Marzo Aprile 2024 - Nefrologo in corsia

Cuff Shaving in Recurrent Exit-Site Infections in a Patient on Peritoneal Dialysis

Abstract

In patients on peritoneal dialysis, the cutaneous emergency (exit-site) represents a potential access route to the peritoneum; consequently, it can become a site for microbial infections. These infections, initially localized to the exit-site, may spread to the peritoneum causing peritonitis, which is the most common cause of drop-out from peritoneal dialysis and transition to hemodialysis. Peritoneal catheters have dacron caps which have the function of counteracting the traction of the catheter itself and at the same time acting as a barrier for microorganisms, preventing the spread towards the peritoneum. Despite this, the same dacron cap can represent a sort of nest for microorganisms to colonize and, with the formation of a biofilm that facilitates their proliferation, make the same organisms impervious to antibiotic therapy and even resistance to them. The most effective tool for monitoring the health status of the exit-site is represented by the objective examination. This examination, through the use of well-defined scales, helps to provide a pathological score of the exit, facilitating the implementation of necessary precautions. In the presence of recurrent exit-site infections, from both Gram positive and Gram negative bacteria, minimally invasive surgical therapy is a valid approach to break this vicious circle. It helps avoid subjecting the patient to the removal of the peritoneal catheter, temporary transition to hemodialysis with the insertion of a central venous catheter, and subsequent repositioning of another peritoneal catheter. We propose the case of a recurrent Staphylococcus Aureus infection resolved after cuff shaving of the exit-site.

Keywords:  peritoneal dialysis, exit-site infection, cuff shaving

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Introduzione

La via d’accesso al peritoneo continua a costituire un problema nodale nella gestione e nella sopravvivenza della dialisi peritoneale, come lo è l’approccio vascolare in emodialisi. La presenza di un corpo estraneo, il catetere peritoneale, che collega l’ambiente esterno al peritoneo, attraverso cute, sottocute, muscoli e fasce, può favorire le infezioni locali e costituire una via d’accesso per i batteri fino alla cavità peritoneale.

La presenza della cuffia costituisce una barriera protettiva contro l’ingresso dei batteri nel peritoneo, ma a sua volta può essere un fattore irritativo o addirittura un buon nido per i batteri che l’abbiano raggiunta.

La gestione dell’emergenza cutanea del catetere (exit-site) in un paziente in dialisi peritoneale è fondamentale per prevenire ed eventualmente trattare una potenziale infezione della stessa che può rappresentare la porta d’ingresso per i germi e l’evoluzione verso una complicanza più complessa, quale può essere la peritonite che rappresenta poi il rischio fondamentale di fallimento della terapia sostitutiva peritoneale e passaggio all’emodialisi.

Quanto detto sopra è rafforzato dal fatto che viene ormai attribuito un ruolo fondamentale all’infezione dell’exit-site quale potenziale innesco a una peritonite vera e propria [1, 2] attraverso un meccanismo che vede il passaggio e la migrazione dei microrganismi dall’exit-site lungo il tunnel sottocutaneo fino alla cuffia superficiale [3]. In questa sede la colonizzazione dei suddetti germi prevederebbe poi la formazione di un biofilm che, rendendoli inattaccabili da qualunque farmaco battericida [4, 6], permetterebbe da un lato la migrazione di questi verso l’esterno, provocando infezioni recidivanti dell’exit-site, e dall’altro, seguendo una migrazione verso l’interno, episodi peritonitici [7, 8] fino alla rimozione del catetere peritoneale stesso [9].

Più in generale, le complicanze infettive rappresentano la causa più significativa di morbilità e mortalità per i pazienti in dialisi peritoneale [10, 11].

A tutt’oggi non esiste una definizione dell’infezione dell’exit-site che venga accettata universalmente e questo comporta la presenza di una serie di strumenti e approcci preventivi diversi fra loro. Le linee guida SIN del 2003 sostengono l’importanza di una classificazione dell’infezione basata sull’attenta valutazione dell’aspetto dell’exit-site attraverso una scheda che esamini e identifichi i segni dell’infiammazione: arrossamento, secrezione, tessuto di granulazione e dolore [12]. Un approccio non ancora universale è confermato anche dal fatto che, al contrario di una peritonite che ha dei segni e sintomi specifici e codificati, nell’infezione dell’exit-site il percorso diagnostico può non essere lineare; ad esempio il solo eritema dell’exit-site non sempre rappresenta un segno di infezione ma a volte è correlato al solo episodio di traumatismo da trazione del catetere o a reazione alla medicazione.

L’esame obiettivo dell’emergenza cutanea rappresenta, quindi, il primo vero strumento efficace per la gestione dell’exit-site, attraverso un punteggio che viene dato a seconda dell’eventuale comparsa di segni e sintomi (arrossamento, crosta, edema, dolore, secrezione), seguendo la classificazione più appropriata (visual exit-site score, altro).

A questo si aggiunge la possibilità di acquisire ulteriori elementi diagnostici e prognostici, attraverso l’ecografia del tunnel sottocutaneo che può mettere in evidenza segni patologici e patognomonici come gli aloni ipoecogeni disomogenei pericatetere.

Nella gestione delle criticità dell’emergenza cutanea, sono disponibili tecniche chirurgiche mini invasive impiegate come “rescue procedures”, quali il curettage, il cuff shaving, il reimpianto parziale del catetere e la rimozione della cuffia superficiale con la creazione di una nuova exit-site; queste, oltre ad essere di facile esecuzione e poco traumatiche per il paziente, permettono di mantenere in sede il catetere peritoneale evitando le complicanze meccaniche e hanno dimostrato una percentuale di successo compresa fra il 70 e il 100% e dovrebbero essere prese sempre in considerazione negli episodi di infezione dell’emergenza/tunnel non responsivi alla terapia medica, prima di procedere alla rimozione del catetere peritoneale.

Il cuff shaving, tra le suddette rescue procedures, rappresenta un’opzione chirurgica mininvasiva che consiste nell’isolamento della cuffia superficiale mediante un’incisione a partenza dal seno fino a oltrepassare la cuffia stessa, nella rasatura progressiva della cuffia mediante uno strumento affilato e nell’escissione del tessuto necrotico intorno.

Il razionale della presenza della cuffia in dacron sottocutanea consiste nell’aderire ai tessuti circostanti, opponendosi alla trazione del catetere, e rappresentare una barriera alla proliferazione dei germi verso il peritoneo. Tuttavia, come già detto, quando il catetere viene colonizzato dai batteri, la formazione di un biofilm ne facilita la proliferazione e la resistenza alla terapia antibiotica. Infatti, la prosecuzione della terapia medica ha scarsissima probabilità di successo e aumenta il rischio di creare resistenze batteriche; pertanto, i germi possono sopravvivere nel dacron della cuffia superficiale anche in corso di terapia antibiotica appropriata. Alla sospensione del trattamento possono ripartire nella loro proliferazione sino a invadere la cuffia profonda e il peritoneo parietale. Attraverso questo meccanismo le infezioni dell’emergenza cutanea determinano le peritoniti secondarie e recidivanti, le quali rappresentano la causa maggiore di rimozione del catetere peritoneale. Per spezzare questo circolo vizioso sono state proposte le suddette tecniche chirurgiche mininvasive e fra queste, Nichols e Nolph, negli anni ‘80, hanno sperimentato la rasatura della cuffia (cuff shaving) nel tentativo di evitare la rimozione del catetere peritoneale [13].

 

Caso clinico

Riportiamo il caso di un paziente pakistano, di sesso maschile, dell’età di 69 anni, con storia anamnestica di ipertensione arteriosa e diabete mellito tipo II, complicato da retinopatia e neuropatia.

Dal marzo 2017 era seguito nel nostro ambulatorio nefrologico divisionale e, a causa della progressione dell’insufficienza renale cronica a genesi multifattoriale (nefroangiosclerosi e complicanze del diabete), a inizio maggio 2020, veniva sottoposto a intervento di posizionamento di catetere peritonale tipo Tenckhoff retto a due cuffie nel fianco destro. Dopo un periodo di break-in di 25 giorni, iniziava dialisi peritoneale in Continuous Ambulatory Peritoneal Dialysis (CAPD) con 4 scambi giornalieri di 2000 ml (con sosta di 4 ore) per quattro volte a settimana.

Non veniva eseguito tampone nasale preventivo al posizionamento del catetere peritoneale.

Dopo due mesi dal posizionamento del catetere, in luglio 2020, lo stesso veniva rimosso per malfunzionamento e veniva riposizionato nel fianco sinistro un nuovo catetere, questa volta un catetere di Di Paolo autolocante.

A inizio novembre del 2020 veniva eseguito tampone nasale che mostrava una positività allo Staphylococcus Aureus, cui faceva seguito terapia topica con mupirocina.

I primi giorni di dicembre del 2020, a seguito del riscontro di arrossamento e dolore all’exit-site (score 2 della scala visual exit-site score), veniva eseguito tampone che mostrava un’infezione da Staphylococcus Aureus vancomicina-sensibile e iniziava terapia antibiotica endovena mirata con vancomicina 500 mg ogni 72h per 5 somministrazioni e gentamicina topica (figura1). Un’ecografia del tunnel sottocutaneo in quell’occasione risultava negativa e l’esame colturale e la conta dei globuli bianchi del liquido peritoneale erano negativi, scongiurando il riscontro di una peritonite.

In maggio 2021 diventava positivo al covid-19 (era vaccinato) ed era costretto a saltare alcune valutazioni ambulatoriali.

Nel luglio del 2021 nuovo episodio di infezione dell’exit-site recidivanti da Staphylococcus Aureus in presenza di secrezione purulenta e dolore nel tratto sottocutaneo (score 3 della scala visual exit-site score). L’ecografia del tunnel sottocutaneo mostrava un alone ipoecogeno attorno alla cuffia sottocutanea in dacron. Veniva pertanto deciso di sottoporre il paziente all’intervento chirurgico mininvasivo di cuff shaving (figura 2) e proseguiva medicazioni giornaliere con zaffi di garze sterili impregnate con ipoclorito di sodio 0,05% al fine di favorire l’ottimale guarigione per seconda intenzione della ferita chirurgica.

Dopo il cuff shaving del luglio 2021, il paziente non ha più presentato, nel corso di ripetuti e seriati tamponi dell’exit-site, infezioni dello stesso né sono comparsi altri segni all’esame obiettivo e, a data novembre 2023, a distanza di 28 mesi, il paziente prosegue la sua terapia dialitica in Continuous Ambulatory Peritoneal Dialysis (CAPD) senza particolari complicanze e con buoni risultati in termini di depurazione dialitica.

Figura. 1 Infezione exit-site.
Figura. 1 Infezione exit-site.
Figura 2. Exit-site post cuff shaving.
Figura 2. Exit-site post cuff shaving.

 

Discussione

La tecnica chirurgica mininvasiva del cuff shaving nel paziente in questione ha permesso di gestire un’infezione recidivante dell’emergenza cutanea da Staphilococcus Aureus altamente pericolosa che avrebbe potuto comportare la rimozione del catetere peritoneale, il passaggio anche solo temporaneo alla terapia emodialitica, previo posizionamento di catetere venoso centrale, e un successivo nuovo intervento chirurgico di riposizionamento di catetere peritoneale dall’altro lato, sebbene questo paziente avesse già subìto un riposizionamento del catetere stesso per malfunzionamento. Inoltre, nel caso specifico non era stato eseguito tampone preventivo al posizionamento del catetere peritoneale e l’esecuzione di questo avrebbe probabilmente ridotto il rischio di infezione dell’exit-site che si sarebbe potuta prevenire [14].

Il cuff shaving, preservando la tecnica dialitica peritoneale, ha rappresentato un indubbio risparmio di risorse economiche ed evitato due interventi chirurgici successivi e il posizionamento di un nuovo accesso venoso centrale, evento quest’ultimo associato a maggior probabilità di infezione, trombosi, stenosi dei vasi centrali e aumentata mortalità [15, 19].

A distanza di 28 mesi dal cuff shaving il paziente non ha più mostrato segni clinici o positività a tamponi dell’emergenza cutanea, validando questa metodologia chirurgica mininvasiva.

Considerando globalmente i dati disponibili in letteratura, si conferma in questo caso clinico l’efficacia dell’approccio mininvasivo chirurgico rappresentato dal cuff-shaving come intervento di primo approccio per il trattamento delle infezioni dell’emergenza cutanea non responsive alla terapia medica e confinate alla cuffia superficiale. Inoltre si sottolinea l’importanza di eseguire tamponi nasali prima dell’intervento di posizionamento di catetere peritoneale in modo da intercettare eventuali positività a germi che possono essere trattati con terapia topica e scongiurare in parte successive infezioni dell’exit-site.

 

Bibliografia

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