Luglio Agosto 2019 - Nefrologo in corsia

Monoclonal gammopathy of renal significance and membranoproliferative glomerulonephritis: a complex relationship with promising therapeutic opportunities

Abstract

In the last few years, the increasing awareness of the complex interaction between monoclonal component and renal damage has determined not only a new classification of the associated disorders, called Monoclonal Gammopathy of Renal Significance (MGRS), but has also contributed to emphasize the importance of an early diagnosis of the renal involvement, which is often hard to detect but can evolve towards terminal uraemia; it has also pointed at the need to treat these disorders  with aggressive regimens, even if they are not strictly neoplastic.

The case described here presented urinary abnormalities and renal failure secondary to a membranoproliferative glomerulonephritis (MPGN), with intensively positive immunofluorescence (IF) for monoclonal k light chain and C3, and in the absence of a neoplastic lympho-proliferative disorder documented on bone marrow biopsy. After the final diagnosis of MGRS, the patient was treated with several cycles of a therapy including dexamethasone, cyclophosphamide and bortezomib, showing a good functional and clinical response.

 

Keywords: monoclonal gammopathy of renal significance, membranoproliferative glomerulonephritis, kidney biopsy

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Introduzione

Negli ultimi anni l’interesse scientifico verso la conoscenza delle complesse interazioni tra le componenti monoclonali e il parenchima renale risulta in continua evoluzione, con risvolti di ordine classificativo e di approccio terapeutico. Nel 2012 è stato infatti coniato dall’International Kidney and Monoclonal Gammopathy Research Group l’acronimo MGRS, ovvero “Monoclonal Gammopathy of Renal Significance”, con l’obiettivo di raggruppare un multiforme spettro di patologie renali (con interessamento di glomerulo, tubulo e/o interstizio) accomunate dal meccanismo patogenetico secondario alla paraproteina secreta da un disordine linfoproliferativo di basso grado [1]. Il coinvolgimento organico è, in queste forme, prevalentemente renale, senza evidenza di interessamento midollare specifico e/o di presenza di tutti i criteri CRAB (ipercalcemia, insufficienza renale, anemia e lesioni ossee) [2]; per la sua definizione diagnostica riveste un ruolo fondamentale la biopsia renale, che deve includere l’analisi in microscopia ottica-elettronica e l’immunoistochimica [34].

Nell’ambito della MGRS sono comprese glomerulopatie con depositi organizzati (amiloidosi AL, AH e AHL, glomerulonefrite immunotattoide, glomerulonefrite crioglobulinemica tipo I) ed altre con depositi non organizzati (glomerulonefrite membranoproliferativa e C3 dense deposit disease) [5].

Queste nuove entità nosografiche emato-nefrologiche, in assenza di un loro adeguato e precoce riconoscimento, presentano un forte impatto in termini di morbilità renale [67], di possibile mortalità del paziente, sebbene inferiore rispetto al mieloma multiplo ed ad altre neoplasie ematologiche [8] e di elevato rischio di recidiva dopo il trapianto [910].

Rappresentano, infine, per lo specialista onco-ematologo chiamato in causa nella gestione terapeutica, un radicale cambiamento di approccio che prevede l’utilizzo di schemi di chemioterapia convenzionale indirizzato ad una patologia non propriamente neoplastica [11].

 

Caso clinico

Trattiamo il caso di una paziente di 59 anni giunta all’attenzione del nefrologo per proteinuria di tipo glomerulare non selettiva ai limiti del range nefrosico (2,9 g/die), micro-ematuria (20 emazie p.c. HP con quota dismorfica nel 50%) e deterioramento della funzione renale (Crs 1,5 mg/dl, dati precedenti nella norma). L’indagine anamnestica non evidenziava elementi di rilievo ad eccezione di un blando stato ipertensivo.

Ulteriori accertamenti evidenziavano: test immunologici (ANCA, ANA, dsDNA, ENA) e virologici (HBV, HCV e HIV) negativi; complementemia nella norma; anemia (Hb 8,9 g/dl) in assenza di perdite ematiche (esame su sangue occulto nelle feci negativo) o di particolari carenze vitaminiche/marziali. Il quadro proteico rilevava: una ipogammaglobulinemia (IgG 3,17 g/L, IgA e IgM di norma) associata ad una componente monoclonale costituita da catena leggera “free” kappa sierica di modesta entità, pari a 268 mg/l con ratio free light chain (FLC) di 3.7; proteinuria di Bence Jones positiva per catena K. L’assetto elettrolitico e la calcemia ionizzata (1,13 mmol/L) erano normali; l’immunofissazione sierica escludeva altre componenti monoclonali. Morfologicamente i reni si presentavano di dimensioni regolari, con corticale lievemente assottigliata e profili modicamente bozzuti.

La biopsia renale evidenziava in microscopia ottica: 12 corpuscoli del Malpighi con assi mesangiali diffusamente ampliati per aumento della sostanza fondamentale e della componente cellulare, talora con aspetto nodulare; depositi di amplia taglia nelle membrane basali in sede subendoteliale e intramembranosa e in alcuni assi mesangiali; colorazione Rosso Congo negativa (Figura 1).

All’immunofluorescenza si evidenziavano: spiccata positività per C3 e catene leggere kappa con una distribuzione diffusa, granulare in sede subendoteliale e intramembranosa e in alcuni assi mesangiali (Figura 2). Il quadro istologico deponeva quindi per una glomerulonefrite membranoproliferativa (GNMP) a depositi diffusi di C3. L’indagine ultrastrutturale, pur in presenza di materiale con fissazione sub-ottimale, evidenziava la presenza di ampi depositi spiccatamente elettrondensi amorfi, localizzati prevalentemente in sede sub-endoteliale e negli assi mesangiali, e solo molto raramente a livello intramembranoso (Figura 3, A-B); non si osservavano invece depositi elettrondensi in corrispondenza dei tubuli (Figura 3, C). È stata inoltre eseguita l’indagine immunoistochimica su materiale fissato con anticorpo anti-C4d che è risultata sostanzialmente negativa a livello glomerulare.

Alla luce della complessità del caso e della sua relativa rarità, che richiedevano un approccio multidisciplinare articolato, veniva eseguita una seconda puntualizzazione presso un centro di secondo livello (SCDU Nefrologia e Dialisi CMID, Ospedale Hub S. Giovanni Bosco di Torino). In tale sede si ripeteva la biopsia renale, questa volta con un pre-trattamento del nuovo materiale istologico con pronasi, al fine di escludere la presenza di altre immunoglobuline monotipiche eventualmente criptate. In realtà, veniva confermato il quadro emerso precedentemente; in particolare, l’immunofluorescenza eseguita dopo pre-trattamento enzimatico confermava il dato immunoistochimico di intensa positività per catene leggere kappa e C3.

La biopsia osteomidollare mostrava un midollo normocellulare con lieve eccesso di plasmacellule (7-8%) a fenotipo policlonale con restanti popolazioni emopoietiche nella norma, non indicativo di una franca malattia mieloproliferativa; altre indagini di completamento effettuate (rx segmenti ossei) non soddisfacevano i canonici criteri CRAB.

Previa valutazione collegiale del caso, si concordava con i referenti ematologi l’avvio di una chemioterapia con cicli ripetuti di steroide (desametasone 20 mg giorno 1-8-15-22), ciclofosfamide per os (350 mg giorno 1-8-15) e bortezomib s.c. (1,3 mg/m2 giorni 1-8-15-22), schema denominato VCD. La paziente eseguiva in totale 6 cicli di VCD, seguiti da tre cicli di desametasone e bortezomib (schema denominato VD). Gli esami bioumorali a fine trattamento mostravano valori di creatinina di 1 mg/dl, emoglobina di 12.1 gr/dl, proteinuria normalizzata di 50 mg/24 ore e FLC rapporto normalizzato (Tabella I).

La tolleranza clinica alla terapia è stata accettabile, con modesti sintomi dispeptici, una modesta sintomatologia parestesica agli arti inferiori e un arrossamento cutaneo persistente nella sede di somministrazione del Bortezomib. Durante tutto l’arco temporale di trattamento è stata effettuata profilassi con antivirale e trimetoprim-sulfametossazolo.

 

Discussione

Secondo il recente Consensus Statement dell’International Kidney and Monoclonal Gammopathy Research Group [4], le MGRS sono dei disordini linfoproliferativi clonali dei linfociti B e delle plasmacellule che presentano un interessamento renale eterogeneo, legato alla nefrotossicità della componente monoclonale, in assenza di caratteristiche tumorali.

Il criterio classificativo tiene conto della presenza o meno di depositi renali e delle loro caratteristiche ultrastrutturali. Possiamo osservare forme con depositi organizzati, sotto forma di fibrille, microtubuli e cristalli/inclusi, e forme con depositi non organizzati (tra cui malattie da deposito di immunoglobuline o frammenti di esse, GNMP) [1516], come nel caso da noi descritto; in altri casi ancora non si osservano depositi, come nella forme di glomerulopatia C3 mediata con gammopatia monoclonale associata, o nelle forme associate alla microangiopatia trombotica (Tabella II).

A partire dal 2012, importanti studi retrospettivi hanno, altresì, condotto ad una riclassificazione delle GNMP, rivalutando criticamente non solo l’aspetto istochimico di per sé ma anche la sua correlazione con gli aspetti patogenetici che possono indirizzare il clinico nella scelta di terapie specifiche. Utilizzando il criterio classificativo di tipo patogenetico, le GNMP si possono distinguere in due forme sostanziali: una prima mediata dal deposito di immunocomplessi ed una seconda mediata dalla disregolazione del complemento, con successiva persistente attivazione della via alterna [13]. All’interno del primo gruppo ritroviamo le GNMP secondarie a gammopatie monoclonali come le MGRS (più raramente si tratta di mieloma multiplo, leucemie e linfomi [14]); grazie all’indagine immunoistochimica, esse possono essere differenziate dalle forme associate a processi infettivi per lo più virali, malattie sistemiche (LES o crioglobulinemie) e da forme ancora oggi definite idiopatiche [1415].

Il riscontro di depositi isolati di C3 su un pattern membranoproliferativo impone la ricerca di una MGRS mediante l’indagine in microscopia elettronica, che rappresenta il gold standard, e, ove possibile, mediante pre-trattamento del campione con pronase.

Infatti, alcuni aspetti istologici inquadrabili in una C3 nephropathy possono ingannare il patologo poichè possono mascherare, in realtà, la presenza di un concomitante deposito della componente monoclonale; quest’ultima viene svelata tramite un pre-trattamento del campione bioptico con pronasi e successivo fissaggio in formalina [12].

Nel caso da noi descritto, gli ampi depositi amorfi dovuti a catene monoclonali K non si sono presentati con un quadro tipico nodulare di light chain disease (sebbene si intravedesse una certa tendenza alla nodularità), ma piuttosto con un pattern membranoproliferativo, come si osserva in corso di MGRS.

È pertanto fondamentale che vi sia un’interazione clinica tra il nefrologo e l’anatomo-patologo che, nel sospetto di una MGRS, deve impostare la corretta tecnica diagnostica prevedendo comunque l’esecuzione dell’indagine ultrastrutturale dirimente. In relazione alla rarità dei casi e alla necessità di un articolata presa in carico, come peraltro suggerito in letteratura [3], è fondamentale che i pazienti vengano riferiti a centri di esperienza, ove la casistica è congrua, che consentano formulazioni di diagnosi corrette e approcci terapeutici adeguati e tempestivi.

A tale proposito, la scelta terapeutica deve tener conto del clone da contrastare, sia pure quantitativamente esiguo, della funzione renale residua, che può ovviamente esacerbare il rischio di effetti collaterali, e dalla presenza eventuale di manifestazioni extra-renali [17]. L’utilizzo di chemioterapici secondo protocolli ematologici convenzionali mira a sopprimere rapidamente il clone nefrotossico e il conseguente danno renale. Sebbene siano proposti numerosi protocolli, occorreranno in futuro ulteriori prove di validità per verificare con certezza quali siano i più efficaci, soprattutto in relazione all’eterogeneità del danno renale [1819].

Tali aspetti rivestono particolare importanza nel paziente trapiantato renale, in cui la MGRS ricorre frequentemente, soprattutto per le forme di glomerulonefrite proliferativa con associato deposito di IgG monoclonali (PGNMID) che, in una casistica recente di Said, interessava fino all’89% dei pazienti [20], presentandosi precocemente dopo il trapianto con comparsa di proteinuria e deterioramento progressivo della funzione del graft. Sono stati proposti numerosi approcci terapeutici, con l’impiego di una miscellanea di immunosoppressori, compreso l’utilizzo promettente del rituximab [21].

Nel nostro caso, la terapia concordata con i colleghi ematologi ha previsto una combinazione iniziale di desametasone, ciclofosfamide e bortezomib, garantendo un ottimo effetto terapeutico sinergico su plasmacellule e cellule della linea B; in particolare, anche dalle segnalazioni riportate in letteratura, appare importante il ruolo del bortezomib che presenta un discreto profilo di sicurezza e la possibilità di essere somministrato anche in presenza di malattia renale cronica avanzata [19]. La sua azione di inibizione del proteosoma determina apoptosi delle plasmacellule e, inibendo il meccanismo NF-kB, riduce il release di citochine ad azione pro-infiammatoria [22].

 

Conclusioni

A differenza del ben più delucidato coinvolgimento renale in corso di discrasie plasmacellulari, il quadro clinico nelle forme di MGRS risulta più subdolo e spesso accompagnato da alterazioni ematologiche solo sfumate o del tutto assenti.

È pertanto fondamentale che il nefrologo, in presenza di lievi alterazioni ematologiche, insufficienza renale di non chiara origine, anomalie del sedimento e proteinuria, consideri precocemente l’esecuzione della biopsia renale (con adeguato campionamento), prevedendo tra le ipotesi diagnostiche anche le forme di MGRS e indirizzando in tal senso l’anatomo-patologo, che potrà predisporre l’analisi del frustolo in maniera adeguata e funzionale al quesito.

Una volta confermata una diagnosi di MGRS, è fondamentale che il collega ematologo, a sua volta, consideri l’interessamento renale come espressione di malattia mieloproliferativa attiva, con potenziale evolutività nel senso di una perdita funzionale irreversibile del rene. Si rende pertanto necessario un approccio terapeutico intensivo, apparentemente sproporzionato rispetto all’entità della malattia ematologica, soprattutto nei pazienti potenzialmente candidabili ad un futuro trapianto di rene.

 

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