Denosumab e rischio fratturativo nel trapianto di rene

Abstract

Introduzione: I pazienti con trapianto di rene hanno un elevato rischio di sviluppare malattia ossea. L’anticorpo monoclonale denosumab (Den) legando RANKL, riduce l’attività osteoclastica e aumenta le densità minerale ossea (BMD), riducendo il rischio di fratture. Abbiamo studiato l’efficacia e la sicurezza di Den in pazienti con trapianto di rene che hanno sviluppato fratture ossee.
Pazienti e metodi: Tredici pazienti con trapianto renale (età 50-79 7 M e 6 F), con una media di 9,9 anni di trapianto, con funzione renale sostanzialmente conservata (eGFR 62±15 ml/min/1.73m2) che hanno sviluppato fratture low-energy (21 dorsali e 1 lombare) dopo il trapianto, sono stati sottoposti a terapia con denosumab e valutati per un periodo di due anni (4 dosi da 60 mg) con DEXA vertebro-femorale e morfometria assorbitiva (MXA).

Nel periodo di osservazione sono state raccolte le altezze vertebrali e il loro rapporto postero-anteriore (P/A) e i valori della BMD vertebrale, femorale e del radio. La terapia immunosoppressiva comprendeva CNI e MMF e 8 su 13 pazienti prendevano prednisone. Inoltre, i pazienti ricevevano una dose di 450.000 UI di colecalciferolo all’anno. Whole-PTH, 25-OH D3, fosfatasi alcalina (ALP) sono stati valutati.
Risultati: Dopo 2 anni di terapia con Den, la DEXA evidenziava un significativo aumento del T-score vertebrale (da -2.12±0.35  a -1.67±0.35; p<0.02), mentre T score femorale e radiale erano immodificati (-1.86±0.21 versus -1.84±0.23 e -3.04±0.42 versus -3.19±0.45, rispettivamente). Abbiamo trovato un ridotto tasso di incidenza di fratture vertebrali/paziente-anno rispetto al periodo pre e post Den 0.17 [95 CI 0.11-0.24] vs 0.07 [95% CI 0.02-0.3] rispettivamente. Nessuna modificazione significativa di Whole-PTH (89.3119.9 pg/ml versus 68.389.8 pg/ml), 25OH D3 (24.022.75 ug/L versus 26.672.29 ug/L) e ALP (78.4612.73 UI/L versus 56.777.14 UI/L) veniva riscontrata. Non si sono verificati effetti avversi.
Conclusioni: Il Den migliora la BMD vertebrale e sembra ridurre il rischio di fratture vertebrali low-energy nel trapianto di rene.

Parole chiave: Denosumab, frattura da fragilità, osteopatia del trapianto

Introduzione

Le fratture scheletriche costituiscono una complicanza severa e disabilitante del trapianto renale (Tx) con un’incidenza fratturativa da 5 a 34 volte (M versus F) superiore a quanto rilevato nel soggetto normale [1].

Il Tx contribuisce solo in parte a migliorare i disturbi del metabolismo minerale, perché la possibile persistenza di elevati livelli di PTH e di FGF-23 [2], l’allungamento dei tempi di mineralizzazione insensibile agli effetti della vitamina D [3] e, soprattutto, l’interferenza degli immunodepressori sul metabolismo osseo [4, 5] inducono una costante perdita della densità e della qualità minerale scheletrica, aumentando il rischio fratturativo.

Il denosumab (Den), un anticorpo monoclonale umanizzato che si lega con alta affinità al RANKL, bloccando l’interazione tra RANK e RANKL, inibisce l’osteoclastogenesi e l’attività osteoclastica con conseguente aumento della densità minerale ossea, mimando l’effetto fisiologico dell’osteoprotegerina. Il suo utilizzo nell’osteoporosi postmenopausale è ormai consolidato, con un’efficacia superiore ai bifosfonati nel migliorare la densità minerale e nel ridurre il rischio di fratture low-energy [6, 7]. Nei Pazienti sottoposti a trapianto renale, tuttavia, mancano le evidenze di una reale riduzione del rischio fratturativo, a fronte di un sensibile e documentato miglioramento della densità minerale scheletrica [8].

Nel presente studio è stato valutato, oltre alla BMD, il rischio fratturativo mediante morfometria vertebrale con DEXA dopo 2 anni di trattamento con denosumab, somministrato ad una coorte di pazienti sottoposti a trapianto di rene con fratture singole o multiple low-energy del rachide dorso-lombare, ad alto rischio di nuove fratture [9]. 

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