sensoriali associate a sarcoidosi o a diabete mellito, riduce il dolore, aumenta la sensibilità cutanea e l’abilità fisica valutata tramite il 6-minute walk test [5860]. L’effetto di questo peptide sulla rigenerazione vascolare mediata dall’EPOR eterodimerico è stato studiato anche nei casi di ischemia retinica, in cui può ridurre l’infiammazione e risultare un utile complemento alla terapia cellulare [61].

 

Conclusioni

Scoperta inizialmente per i suoi effetti eritropoietici, l’EPO ha migliorato la qualità della vita e ha ridotto la morbilità e la mortalità dei pazienti con anemia associata a insufficienza renale cronica terminale o neoplasie ematologiche. Nel corso degli anni, questa glicoproteina ha guadagnato ulteriore attenzione per i suoi effetti non eritropoietici, tra cui quelli anti-apoptotici. Pertanto, le aree di studio più promettenti sembrano essere le condizioni acute come il danno da ischemia-riperfusione o le lesioni traumatiche, con l’obiettivo di proteggere le cellule situate nella zona ipoperfusa perifericamente al tessuto danneggiato.

Gli effetti non eritropoietici dell’EPO includono anche attività di immunomodulazione, in grado di prolungare la sopravvivenza del trapianto d’organo sia nei topi che nell’uomo. Essendo il sistema immunitario coinvolto anche nel danno da ischemia-riperfusione e nella riparazione e rigenerazione dei tessuti, è possibile che gli effetti immunomodulatori dell’EPO siano, almeno in parte, responsabili anche dei suoi effetti protettivi nei tessuti.

Lo sviluppo di nuove molecole che hanno come target l’EPOR eterodimerico, privo di attività eritropoietica, sta permettendo di valutare l’effetto di trattamenti a lungo termine, prevenendo le possibili complicanze legate all’aumento dell’ematocrito.

I dati disponibili supportano anche l’idea che la sintesi di EPO da parte del rene si sia evoluta come meccanismo di tolleranza immunitaria periferica in grado di proteggere l’organo stesso da risposte infiammatorie contro il microbioma urinario, l’alta concentrazione di antigeni ambientali e il sodio [6265].

 

 

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