Settembre Ottobre 2017 - Comunicazione e Marketing

Italian health centers and Web Marketing strategy: necessary improvements, even in nephrology

Abstract

The complete digitalization of the health system is an objective that Italy, from 2014, is pursuing with great difficulty, spurred by the many European initiatives dedicated to it. Despite the social and cultural background seems to be clearly ready for an application of the renewal strategies, e-Health and m-Health are struggling to get off the ground throughout the territory. The main difficulties are find at local level and don’t spare any medical discipline, nephrology included. The characteristics of the official websites belonging to the local health centers demonstrate it. Today, these institutions are still sparsely present on Social Media or in the Italian Smart Mobile Technology landscape.

The article illustrates the main features of the phenomenon and calls for reflection on the necessity to accelerate the digital innovation of the communication with patients. This is a possible strategy for reducing chronicity through prevention, and, potentially, for decreasing health costs.

Keywords: health system, Web 2.0, Social Network, digitalization, e-Health, m-Health.

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Introduzione

Nell’ultimo decennio, le comunicazioni fra esseri umani sono cambiate irrevocabilmente a causa dell’avvento della rete e delle nuove tecnologie mobili. I processi d’informazione e formazione sono diventati glocali (1), cioè di rilevanza internazionale ma legati strettamente al territorio.

La digitalizzazione ha travolto le piccole e grandi istituzioni europee, provocando la nascita di strategie, più o meno efficaci, dedicate al rinnovamento degli enti pubblici e delle organizzazioni private (2). Fra queste, l’Europa 2020, costituita da ben sette iniziative (3).

La massima espansione dell’Internet of things è ad esempio l’obiettivo principale dell’HORIZON 2020 work programme (4). Il documento, redatto dalla Commissione Europea, è una guida strategica all’applicazione massiccia delle tecnologie Web ai luoghi pubblici e agli oggetti di uso comune. Prevede per l’attuazione del progetto un investimento totale di 139 milioni di euro, con un coinvolgimento anche del sistema sanitario.

Il settore medico, ed in particolare l’ambito nefrologico, è fra quelli maggiormente coinvolti nella digitalizzazione: perlomeno a livello concettuale. La diffusione di soluzioni tecnologiche mirate al miglioramento della sanità pubblica europea è tangibile, ma rimangono ancora numerosi ostacoli (5). Ad esempio: la difficoltà a disporre corsi di aggiornamento per gli operatori, lo sfruttamento reale della Cartella Clinica Elettronica, i finanziamenti troppo esigui per gli obiettivi prefissati e la lenta costituzione di piani legislativi per la gestione delle Social Media Strategies e del settore mobile (6).

La situazione dell’e-Health in Italia è teoricamente in linea con le raccomandazioni europee. Mettono l’accento sul ruolo centrale delle ICT nel miglioramento del processo di diagnosi clinica e dell’accesso ai servizi in generale, lasciando una certa libertà alle istituzioni per quanto riguarda le modalità di reale attuazione (7). Il rinnovamento sembra essere più una meravigliosa utopia che un obiettivo raggiungibile, soprattutto per quanto riguarda i servizi dedicati al cittadino.

Nel maggio 2016 il documento European Digital Progress Report (EDPR) che descrive, Paese per Paese, il livello di attuazione dei processi di digitalizzazione in atto, ha evidenziato che l’Italia arranca su tutti i fronti rispetto alla media dei paesi dell’Unione Europea; la penisola si classifica al 17° posto nella digitalizzazione dei servizi pubblici, fra i quali può essere annoverata la sanità (8) (Figura 1).

 

Altri dati non sono più rassicuranti

Stando ad un’analisi dell’ITU (International Telecommunication Union), agenzia delle Nazioni Unite specializzata in information and communication technologies, l’Italia è al trentottesimo posto su 167 paesi per quanto concerne l’ICT development index rank. E’ uno strumento standardizzato utilizzato da governi, agenzie per lo sviluppo e ricercatori per misurare il Digital Divide. Il termine è utilizzato per indicare genericamente le problematiche “di accesso ai mezzi di informazione e comunicazione da parte di determinate aree geografiche o fasce di popolazione” (9). In tal senso, il panorama italiano è peggiorato negli ultimi anni. Basti pensare che, per divario digitale, il paese si trova oggi dietro il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti. Questi hanno di recente potenziato le proprie reti comunicative in maniera massiccia, al contrario dell’Italia che, stando ai dati, arranca nel processo di crescita: in particolare a livello locale.

Purtroppo, il paese non può più permettersi di ignorare le potenzialità dell’e-Health e dell’m-Health, soprattutto considerando l’enorme importanza che la rete ha raggiunto a livello socio-culturale ed economico e il notevole potenziale educativo proprio delle nuove ICT.

 

Gli italiani sono online

Secondo dati ISTAT 2015 (10), il 75% dei cittadini europei utilizza regolarmente Internet, mentre nella nostra penisola la percentuale è di 12 punti inferiore (63%). Solo il 28% degli italiani non ha ancora una connessione.

Il discorso è simile per quanto concerne la banda larga: è raggiunta dal 67,4% della popolazione presente sul territorio italiano (11). La copertura non è ancora completa, ma è evidentemente sufficiente a rendere necessaria un’accelerazione dei processi di rinnovamento delle amministrazioni locali.

Nel paese, le differenze sociali nell’uso di Internet sono ancora elevate, ma in diminuzione: 22 punti fra operai e dirigenti, imprenditori e liberi professionisti, 20 punti tra lavoratori in proprio e dirigenti, imprenditori e liberi professionisti (ISTAT 2015). Ancora l’età rappresenta un fattore discriminante nell’uso della rete, ma non è più una giustificazione sufficiente al mantenimento di metodologie di contatto con il cittadino moderatamente obsolete, soprattutto per quanto riguarda la sanità pubblica, che come già detto, stenta a emergere.

L’Italia sta inseguendo faticosamente l’obiettivo dell’innovazione del settore sanitario e della sua standardizzazione. Sul piano regolativo ha concepito diversi sistemi: il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), il Dossier Sanitario Elettronico (DSE) – da non confondere fra loro – e la ricetta elettronica nazionale (12). Quest’ultima è l’unica ad aver ottenuto immediato successo, con la dematerializzazione del 72% delle ricette mediche già dall’Aprile 2016. Probabilmente, la ragione di questo immediato risultato è il convolgimento diretto dei medici di base nella promozione del nuovo strumento.

FSE e DSE non hanno invece ancora raggiunto il pubblico. Lo dimostra una ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano effettuata su un campione di 1000 cittadini italiani. Dall’indagine è emerso che il 23% degli intervistati sapeva che cosa è il FSE ma solo il 5% del campione aveva usufruito realmente del servizio (13). Da questi ultimi dati si potrebbe pensare che sia l’utente medio a non essere pronto a un massiccio rinnovamento in senso digitale. Non è così.

I cittadini sono quotidianamente a contatto con le nuove tecnologie, soprattutto tramite smartphone.

Il 94% delle famiglie italiane possiede almeno un cellulare; ben il 159,79% della popolazione ha un abbonamento mobile con accesso di rete (14). Le applicazioni disponibili nei vari App Store sono oggi 260.000 (15). La maggior parte di esse ha l’obiettivo di facilitare il controllo di parametri fisici o abitudini, legati per l’appunto alla salute dell’individuo. Non è pensabile che questo mercato così ampio riesca ad alimentarsi autonomamente. E’ il consumatore ad usufruirne, dimostrando attivamente il suo interesse e le sue capacità di orientamento nell’internet of things, anche se privato e scientificamente poco affidabile (16). C’è infine un altro ambito per il quale l’italiano medio mostra un interesse addirittura morboso: quello dei Social Media.

 

Gli italiani 2.0

Questo decennio è, più di ogni altra cosa, il periodo degli user generated contents: ogni tipo di contributo Web rilasciato online da un utente generico. I dati generati da ogni individuo nel mondo sono 1,7 megabyte al minuto, rilasciati principalmente all’interno di piattaforme come Facebook, Twitter, You tube, Instagram (17).

Secondo l’ISTAT 2016, fra le persone che utilizzano il Web in Italia, il 57,8% sfrutta i Social Network. L’informazione non mostra il suo aspetto strabiliante se non accompagnata da altri numeri, registrati principalmente da agenzie private impegnate nel monitoraggio delle più note piattaforme sociali.

Esclusivamente nella penisola, al 2015 erano 28 milioni gli utenti Facebook attivi ogni mese, 8 milioni gli utenti Instagram e 6,4 milioni i fruitori di Twitter (Audiweb) (18).

Bisogna tenere in considerazione il fatto che un singolo individuo può avere più account in diversi Social, perciò il numero totale degli iscritti nelle varie piattaforme non corrisponde alla somma dei suddetti numeri.

L’interesse degli italiani per i Social Network era stato già evidenziato da un’analisi Nielsen 2010. Secondo la ricerca, il tempo medio trascorso da ogni cittadino nelle piattaforme durante le 24 ore era allora di 6 ore e 27 minuti (19). Anche tenendo in considerazione un calo dell’interesse, i numeri discordano molto da quelli registrati nel Digital in 2016 report. Secondo il rapporto della We Are Social, sarebbero solo 2 le ore al giorno a persona. Si tratta comunque di tempi notevoli, superiori a quelli dell’Australia e degli Stati Uniti in ogni caso (20).

Le analisi statistiche reperibili sono molto variabili perché non vi è (stranamente) un’attenzione particolare delle agenzie di ricerca indipendenti nei confronti di questo tipo di uso del Web (ad esempio Istat ed Eurostat), né una standardizzazione delle misurazioni.

In questo panorama digitale la salute ha un ruolo rilevante. Nel 91% degli stati membri dell’Unione Europea vengono utilizzati i Social Media e i motori di ricerca per trovare informazioni sulla salute. Un momento di difficoltà medica casuale è sempre più affrontato in maniera semi-indipendente dal paziente: la soluzione viene chiamata, più o meno ironicamente, Dott. Google (21). Per l’ambito nefrologico, nonostante il grande interesse dimostrato dal settore, sin dal 2010, non esistono dati statistici italiani capaci di fornire una stima del coinvolgimento all’interno dei Social Media dei pazienti con patologie renali o croniche. Di certo questo coinvolgimento esiste e si manifesta attraverso la continua nascita di comunità online di pazienti dedicate principalmente alla condivisione dell’esperienza patologica e terapeutica.

I pochi dati reperibili in letteratura sono rilevazioni estere, spesso anche poco recenti. Utili quelli di una ricerca canadese del 2007. Secondo la stessa, ben il 58% dei pazienti dializzati nell’anno in questione ricercava già informazioni mediche in rete. La maggior parte di questi apparteneva a una fascia di popolazione di età inferiore ai 40 anni (22).

I motori di ricerca generalisti (come Google) sono quelli scelti più frequentemente per individuare informazioni mediche, ma non gli unici. Seguono i portali privati dedicati alla salute e al benessere, i già citati Social Media, i siti di società scientifiche internazionali e nazionali, i portali delle assicurazioni sanitarie e altri. All’ultimo posto i siti ufficiali delle Aziende sanitarie locali (23).

 

E in ambito nefrologico?

La prevenzione della malattia renale dovrebbe essere l’obiettivo principe di tutta la relativa attività medica. La conoscenza di un sano stile di vita è notoriamente la base di tale processo. Purtroppo, il tempo dedicato all’educazione del paziente nefrologico e dei suoi cari viene spesso ridotto al minimo. Sono solitamente indicate come cause di tale comportamento la scarsità di risorse, di personale sufficiente e specializzato e la difficile gestione in contemporanea di cura ed informazione. Eppure la necessità di avere pazienti consapevoli per l’aumento della compliance è stata sancita da tempo, anche dal valore legale come il Medicare Improvements for Patients and Providers Act of 2008 (24), rilasciato dal governo degli Stati Uniti.

Dato il grande coinvolgimento del pubblico, dimostrabile tramite le statistiche italiane ed europee già illustrate, le nuove ICT potrebbero essere considerate la soluzione perfetta alle problematiche relative all’attività preventiva nefrologica sopracitate.

Attualmente il Web, soprattutto italiano, è ancora concentrato sulla comunicazione solo fra esperti in malattia renale. Le risorse certificate dedicate al paziente restano poche, per la maggior parte disponibili solo in lingua inglese. Infatti, contrariamente all’Italia, negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni è stata superata da qualche tempo l’iniziale diffidenza degli esperti nei confronti dei nuovi media. Secondo un’indagine del 2011, già allora il 52% dei medici e dei nefrologi faceva uso dei Social Network dedicati alla cura e prevenzione, ed il 46% rilasciava settimanalmente nuovi contenuti educativi in lingua inglese (25).

Il panorama italiano è leggermente diverso. Uno dei problemi fondamentali della penisola è esattamente la mancanza di materiali in lingua nazionale. Se si considera il fatto che il paese è, secondo indagini EF Education, al 28° posto su 72 nel mondo come conoscenza dell’inglese da parte dei suoi cittadini, diventa evidente la necessità di aumentare il numero di documenti italiani dedicati alla prevenzione delle patologie croniche e renali (26).

Alcune eccezioni alla regola, affidabili, esistono. Prima fra tutte il portale della SIN con “Conosci i tuoi reni” (27), gestito e curato dalla Società Italiana di Nefrologia (SIN). Oltre alla classica serie di servizi web necessari al corretto funzionamento di una pagina, offre uno spazio di discussione per tutti gli iscritti e fornisce materiale, anche in formato video, per il paziente o il cittadino intenzionato ad informarsi.

Altri esempi virtuosi sono individuabili nel portale ufficiale della Fondazione Italiana del Rene (28) e soprattutto nella sua pagina Facebook (29) la quale ha avuto di recente un impulso importante. Si occupa oggi di postare elementi utili per i pazienti e fornire notizie attuali certificate. Altre pagine sono sufficientemente attive all’interno dei maggiori media sociali, come quelle essenzialmente rivolte ai professionisti, il Blog Renalgate (30) (che ha anche un settore dedicato ai pazienti (31)) o pagine Facebook come Nefrologia e Dialisi (32) e Medical and nephrology community (33).

Attenendosi strettamente ad un’analisi dei Social Media, stanno lentamente fiorendo comunità private di pazienti per il supporto reciproco durante la patologia: sono da citare alcuni gruppi chiusi dedicati prettamente all’Insufficienza Renale Cronica come quello di Insufficienza renale cronica-IRC (CKD), gestito attivamente da una professoressa sempre documentata e in aggiornamento (34), e il gruppo aperto Associazione Malati di Reni della piattaforma Facebook.

A parte questa stretta cerchia di esempi – dai quale trarre ispirazione – il panorama della nefrologia italiana risulta pittosto recalcitrante nell’adottare un qualsiasi tipo di Social Media Strategy e Web Marketing strategy.

Analizzando anche i siti web e le carte di servizio online di alcune famose nefrologie italiane non si trovano riferimenti né alle patologie, indicate solo come elenco di entità da trattare, né a raccomandazioni specifiche nefrologiche. La nefrologia di Bologna, meritevolmente, mette online alcuni opuscoli su Insufficienza renale e dialisi (35), mentre quella di Alba ha online il progetto videodialisi (36). È probabile che ci siano altri esempi e forse anche numerosi, rimane tuttavia il fatto che sono episodici e lasciati alla buona volontà degli operatori. Anche la SIN, forse, dovrebbe farsi parte più attiva nel distribuire materiale informativo certificato, cosa che viene fatta, purtroppo, in maniera poco continuata esclusivamente nel sito Conosci i tuoi reni.

Le motivazioni di questo quadro sono da individuare all’interno del generico ambiente politico e culturale nazionale, quasi impaurito dalle nuove tecnologie più che disinteressato. E’ una fondamentale questione italiana: lo scarso sfruttamento da parte di tutte le piccole e medie strutture locali dei Social Network e delle piattaforme Web.

Ma rimane il fatto che sia assolutamente strano, e dal nostro punto di vista disdicevole, che i pazienti debbano rivolgersi a canali facebook di altri pazienti per avere risposte di base su argomenti nefrologici, di nutrizione renale o ancor peggio sulla liceità o meno della biopsia e delle cure somministrate (Figura 2).

 

Portali web ufficiali delle aziende sanitarie italiane

Ad oggi, nella pubblica amministrazione – e per estensione anche nel sistema sanitario – le modalità di gestione delle tecnologie informatiche e di rete si presentano poco uniformi. Ciò, nonostante esistano delle chiare linee guida rilasciate dal Ministero dello Sviluppo Economico: ad esempio le Linee guida di design per i siti Web della PA (37, 38).

Un quadro parziale di questa situazione si può ottenere analizzando superficialmente le caratteristiche dei siti appartenenti alle aziende sanitarie locali, registrate nell’elenco ufficiale del Ministero della Salute (39). Totalmente 121, possiedono tutte un portale associato, dai contenuti però estremamente variabili. Analogamente agli enti amministrativi locali, sono informatizzate per quanto riguarda le attività correnti, quali la gestione di alcune tipologie di pagamenti, la contabilità e le attività anagrafiche (40).

Al Febbraio 2017, il 98,3% dei portali ospitava una sezione dedicata al reperimento della modulistica in formato pdf e l’81% una per lo scaricamento di referti medici online. Solo il 24% delle strutture non offriva servizi di prenotazione cup e pagamento ticket in rete.

Nel panorama della sanità pubblica, ad essere seriamente carenti sono le relazini con i cittadini, soprattutto se si va ad analizzare il coinvolgimento delle varie strutture all’interno dei Social Network.

Nella prima parte dell’anno, poco più della metà delle aziende sanitarie locali (51,2%) possedeva una pagina all’interno della piattaforma Facebook; solo il 31,4% aveva un profilo Twitter e il 44,6% un canale You tube.

Lo sfruttamento delle citate piattaforme non viene effettuato a pieno regime. E’ frequente ritrovare profili poco aggiornati (anche da più di un anno) o esclusivamente dedicati ad uno specifico servizio offerto dall’azienda (cosultorio giovani, servizio psicologico).

Questo coinvolgimento parziale si manifesta anche nello sfruttamento della Smart Mobile Technology che in ambito sanitario viene definita mobile health (m-Health). Solo il 43,8% delle aziende aveva adottato a Febbraio applicazioni per smartphone dedicate alla gestione del rapporto con il pubblico o alla prevenzione. Un miglioramento della situazione potrebbe essere conseguito dall’osservazione delle strategie adottate in altri paesi europei. In Francia ad esempio, Centri Ospedalieri Universitari rilevanti come il Centre Hospitalier Universitaire d’île-de-France (41) o il Centre Hospitalier Universitaire de Toulouse (42) sono attivamente presenti nelle piattaforme Twitter, Facebook, You tube e Linkedin e possiedono un’app certificata.

Nonostante il Piano Nazionale della Cronicità (43), in accordo con le istituzioni regionali, abbia nel 2016 ribadito la necessità di armonizzare ed intensificare l’attività educativa rivolta ad individui con malattie croniche attraverso la rete, molte aziende locali continuano a limitare il proprio coinvolgimento. La situazione è abbastanza uniforme sia per il Nord che per il Centro-Sud.

Alcuni portali, come quelli delle Agenzie di Tutela della Salute (ATS) di Bergamo e Milano, o dell’AUSL di Bologna, iniziano a fornire timidamente ai cittadini materiale telematico incentrato sulla prevenzione dei fattori di rischio delle patologie croniche. Limitazione del sale nella dieta, aumento dell’attività fisica giornaliera, rinuncia al fumo, sono gli argomenti maggiormente trattati in questi progetti.

Adottano una strategia differente i portali del Mezzogiorno, come quello dell’ASL Napoli o dell’ASP di Messina: vengono sfruttate prencipalmente le News e la Newsletter per comunicare, saltuariamente, informazioni utili al cittadino. In nessuna delle suddette pagine Web è comunque presente una sezione dedicata al supporto del paziente a rischio, con patologie renali allo stadio iniziale, o dializzato. Semplicemente, per quanto riguarda questo tipo di cronicità, il sistema sanitario locale non favorisce l’autonomia del malato ed il Patient Engagement.

Il “Patient Engagement”, così come delineato recentemente nella conferenza di consenso per il patient engagement dell’Università Cattolica in collaborazione con la Direzione generale Welfare della Regione Lombardia e sotto la supervisione metodologica dell’Istituto Superiore di Sanità (44), è un “concetto ombrello”, sovraordinato e inclusivo rispetto ad altri termini d’uso nel linguaggio sanitario, come patient empowerment, o aderenza del paziente.

Si sottolinea in quest’ambito che le nuove tecnologie, soprattutto quelle basate sul Web, costituiscono un fattore abilitante fondamentale dell’engagement della persona con malattia cronica anche se, ovviamente, non sostituiscono la relazione terapeutico-assistenziale: ne potenziano e ampliano l’effetto (45). In ogni caso, l’uso di tecnologie via Web si sono dimostrate efficaci nell’aumentare l’informazione, la consapevolezza e la conoscenza delle controindicazioni percorsi sanitari (46, 47).

Il design dei portali ed il linguaggio adottato per le comunicazioni con il cittadino sono ancora più disomogenei degli altri aspetti trattati. Questo, nonostante l’esistenza delle indicazioni ministeriali. Solo 3 siti ufficiali su 121 dichiarano, nella propria homepage, di essere costruiti sulla base delle Linee guida di design per i siti Web della PA.

Tutte le disorganicità non devono solo essere attribuite ad uno sforzo ridotto dei vari enti. Sono di certo dovute ad una difficoltà gestionale legata alla recente riorganizzazione di alcuni distretti sanitari, con accorpamento delle varie aziende locali (ad esempio l’unione delle Asl Roma A, E, B e C in Roma 1 e 2 o la riduzione a solo 9 ULSS in Veneto). Possono essere anche parzialmente attribuite alla mancanza di risorse finanziarie e di personale qualificato da destinare alla pianificazione di una strategia digitale territoriale.

A parte queste ragioni pratiche, le motivazioni ideologiche non sono da sottovalutare.

Di fatto, da quest’analisi generica emerge che il Social Networking e la Smart Mobile technology non sono ancora considerate dalle istituzioni italiane opportunità di cura effettivamente sfruttabili. Eppure una maggiore presa di coscienza da parte di tutti gli stakeholders del settore potrebbe portare grandi vantaggi a tutti gli attori, compresi i cittadini.

Un avanzamento sembra comunque essere vicino.

 

Un miglioramento possibile

Le malattie renali croniche – anche quelle in età evolutiva – e l’insufficienza renale sono patologie poco considerate dalla maggior parte degli atti programmatori specifici nazionali italiani. Fra i documenti ufficiali esistenti, il Piano nazionale sulla Malattia renale cronica e Piano nazionale delle cronicità sono quelli che maggiormente aprono ad un approccio di cura multidisciplinare, collaborativo ed integrato, basato proprio sullo sfruttamento della tecnologia.

Nei documenti si decreta l’utilità degli strumenti tipici del Web 2.0 (Rss, Podcast, Social Network/Bookmark, Wikis, Blog…) e della telemedicina, argomentandone i vantaggi: rendono possibile la disintermediazione fra paziente ed esperto, hanno la capacità di limitare la sensazione di isolamento dei pazienti ospedalizzati o con disabilità, livellano parte delle disuguaglianze sociali e hanno un ruolo diretto nell’accrescimento del Patient Engagement (48).

Come è stato visto, il sistema sanitario italiano non ha ancora preso coscienza di queste opportunità, soprattutto per quanto riguarda la nefrologia. Eppure l’efficacia dell’approccio digitale è stata comprovata, da ricerche estere, per svariate patologie non solo renali. Agarwall e colleghi, in uno studio del 2013, e Solomon e collaboratori nel 2012 hanno dimostrato che l’utilizzo dei Personal Health Records favorisce il raggiungimento degli obiettivi terapeutici (49, 50).

Nel 2014, Aberger ha verificato la reale efficacia della telemedicina nel trattamento dei pazienti renali in post-trapianto (51). La letteratura offre molte altre dimostrazioni di efficacia come riscontrabile dalla recentissima review di Barello et Al. (52).

La tecnologia dovrebbe essere sfruttata anche per le proprie potenzialità preventive. Un utilizzo corretto dei Social Network da parte del servizio locale permetterebbe certamente l’indirizzamento del pubblico verso informazioni scientificamente dimostrate e ritenute valide da esperti fisicamente vicini al cittadino (sul territorio). Nel lungo periodo, ciò potrebbe addirittura aumentare l’affidabilità generica delle stesse nozioni presenti online. La diffusione di dati inattendibili sarebbe bloccata sul nascere (53).

Infine, c’è da sottolineare un aspetto fondamentale del tipo di disintermediazione che l’e-health andrebbe a generare: “Il professionista sanitario è un esperto nella diagnosi della patologia, mentre il paziente è un esperto nell’esperienza della malattia” (54). Teoricamente, queste due visioni, messe in comunicazione, aumenterebbero la qualità della terapia, creando anche occasioni di aggiornamento professionale per gli addetti ai lavori.

Un approccio terapeutico basato sulla condivisione esiste ed è la Medicina Narrativa. Viene definita come l’uso di blog, diagnosi online, comunità terapeutiche virtuali, consulti medici attraverso i Social, per migliorare la cura, rendendola un momento di aggiornamento per il medico.

In Italia sono due istituti di ricerca che spingono massivamente verso questa nuova visione: il Body&Society LAB ed il Center For Digital Health Humanities.

Allo stato attuale la Medicina Narrativa, ed altre iniziative di rete per la relazione con il pubblico, non sono ancora state coordinate con il sistema sanitario nazionale. Continuano ad essere delle iniziative isolate gestite da privati più o meno illuminati (55) o progetti esteri, come quelli dell’American Association of Kidney Patients – il cui sito Web richiama da solo 120.000 utenti al mese – o della National Kidney Federation UK (56). Del tutto recentemente la rivista Tecniche Nefrologiche e Dialitiche ha aggiunto proprio una sezione dedicata alla medicina narrativa (57). Mancano però del tutto, in rete, i wiki e i podcast che possano, utilizzati in innumerevoli altri campi, dare un aiuto e soprattutto continuità alle iniziative.

Il rischio che si sta concretizzando è quello della comparsa nel paziente di una confusione fra progetti online affidabili e non, questi ultimi potenzialmente distruttivi per la salute del malato. I pericoli dell’uso incontrollato della Social Health sono essenzialmente 4 (58):

  1. L’aumento del ‘fai da te’;
  2. L’aumento dell’uso di farmaci non utili;
  3. L’aumento dell’autoprescrizione di test diagnostici non necessari;
  4. La diffusione di informazioni pseudoscientifiche o non chiare sugli stili di vita.

Tutto questo può essere riassunto in due soli concetti: eccessiva medicalizzazione e soprattutto disinformazione la cui punta avanzata si è raggiunta con la corrente antivaccinista.

È necessario limitare, se non impedire, quello che viene chiamato, citando Quattrociocchi, il “confirmation bias”. Il termine indica la tendenza delle comunità e degli individui singoli a cercare nel Web informazioni utili a sostenere le proprie tesi e non a ricercare la verità (59).

In quest’ambito le società scientifiche hanno una grande responsabilità in quanto potrebbero essere le sole a poter determinare e guidare il processo. Hanno lo strumento dell’adeguatezza dell’informazione e contano su esperti sufficientemente validi da mettere in campo. Purtroppo mancano del tutto di strumenti di comunicazione verso i pazienti.

Anche le strutture pubbliche, nei loro siti e grazie alla carta dei servizi, potrebbero offrire un’informazione corretta, seppur non esaustiva. Sarebbero anche in grado di indicare correttamente le patologie, a chi rivolgersi e come affrontarle. Ciò non avviene. Le carte dei servizi non solo non adempiono a tutti gli obblighi sanciti per legge (60) e della buona prassi (61), ma ancor peggio sono una mera elencazione di attività, di nomi dei professionisti afferenti, prive di capacità informative ed empatiche nei confronti di chi sia in cerca di informazioni cliniche riguardanti la propria salute.

Massimizzare il valore per il paziente, cioè costruire l’offerta sanitaria sulla base delle sue necessità e non degli elementi strettamente burocratici, può essere una buona soluzione alle problematiche citate. Naturalmente il miglioramento deve essere effettuato con un’idea ben precisa dei meccanismi regolanti il Web Marketing, già ben chiari al privato ma stranamente accantonati dagli enti pubblici locali.

Di fatto, la produzione di sanità in Italia non è ancora in grado di sfruttare le possibilità che le nuove tecnologie informatiche di rete mettono a disposizione da anni. Ciò è dovuto a strumenti Hardware e Software obsoleti, ed anche ad un’ancora presente chiusura dei professionisti sanitari verso il Web 2.0. Anche in campo nefrologico, nonostante gli sforzi di pochi, la situazione non è diversa.

Tutti questi dovranno essere i punti sui quali lavorare per migliorare il settore sanitario in senso digitale.

D’altronde non si può ignorare il Web, non ritenendolo una priorità, per la semplice convinzione che la sua gestione sia un’attività troppo complessa e costosa. Questa ideologia, in Italia, sta quasi completamente lasciando nelle mani di associazioni for-profit l’educazione alla salute e la prevenzione. Con una maggiore partecipazione del sistema pubblico, delle Università, dei medici e professionisti sanitari certificati, si potrebbe creare un network di collegamenti e dati, scientificamente utili e condivisibili, capace di dare il via ad una campagna generica di conoscenza e prevenzione efficace delle maggiori patologie di questo tempo. Una strategia che sia capace di creare le basi per una sanità meno carica di malati cronici e potenzialmente meno costosa.

 

 

 

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  1. Linee guida per la stesura e l’utilizzo della Carta dei servizi delle ASP – regione Emilia Romagna Dossier 228-2012.